Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Gallagher Justice Saga (eLit): La piccola testimone | Sotto stretto controllo | L'ultima sfida | Il profumo del diavolo
Gallagher Justice Saga (eLit): La piccola testimone | Sotto stretto controllo | L'ultima sfida | Il profumo del diavolo
Gallagher Justice Saga (eLit): La piccola testimone | Sotto stretto controllo | L'ultima sfida | Il profumo del diavolo
Ebook833 pages11 hours

Gallagher Justice Saga (eLit): La piccola testimone | Sotto stretto controllo | L'ultima sfida | Il profumo del diavolo

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

LA PICCOLA TESTIMONE

Il detective John Gallangher deve risolvere un caso difficile, l'omicidio di una giornalista. Unica testimone, una bambina. Ma quali terribili cose hanno visto i suoi occhi innocenti? E per quale motivo la bimba non parla più? Gallangher vuole assolutamente arrivare alla verità , ma Thea Lockhart, la madre della piccola Nikki, ha paura e non vuole collaborare con la polizia. Perché? Che cosa nasconde?



SOTTO STRETTO CONTROLLO

L'ispettore Tony Gallangher non rischia solamente di essere radiato dal corpo della polizia, ma anche di passare il resto della sua vita in prigione. Non ha commesso quegli omicidi, anche se tutte le prove sono contro di lui. Lo può testimoniare Eve Barrett che, da tempo, ha l'incarico di sorvegliare segretamente il comportamento del suo collega. Ma allora qualcuno lo vuole incastrare. Chi può odiarlo a tal punto?



L'ULTIMA SFIDA

Agghiaccianti avvenimenti riportano a galla un passato ancora avvolto nel mistero. Nella mente di Nick Gallengher si aggiungono ora nuovi interrogativi: a chi appartengono i resti del cadavere rinvenuti vicino al cottage di famiglia? Esiste una relazione tra quel corpo e la scomparsa di suo padre? E perché la dottoressa Erin Casey, che lo aiuta nelle indagini, nasconde la sua reale identità? La verità è tanto vicina quanto incredibile.



IL PROFUMO DEL DIAVOLO

Fiona Gallagher è un ottimo avvocato, forte e deciso, però la sua apparente freddezza nasconde una natura appassionata e una grande paura di abbandonarsi alle emozioni. I demoni interiori che la perseguitano sono nati dopo una relazione disastrosa. David Mackenzie non era solo l'uomo sbagliato, era anche un maniaco assassino, colpevole della morte di tre donne. E sei anni prima è stata proprio Fiona a ucciderlo! Ora il passato sembra riemergere dalle profondità della sua anima, uno strano profumo suadente sembra avvolgerla, e il caso che sta seguendo non l'aiuta a rilassarsi. Purtroppo questo è solo l'inizio di un terribile incubo...
LanguageItaliano
Release dateAug 31, 2017
ISBN9788858973967
Gallagher Justice Saga (eLit): La piccola testimone | Sotto stretto controllo | L'ultima sfida | Il profumo del diavolo
Author

Amanda Stevens

Amanda Stevens is an award-winning author of over fifty novels. Born and raised in the rural south, she now resides in Houston, Texas.

Related to Gallagher Justice Saga (eLit)

Related ebooks

Thrillers For You

View More

Related articles

Related categories

Reviews for Gallagher Justice Saga (eLit)

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Gallagher Justice Saga (eLit) - Amanda Stevens

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Littlest Witness

    Harlequin Intrigue

    © 2000 Marilyn Medlock Amann

    Traduzione di Maria Latorre

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    © 2001 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5892-776-2

    1

    A Thea Lockhart non piaceva stare fuori fino a tardi. Tutte le grandi città nascondevano mille insidie, e Chicago le sembrava particolarmente rischiosa, forse perché non vi si sentiva ancora a casa, oppure perché il freddo intenso era eccessivo anche nel mese di novembre.

    Thea rabbrividì. Si domandava se sarebbe mai riuscita a riscaldarsi, ma quel gelo non dipendeva dalla temperatura. Anche ai tropici non si sarebbe liberata dai demoni che la facevano rabbrividire.

    Il suo destino, come quello della figlia, era stato segnato la notte di quattro mesi prima, quando era fuggita da Baltimora lasciandosi tutto dietro alle spalle: identità, amici, famiglia, e l’ex marito morto sul pavimento della sua stanza da letto.

    Per via di quello che aveva fatto, lei e Nikki sarebbero fuggite per il resto dei loro giorni. Né la famiglia Mancuso né la polizia di Baltimora avrebbero mai smesso di cercarle. Thea aveva violato le regole della confraternita e l’avrebbe pagata cara, se solo l’avessero presa.

    Rabbrividendo, si strinse nel cappotto di lana e si allontanò in fretta dall’università. Aveva la strana sensazione che qualcuno la stesse seguendo per le strade ormai deserte, ma quando si voltò non vide nessuno.

    Era mezzanotte passata e a quell’ora, in genere, lei era già a casa da un pezzo, ma quella sera si erano ammalate tre delle cinque cameriere del ristorante in cui lavorava, e così la proprietaria le aveva chiesto di fare lo straordinario.

    In circostanze diverse Thea avrebbe rifiutato. Le piaceva tornare a casa in tempo per fare il bagno alla figlioletta e poi accompagnarla a letto, ma Zelda Vanripper, la padrona del ristorante, era sempre stata molto buona con lei, e non voleva deluderla.

    Adesso, però, era sfinita e non vedeva l’ora di rincasare. Quando fu a un isolato da casa, emise un sospiro di sollievo pensando al bagno caldo che l’attendeva, sensazione che svanì nell’attimo stesso in cui vide le auto della polizia parcheggiate per strada.

    Oh, Dio! L’avevano trovata!

    Il suo primo istinto fu quello di voltare le spalle e scappare, ma qualcosa glielo impedì: il pensiero di Nikki, sua figlia, che era ancora in casa. Per niente al mondo l’avrebbe lasciata sola, nemmeno a costo della libertà. Non avrebbe permesso che la riportassero a Baltimora, dove i Mancuso l’avrebbero allevata nello stesso spirito di corruzione in cui avevano allevato il figlio.

    Non pensarci, adesso, si rimproverò. Non pensare a Rick, agli spari, a tutto quel sangue.

    Non era il momento di farsi prendere dal panico.

    Stretta nelle spalle, continuò a camminare a testa bassa verso casa. Era vicina al portone quando si accorse che la polizia aveva delimitato una parte della strada con del nastro giallo e che un gruppo di poliziotti si stringeva accanto a qualcosa.

    Thea ebbe un tuffo al cuore mentre il terrore la soffocava. E se fosse successo qualcosa a Nikki? Se i familiari di Rick fossero riusciti a trovarla, e Nikki avesse tentato di fuggire...?

    Thea non avrebbe retto a quel dolore. La figlioletta era tutto per lei, e avrebbe dato la sua vita pur di proteggerla. E se fosse stato già troppo tardi?

    Correndo disperata, si avvicinò al cordone di polizia e cercò di sbirciare tra la schiera di agenti. Finalmente uno di loro si mosse, lasciando libera la visuale.

    Thea emise un sospiro di sollievo. Non era il corpo di una bambina, quello che stava riverso per strada, ma di una giovane donna. Voltando le spalle a quella scena terribile, cercò di allontanarsi per correre a casa, ma proprio mentre era vicina al portone, la voce di uno dei poliziotti risuonò alle sue spalle.

    «Ehi, lei!»

    Thea esitò un istante e si girò a guardarlo con fare interrogativo.

    «Sì, proprio lei, venga qui.»

    Con il cuore in gola per l’emozione, Thea gli si avvicinò lentamente. L’agente le puntò la torcia elettrica in viso, facendole distogliere lo sguardo.

    In quello stesso momento un altro poliziotto gridò: «È arrivato Gallagher».

    «Era ora» borbottò l’agente accanto a lei, poi tornò a rivolgerle la parola. «Abita in questo palazzo?»

    Thea esitò, fece un cenno di assenso con la testa.

    «Rincasa tardi.»

    «Torno adesso dal lavoro. Ma cosa... cosa è successo?»

    «Qualcuno ha fatto un salto giù dal tetto. Lei come si chiama?»

    «Thea Lockhart.»

    L’agente prese nota della risposta su un taccuino. «Dove lavora?»

    «Zelda’s Eatery» rispose lei. «È sulla Cinquantasettesima, vicino all’università.»

    Si aspettava altre domande, ma l’agente perse l’interesse per lei non appena vide scendere un uomo dall’ultima macchina sopraggiunta sulla scena. Doveva essere quello che gli altri avevano chiamato Gallagher.

    Era un uomo alto, dall’aria decisa. Aveva spalle larghe e, nonostante il freddo, non indossava né guanti né cappotto. Osservò la scena con determinazione, si soffermò un istante su Thea, poi si avviò verso il cadavere. Al suo arrivo, tutti i presenti si spostarono per lasciarlo passare.

    E fu in quel momento che Thea vide il sangue sull’asfalto.

    Non pensava che ce ne fosse tanto. Per un momento tutto quel sangue la fece ripensare a quella notte terribile in cui...

    Il poliziotto accanto a lei la afferrò per un braccio. «Ehi, si sente bene?» le chiese vedendola vacillare.

    «Sì, sto bene» rispose lei, ma mentiva.

    Gallagher, intanto, si era inginocchiato accanto al cadavere per esaminarlo. Non lo sfiorò nemmeno con un dito, non toccò niente. Alla fine si alzò e riprese a guardarsi intorno.

    «Chi è stato il primo ad arrivare?» domandò.

    «McGowan» gli dissero.

    «Sono qui» gridò l’uomo accanto a Thea.

    Gallagher andò velocemente verso di loro e finalmente Thea ebbe modo di osservarlo con più attenzione. Aveva i lineamenti marcati, le labbra carnose e molto sensuali. I suoi occhi azzurri la lasciarono sorpresa: era convinta che fossero neri, come i capelli.

    «Cos’è successo?» domandò a McGowan.

    Prima di rispondere, l’agente si rivolse a Thea. «Aspetti qui.» Quindi si allontanò di pochi passi insieme a Gallagher. «A quanto pare è stato un salto volontario» gli disse. «Il detective Cox le ha trovato un messaggio di addio in tasca.»

    «Sappiamo chi è?»

    «Non ancora. Non aveva documenti, ma Cox è salito sul tetto alla ricerca di qualche indizio. Magari una borsetta, un portamonete.»

    «Chi ha trovato il corpo?» domandò ancora Gallagher.

    «L’amministratore del condominio. Dice di essere uscito prima di mezzanotte per portare a spasso il cane e di averla vista per terra. Le si è avvicinato, ha controllato il polso, e gli è parso che fosse già morta. A quel punto è tornato dentro a chiedere aiuto.»

    «Splendido!» si lagnò Gallagher. «Scommetto che ha manomesso tutti gli indizi. Poco prima di mezzanotte, hai detto?»

    «Già.»

    «Gli si può dare credito?»

    «Penso di sì. Dice che aveva appena finito di guardare una trasmissione che va in onda alle undici, e poi vive con la madre, che può confermare la sua versione dei fatti.»

    «Conosceva la vittima?»

    «No. Dice che non l’aveva mai vista prima d’ora. Non sa nemmeno come abbia fatto a entrare nell’edificio, dal momento che il portone è sempre chiuso.»

    Thea rabbrividì. Possibile che quel poliziotto non sapesse quanto fosse facile superare un portone chiuso a chiave?

    «Ci sono testimoni oculari?» domandò ancora Gallagher.

    McGowan scosse il capo. «Finora nessuno. E nemmeno ferite precedenti alla caduta che possano far presumere una colluttazione. Le abbiamo avvolto le mani con buste di plastica per via della pioggia.»

    Thea rabbrividì. Sapeva che in genere la polizia preferiva adoperare buste di carta, poiché la mancanza d’aria dovuta alla plastica poteva alterare le prove, ma non voleva dimostrare di conoscere quel dettaglio. Non voleva farlo sapere soprattutto a Gallagher.

    Quell’uomo le procurava sensazioni spiacevoli. Molto spiacevoli.

    In quel momento Gallagher la guardò, poi si rivolse a McGowan. «Chi è la donna?»

    «Abita in questo edificio. Dice di essere di ritorno dal lavoro.»

    Gallagher assentì. «Io vado sul tetto. Avvertitemi, quando arriverà il medico legale. Temo che con questo tempaccio sarà difficile stabilire l’ora del decesso.»

    McGowan annuì e si allontanò. Thea, intanto, entrò nel portone augurandosi che Gallagher si dimenticasse di lei, ma non ebbe fortuna.

    «Io sono il detective Gallagher» si presentò lui guardandola dritto negli occhi. «Lei?»

    «Thea Lockhart.»

    «L’agente McGowan mi ha detto che vive qui, se non mi sbaglio.»

    «Esatto. Stavo tornando a casa dal lavoro, quando mi ha fermata.»

    «Lavora da queste parti, signorina Lockhart?»

    «Signora» corresse lei. «Faccio la cameriera in un ristorante nei pressi dell’università, ma ho già fornito tutte queste informazioni all’agente McGowan.»

    Lo sguardo penetrante di Gallagher la inchiodò per un attimo. «Non era in casa, stasera?»

    «No. Sono fuori da questa mattina alle sette.»

    «E non ha visto niente di strano, negli ultimi giorni? Tipi sospetti, gente che litigava?»

    «No, niente di insolito.»

    «Le dispiacerebbe dare un’occhiata al cadavere? Può darsi che possa aiutarci a identificare la vittima.»

    Thea avrebbe potuto rifiutare, ma non voleva suscitare i sospetti del detective Gallagher, così accettò e lo seguì fino alla strada.

    La donna riversa sull’asfalto era giovane, e sorprendentemente il suo viso non era stato sfigurato dalla caduta. Braccia e gambe, però, giacevano in una strana angolazione. L’impatto doveva averle fratturato tutte le ossa.

    «No, non l’ho mai vista» mormorò scuotendo la testa, ma al tempo stesso provò un attimo di esitazione. C’era qualcosa di vagamente familiare, nel viso della giovane, anche se non riusciva a capire esattamente di cosa si trattasse.

    «Ne è sicura?» indagò Gallagher, quasi come se avesse intuito la sua esitazione.

    «Non ricordo di averla mai vista nei paraggi» replicò lei, poi non seppe fare a meno di chiedere: «Pensa davvero che si sia suicidata?».

    Saltare giù da un palazzo doveva essere un modo tremendo per morire. Ma del resto lo era anche una pallottola al cuore. Un’ondata di nausea minacciò di travolgerla, e dovette fare uno sforzo erculeo per reprimerla.

    «Il suicidio è solo una delle possibilità» le rispose Gallagher. «Ne sapremo di più dopo che avremo rastrellato tutta la zona. Adesso, però, con questa pioggia farebbe bene a rincasare. La contatteremo noi, se dovessimo avere ancora bisogno di lei.»

    Allarmata, Thea pensò di chiedergli che motivo avrebbero potuto avere per contattarla, ma subito ripensò a quello che le aveva sempre detto Rick. Gli sbirri bussavano a tutte le porte alla ricerca di testimoni. Lui stesso sarebbe potuto essere un ottimo poliziotto, se non fosse stato tanto corrotto.

    In quel momento, però, Thea non voleva pensare a lui. In quel momento voleva soltanto allontanarsi dal detective Gallagher senza sollevare sospetti e correre a controllare la sua piccola Nikki.

    Per questo decise di accettare il biglietto da visita che lui le aveva offerto, sgomenta del fatto che potesse accorgersi del tremito che le scuoteva le mani.

    Se ne accorse. «La capisco, sa? È tremendo, quando non ci si è abituati.»

    Lei annuì. Se solo sapesse!, pensò tristemente.

    «Mi chiami a questo numero, se dovesse tornarle in mente qualcosa.»

    Thea assentì di nuovo, pur sapendo che Gallagher non avrebbe mai ricevuto una sua telefonata. Era un poliziotto, e questo faceva di lui un nemico.

    John la seguì con lo sguardo mentre entrava nel portone. Le caddero le chiavi, si chinò a raccoglierle con mani tremanti, poi si accorse che il portone era già aperto e sparì all’interno.

    Era piccolina, con la pelle quasi diafana. I tratti del suo volto, gli occhi scuri, il naso sottile e le labbra piene, le conferivano un aspetto fragile.

    Eppure c’era in lei qualcosa che lo attraeva al di là del suo aspetto. Si comportava come una donna spaventata che faceva del suo meglio per non darlo a vedere. Ma perché era spaventata, se non conosceva la vittima?

    I sospetti di John aumentarono, ma li giustificò con il fatto che Thea Lockhart gli ricordava molto la sua ex moglie. Meredith non sopportava i poliziotti, o almeno questo era quanto gli aveva detto la sera in cui lo aveva lasciato. Strano che due mesi più tardi ne avesse sposato un altro. John era arrivato alla conclusione che fosse uno soltanto, il poliziotto che non sopportava. Erano passati due anni, dal divorzio, eppure il tradimento di Meredith gli bruciava ancora.

    Quella sera, comunque, non aveva voglia di preoccuparsi della sua ex moglie. E neppure di Thea Lockhart. Quella sera il suo interesse doveva essere rivolto esclusivamente alla povera donna che giaceva sull’asfalto bagnato.

    John non credeva che si fosse ammazzata. Era più propenso a credere che qualcuno l’avesse fatta fuori, e adesso doveva scoprire il perché.

    Senza perdere altro tempo, entrò nel portone e raggiunse l’amministratore del condominio e il detective Cox sul tetto.

    2

    La pioggia sferzava il viso di John mentre, senza essere visto, seguiva i movimenti di Cox, il suo collega che in quel momento stava setacciando il tetto alla ricerca di prove.

    Con i suoi quindici anni di servizio nella sezione investigativa, Roy Cox era pratico del mestiere. John lavorava con lui da più di quattro anni, e anche se erano diversissimi sia nel carattere che nelle tecniche investigative, la collaborazione tra loro era sempre stata fruttuosa.

    Un altro uomo, che John stimò essere l’amministratore del condominio, seguiva come un’ombra i movimenti di Cox. Fu verso di lui che John diresse il fascio di luce della sua torcia elettrica, facendolo sobbalzare di paura.

    Cox, dal canto suo, restò immobile. «Sei tu, Johnny? Ce l’hai fatta, finalmente. Con un tempaccio come questo, dev’essere dura anche per te lasciare una bella donna a letto nel cuore della notte.»

    John si astenne dal dirgli che l’unico esemplare femminile che negli ultimi tempi aveva condiviso il letto con lui era Cassandra, la gatta persiana che Meredith gli aveva lasciato in eredità dopo averlo mollato. Ma Cox era un suo collega, una persona piuttosto impicciona, e forse lo sapeva già. «McGowan mi ha detto che avete trovato un biglietto addosso alla vittima.»

    «Proprio così» replicò Cox andandogli incontro con un foglio in mano.

    Era un foglio di comune carta bianca, dattiloscritto. John lo lesse in fretta. «Estremamente conciso» commentò.

    «Si direbbe la nostra serata fortunata» replicò il collega.

    «Cosa vuoi dire?»

    Cox gli tese un altro oggetto, una elegantissima borsetta beige avvolta in un sacchetto di plastica. «L’ho trovata laggiù, sul parapetto. La donna l’avrà lasciata poco prima di lanciarsi di sotto. Dentro c’era la carta di identità, così ci è stato possibile identificarla.»

    «Come si chiamava?»

    «Gail Waters. Aveva un tesserino stampa.»

    Per John, sentire quel nome fu come ricevere un pugno allo stomaco. «Cos’hai detto?»

    Cox lo guardò interdetto. «Gail Waters. Non dirmi che la conoscevi!»

    «No, non l’ho mai vista in vita mia.» Però conosceva la sua voce. Le aveva parlato per telefono poco più di quarantott’ore prima, quando Gail gli aveva telefonato al lavoro per fissare un appuntamento. Voleva parlargli di suo padre, Sean Gallagher, scomparso sette anni prima. Fino a quel giorno John aveva rinunciato alla speranza di risolvere quel caso.

    Gail Waters era redattore capo e reporter di un piccolo quotidiano cittadino, e il suo forte erano proprio le storie di persone scomparse. Aveva perfino partecipato a una trasmissione televisiva intitolata Scomparsi!, che esplorava i casi misteriosi che la polizia non era stata in grado di risolvere.

    John non sapeva per quale motivo avesse improvvisamente deciso di indagare sulla scomparsa di suo padre, ma la sua morte doveva essere una coincidenza. Era impossibile che fosse in qualche modo collegata a Sean Gallagher.

    Ciononostante, John non poté fare a meno di ripensare a nomi del passato legati in qualche modo a quello di suo padre. Ashley Dallas, la donna sul cui omicidio Sean stava indagando prima di scomparire; Daniel O’Roarke, l’uomo accusato dell’omicidio di Ashley; e il fratello di John, Tony, che era pazzamente innamorato di Ashley all’epoca dell’omicidio.

    Gail Waters doveva sicuramente avere delle buone ragioni per riportare a galla segreti sepolti ormai da sette anni. E adesso era morta.

    Una coincidenza, si ripeté John, ma un brivido freddo gli percorse la schiena.

    «Vuoi dirlo tu al vecchio, o preferisci che lo faccia io?» gli domandò Cox.

    Il vecchio in questione era Liam Gallagher, lo zio di John, nonché capo di entrambi. Voleva essere tenuto al corrente di tutte le indagini condotte dalla sua squadra, e la sua competenza in materia aveva dell’incredibile. John aveva sempre nutrito la più grande stima per lui, ma adesso incominciava a essere roso dal dubbio.

    Liam aveva lavorato anche al caso di Ashley Dallas. Che Gail Waters avesse parlato anche con lui della misteriosa scomparsa di Sean?

    «Aspettiamo ancora» rispose dunque. «I biglietti suicidi scritti a macchina non mi hanno mai convinto. Vorrei proseguire le ricerche, prima di fare rapporto.»

    Cox gemette. «Non mi piace. Non mi piace affatto. Conosco quell’espressione. Hai deciso di buttartici dentro a capofitto, vero?»

    «Ho solo deciso di fare il mio lavoro coscienziosamente» replicò John truce in volto. «E tu farai lo stesso. Almeno fino al rapporto del medico legale, tratteremo il caso come un omicidio.»

    Cox represse un’imprecazione mentre qualcuno lo chiamava per radio.

    Quando il collega si allontanò di pochi passi per rispondere, John ne approfittò per esaminare la zona del tetto dalla quale si riteneva che si fosse gettata la vittima.

    «Io scendo» lo chiamò dopo pochi istanti Cox dalla porta delle scale. «Vieni anche tu?»

    «Ti raggiungerò tra poco» rispose lui, quindi riprese a esaminare il tetto. In basso, per strada, un gruppetto di curiosi si era formato a osservare la scena.

    Ce n’era uno, tra loro, un uomo che indossava un parka nero con il cappuccio, che sollevò la testa verso di lui, quasi come se avesse avvertito il suo sguardo. E anche a cinque piani di distanza, a John parve di riconoscerlo.

    Era Fischer, un informatore di cui si era servito con buon esito in passato. John non conosceva la sua vera identità: sapeva soltanto che aveva la straordinaria capacità di presentarsi sempre sulla scena del delitto, soprattutto quando le indagini erano assegnate a lui. John aveva sempre sospettato che all’interno del dipartimento di polizia Fischer avesse qualche spia, e ciononostante in passato le informazioni che aveva ottenuto da lui si erano sempre rivelate inestimabili.

    Mentre John lo stava guardando, Fischer si strinse nel parka, volse le spalle e si allontanò sotto la pioggia. Lui si strofinò il collo con una mano. Si sentì di colpo rizzare i capelli sulla nuca, come se la vista di Fischer gli avesse procurato qualche oscura premonizione.

    Il rumore della porta delle scale che sbatteva, annunciando la partenza di Cox, lo fece voltare di colpo. L’amministratore del condominio era rimasto sul tetto e si dirigeva verso di lui.

    Un piccoletto sulla quarantina, che respirava come se avesse perennemente il fiatone, sembrava atterrito ed eccitato al tempo stesso per quanto stava accadendo intorno a lui.

    «Detective, non so se posso permettermi» azzardò.

    «Di che si tratta?» domandò John, irritato per l’interruzione.

    «È qualcosa di cui ho già parlato con il detective Cox, anche se lui mi sembra che non ci abbia fatto troppo caso.» L’ometto indicò in direzione di un mucchio di materiale da costruzione che era stato accatastato in un angolo del tetto. «Sono laggiù.»

    «Cosa?»

    «Non ne sono sicuro. Delle prove, forse.»

    «Si può sapere di cosa sta parlando, signor...»

    «Dalrimple. Morris Dalrimple. Gli amici mi chiamano Dal.»

    «Che ne direbbe di mostrarmi ciò di cui mi sta parlando, signor Dalrimple?»

    L’altro fu ben felice di obbedire. «Ecco, se punta la torcia in quella direzione, sì, da quella parte, e se poi magari si china a guardare là sotto...»

    John lo accontentò, anche se in quell’uomo c’era qualcosa che gli dava i brividi. Indirizzò il fascio di luce tra i bidoni allineati in quell’angolo, si accovacciò per guardare meglio e scorse un riflesso.

    «Eccolo! È là, l’ho visto! C’è qualcosa» gridò Dalrimple tutto eccitato. «Lo sapevo, ne ero sicuro.»

    John non proferì parola. Tese un braccio tra i bidoni e alla fine riuscì ad afferrare un lembo di stoffa. «Mam-ma» intonò la voce metallica della bambola mentre la stava estraendo dal nascondiglio.

    «Che io sia dannato!» esclamò a quella vista Dalrimple. «E com’è arrivata una bambola fin qui?» Nel dire questo, tese le mani verso la bambola, ma John glielo impedì. L’uomo ne fu sorpreso.

    «Potrebbero esserci delle impronte» gli spiegò, «e io ho i guanti in lattice, mentre lei ha le mani nude. Cerchi di capire.»

    «Ma certo, non si preoccupi» replicò Dalrimple, immediatamente risollevato. «Che ne dice, detective? Abbiamo trovato un indizio?»

    «Può darsi.» John ritornò verso il parapetto da cui si era gettata Gail Waters, per guardare da lontano il punto dove aveva trovato la bambola. Non ne era certo, ma tra quei bidoni metallici c’era lo spazio sufficiente affinché un bambino ci si potesse nascondere. E se le cose fossero andate davvero così, allora c’era la seria possibilità che un testimone avesse assistito alla caduta di Gail Waters. John doveva trovarlo.

    «Ho bisogno del suo aiuto... Dal. È importante.»

    L’ometto era raggiante. «Ma si capisce. Farò il possibile.»

    «Mi serve un elenco degli inquilini del palazzo, e vorrei che mi indicasse anche quelli che hanno dei figli. Direi di incominciare con le famiglie con figlie femmine al di sotto dei dieci anni.»

    Dalrimple aggrottò la fronte. «Temo di non poterglielo dare subito, credo che mi ci vorrà del tempo» obiettò. «Non ci so fare molto con il computer, e mia madre detesta essere disturbata, quando dorme.»

    John lo afferrò per un braccio. «Io non posso aspettare, Dal. Quell’elenco mi serve immediatamente. È in grado di aiutarmi?»

    Mille emozioni contrastanti si avvicendarono in pochi secondi sul viso dell’uomo, che alla fine assentì. «Conti pure su di me, detective.»

    «Bene» replicò lui. «Citerò la sua disponibilità nel rapporto.»

    Dalrimple si sciolse in un brodo di giuggiole. «Oh, quanto ne sarà felice la mamma!»

    Il ristorante di Zelda rimaneva chiuso la domenica e Thea ne approfittava per dormire fino a tardi. Non le piaceva alzarsi con le galline, ma quel giorno alle sette era già sveglia e si aggirava per casa in punta di piedi per non svegliare Nikki.

    La sera prima, quando era tornata a casa, aveva trovato la signora Lewellyn addormentata sul divano. Era molto grata all’anziana signora per aver accettato di badare a Nikki in assenza della solita babysitter. Thea non aveva avuto il coraggio di svegliarla la sera prima, ma quella mattina aveva trovato il divano vuoto. Evidentemente la signora Lewellyn si era svegliata durante la notte ed era tornata a casa sua. Più tardi le avrebbe fatto una telefonata per ringraziarla della disponibilità.

    Thea, quando viveva a Baltimora, non aveva avuto mai problemi nella cura di Nikki. Se non poteva passare di persona a prendere la bambina all’asilo, ci pensava Mona, la sua matrigna, e se anche Mona aveva dei problemi, allora subentrava la migliore amica di Thea, Kate Romano.

    Chissà cosa pensavano di lei le due donne adesso, dal momento che era sparita senza neppure salutarle. Non avevano idea di dove fosse andata, di dove avesse portato Nikki, né conoscevano la vera storia della morte di Rick, anche se, sicuramente, nutrivano qualche sospetto. Entrambe, comunque, sapevano com’era stata la sua vita dopo il divorzio: le telefonate a mezzanotte, le minacce, gli appostamenti.

    Rick le aveva reso la vita impossibile, Mona e Kate avevano cercato di alleviare le sue sofferenze. Però erano anche loro esseri umani, ed era normale che ora si chiedessero se la morte di Rick era stata premeditata oppure se era stato solo un incidente. Quante volte, in fondo, le avevano sentito dire che desiderava la sua morte?

    Thea rabbrividì mentre accendeva la televisione per seguire il notiziario. Per fortuna la sera prima non aveva visto giornalisti, sul luogo del delitto, ma la cautela non era mai troppa. Non poteva rischiare di finire in televisione, perché i Mancuso avrebbero potuto vederla.

    Il giorno prima, aveva anche temuto che il detective Gallagher la potesse riconoscere: magari gli era capitato di vedere la sua foto segnaletica alla stazione di polizia, o su un giornale. Thea era certa che la notizia della morte di Rick e la scomparsa improvvisa della sua ex moglie avessero occupato la prima pagina di tutti i giornali.

    Quando si era rifugiata a Chicago, per giorni non aveva avuto il coraggio di uscire dall’albergo dove si era rinchiusa con Nikki. Una volta che le acque si erano calmate, aveva acquistato un quotidiano e con suo grande stupore non aveva trovato niente sull’omicidio di Rick né tantomeno sulla corruzione della polizia di cui lei era convinta.

    Nella sua mente, aveva già immaginato i titoli sui giornali. Ex moglie vendicativa uccide poliziotto pluridecorato, poi fugge con la figlioletta di quattro anni. In tutto lo Stato si scatena la caccia all’omicida.

    A volte Thea si stupiva di quanto fosse cambiata la sua vita. Laureata in economia, aveva incominciato subito a lavorare nella società di investigazioni private del padre, dove si era occupata essenzialmente di contabilità. Invece ora, faceva la cameriera in un ristorante di seconda categoria. Una volta era un membro rispettabile della Camera di Commercio, adesso era una criminale ricercata dalla polizia.

    Assorta nei suoi pensieri, sobbalzò spaventata quando sentì bussare alla porta. Chi mai poteva cercarla di domenica a quell’ora?

    Si tranquillizzò pensando che forse poteva essere la signora Lewellyn, si avviò verso la porta, ma il cuore le fece un balzo nel petto quando, dallo spioncino, riconobbe il detective Gallagher.

    Per un attimo fu investita dal panico e prese in considerazione l’idea di fuggire, ma il buonsenso prese subito il sopravvento. Gallagher era lì, sicuramente per ragioni di lavoro, e lei doveva cercare di convincerlo che non aveva niente a che fare con la morte di quella donna.

    In quel momento, però, mostrarono alla televisione proprio il ritratto di quella donna sorridente e lei ebbe subito la netta sensazione di avere in qualche modo, e da qualche parte, incrociato la strada della ragazza morta.

    Il secondo trillo del campanello la distolse da quelle riflessioni, spingendola ad aprire la porta.

    John Gallagher era ancora più alto di quanto ricordasse, imponente, elegante. Troppo elegante, per essere un poliziotto. I vestiti che indossava erano molto costosi e Thea, che sapeva bene quanto guadagnassero i poliziotti, si insospettì all’istante.

    «Buongiorno» la salutò lui in tono cordiale, ma non sorrise, e i suoi occhi azzurri rimasero impenetrabili. «Posso entrare?» le chiese ancora sbirciando all’interno dell’appartamento. «Vorrei farle un paio di domande.»

    Oh, Dio! Che genere di domande? «Ma io ho già risposto alle sue domande ieri sera. Non ho visto niente, non ero nemmeno a casa.»

    «Però sua figlia c’era, se non erro.»

    Quelle parole le affondarono nel cuore con la forza di mille coltelli. «Come ha fatto a...»

    «Posso entrare? Non ci metterò molto» la interruppe Gallagher, e senza attendere la sua risposta, entrò in casa e attese che lei chiudesse la porta. «L’ho interrotta mentre prendeva il caffè. Mi dispiace» aggiunse quindi. «C’è un buon odorino.»

    Thea sostenne con decisione il suo sguardo. Quella non era di certo una visita di cortesia, e se Gallagher si aspettava che lei gli offrisse un caffè, si sbagliava di grosso.

    «Come ha fatto a sapere che ho una bambina?» gli domandò di nuovo, questa volta decisa a ottenere una risposta. I Mancuso avevano conoscenze dappertutto, era probabile che avessero sguinzagliato qualcuno sulle sue tracce.

    «Ho avuto l’elenco di tutti gli inquilini dello stabile che hanno figli piccoli. Bambine, per la precisione.»

    Thea si mise subito in agitazione. «Per quale motivo?»

    Gallagher le indicò la televisione. «Avrà già sicuramente saputo che la donna che è morta qui ieri si chiamava Gail Waters, e che faceva la giornalista per il quotidiano Press

    «Una giornalista?» E cosa ci faceva una giornalista nel palazzo? Chi voleva incontrare? Aveva forse scoperto qualcosa sul conto suo e di Nikki?

    «Press è solo una testata locale, ma qualche volta Gail Waters ha preso parte ad alcune trasmissioni televisive.»

    Che fosse quello il motivo per cui Thea era convinta di aver già incontrato quella donna? «Come le ho già detto, non ricordo di averla mai vista prima e non riesco a capire per quale motivo lei sia qui, detective Gallagher.»

    Lo sguardo indagatore e penetrante di lui le fece distogliere in fretta gli occhi. «Come potrà immaginare, ci sono ancora moltissimi dubbi irrisolti sulla morte della Waters.»

    «Non si è trattato di suicidio? L’agente con cui ho parlato ieri sera mi ha detto che sul cadavere era stata ritrovata una lettera.»

    «Il suicidio non è che una possibilità, ma non siamo ancora pronti a escludere del tutto l’ipotesi dell’omicidio.»

    «Omicidio?» Thea trasalì. «Vuole dire che crede che qualcuno l’abbia ammazzata? E chi?»

    Gallagher si strinse nelle spalle. «I giornalisti sono come i poliziotti. A volte alla gente non piace sentirsi fare certe domande.»

    Thea non rispose, ma non poté fare a meno di ripensare a tutte quelle persone che avevano dichiarato di desiderare la morte di suo marito. Eppure Rick non avrebbe mai sospettato che proprio lei fosse capace di ucciderlo. Una forte nausea le strinse lo stomaco. «Che si tratti di suicidio oppure di omicidio, non mi ha ancora detto qual è il legame con mia figlia.»

    «Ci arrivo subito» replicò Gallagher aprendo una busta marroncina che aveva portato con sé ed estraendone qualcosa. «La riconosce?»

    Thea quasi si sentì mancare nel vedere la bambola. Con i capelli ricci e le fossette sulle guance, quella bambola assomigliava straordinariamente a Nikki, ed era per questo che Thea gliel’aveva comprata, nonostante si trattasse di un lusso che a stento si potevano permettere. Nikki, che dopo la fuga da Baltimora era rimasta apatica a tutto, si era risvegliata dal suo torpore solo nel vedere quella bambola, Piper, e non se n’era più staccata dal momento in cui le era stata regalata dalla mamma.

    Ma allora come mai adesso la bambola si trovava in possesso del detective Gallagher? E cosa c’entrava con la morte di Gail Waters?

    Nonostante i dubbi laceranti che la scuotevano, Thea si rese conto di quanto fosse importante impedire al poliziotto di collegare la bambola a sua figlia. Assumendo un’aria vagamente irritata, dunque, gli rivolse uno sguardo inceneritore. «E lei mi sveglia a quest’ora del mattino per mostrarmi una bambola?» lo apostrofò.

    Lui restò imperturbabile. «La riconosce?»

    Thea si strinse nelle spalle. «Quella bambola potrebbe appartenere a una qualsiasi bambina che abita in questo palazzo. Non riesco a capire perché pensa che possa essere proprio di mia figlia.»

    Gallagher la fissò adirato. Non gli piaceva essere preso in giro. «Ho ritrovato questa bambola ieri sera sul tetto, subito dopo che una donna era morta buttandosi dal terrazzo. E adesso mi dica: appartiene a sua figlia, sì o no?»

    Ha detto proprio sul tetto? Oh, mio Dio!

    Ma che cosa poteva essere andata a fare Nikki sul tetto, proprio lei, che non usciva di casa senza il permesso della mamma e che aveva una paura sconsiderata del buio? Né poteva pensare che ce l’avesse condotta la signora Lewellyn, non avrebbe avuto alcun motivo di recarsi sul tetto.

    Ma allora come aveva fatto la bambola a finire lassù?

    «Mi sembra sorpresa, signora Lockhart. Per quale motivo, se la bambola non è di sua figlia?»

    Thea fece spallucce. «È una bambola piuttosto comune. Mia figlia ne ha una simile, ma ciò non significa che questa sia la sua, anche perché mia figlia non può assolutamente essere salita sul tetto. Ha solo quattro anni.»

    «Ma le scale arrivano fino al terrazzo» le fece notare Gallagher, «e anche una bambina di quattro anni è in grado di salire fino a lassù. Senza contare che lei è stata fuori per tutta la serata. Come può essere certa che sua figlia non sia salita sul tetto?»

    «Perché la babysitter non glielo avrebbe mai permesso» obiettò Thea, ma l’immagine della signora Lewellyn che russava tranquillamente sul divano le tornò alla mente, facendola rabbrividire. E se Nikki fosse uscita mentre la vecchia signora stava dormendo? No, Nikki era troppo obbediente per fare una cosa simile.

    Era più probabile che avesse perduto la bambola sul ballatoio e che qualcuno l’avesse trovata e l’avesse portata sul terrazzo. Già, quella era l’unica spiegazione possibile.

    «Temo di non poterla aiutare» insistette scuotendo la testa.

    Gallagher la fissò attentamente per qualche secondo, poi si strinse nelle spalle. «Chiedo scusa se le ho fatto perdere tempo» disse mentre si dirigeva verso la porta, ma proprio mentre Thea stava per fare un sospiro di sollievo, si girò di nuovo per affrontarla. «Forse dovremmo rivolgere la stessa domanda a sua figlia, tanto per sicurezza.»

    «Mia figlia sta ancora dormendo e non ho nessuna intenzione di svegliarla. Inoltre, non è stata molto bene, ultimamente.»

    «Capisco» mormorò lui nel rivolgerle un lungo sguardo impenetrabile. Sembrava volesse aggiungere qualcosa, ma un suono proveniente dal corridoio lo interruppe. E Thea capì, senza avere la necessità di girarsi, che Nikki si era svegliata e che li aveva raggiunti in salotto. Capì anche che le sarebbe bastato vedere la bambola per mettere fine a quella farsa, ma nel frattempo Piper era sparita dietro la schiena di Gallagher.

    «Tu devi essere Nikki» dichiarò il poliziotto nell’accovacciarsi di fronte alla bambina, che automaticamente si ritrasse dietro le gambe della madre. «Tua madre e io stavamo appunto parlando di te. Io sono il detective Gallagher.»

    La piccola guardò la madre con un’espressione terrorizzata, e toccò a Thea rassicurarla con una carezza. «Non preoccuparti, tesoro, il detective Gallagher non ti farà del male.» Detto questo, lanciò un’occhiata di avvertimento in direzione di Gallagher, e ottenne in cambio un sorriso devastante.

    «Perché non mi chiamate John? Tutti i miei amici mi chiamano John.»

    Nikki lo osservò silenziosa, come se volesse cercare di cogliere dei segnali di pericolo in quell’uomo. Lo stesso Rick le aveva insegnato fin troppo bene a riconoscerli.

    «Chissà che tu non possa aiutarmi, Nikki?» insistette John. «Ieri sera ho trovato una bella bambola, sul tetto. Adesso che ci penso, ti assomiglia molto. L’ho presa prima che la pioggia la rovinasse e adesso sto cercando di rintracciare la sua padroncina per potergliela restituire.» Nel dire questo, le mostrò la bambola e se la appoggiò sulle ginocchia.

    Emettendo un suono gutturale, la piccina corse ad afferrare la bambola e se la strinse al petto.

    «Cosa ci faceva la tua bambola sul tetto, Nikki?» le domandò ancora Gallagher. «Sei stata tu a lasciarla lassù?»

    Prossima alle lacrime, Nikki incominciò ad arretrare fino al muro, e quando non poté più andare oltre, scivolò sul pavimento e si raggomitolò in posizione protettiva intorno alla bambola.

    Scossa dalla reazione della figlia, Thea corse ad abbracciarla, poi lanciò uno sguardo di rimprovero a Gallagher. «Ma non vede che non può rispondere alle sue domande?» sibilò. «Perché non se ne va e non ci lascia in pace?»

    Lui si alzò lentamente. «Non sono venuto qui per spaventare sua figlia, ma questo è il mio lavoro. Sto conducendo delle indagini sulla morte di una donna, è mio dovere scoprire che cosa le è successo, e se sua figlia sa qualcosa...»

    «Mia figlia non sa niente, detective Gallagher. Non può esserle d’aiuto. Non so come abbia fatto la bambola a finire sul tetto, ma sono certa che Nikki non è salita lassù. Non poteva, non può aver visto assolutamente niente.»

    «Perché non lascia che sia lei a dirmelo?»

    Thea emise un lungo sospiro tremante. «Perché non può, detective. Non può dirle niente. Mia figlia non parla.» Prese la bambina e la portò via.

    Fermo davanti alla finestra del soggiorno, John aspettava che Thea uscisse dalla camera della figlioletta. Seppure a malincuore, lei lo aveva invitato a servirsi del caffè, cosa che John aveva fatto volentieri. E adesso, mentre lo sorseggiava lentamente, osservava la strada sotto di lui.

    Nel corso della notte, la pioggia si era trasformata in neve, e adesso un leggero strato bianco stava coprendo le macchie di sangue sull’asfalto.

    John aggrottò la fronte. Qualcosa gli diceva che la signora Lockhart e sua figlia sapevano molto di più di quanto gli avevano detto sulla morte di Gail Waters.

    La signora Lockhart. Guardandosi intorno, John non riuscì a scorgere nessuna traccia che potesse far pensare a una presenza maschile. Quaderni e matite erano accatastati sul tavolo, in un angolo della stanza erano state abbandonate delle scarpe da tennis di modello femminile, e anche nella cesta del bucato che si intravvedeva dietro le sedie non sembrava ci fossero indumenti maschili, ma solo tutine rosa e un reggiseno di pizzo bianco.

    Fu su quel reggiseno che per un attimo si fissò l’attenzione di John, mentre una sensazione familiare e indesiderata si impadroniva di lui. Meredith se n’era andata da tempo, e per quanto ormai John avesse accettato il fallimento del suo matrimonio, la vista di biancheria femminile gli ricordava l’intimità che aveva avuto un tempo, e che adesso gli mancava. Aveva la sensazione che nella sua vita ci fosse un vuoto incolmabile, una solitudine che non poteva accettare.

    In quel momento sollevò lo sguardo e si accorse che Thea Lockhart lo aveva raggiunto. Era arrossita, segno evidente che aveva individuato l’oggetto della sua curiosità, e ciononostante entrò in salotto a testa alta.

    Aveva pettinato alla meglio i suoi corti riccioli neri e aveva sostituito la vestaglia con un paio di jeans scoloriti e un maglione blu. Era magra come un grissino, ma un lampo particolare negli occhi neri le dava l’aspetto di una donna forte.

    «Come sta sua figlia?» le domandò John.

    «Gioca con la bambola, per il momento, ma credo che presto vorrà fare colazione.»

    Facile capire l’antifona. Non aveva a disposizione che pochi minuti. «Perché mi ha mentito a proposito della bambola, signora Lockhart?»

    «Non le ho affatto mentito» obiettò lei scrollando le spalle. «Non ero certa che appartenesse a Nikki, e non riesco ancora a immaginare come sia finita sul tetto.»

    «Dunque non crede che sia stata sua figlia a lasciarla lassù?»

    Thea aggrottò la fronte. «È naturale. Ha visto lei stesso quanto è timida, quanto è facilmente impressionabile. È impossibile che sia salita sul tetto da sola, e sono certa che la signora Lewellyn non si sarebbe mai azzardata a portarcela.»

    «Forse sarà meglio domandarlo alla signora Lewellyn.»

    «È ciò che conto di fare al più presto» sbottò Thea innervosita, poi si rasserenò immediatamente. «Mi stia a sentire, detective Gallagher» soggiunse. «Se anche mia figlia Nikki fosse salita sul tetto, cosa che io sono pronta a escludere, come pensa che potrebbe aiutarla? Non riesce a parlare, quindi non potrebbe dirle niente.»

    John posò la tazza ormai vuota e incrociò le braccia sul petto. «Ha questo problema dalla nascita?» chiese incuriosito.

    «No» replicò lei stando sulle difensive. «È così solo dalla morte del padre.»

    «Ah.» Una vedova. Questo spiegava molte cose: non solo la mancanza di oggetti maschili in casa, ma anche l’espressione diffidente e spaventata negli occhi di Thea Lockhart, e la difficoltà con cui sosteneva il suo sguardo. Doveva essersi accorta dell’attrazione tra loro, e forse viveva questo come una colpa. «Com’è morto suo marito?»

    «Un incidente. Un tragico incidente. Nikki non l’ha ancora superato e io... io preferisco non parlarne.»

    «Capisco, ma se c’è anche solo una remota possibilità che ieri sera Nikki sia salita sul tetto, signora Lockhart...»

    «Thea» lo interruppe lei. «Mi chiami Thea. E mi dia pure del tu.»

    «Thea. È un bel nome.»

    «Come quello di mia nonna» spiegò lei.

    «Anche tua nonna vive qui a Chicago?»

    Un sorriso le salì alle labbra. Conosceva bene quella tattica. «Mia nonna è morta da molti anni, detective.»

    «John» la corresse lui. «Mi ha voluto chiamare così mio padre, Sean.»

    «Sean è un nome irlandese. Allora sei irlandese anche tu?»

    «Già.»

    «Un poliziotto irlandese. Tipico.»

    «In questo caso, sarebbe più corretto dire che provengo da una famiglia molto tipica dell’Irlanda.»

    «Anche i tuoi parenti sono poliziotti?»

    «Proprio così.»

    «Immagino che allora vi proteggiate a vicenda, che vi occupiate l’uno dell’altro.»

    John rimase stupito per il tono severo con cui di colpo gli si era rivolta, come se avesse indossato una maschera per nascondere la sua vera identità. «Sì, di tanto in tanto capita» rispose mentre ripensava ai fratelli. In verità lui era l’ultima persona al mondo a cui Nick si sarebbe rivolto per chiedere aiuto, e in quanto a Tony... be’, lui era tutta un’altra storia.

    «Adesso devo proprio chiederti di andartene, detective. Non c’è nulla che mia figlia e io possiamo fare per te.»

    John si diede dell’idiota. Quella donna era in gamba. Prima lo aveva distratto per impedirgli di porle le domande che gli stavano a cuore, e ora gli voleva dare il benservito.

    «Ancora una cosa.»

    Thea si portò una mano alla gola e prese a giocherellare con la catenina d’oro che portava al collo. Suo malgrado, John abbassò lo sguardo sulla scollatura del suo maglione, se la figurò con indosso il reggiseno di pizzo bianco, e immaginò come sarebbe stato accarezzarle il seno.

    «So cosa stai pensando» mormorò Thea con voce roca.

    Ne dubito, avrebbe voluto rispondere lui, ma in fondo sospettava che Thea Lockhart gli avesse davvero letto nel pensiero. Che motivo avrebbe avuto, altrimenti, di arrossire in quel modo?

    «Stai pensando che se Nikki si trovava sul tetto quando è successo il fatto, sarebbe l’unico testimone oculare, e ciò ti consentirebbe di chiudere il caso. Ma le cose non sono andate così, detective. Mia figlia non era sul tetto.»

    «E se ti stessi sbagliando?» obiettò John. «Se Gail Waters non si fosse suicidata?»

    Quelle parole la fecero sussultare.

    «E se invece fosse stata ammazzata e tua figlia avesse visto tutto? Se fosse l’unica in grado di identificare l’assassino? Non hai pensato a questo, Thea?»

    3

    Dopo essere uscito da casa di Thea, John si diresse verso l’obitorio, preannunciando il suo arrivo con una telefonata.

    «Si può sapere cosa c’è di tanto urgente in questo caso da costringermi a effettuare un’autopsia di domenica?» gli domandò la dottoressa di turno, che per inciso era la sua ex moglie.

    John fece spallucce. «Immaginavo che non avessi niente di meglio da fare. Vince è fuori città, no?»

    Meredith gli scoccò un’occhiatina sospettosa. «E tu come fai a saperlo?»

    «L’ho sentito dire in giro» replicò lui, che per niente al mondo avrebbe ammesso di tenere d’occhio il nuovo marito di Meredith. Né le avrebbe confidato la probabile importanza del caso Waters. Meredith non si era dimostrata molto comprensiva sette anni prima, in occasione della scomparsa del padre. Aveva perfino insinuato che Sean fosse coinvolto in qualche losco affare per sottrarre il figlio più giovane, Tony, all’incriminazione per il brutale assassinio della sua fidanzata.

    John non aveva preso bene le insinuazioni di Meredith, anche se in tutta onestà doveva riconoscere che lui stesso aveva nutrito qualche dubbio sulla scomparsa del padre. Sean Gallagher non sarebbe stato il primo poliziotto che si era messo nei guai né il primo uomo che aveva abbandonato la famiglia. Il suo matrimonio con Maggie non era certo stato tutto rose e fiori, e con i problemi legati a Tony...

    John scosse la testa per liberarsi da quei brutti pensieri e studiò con attenzione la ex moglie. Gli doleva riconoscerlo, ma stava benone. «Come sta il bambino?» le domandò.

    Meredith scoppiò a ridere. «È un amore» rispose. «Piccolo, bellissimo, meraviglioso.» Per un attimo il suo sguardo incrociò quello di John, e un lampo di rimpianto le attraversò gli occhi. Poi, bruscamente, aggiunse: «Hai un aspetto terribile, John. Si può sapere cosa stai combinando? Ti sei trasferito anche a dormire in ufficio?».

    «Più o meno. Ho un sacco di casi a cui lavorare.»

    «E questo è uno dei tanti» commentò Meredith mentre si accingeva a iniziare il suo lavoro. «Niente di particolare che vorresti sapere?»

    «Il solito, direi. La vittima ha fatto un volo di cinque piani, quindi voglio sapere se ci sono contusioni cerebrali.» Già, perché le contusioni causate da un volo dal quinto piano erano diverse da quelle procurate da un colpo alla testa. E se Gail Waters era stata picchiata prima di finire sull’asfalto, l’autopsia lo avrebbe rivelato.

    «Mettiamoci al lavoro, allora» commentò Meredith per tutta risposta. «Ho un figlio da cui tornare, io, e un marito che mi ha promesso che sarà a casa per cena.»

    La frecciatina colpì il bersaglio in pieno. John ripensò immediatamente a tutte le volte che le aveva telefonato dicendole che non sarebbe tornato a casa per cena. Sulle prime si era scusato, ma nel corso degli anni aveva perso anche quell’abitudine.

    Non si sarebbe dovuto stupire, quindi, quando una sera Meredith gli aveva annunciato che intendeva lasciarlo, né quando gli aveva confessato di essere legata da due anni all’uomo che in seguito avrebbe sposato. Un uomo che un tempo era stato molto amico di John.

    «Perché dovresti sentirti tanto tradito?» gli aveva gridato lei quella notte. «Sono io quella che per anni ha dovuto sopportare la tua amante.»

    «Ma di cosa stai parlando? Io non ti ho mai tradita.»

    «Sto parlando del tuo dannato lavoro, ecco di cosa! Tu sei innanzitutto un poliziotto, John, e soltanto dopo ti ricordi di essere un uomo, ma non hai la più pallida idea di cosa significhi fare il marito. Non posso fare a meno di compatire la poveretta che un giorno si innamorerà di te.»

    «John?» La voce insistente di Meredith lo strappò a quelle reminiscenze, riportandolo di colpo al presente. «Sei pronto?»

    «Aspetto te» rispose lui. «Mettiamoci al lavoro. Come hai appena detto, hai un marito e un figlio da cui tornare.»

    «E tu?»

    «Io ho un caso da risolvere. È in questo che sono bravo, ricordi?»

    «Ricordo che eri bravo anche in qualche altra cosa» mormorò lei con voce addirittura tenera. «Peccato che non fosse abbastanza.»

    Dopo colazione, mentre Nikki era impegnata a disegnare, Thea andò a trovare la signora Lewellyn.

    «Thea, mia cara, non mi aspettavo di vederti tanto presto!» l’accolse con affabilità l’anziana signora. «Ieri sera sei rincasata piuttosto tardi, mi pare.»

    «Poco dopo mezzanotte» convenne lei. «E volevo ringraziarla di nuovo per avere accettato di badare a Nikki con così poco preavviso.»

    «È stato un piacere, mia cara. Sai che adoro Nikki. Badare a lei non è mai un problema per me. Ma adesso dov’è?»

    «A casa. Sta colorando. Devo tornare subito da lei, ma prima volevo parlarle un istante in privato, se non le spiace.»

    La donna sollevò un sopracciglio. «Di Nikki?»

    Thea annuì. «Devo rivolgerle una domanda, signora Lewellyn. Per caso ieri sera lei e Nikki siete uscite di casa?»

    «Ma no, cara! Perché me lo chiedi? Scommetto che hai sentito parlare della poverina che si è gettata dal tetto! È per questo che sei tanto turbata?»

    Thea rabbrividì. «E lei come lo ha saputo?»

    «Lo hanno detto stamattina al notiziario. E poi ho visto il signor Dalrimple in lavanderia. Pare che la polizia abbia chiesto il suo aiuto. Non immagini che gran daffare si sta dando!»

    Ah! Ecco allora chi aveva detto al detective Gallagher che lei aveva una bambina! Thea sapeva bene di non potersela prendere con Dalrimple per la situazione ingarbugliata in cui si trovava, ma in verità quel tipo non le aveva mai ispirato fiducia. La guardava sempre con troppa ammirazione, le parlava con eccessivo interesse e una volta, mentre lei stava tornando a casa insieme a Nikki, le era parso di vederlo uscire dal suo appartamento.

    Dalrimple le aveva assicurato di essersi soltanto fermato a bussare alla sua porta, ma quella scusa non l’aveva convinta.

    Rabbrividendo, si rivolse alla signora Lewellyn. «Ieri sera la polizia ha trovato la bambola di Nikki sul tetto.»

    «Sul tetto? E come diamine ci è finita?»

    «Non ne ho idea» replicò lei. «Per la verità ho pensato che foste uscite di casa, che Nikki avesse lasciato cadere la bambola sul pianerottolo e che poi qualcuno l’avesse trovata e l’avesse portata sul tetto.»

    La signora Lewellyn accolse l’idea scuotendo la testa. «Io, invece, credo di sapere come sono andate le cose. Scommetto che è stata quella ragazza a portare Nikki sul tetto.»

    «Chi, Bliss?»

    Un lampo di disapprovazione saettò negli occhi della vecchia signora. Non le era mai piaciuta Bliss, la babysitter di Nikki. A suo avviso era troppo frivola, poco affidabile, e per giunta frequentava cattive compagnie. Per Thea, invece, la ragazza rappresentava per Nikki un’amica impagabile.

    «Lei crede che sia stata Bliss a portare la bambola sul tetto?»

    «Senza dubbio. Mi è parsa terribilmente strana, quando ieri sera sono venuta a casa tua. Ha abbracciato Nikki, bisbigliandole qualcosa all’orecchio e ridendo a crepapelle con lei. Ho sentito che diceva qualcosa a proposito di un picnic nel pomeriggio, ma quando l’ho rimproverata per avere portato fuori la bambina, mi ha risposto dicendo che lei e Nikki non avevano lasciato il palazzo per tutto il pomeriggio.»

    «Ma allora, se hanno fatto un picnic sul tetto ieri pomeriggio, può essere che Nikki abbia dimenticato la bambola in quell’occasione!» esclamò Thea. Quella spiegazione le aveva procurato un immenso sollievo.

    «Può darsi» confermò la signora Lewellyn. «Ieri sera, prima di andare a dormire, Nikki ha cercato invano la sua bambola, e per calmarla ho dovuto prepararle una tazza di latte caldo.»

    Per quanto Thea fosse turbata per la disobbedienza di Bliss, si sentiva anche immensamente sollevata. Se Nikki non era salita sul tetto in serata, non poteva avere assistito alla morte di Gail Waters.

    «Parlerò a Bliss non appena verrà a casa» assicurò alla signora Lewellyn.

    «Credo che sia andata a trovare i genitori» le ricordò la donna. «O almeno così ha detto, anche se stamattina ho visto quel capellone del suo fidanzato aggirarsi qua intorno. Quel tipo mi fa venire la pelle d’oca. Si direbbe che non si lavi da mesi.»

    Thea represse un sorriso. «Lo so, signora Lewellyn, ha ragione. Parlerò con Bliss alla prima occasione.»

    «E ricordati che se avrai bisogno di aiuto, non dovrai fare altro che chiedere, cara.»

    «La ringrazio per la disponibilità, signora» concluse lei, quindi si accommiatò per tornare a casa.

    Quella vecchia tutta sola le faceva un po’ pena, anche perché pensava che in futuro sarebbe potuta essere come lei. E Nikki? Che genere di vita avrebbe condotto Nikki?

    In quel momento era per colpa sua che la figlia si era chiusa in quella specie di prigione. Il trauma di quella notte in cui aveva visto il padre morto per terra e la madre che stringeva una pistola tra le mani l’aveva costretta a ritirarsi in un mondo tutto suo: un mondo fatto di profondo silenzio.

    La dottoressa Nevin, la psicologa infantile che seguiva Nikki, le aveva detto che ci sarebbero voluti mesi, forse anche anni, prima che la bambina si sentisse abbastanza sicura da parlare, e fino a quel giorno, Thea non poteva fare altro che avere pazienza.

    Guardandosi alle spalle, Thea si accorse che la signora Lewellyn aveva chiuso la porta, eppure fu investita da un senso di disagio dal quale non riuscì a liberarsi. Aveva la netta sensazione che qualcuno la stesse spiando, eppure tutte le porte sul pianerottolo erano chiuse.

    «Sta’ tranquilla, sei al sicuro» si disse ad alta voce per calmarsi.

    Presto avrebbe potuto parlare con il detective Gallagher, avrebbe potuto spiegargli com’era finita sul tetto la bambola della figlia, non avrebbe avuto più nulla da temere. E il suo segreto sarebbe rimasto al sicuro.

    Mentre inseriva la chiave nella toppa, però, un brivido le corse lungo la schiena e non poté fare a meno di guardarsi di nuovo alle spalle. Il pianerottolo era deserto, la porta della signora Lewellyn era chiusa.

    Thea, però, non riuscì a scrollarsi di dosso quella spiacevole sensazione. Entrata in casa, chiuse in fretta la porta con la catenella e lasciò uno spiraglio aperto per sentire cosa succedeva sul pianerottolo. E quasi nello stesso istante percepì un lieve click, come se qualcun altro avesse chiuso la porta.

    Il lunedì mattina di buon’ora John si recò nell’ufficio dello zio alla stazione di polizia. «Volevi vedermi?» gli chiese.

    Liam Gallagher sollevò gli occhi dal rapporto che stava leggendo e gli fece cenno di entrare. Era un uomo sulla sessantina, aveva i capelli brizzolati e gli occhi azzurri ancora vivaci. Lavorava in polizia da più di quarant’anni.

    Il figlio Miles era nella narcotici.

    «Ti ho fatto chiamare perché volevo parlarti del rapporto che mi avete presentato tu e il tuo collega» sentenziò Liam non appena John si fu seduto.

    «Ti riferisci al caso Waters?»

    «Mi è stato detto che hai richiesto un’indagine in piena regola.»

    «C’è qualche problema?»

    «Direi di sì» replicò lo zio guardandolo oltre le lenti bifocali. «In questa sezione ci mancano circa duecento investigatori, e quelli che abbiamo riescono a stento a risolvere metà dei casi di omicidio. Non ho tempo e personale da sprecare per un caso che può risolversi da solo.»

    «Lo so, lo so» sospirò John, che ben conosceva i problemi di carenza di personale che c’erano in polizia, anche perché molto spesso aveva dovuto sopperire a questo inconveniente con doppi turni. «Il fatto è che non sono certo che Gail Waters si sia ammazzata.»

    «Le prove dicono il contrario» obiettò Liam. «Niente segni di autodifesa, nessuna traccia di sangue o di pelle sotto le unghie, nessuna impronta digitale sulla scena del delitto, e l’autopsia ha dimostrato che le contusioni cerebrali sono state causate esclusivamente dall’impatto con il suolo.» Liam chiuse il dossier che stava leggendo con un gesto secco.

    John si agitò sulla sedia. «Io non ti chiedo altro che un po’ di tempo. Ieri abbiamo interrogato gli inquilini del palazzo da cui si è gettata la Waters, ma dobbiamo ancora parlare con i suoi colleghi del giornale, ed esaminare l’elenco delle persone scomparse sulle quali lei stava indagando prima di morire. Ci vorranno giorni, per completare il lavoro.»

    «E se non dovessi trovare niente?»

    «Chiuderò il caso, ma nel frattempo voglio scoprire cosa ci faceva la Waters in quell’edificio, chi stava cercando, chi era andata a trovare.»

    Mentre parlava, John ripensò al visetto di Nikki Lockhart. Gli occhioni scuri seri e solenni della bambina erano diventati un’ossessione per lui. Ormai aveva la convinzione che quella bambina avesse visto qualcosa di terribile.

    E la madre? Cosa nascondeva la madre? John non voleva riconoscerlo, ma anche Thea Lockhart lo ossessionava. Non era riuscito a pensare ad altri che a lei, sin da quando era uscito da casa sua.

    Continuava a ripetersi che non era attrazione, ma solo curiosità. Quella donna minuta dagli occhi espressivi era l’immagine della femminilità, ma lui era certo che la sua aria vulnerabile fosse solo una maschera. C’era qualcosa nel suo sguardo, nel modo in cui proteggeva la figlioletta, che gli faceva pensare che sarebbe potuta diventare un’avversaria temibile, se qualcuno l’avesse minacciata.

    «C’è un’altra cosa che devi sapere» comunicò a Liam. «Qualcosa che non ho scritto nel rapporto.»

    Lo zio aggrottò la fronte. «Cosa?»

    Lui si alzò per chiudere la porta. «Giorni fa Gail Waters mi aveva telefonato per fissare un appuntamento. Voleva parlarmi della scomparsa di papà, e ti garantisco che aveva studiato la faccenda a fondo. Sapeva dell’omicidio di Ashley, della festa della confraternita, di Tony e Miles. Era persino andata in prigione a parlare con Daniel O’Roarke nel braccio della morte.»

    Liam Gallagher invecchiò di dieci anni nel giro di pochi secondi, e diventando pallido come un cencio, si abbandonò contro lo schienale della sua poltrona. «Tu cosa le hai detto?» chiese con voce tremante.

    John si strinse nelle spalle. «Niente. Non avevo tempo per parlarle e non mi andava di riportare a galla quella vecchia storia, ma adesso...»

    «Adesso cosa?»

    «Adesso è morta.»

    Un lampo vitale si riaccese negli occhi di Liam. «Cosa stai cercando di dire, Johnny?» sibilò a denti stretti, adirato.

    «Niente. Forse è solo una semplice coincidenza, ma è un tassello del puzzle che non dobbiamo ignorare.»

    «Con chi hai parlato della faccenda? McIntyre? Roy Cox?»

    «No. Tu sei il primo a cui ne faccio parola.» Anche se non gli era piaciuto affatto tenere nascosta a Roy tutta la faccenda.

    Liam tacque ancora qualche secondo prima di sospirare. «Hai fatto bene a rivolgerti a me. Me ne occuperò io.»

    «In che modo?»

    Liam fece spallucce. «Seguirò la procedura standard. Nel rapporto non c’è niente che possa giustificare un’indagine in piena regola.»

    «Non sono d’accordo.»

    «Lascia perdere, Johnny» lo mise in guardia lo zio con una nota di avvertimento nella voce.

    «Non sono sicuro di poterci riuscire.»

    Per tutta risposta, Liam afferrò il dossier che aveva tra le mani e, in un improvviso accesso di ira, lo scagliò contro di lui. «La mia non è una richiesta, maledizione, è un ordine! Tu sei un bravo poliziotto, ma a volte mi ricordi troppo tuo padre: non capisci mai quando è arrivato il momento di mollare. Adesso, però, devi riflettere. Ti sei chiesto che effetto avrebbe sulla famiglia, se di colpo incominciassi a rivolgere le domande sbagliate? E che effetto avrebbe su Tony? L’omicidio di Ashley lo ha distrutto, la sua vita è un disastro, e io stesso devo comparire di fronte a innumerevoli commissioni a causa sua. Riesci a immaginare cosa gli succederebbe, se fosse costretto a rivivere tutta quella maledetta storia?»

    «Hai ragione, Tony ha i suoi problemi, ma è un bravo poliziotto e non tollererebbe mai che si chiudesse un caso per questioni di comodo.»

    «Per questioni di comodo? Attento a come parli e ai termini che usi, Johnny. Non tocca a me ricordarti che pesteresti i piedi a qualcuno, se ti ostinassi a seguire questa strada.»

    «Ti riferisci a Dawson?»

    «Dawson non ha mai superato la morte della figliastra. Le voleva bene come se fosse figlia sua, e se tu tentassi di collegare una reporter di seconda categoria all’omicidio di Ashley e alla scomparsa di Sean, lui non la prenderebbe molto bene.»

    John sapeva che Liam diceva la verità. In linea di massima il sovrintendente Ed Dawson era un uomo equilibrato, ma diventava addirittura spietato se qualcuno minacciava la privacy della sua famiglia. Il fratello e il cugino di John, Tony e Miles, avevano giurato di avere visto Eddie, il figlio di Dawson, alla festa della confraternita quella notte, eppure quella parte della loro testimonianza non era stata inclusa nei rapporti ufficiali.

    «E se per caso Gail Waters avesse parlato anche con Dawson?» mormorò pensieroso a bassa voce.

    Liam si alzò di scatto e si avvicinò alla finestra per guardare accigliato la città innevata. Era incredibile che gli avvenimenti di sette anni prima potessero ancora causare angoscia a così tante persone, si disse John.

    «Non immagini neanche quanti scrupoli mi sia fatto su quel caso. Come sarebbero andate le cose, se quella sera avessi costretto Miles a restare a casa? O se Sean avesse controllato più da vicino Tony? E se Tony e Ashley non avessero deciso di fare sul serio? Se quella notte Daniel O’Roarke fosse rimasto nel suo quartiere?»

    Mentre la voce dello zio si spegneva piano, fu quella di John a proseguire il discorso. «O se papà non avesse incominciato a pensare che Daniel potesse essere innocente.»

    Quelle parole risuonarono come colpi di pistola nella quiete della stanza. «Non ti permettere più di dire una cosa del genere» lo rimproverò Liam. «Anzi, non permetterti più nemmeno di pensarla.»

    «Però

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1