Il peso dei ricordi: Harmony Destiny
By Lauren Canan
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Il peso dei ricordi - Lauren Canan
successivo.
1
Osservare un puledro appena nato alzarsi in piedi per la prima volta era uno spettacolo di cui Holly Anderson non si sarebbe mai stancata. Con qualche passo incerto e un po' di incoraggiamento da parte della madre, il puledro localizzò la mammella e non ebbe bisogno che gli mostrassero come ingurgitare il primo pasto. La piccola coda cominciò a sferzare l'aria quando il nutrimento caldo gli riempì lo stomaco.
«Temevo che questo l'avremmo perso» considerò Don Jefferies, proprietario della cavalla che aveva appena partorito con notevole aiuto da parte di Holly. «È da tutta la vita che allevo Quarter Horse e suppongo di essere stato fortunato: non ho mai avuto a che fare con un parto podalico.»
«Non sono così frequenti» concordò Holly. «Grazie al cielo.»
«Non so dirti quanto apprezzi il tuo aiuto, Doc.»
«Sono contenta di essere stata utile.» Holly diede un'ultima occhiata al puledro prima di uscire mentre Don chiudeva la porta del box dietro di lei. Cominciò a recuperare i propri strumenti, per immergerli nel secchio bianco che aveva sul furgoncino, pieno di una speciale soluzione disinfettante. «Dovrei tornare tra due o tre giorni per controllare entrambi. Avrò bisogno che qualcuno mi aiuti con la madre; probabilmente non sarà felice che le portino via il piccolo, anche se solo per qualche minuto.»
«Non ti preoccupare. Ti chiamo all'ambulatorio domani così fissiamo un appuntamento; farò in modo che ci sia qualcuno in giro, se non potrò esserci io stesso.»
Dopo una stretta di mano, Holly depositò le ultime cose nel bagagliaio, si mise al volante e tornò alla clinica. Il sole era tramontato e il crepuscolo stava rapidamente lasciando il posto alla sera.
Aveva appena finito di rimettere a posto gli strumenti e si stava lavando le mani quando il campanello sopra la porta tintinnò. Doveva aver scordato di esporre il cartello Chiuso sulla porta. Era stata una giornata lunga, dodici ore filate con una sveglia d'emergenza alle sette e mezzo, e non vedeva l'ora di immergersi in una bella vasca d'acqua bollente.
Asciugate le mani con una salvietta di carta, attraversò la struttura per raggiungere il bancone d'ingresso. Aveva già spento le luci principali, ma il bagliore proveniente dal laboratorio consentiva comunque di vedere. C'erano due uomini in piedi nella sala d'aspetto. Riconobbe immediatamente Cole Masters, uno dei tre proprietari del vasto ranch al di là della strada.
Era cresciuta insieme ai tre fratelli Masters. La piccola casa della zia, dove ora viveva, si trovava proprio di fronte alla loro tenuta sulla collina. Anche se erano più vecchi di lei di qualche anno, avevano stabilito un forte legame d'amicizia che sembrava quello di una famiglia allargata.
Non aveva idea, però, di chi fosse l'uomo accanto a Cole. Doveva essere un cliente. Cole e suo fratello Wade di tanto in tanto ospitavano delle persone al Circle M, perlopiù uomini d'affari che cercavano di svagarsi per un weekend con passeggiate a cavallo e pranzi preparati da uno chef stellato.
Perché qualcuno dovesse avere bisogno di un cuoco professionista per cucinare un hot-dog andava oltre la sua capacità di comprensione. A ciascuno il suo, ovviamente.
Non percepì alcuna tensione che indicasse un'emergenza. Cole se ne stava lì con il suo sorrisetto stampato in faccia. Era tardi. Era stanca. E doveva rientrare dalla bambina in modo che Amanda, sua amica e temporanea babysitter, potesse tornare a casa. Quale che fosse il motivo, avrebbe dovuto darsi una mossa.
«Ehi, Cole» salutò. «Hai scordato di nuovo la strada di casa?»
«Ah ah.»
«Come posso aiutarti?»
«Sono passato a prendere gli antibiotici per la cavalla che si è ferita la zampa. Doveva venire Caleb, ma poi c'è stato un imprevisto e gli ho detto che ci avrei pensato io, se avessi trovato ancora aperto.»
«Giusto, me n'ero scordata. Sono nel frigorifero. Torno subito.»
Andò a recuperare le medicine e qualche siringa, infilò il tutto in una busta di plastica e tornò in sala d'aspetto. «Ecco qui. Caleb sa cosa fare, ma se ha delle domande digli di chiamarmi.»
«Okay.»
Cole era ancora immobile, all'apparenza senza la benché minima intenzione di andarsene.
«C'è altro?»
Cole scambiò un'occhiata con lo sconosciuto prima di riportare l'attenzione su di lei.
Holly invece tese le mani con il palmo verso l'alto, come a chiedere: Cosa vuoi? «È un po' tardi per gli indovinelli. Mi spiace, ma ho avuto una lunga giornata; perché non lasci perdere i giochetti e mi dici di cos'hai bisogno?» Si rivolse all'altro. «Chiedo scusa, a volte fa così.»
L'uomo scrollò le spalle, piegando le labbra come se trovasse la cosa divertente. Il sorrisetto di Cole si allargò ancora di più. «Ah, ragazzi... è troppo bello per essere vero» borbottò all'amico. «Avremmo dovuto portare anche Wade.»
Holly non riuscì a inquadrare quel commento. Che cosa era troppo bello per essere vero? «Okay.» Esasperata, appoggiò le mani sul bancone. «Vi auguro una buona serata. Se non vi spiace, chiudete la porta quando uscite.» Dopodiché fece per andarsene, ma non compì più di tre passi.
«Perché te ne vai così presto, Muppet?»
Holly rimase di sasso. Il cuore le fece una piccola danza nel petto. Quella voce, profonda e aspra. Quel soprannome. Solo una persona al mondo la chiamava Muppet, tuttavia non poteva essere... Holly si voltò mentre lo sconosciuto le si faceva incontro, togliendo il cappello da cowboy che gli aveva oscurato gli occhi. In un lampo accecante gli ultimi dodici anni svanirono e si ritrovò a guardare negli occhi il suo migliore amico.
Avrebbe dovuto riconoscerlo anche senza vederlo in faccia. Il modo in cui si muoveva, in silenzio, con la grazia di un puma. La sua postura, con le ampie spalle belle dritte all'indietro, le mani lungo i fianchi, pronte a gestire qualunque minaccia in qualunque modo necessario.
Aveva un viso di una bellezza aspra, con zigomi alti e una mascella tagliente che risaltava nonostante la barba lunga. I capelli erano dello stesso castano scuro ma, invece del taglio regolare, li portava più lunghi e disordinati, a completare l'aspetto diabolicamente sensuale. Un tempo aveva fatto impazzire la maggior parte della popolazione femminile della contea. Il naso aquilino gli avrebbe dato un'aria regale se non fosse rimasto vittima della sua passione per il football e, senza dubbio, di qualche dura battaglia oltre le linee nemiche. Il taglio sul mento perfezionava l'immagine.
Holly sapeva che quelle labbra piene erano accompagnate da fossette ai lati della bocca e nascondevano denti bianchi perfetti. Era il genere di sorriso che uno non vede l'ora di poter ammirare e che, quando arriva, ripaga l'attesa. Tuttavia era l'azzurro cristallino dei suoi occhi a riflettere il carisma della sua personalità. Sembravano accesi dall'interno; il suo sguardo poteva far paura quanto un ladro alla finestra in una notte senza luna, ipnotizzare quanto quello di un cobra, risultare erotico quanto due amanti nel pieno della passione o, come in quel momento, poteva brillare di divertimento. Una volta Holly si era chiesta se notasse le occhiate della gente, o se ci fosse così abituato da non prestarvi più attenzione.
Indossava dei pantaloni mimetici e una maglietta marrone chiaro, che evidenziava i muscoli delle braccia e del petto. Al polso aveva un orologio con bracciale nero che aveva più quadranti della navetta Apollo.
Holly aveva di fronte un guerriero. Un SEAL della Marina degli Stati Uniti.
Chance Masters era tornato.
«Chance» sussurrò. Tese la mano verso di lui. Aveva bisogno di toccarlo, di provare che fosse davvero lì. Lui le prese la mano nella propria e se la piazzò sul petto, tenendola ferma. Sotto il cotone della maglietta, Holly poteva sentire il battito forte e costante del cuore.
Le lacrime le pizzicarono gli occhi e sbatté in fretta le palpebre per cercare di trattenerle, mentre freneticamente tentava di riacquistare il controllo delle proprie emozioni. Chance era stato il suo migliore amico, la sua prima cotta e il suo primo dolore quando se n'era andato per arruolarsi. Tutta la comunità aveva sentito la sua assenza. Alcuni, perlopiù le donne, erano rimaste rattristate dal vuoto lasciato da quella partenza, mentre altri, soprattutto padri e mariti, avevano tirato un sospiro di sollievo. Comunque fosse, in un modo o nell'altro tutti ne avevano avvertito gli effetti, in un raggio di tre contee. Il fratello una volta le aveva detto che avrebbe voluto avere un centesimo per ogni donna che Chance aveva rifiutato.
Si fiondò tra le sue braccia, stringendolo tra le proprie mentre lui la teneva vicino per confortarla. Era avvolta da una vitalità bollente, che le aveva fatto avvampare i sensi in un incendio devastante. Dopo qualche istante, si fece indietro e si asciugò le lacrime dalle guance. Tirò su col naso e con un rapido movimento si scostò dal viso le ciocche di capelli che si erano liberati dalla treccia, decisa a riprendere un minimo di controllo. Inspirò a fondo, si piazzò le mani sui fianchi e sporse il mento in avanti.
«Capitano? Era ora che tornassi a casa.»
Questo le guadagnò un sorriso. Chance abbassò la testa, scuotendola.
«Stavo per dire che sei cambiata, Muppet, ma forse no» la prese in giro, la voce più profonda di quanto lei ricordasse. «Niente apparecchio. Niente codini. E sembri anche un po' più alta.»
«Ah davvero?» sorrise Holly.
Aveva da poco compiuto dodici anni quando Chance si era arruolato appena conseguito il diploma, perciò sì, in dodici anni c'erano stati dei cambiamenti. Non solo per lei. Era pienamente consapevole del puro magnetismo animale che trasudava da ogni poro di quell'uomo; un maschio alfa nel vero senso della parola. Un fuoco le infiammò le vene, raccogliendosi alla base dello stomaco, facendo salire la temperatura della stanza di dieci gradi almeno.
Il ragazzino con il sorriso disinvolto e la reputazione da combinaguai era sparito, così come l'adolescente spavaldo. Era stato sostituito da un uomo che aveva visto il mondo con occhi diversi, aveva usato la propria intelligenza sopra la media per cose importanti e si era addestrato per tenere le proprie emozioni sotto controllo. Era tutto lì, sul suo volto.
Almeno uno e ottantacinque di muscoli sodi, era più pericoloso di quanto fosse mai stato dodici anni prima. Holly riusciva a scorgere degli accenni del vecchio Chance sotto quella dura scorza; era, però, come se fosse sbiadito, lasciando solo minime tracce della propria esistenza. Finalmente aveva fatto pace con i demoni che l'avevano perseguitato tanti anni prima, chiunque essi fossero. L'impazienza e l'energia irrequieta erano sparite, tenute rigidamente al guinzaglio dall'uomo che era diventato.
«Mi dispiace molto per tuo padre.» Lasciò scivolare lo sguardo su Cole, per includerlo nel commento.
«Grazie» replicò lui.
«Era molto fiero di te» riprese Holly riportando l'attenzione su Chance. «Tutti noi lo siamo.»
Chance annuì, lasciando scivolare il commento. Erano girate voci di un rapporto difficile tra Chance e il padre. Holly non l'aveva conosciuto molto bene, raramente si faceva vedere al ranch. Ricordava che, a sentire Chance, non fosse orgoglioso di niente che non si potesse acquistare con il denaro, fatta eccezione per altro denaro, aggiungendo che sperava che quando il vecchio fosse morto avrebbe potuto portare con sé i soldi perché non gli era mai importato d'altro.
Holly rimase accanto a Cole mentre Chance si guardava intorno sbirciando nell'ambulatorio e nella sala operatoria.
«È molto bella, Holly» si complimentò alla fine. «Era da tempo che Calico Springs aveva bisogno di una clinica veterinaria. Hai sempre detto che ci avresti pensato tu, e l'hai fatto. Dovresti essere orgogliosa di te stessa.»
«Ho avuto molto aiuto. Kevin Grady è co-proprietario. Non ci