Se avessi un miliardo...
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About this ebook
Carole Mortimer
Carole Mortimer was born in England, the youngest of three children. She began writing in 1978, and has now written over one hundred and seventy books for Harlequin Mills and Boon®. Carole has six sons, Matthew, Joshua, Timothy, Michael, David and Peter. She says, ‘I’m happily married to Peter senior; we’re best friends as well as lovers, which is probably the best recipe for a successful relationship. We live in a lovely part of England.’
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Se avessi un miliardo... - Carole Mortimer
successivo.
1
Callie aggiunse un altro strato di marmellata alla fetta di pane imburrata, poi, con una lentezza del tutto voluta, si preparò una seconda tazza di caffè. Quel viaggio nel Berkshire non l'attirava affatto e faceva il possibile per ritardare l'ora della partenza.
Gli ultimi mesi le avevano portato solo sofferenza. Prima c'era stata la lenta agonia di sua madre, poi la morte violenta di Jeff in un banale incidente d'auto. E ora c'era la sua famiglia che voleva vederla ma che per dirglielo si era servita di un notaio, il signor James Seymour.
Il suo studio, buio, polveroso e con le pareti interamente ricoperte di libri, assomigliava molto a un mausoleo ma sembrava fatto su misura per lui. Vedendola entrare, Seymour l'aveva prima squadrata da sopra gli occhiali, poi le aveva dato la più inaspettata delle notizie.
«La signorina Day?» le aveva chiesto. «La signorina Caroline Day?»
«Sì, sono io...»
«In qualità di esecutore testamentario, ho l'onore d'informarla che il signor Jeffrey Spencer l'ha designata come sua unica erede.»
«Ma è impossibile» aveva ribattuto lei, cercando di controllare la sorpresa. «Dev'esserci un errore...»
«Sappia, signorina Day, che in trent'anni di carriera non ho mai commesso il minimo errore» aveva detto il notaio, lanciandole un'occhiata indignata.
«Ma... io non voglio niente» aveva balbettato lei. «Non posso accettare...»
Seymour l'aveva guardata come se si fosse trovato davanti a una stupida.
«Vuol dire che rifiuta un milione di sterline?»
«Mi scusi, signor Seymour, le ripeto che dev'esserci un errore. Il signor Spencer non ha mai posseduto una cifra del genere...»
«Le ha anche lasciato il trentasette per cento delle azioni della Spencer Plastics» aveva continuato l'uomo senza badarle.
«La Spencer Plastics?»
«Signorina Day...» Il notaio aveva cominciato a spazientirsi. «Credo che guadagneremmo un sacco di tempo prezioso se lei la smettesse di interrompermi continuamente.»
«Sì, certo. Ma... ha proprio detto la Spencer Plastics, vero?» Callie stava iniziando a credere che fosse tutto uno scherzo della sua immaginazione.
«Come le ho appena detto, il signor Jeffrey Spencer le ha lasciato la sua parte di azioni dell'azienda della famiglia...»
«Dunque Jeff... Jeffrey era uno degli Spencer? La famosa famiglia Spencer?»
Sir Charles, la moglie lady Spencer e la sorella Cicely erano tra le persone più in vista dell'aristocrazia inglese, ma il Charles e la Cissy cui Jeff aveva fatto qualche volta riferimento non potevano essere loro, aveva pensato Callie.
«Il defunto signor Spencer era il fratello minore di sir Charles» aveva risposto freddamente il notaio.
Callie aveva impiegato qualche istante ad assorbire la notizia, poi aveva chiesto: «Sir Charles è a conoscenza di questo testamento?».
«È stato il primo a esserne informato.»
Santo cielo, aveva pensato lei, chissà come mi odiano!
«Del resto, sir Charles ha espresso il desiderio di conoscerla» aveva detto Seymour. «Mi ha parlato di sabato o domenica prossimi.»
Esposto in quei termini, il desiderio di sir Charles sembrava piuttosto un ordine, aveva osservato tra sé Callie.
Il notaio l'aveva studiata per un momento con un'espressione mista d'ironia e di disprezzo. Come al solito, Callie vestiva casual, con un paio di pantaloni di velluto e una camicetta di cotone. I capelli biondissimi, di media lunghezza, le ricadevano liberamente sulle spalle e sopra il naso dritto e piccolo spiccavano due occhioni marroni.
«Dica a sir Charles che accetto il suo invito» aveva ribattuto. «Ora, se vuole scusarmi, dovrei andare.»
«Signorina Day, l'argomento del nostro incontro non è ancora esaurito.»
«Mi dispiace, signor Seymour, ma non posso trattenermi più a lungo. Se ci sono altri dettagli, me li trasmetterà per posta, d'accordo?»
«Non è mia abitudine trattare per posta affari così importanti» aveva osservato il notaio con aria risentita.
«Mi scusi. Vuol dire che le telefonerò in settimana per fissare un altro appuntamento.»
Detto questo, Callie si era alzata ed era uscita dallo studio con passo deciso. Perché Jeff aveva mantenuto segrete la sua origine e la sua ricchezza? Si era confidata con Marilyn, l'amica che viveva col marito nell'appartamento accanto al suo.
«Io sono sempre dell'idea che debba esserci un errore» le aveva detto, più tardi. «Ho l'impressione di vivere un brutto sogno.»
«Non vedo perché tu debba fare tante storie» aveva ribattuto l'amica, scuotendo la testa. «Sei ricca, sai cosa significa?»
«Sì, certo, ma... non mi sento in diritto di accettare quell'eredità.»
«Non essere stupida... Jeff ti ha lasciato tutta la sua fortuna perciò hai la legge dalla tua parte.»
«Non credo che la famiglia Spencer la pensi allo stesso modo» aveva sospirato Callie.
«La famiglia Spencer non è mai esistita per Jeff. Non si sono scomodati neppure in occasione del funerale.»
«Secondo il notaio Seymour, non sono stati avvertiti in tempo. In ogni caso, la loro presenza sarebbe stata fuori luogo. Jeff diceva sempre che soltanto i veri amici hanno il diritto di dare l'estremo saluto a coloro che hanno amato.»
«Se Jeff ha voluto che tu ereditassi i suoi beni, devi sottometterti ai suoi ultimi desideri..»
Era passata una settimana dall'incontro con James Seymour e gli Spencer l'avevano invitata a trascorrere il fine settimana nel loro castello nel Berkshire. Le ci volevano circa due ore per arrivarci ma, a mezzogiorno passato, Callie aveva appena finito di fare colazione. Dopo un bagno caldo, scelse una tenuta adatta alle circostanze: un tailleur nero dal taglio classico e una camicetta bianca. Per aggiungere una nota d'eleganza, si appuntò una spilla d'oro al risvolto della giacca.
Alle tre in punto uscì di casa e, imboccata l'autostrada, si diresse a sud. La sua vecchia Ford superava al massimo i novanta all'ora, ragione per cui, per rompere la monotonia del viaggio, accese l'autoradio. Ad Ascot lasciò l'autostrada e controllò la piantina che le aveva fatto avere il notaio Seymour.
Dopo aver percorso una decina di chilometri in aperta campagna, imboccò un sentiero sulla sinistra, alla fine del quale trovò un alto cancello che si ergeva con imponenza verso il cielo.
Mentre si avvicinava al castello degli Spencer, lungo il viale bordato di cipressi, si sentì pervadere da un brivido d'apprensione. Non aveva mai frequentato persone d'alto rango e si chiese come l'avrebbero accolta e come si sarebbe dovuta comportare.
I giardini della proprietà le sembrarono splendidi sotto i pallidi raggi del sole d'ottobre. Parcheggiò la macchina tra una superba Rolls-Royce e una Jaguar rosso fiammante e il contrasto tra la vecchia Ford e quelle due auto di lusso la fece sorridere.
Un uomo sulla cinquantina con indosso un vestito dal taglio perfetto apparve sulla scalinata. Sir Charles?, si chiese lei, con l'impressione di gettarsi nella fossa dei leoni. Oh, Jeff, aiutami, ti supplico!, pregò tra sé.
«La signorina Day?» le chiese l'uomo con un viso impassibile.
«Sì» rispose lei, appoggiando la valigia. «Sono Caroline Day.»
«Charles Spencer.»
«Molto piacere» ribatté Callie, allungando la mano.
Lui la osservò per un attimo, poi disse con aria pensierosa: «Non l'immaginavo così giovane...».
«Ho ventidue anni» rispose Callie, mettendosi sulla difensiva.
«Allora ho ragione quando dico che è giovane.»
«Jeff diceva sempre...»
«Jeff?» ripeté lui. «Si riferisce per caso a mio fratello Jeffrey?»
«Be'... sì. Diceva sempre che l'età non si calcola dagli anni ma dallo spirito...»
Sir Charles non si diede la pena di ribattere e le parole di Callie si persero in un silenzio imbarazzante.
«La valigia della signorina Day in camera sua» ordinò in tono brusco a un domestico in attesa nell'ingresso.
«Sì, signore.»
«Andiamo in salotto, signorina Day. Voglio presentarle mia moglie e mio figlio Donald.»
Alla vista di Callie, una donna piuttosto alta e dal portamento altero si alzò in piedi. Portava al collo una collana di diamanti che doveva valere una fortuna.
«Mia moglie Susan» annunciò sir Charles. «Susan, questa è la signorina Day.»
«Mi chiami pure Callie» fece la ragazza cui non piacevano molto le cerimonie. «Mi chiamano tutti così...»
«Anche mio fratello Jeffrey?» chiese sir Charles.
«Certamente.»
«Il suo vero nome è Caroline, vero?» domandò lady Spencer con voce terribilmente affettata.
«Sì, ma...»
«Noi la chiameremo così» la interruppe la padrona di casa in un tono che non ammetteva repliche.
«Come vuole» ribatté Callie, dando un'alzata di spalle.
«Gradisce una tazza di tè?» Lady Spencer la invitò a sedersi.
«Sì, volentieri.»
Mentre l'altra provvedeva a chiamare un domestico, Callie ne approfittò per guardarsi attorno. Un immenso lampadario di cristallo pendeva dal soffitto e alle pareti bianche e decorate in oro c'era una serie di ritratti d'antenati dai visi austeri. Ogni mobile, ogni oggetto era un autentico pezzo da museo.
«Dov'è Donald?» chiese sir Charles.
«Nello studio» rispose sua moglie. «Sta telefonando.»
«Vado a chiamarlo.»
Lady Spencer attese che suo marito fosse uscito dalla stanza, poi chiese con fare compassato: «Jeffrey era solo al momento dell'incidente, vero?».
Callie si sentì trafiggere da un terribile dolore.
«Sì» rispose, dopo un momento. I soccorritori non erano riusciti a estrarlo dall'auto in fiamme e Jeff doveva aver sofferto molto. «Sì, completamente solo» aggiunse con una gravità piuttosto insolita in una ragazza della sua età.
«Io...»
Lady Spencer fu interrotta dall'arrivo del figlio e del marito. Donald Spencer era il ritratto di suo padre, ma nessuno dei due aveva gli occhi azzurri e sorridenti di Jeff.
Dopo che il padre ebbe fatto le presentazioni, Donald osservò l'ospite con un'espressione di sorpresa.
«Lei è completamente diversa da come me l'aspettavo» disse senza tante perifrasi.
Sir Charles gli lanciò un'occhiata piena di rimprovero e Donald parve subito pentito di aver detto quelle parole spontanee che gli erano valse la simpatia di Callie.
«Zio Jeffrey le ha parlato di noi?» continuò poi, con voce meno sicura.
«Qualche volta» mentì Callie per non mortificarlo.
«Ma non le è mai venuta voglia di fare la nostra conoscenza» disse lady Spencer.
L'aggressività mal celata di quell'osservazione irritò Callie al punto che ribatté seccamente: «Non più di quanta ne sia venuta a voi».
Sir Charles, imbarazzato dalla piega che stava prendendo la conversazione, sembrò improvvisamente sollevato alla vista del cameriere e si affrettò ad annunciare: «Ecco il tè».
«Si avvicini al tavolo, signorina Day» disse lady Spencer con un sorriso forzato. «Sarà più