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Un pericoloso equivoco
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Un pericoloso equivoco

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About this ebook

Inghilterra, XIX secolo - Daphne Collingham sospetta che a provocare la morte di sua cugina Clarissa non sia stato un tragico incidente, bensì la mano del marito, Lord Colton. Determinata a dimostrarlo e ad assicurare il colpevole alla giustizia, decide dunque di farsi assumere sotto falso nome come istitutrice dei figli del gentiluomo. Sembrerebbe un piano perfetto, se non fosse che Timothy Colton si rivela un uomo raffinato e intelligente oltre che un padre affettuoso, tanto che Daphne non tarda a innamorarsene. Ma come allontanare il terribile sospetto che grava ancora sulla sua reputazione?
LanguageItaliano
Release dateAug 9, 2017
ISBN9788858971161
Un pericoloso equivoco
Author

Christine Merrill

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Un pericoloso equivoco - Christine Merrill

    1

    «Sua Grazia vi riceverà immediatamente.»

    Daphne Collingham seguì il maggiordomo verso la porta del salotto, respirando a fondo mentre attendeva di essere annunciata. Era sempre così snervante cercare un impiego? Daphne sperava di non dover ripetere mai più una simile esperienza. Al termine di quella missione sarebbe ritornata a Londra, alla sua solita vita. Avrebbe partecipato a tutti gli eventi della Stagione: le cene, i balli e la tediosa caccia a un marito che ottenesse l’approvazione di suo padre. Ma per il momento doveva ricordarsi di essere una semplice istitutrice, determinata a guadagnarsi da vivere occupandosi dei figli di Timothy Colton.

    L’idea le procurò un brivido, che trattenne a stento. Forse per lei la situazione era più difficile perché sapeva che la sua richiesta era una finzione. E se incontrare una duchessa in occasione di eventi mondani poteva incutere soggezione, in quel frangente la situazione le risultava particolarmente snervante considerato che la duchessa in questione era la persona che poteva concederle il lavoro cui aspirava e che Daphne non aveva ancora ben memorizzato tutti i particolari di una sua presunta carriera, estorti dietro ricompensa a una sconosciuta incontrata su una diligenza diretta a nord.

    Quando Daphne entrò in salotto, la duchessa si alzò in piedi anche se non era necessario, considerando la loro differenza di ceto sociale, e le tese la mano. «Miss Collins.»

    «Vostra Grazia» rispose Daphne con tono che sperò fosse adeguatamente umile.

    La duchessa tornò a sedersi sul divano e le fece cenno di accomodarsi su una sedia. La donna che aveva di fronte sembrava un’insegnante più che la moglie di un Pari, rifletté Daphne. Ma l’apparenza poteva ingannare, si ammonì, sperando che anche la padrona di casa pensasse la stessa cosa di lei, giacché dubitava di avere l’aspetto e il comportamento di una istitutrice in cerca di lavoro. Solo l’inchino che aveva fatto avrebbe potuto tradirla, nonostante si fosse esercitata a inchinarsi come un’istitutrice davanti allo specchio della locanda.

    La Duchessa di Bellston socchiuse gli occhi, come se avesse notato quella stranezza, ma poi esaminò le sue referenze e sorrise. «Sembrano in ordine, anche se qui si parla di una Daphne, mentre nella prima lettera di presentazione dicevate che il vostro nome di battesimo era Mary.»

    «C’era già una Mary nell’ultima casa in cui ho lavorato, Vostra Grazia. Così mi chiamavano con il mio secondo nome, che è appunto Daphne. E anch’io ho finito per preferirlo a Mary.»

    La duchessa annuì. «Daphne è un bel nome. E vi si addice più di Mary.»

    Daphne lo sperava davvero.

    «Sono referenze veramente eccezionali» osservò la duchessa dopo aver riletto la lettera.

    «Grazie.» Daphne aveva faticato non poco a cancellare il nome della vera proprietaria della lettera e a sostituirvi il suo. Ma non ritenne opportuno sottolineare le sue doti di falsaria provetta.

    «Siete stata a servizio per così tanto tempo?» domandò la duchessa, come se avesse qualche dubbio.

    Probabilmente era tutta colpa di quel maledetto inchino, si ammonì Daphne. «Quando si ama il proprio lavoro, il tempo passa in fretta» rispose.

    «E voi amate il lavoro che avete scelto e non lo fate solo per dovere, o per bisogno di guadagnarvi da vivere?»

    «Adoro i bambini» mentì spudoratamente Daphne. Se da un canto sperava che avrebbe adorato i suoi figli, aveva sempre considerato quelli degli altri una calamità.

    «Magnifico» commentò la duchessa, ansiosa di crederle. «Perché è proprio ciò di cui questa famiglia ha bisogno» soggiunse osservando Daphne con la medesima espressione intenta con cui aveva letto la lettera di referenze. «Gli abitanti di questa casa hanno subito una grave perdita e ultimamente il comportamento dei bambini è stato un poco... difficile.»

    «Difficile?» Oh, Signore! Daphne non aveva immaginato che i bambini avrebbero costituito un problema.

    «Ma non sarà arduo controllare la situazione per una persona esperta come voi» proseguì la duchessa con un sorriso d’incoraggiamento. «I bambini non avranno bisogno solo di istruzione e disciplina, ma anche di comprensione e, naturalmente, di affetto.»

    Quello di cui avevano bisogno era giustizia, ma Daphne annuì con entusiasmo alle parole della duchessa. «Poveri cari. Nessuno può sostituire una mamma, è chiaro. Ma se è possibile, si deve offrire loro stabilità e il calore di una presenza femminile.»

    La duchessa respirò di sollievo. «Penso che siamo d’accordo. Scoprirete che i Colton sono bambini intelligenti e vivaci, e naturalmente curiosi. Certamente più svegli dei loro coetanei.»

    Daphne tornò ad annuire, come se avesse compreso. Era strano che una donna che era poco più di una vicina di casa si interessasse tanto ai figli di un estraneo. Forse lo riteneva un proprio dovere perché era una personalità di spicco della zona. O forse aveva qualche altro oscuro motivo per intromettersi negli affari di quella famiglia.

    «Troveranno la loro strada. Quello di cui hanno bisogno è di sentirsi al sicuro e protetti» proseguì la duchessa.

    Finché il loro padre sarebbe stato in circolazione, c’era poco che Daphne potesse fare per assicurare loro sicurezza, ma tornò ad annuire.

    La duchessa si alzò in piedi e lisciò le pieghe della gonna. «Se volete aspettare qui mentre vado a parlare con Lord Colton, il maggiordomo vi porterà un piccolo rinfresco. Quando tornerò, vi accompagnerò a conoscere i bambini» disse, come se l’accordo fosse stato concluso anche senza l’approvazione del padrone di casa.

    Il primo ostacolo era stato superato, pensò Daphne con un respiro di sollievo dopo che la duchessa fu uscita. Quando aveva incontrato la vera Miss Collins, mentre si recava in Galles a far visita a dei parenti, lo aveva considerato un colpo di fortuna. Quella donna stava andando proprio nel luogo che lei voleva vedere: la casa dell’amata cugina Clarissa. E giacché la vera istitutrice era sinceramente stanca di occuparsi dei bambini degli altri, Daphne non aveva trovato difficile persuaderla a lasciarsi sostituire in cambio di due dei suoi vestiti preferiti, di una spilla di granati e del denaro che i genitori le avevano dato per il viaggio. Il valore totale di quei beni superava il salario che Miss Collins riceveva per un anno di lavoro e le avrebbe offerto l’opportunità di concedersi un meritato periodo di riposo. Una volta che Daphne avesse portato a termine la sua missione, la donna sarebbe potuta tornare alla sua vita monotona senza alcun problema.

    Daphne si alzò in piedi e si avvicinò alla porta, accostando l’orecchio al battente per ascoltare il rumore dei passi della duchessa che si allontanavano lungo il corridoio. Dopo qualche istante si fermarono e la voce di Sua Grazia chiese sommessamente di entrare.

    Daphne non udì la risposta e socchiuse con circospezione la porta, aspettandosi che cigolasse sui cardini. Ma non produsse alcun rumore. Non che avesse importanza, dacché non c’era nessuno nel corridoio quando sporse la testa per guardarsi attorno. Se si affrettava, si disse, poteva iniziare immediatamente le sue indagini e rientrare in salotto prima che il maggiordomo portasse il vassoio del tè. Seguì la direzione presa dalla duchessa, attenta a non fare rumore, contando i passi che aveva sentito fare alla nobildonna. Più si avvicinava, più udiva distintamente le voci che provenivano da una porta aperta.

    «Che cosa vi ha dato il diritto d’interferire nella nostra vita, Penny?» chiese una voce maschile con tono brusco.

    Daphne si fermò ad ascoltare.

    «Devo chiedere il permesso per aiutare un amico in difficoltà?» replicò la voce della duchessa, che aveva perso tutta la sua sicurezza, ma aveva guadagnato in calore. Forse fra quei due c’era più di una semplice amicizia. Daphne strisciò lungo il muro e si avvicinò alla porta. Sulla parete di fronte alla soglia era appeso un grande specchio con la cornice dorata, che le permise di vedere quello che avveniva all’interno dello studio dove i due stavano parlando.

    Dopo una pausa di gelo, l’uomo rispose. «Sì, Vostra Grazia, avreste dovuto chiedere il permesso.»

    «Vostra Grazia? Siamo tornati alle formalità, Lord Colton?» replicò la duchessa con tono offeso.

    «Non credo che assumere domestici per spiarmi sia un gesto di amicizia.»

    «Non è ciò che sto facendo. Mi preoccupo soltanto del benessere dei bambini» protestò la gentildonna. Daphne sussultò: Lord Colton aveva intuito il suo proposito senza nemmeno incontrarla, anche se si sbagliava sulle intenzioni della duchessa.

    «Se vi stesse a cuore il loro benessere, li lascereste in pace. E lascereste in pace anche me.»

    Dalla sua posizione Daphne scorgeva la duchessa di profilo, in piedi davanti alla scrivania, e Lord Colton seduto di fronte a lei. Non sapeva che cosa si era aspettata, ma certo non era quello che vide. Clare aveva descritto il marito come un uomo macilento, pallido e crudele, e Daphne lo aveva immaginato come un ragno, grigio e rinsecchito, ma ingannevolmente forte e con un’influenza che si estendeva al di là delle sue dita ossute. Ma quell’immagine non corrispondeva affatto al vero Timothy Colton. Una massa di capelli bruni incorniciava un viso dall’incarnato sano e abbronzato e le spalle non erano curve, ma diritte e rilassate. Insomma, era un uomo normale e, a essere sinceri, anche piuttosto bello.

    La duchessa si chinò sulla scrivania per catturare il suo sguardo, che era ostinatamente abbassato. «Forse la solitudine è il modo migliore per voi di affrontare il dolore, ma i bambini devono soffrire?»

    Lui sollevò il capo. «Dolore? Pensate sia questo il mio problema?» Scoppiò in una tetra risata. «Sono felice che Clarissa sia morta. Con il passare del tempo lo saranno anche i bambini, se non lo sono già.» Non c’era esitazione nella sua voce, nessun segno che rivelasse che si sentiva in colpa a parlare in quel modo della donna che era stata sua moglie per dodici anni.

    Daphne avvertì una nuova ondata di rancore nei confronti dell’uomo seduto dietro la scrivania.

    «Conosciamo i vostri sentimenti al riguardo» mormorò la duchessa, come se avesse paura che qualcuno fosse in ascolto. «Comunque, sarebbe meglio per tutti noi se non foste tanto schietto.»

    «Ah, si tratta di questo? Volete far sembrare le cose più normali di quello che sono? Vostro marito è il magistrato e avrebbe fatto meglio ad ammettere la verità e ad agire di conseguenza subito dopo la morte di Clarissa. Non lo avrei biasimato, ma adesso voi non potete biasimare me, se avete scoperto che è difficile continuare a mentire.»

    Allora era come sospettava, pensò Daphne. La morte di sua cugina non era stata un incidente.

    «Non m’importa se volete crogiolarvi nella vostra sofferenza, Tim. Io mi preoccupo solo dei bambini e sono sicura che per loro questo momento non sia così facile come pensate voi. Una presenza femminile potrebbe essere di conforto per loro, se lo permetterete.»

    «Potranno trovare conforto solo lontano da questo mausoleo. Edmund e Lily hanno l’età per andare a scuola.»

    «Avete intenzione di mandarli in collegio?»

    «Voglio il meglio per loro e lo troveranno solo lontano dal ricordo dell’ultimo giorno di vita della loro madre. E lontano da me.»

    «Anche Sophie?»

    Daphne vide nello specchio che Colton s’irrigidiva. «Troverò un posto anche per lei: è mia figlia, dopotutto. E voi non dovete preoccuparvi. Non ho bisogno del vostro aiuto, della vostra comprensione, della vostra amicizia e dei vostri malaccorti tentativi di riparare qualcosa che non può essere riparato» affermò, sollevando gli occhi verso il corridoio e verso lo specchio. «E non ho bisogno di un’istitutrice.»

    Gli occhi di Colton incontrarono quelli di Daphne nello specchio e per un momento lei intuì come doveva essere guardare la morte in faccia. Quelli di Colton erano gli occhi spietati di un assassino e la fissavano come se avesse saputo che era stata lì per tutto il tempo. Daphne si girò e tornò di corsa in salotto, incurante di fare rumore.

    Tim Colton si appoggiò contro la spalliera della sedia e incrociò le braccia sul petto. La duchessa non sembrava essersi accorta che l’aspirante istitutrice si stava allontanando lungo il corridoio dopo averli spiati da dietro la porta.

    «Avete bisogno di un’istitutrice, Tim Colton, e dovete smetterla di comportarvi come un bambino capriccioso!» lo rimproverò Sua Grazia con tono esasperato. «Forse Miss Collins sarà capace di persuadervi che il vostro comportamento sta danneggiando i bambini che cercate di proteggere, giacché io non ci riesco. Verrà a lavorare in questa casa, checché ne pensiate. Se mi opporrete resistenza, mi rivolgerò a mio marito, come avete suggerito, e lui vi rinchiuderà nella vostra stanza finché non vi presenterete alla Camera dei Lord e darete una spiegazione. Poi, appena sarete andato via, porterò i bambini a vivere con la famiglia della madre. Questa soluzione vi aggrada?»

    «Ovviamente no» protestò Colton con un tono che gli ricordò quello di un bambino capriccioso che si lamentava, proprio come lo aveva definito la duchessa. Doveva riacquistare il controllo di sé, o i figli sarebbero finiti a vivere con i Collingham. E l’ultima cosa che voleva per loro era che crescessero com’era cresciuta la loro madre.

    «Allora siamo d’accordo. Ora torno da Miss Collins e discuto con lei del salario, mentre voi indossate la giacca, vi ravviate i capelli, e poi venite a conoscere la vostra nuova dipendente» stabilì la duchessa lasciando la stanza.

    Tim rimase seduto dietro la scrivania, la testa fra le mani. Penny si era prodigata di nuovo per organizzargli la vita. Avrebbe dovuto esserle grato e invece si sentiva solo intontito.

    Forse Penny aveva ragione. Se si fosse veramente preoccupato dei suoi figli come sosteneva, non avrebbe voluto procurare loro altra sofferenza. E a quel punto mettere in piazza i segreti di famiglia avrebbe fatto più male che bene.

    Con un poco di fortuna, quell’ultima istitutrice non sarebbe rimasta più a lungo delle precedenti. Tutte avevano trovato i bambini difficili e il padrone di casa inquietante, anche se Tim dubitava che avessero ammesso con Penny quell’ultimo dettaglio. Ma nelle rare occasioni in cui avevano parlato con lui, aveva avuto l’impressione che avessero intuito la verità. Lo aveva colto nei loro occhi terrorizzati e nella cura con cui evitavano di rimanere sole con lui.

    Quando Miss Collins se ne sarebbe andata, la situazione sarebbe tornata tranquilla. Mancavano pochi mesi all’inizio delle scuole e a quel punto avrebbe potuto mandare Edmund e Lily nei migliori collegi del paese. Poi sarebbe rimasto per un poco solo con Sophie.

    Senza i due figli maggiori, si sarebbe sentito ancora più solo in compagnia della silenziosa Sophie, pensò con una stretta al cuore. Ma accantonò subito quel pensiero e si alzò in piedi per andare a conoscere la nuova istitutrice. Mentre indossava la giacca e si ravviava i capelli, Tim ripensò all’immagine di Miss Collins che aveva intravisto riflessa nello specchio del corridoio. L’aveva guardata con la coda dell’occhio mentre cercava di ascoltare una conversazione a cui non era stata invitata a prendere parte. Era curiosa di sapere se sarebbe stata assunta? Ciò testimoniava una disperazione, un’ansia di essere assunta che le precedenti candidate non avevano dimostrato di avere. Se il lavoro era così importante per lei, sarebbe stato difficile mandarla via.

    Ma tanta curiosità poteva dipendere da un altro motivo, da qualcosa di più sinistro. In fondo, le spie origliavano alle porte. Se quella donna era venuta in casa sua per apprendere invece che per insegnare, allora Tim aveva un altro problema da affrontare.

    Mentre avanzava verso il salotto, sentì il suono delle voci che provenivano dalla porta aperta. Penny stava definendo i particolari dell’accordo. Dunque la sua presenza non era necessaria, pensò Tim. Con un poco di fortuna, dopo una breve presentazione non avrebbe più avuto contatti con la ragazza, si augurò varcando la soglia. Ma ciò che vide lo lasciò di stucco.

    Il riflesso dello specchio non le aveva reso giustizia, riproducendo un’immagine confusa e sbiadita. A parte gli occhi, straordinariamente intensi, Tim non aveva notato niente di particolare in lei. Ma ora che l’aveva di fronte...

    Tim trattenne il respiro. Quella ragazza era una vera bellezza e anche l’abito castigato e l’austera acconciatura non riuscivano a dissimulare la sua avvenenza. I capelli di un caldo castano ramato incorniciavano un viso dall’ovale dolcemente arrotondato, in cui spiccavano due carnose labbra rosate e gli occhi straordinariamente verdi. Tim poteva immaginare le voluttuose curve del suo corpo anche sotto la rigida stoffa del vestito perché in lei non c’era ombra di quella spigolosità che aveva sempre associato alle donne della sua classe sociale. Niente in lei faceva pensare a stenti e a privazioni patite, né aveva quello sguardo duro e critico di chi sotto sotto provava invidia per i ricchi datori di lavoro.

    Assalito da un’ondata di desiderio, Tim si aggrappò allo stipite della porta. Era molto tempo che non giaceva con una donna. Troppo, se iniziava a fare pensieri sconvenienti su una delle sue dipendenti, soprattutto se la dipendente in questione avrebbe dovuto occuparsi dei suoi bambini.

    Ma più la guardava, più si convinceva che era fatta per stare in una camera da letto e non in un’aula scolastica.

    Portala là e vedrai.

    Quel pensiero lo raggelò, anche se il suo sangue si era infiammato non appena l’aveva vista. Non era il caso di dare troppo peso a un pensiero così bizzarro, che gli era passato per la mente in un momento di debolezza.

    È debolezza o forza assecondare i propri desideri invece di respingerli? Non sei mai stato un codardo.

    Più dissennato che codardo, se iniziava a sentire le voci. E ancora più folle se le ascoltava. Se ciò che si desiderava era sbagliato, non si doveva cedere alla tentazione.

    Troppo tardi. Sei già perduto. Se vuoi la ragazza, aspetta che tutti dormano, poi va’ da lei e prendila.

    No! Tim chiuse gli occhi per non vedere l’oggetto della sua

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