La sposa della torre: I Romanzi Storici
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Info su questo ebook
Inghilterra, 1217 - Abituata a indossare abiti maschili e a maneggiare la spada, Lady Julianna d'Arcy, nelle cui vene scorre il sangue del leggendario Robin Hood e della dolce Marian, ha giurato di dedicare la propria vita alla difesa del castello di Tuck's Tower e di tutti coloro che vi abitano, meritandosi il soprannome di Sposa della torre. Ma quando soccorre un affascinante cavaliere caduto in un'imboscata, Sir William Bowman, e lo porta nel proprio castello per curarlo, tutto a un tratto la sua femminilità sembra risvegliarsi. Julianna non sa se il suo ospite inatteso sia un amico, ma si rende conto che è di gran lunga più pericoloso di qualsiasi avversario con cui abbia mai incrociato la lama. Perché le fa desiderare cose che non aveva mai immaginato di volere.
Sharon Schulze
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Anteprima del libro
La sposa della torre - Sharon Schulze
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Bride Of The Tower
Harlequin Historical
© 2003 Sharon M. Schulze
Traduzione di Mariadele Scala
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
© 2003 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5890-344-5
www.eHarmony.it
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1
Foresta di Sherwood, Nottinghamshire, 1217
Sir William Bowman si girò verso il grosso castrato nero che lo seguiva stancamente.
Bran si era azzoppato appena erano entrati nella foresta, ma non potevano ancora fermarsi. Will sostò un momento a massaggiare il garretto gonfio del cavallo, mentre mormorava all’animale parole di conforto invece delle irose imprecazioni che gli rimbombavano nella testa. Poi riprese la strada tirando con gentilezza le redini per incitare Bran ad allungare il passo.
Nel frattempo il sole era sparito dietro agli alti alberi, che creavano una sorta di muraglia attorno a loro lasciando solo un inquietante bagliore giallastro che conferiva un aspetto spettrale ai rami che s’incurvavano sopra lo stretto sentiero formando una sorta di cupola verde.
Will scrutò nella semioscurità. Non era ancora sera, ma l’infittirsi del buio lo avvertì che avrebbe fatto meglio a trovare al più presto un rifugio. Era stato uno sciocco a permettere all’ira di distrarlo a tal punto da inoltrarsi incautamente nella foresta, tanto che ormai dubitava di poter trovare la strada per uscirne.
Nelle settimane precedenti, Will e Bran avevano percorso miglia e miglia al servizio di Lord Rannulf, un lungo viaggio che era ancora lontano dal giungere al suo termine.
Che cosa non avrebbe dato per una fiaschetta di usquebaugh e per la compagnia di una fantesca calda e disponibile al termine di quella fatica!, pensò Will con un profondo sospiro. Ma grazie all’eccesso di prudenza di Sir Richard Belleville, adesso si ritrovava solo e sperduto nella foresta di Nottingham con un cavallo azzoppato, invece di essere confortevolmente alloggiato nel primo castello che avrebbe incontrato sulla strada maestra, dove aveva stabilito di passare la notte.
Quel maledetto Sir Richard! Lo aveva tenuto tanto occupato con le sue futili preoccupazioni, che non aveva avuto la possibilità di lasciare Birkland, di sicuro il meno importante dei possedimenti di Lord Rannulf FitzClifford, prima della fine dell’interminabile banchetto di mezzogiorno. E quando Will aveva avanzato la richiesta di poter partire il mattino seguente, quel viscido individuo gli aveva sbattuto personalmente il portone del castello alle spalle!
Nella fretta di vedere Will lontano da Birkland, gli uomini di Sir Richard incaricati di scortarlo fuori dai possedimenti di Belleville lo avevano guidato sul sentiero sbagliato, perché era chiaro che negli ultimi tempi quel viottolo aveva visto il passaggio di ben pochi viandanti.
Inoltre sembrava che si inoltrasse sempre di più nel profondo e selvaggio intrico di vegetazione di Sherwood.
Purtroppo quella sera Will non poteva rimediare all’errore. Quindi era meglio che facesse sbollire la rabbia e usasse il buonsenso che Dio gli aveva dato per trovare una rapida soluzione al dilemma nel quale si trovava.
Ammesso che avesse un poco di buonsenso, beninteso. La bassa risata di Will risuonò vagamente sinistra nell’opprimente silenzio della foresta. A giudicare dal suo recente comportamento, sembrava che lui non possedesse un briciolo di raziocinio, pensò raddrizzando le spalle e cercando di scacciare da sé l’inquietante sensazione di una imminente minaccia che gli procurò un brivido freddo lungo la schiena.
Era un cavaliere con una grande esperienza, accumulata nel corso di lunghi anni di addestramento e del quotidiano allenamento al servizio del suo signore, rammentò a se stesso, non un pusillanime, timoroso delle ombre e del buio.
Bran gli diede una spinta nella schiena col muso, come se volesse incitarlo a muoversi più velocemente. L’animale aveva sentito qualcosa che lui non aveva percepito?
Will spostò le redini nella mano sinistra e avvicinò la destra all’elsa della spada. Meglio essere preparati a ogni evenienza, si ammonì prontamente.
Per fortuna i fuorilegge degli anni passati non c’erano più, anche se l’idea di trascorrere qualche tempo con quella leggendaria banda lo allettava parecchio. I racconti delle gesta di Robin Hood e dei suoi compagni erano arrivati anche nella remota zona della Marca dove il castello dell’Eau Claire stava a guardia del confine gallese. Da ragazzo Will era stato affascinato da quei racconti d’imprese mirabolanti, e qualche volta aveva percorso con i suoi compagni di giochi l’impervia campagna circostante, fingendo a turno di far parte della banda di fuorilegge di Robin o del drappello degli uomini dello sceriffo del re.
Con un improvviso frullare di ali, uno stormo di uccelli si levò in volo dal folto dei cespugli che formavano il sottobosco, distraendolo dai ricordi d’infanzia e facendo innervosire Bran, che lanciò un nitrito, scoprì i denti e drizzò le orecchie. Poi il cavallo indietreggiò trascinando Will con sé.
«Calma, amico, che ti prende?» lo ammonì affettuosamente Will cercando di non lasciarsi sfuggire le redini dalla mano guantata, mentre scivolava sulle foglie secche che coprivano il sentiero. Perbacco, non aveva mai visto Bran reagire in quel modo a un imprevisto così insignificante!
Intenzionato a liberare la mano destra per tenere fermo il cavallo imbizzarrito, Will cercò d’infilare la spada nel fodero, ma proprio in quel momento un altro uccello passò rasente le loro teste. Bran s’impennò e Will perse l’equilibrio, cadendo all’indietro in un cespuglio di rovi, mentre il cavallo terrorizzato si girava su se stesso e partiva al galoppo lungo il sentiero nella direzione dalla quale erano venuti.
Il rumore irregolare degli zoccoli di Bran si attutì in lontananza fino a svanire. Imprecando in un misto di gallese, inglese e franconormanno che, tuttavia, non servì ad alleviare la sua contrarietà, Will si liberò dai rami spinosi del roveto e si alzò in piedi. Signore, era stato un miracolo che non si fosse infilzato da solo sulla sua spada!
Will sganciò la cintura della spada e sistemò l’arma nel fodero, poi ripulì il mantello dalle foglie e dalle spine che si erano infilate nel tessuto. Poteva solo essere contento d’indossare la cotta di maglia di ferro. Infatti, a parte qualche graffio sul viso, era completamente illeso. Ma Bran era sparito nella sera portando con sé tutto il suo bagaglio, tranne una piccola bisaccia che aveva in spalla. Per fortuna era quella che conteneva i messaggi che Lord Rannulf gli aveva affidato.
Doveva rincorrere immediatamente il cavallo prima che il buio glielo impedisse, decise Will senza indugio. Non sarebbe giovato a nessuno dei due se l’animale si fosse infortunato. Senza contare che non era prudente continuare a inoltrarsi nella foresta.
Will sostò un momento per abituare la vista alla crescente oscurità, mentre concentrava tutta l’attenzione sul silenzio che lo circondava. Nessun suono o spiraglio di luce penetrava attraverso gli alberi per fornirgli un indizio di qualche presenza umana nelle vicinanze o un segno della direzione presa da Bran. Sospirando stancamente, Will sollevò la bisaccia sulla spalla e riprese la marcia lungo lo stretto sentiero.
Azzoppato com’era, Bran non poteva essere andato molto lontano, pensò fra sé. D’altra parte, lì attorno non c’era un posto dove potersi accampare per la notte. Forse sarebbe riuscito a ritrovare la strada per tornare a Birkland, dove sicuramente si era diretto Bran.
Tuttavia Will dubitava che Sir Richard avrebbe permesso a lui o al suo cavallo di trascorrere un’altra notte entro i confini di quelle terre. Era stato troppo ansioso di vederli partire, rammentò a se stesso. Perché? Che cosa aveva da nascondere Belleville?
Quando uscì dal fitto della foresta e imboccò un sentiero più battuto del precedente, la luna era sorta e Will decise che si sarebbe fermato a dormire nella prima radura che avesse incontrato sui suoi passi. Del cavallo in fuga non aveva trovato tracce, a parte qualche ramo spezzato nei pressi del punto da cui Bran aveva preso la fuga. Poteva solo sperare d’individuare qualche segno più evidente l’indomani mattina. Per il momento non poteva fare altro che seguire la strada che aveva davanti a sé.
Quel sentiero doveva sicuramente condurre da qualche parte.
Udendo un fruscio, Will si fermò e si guardò attorno con aria circospetta. La caduta di alcune foglie dai rami che pendevano sopra la sua testa annunciò la comparsa di due uomini che gli si pararono davanti prima che lui potesse sguainare la spada. Con i visi coperti da una maschera e i pugnali alzati, i due si scagliarono all’unisono contro di lui.
Con la mano libera Will estrasse un lungo pugnale dallo stivale e lo roteò davanti a sé menando furiosamente colpi a destra e a manca. Era difficile seguire i suoi assalitori al buio, ma Will era stato all’erta prima dell’attacco e ogni suo senso era teso a prevenire le loro mosse.
Grazie al cielo, anche i due uomini non potevano vederlo bene. Era evidente che erano esperti guerrieri. Will parò alcuni colpi e ne assestò qualcuno ai suoi avversari che andò a buon segno, a giudicare dalle grida di dolore che i due lanciarono. Ma anche lui non rimase indenne da qualche danno.
Sangue caldo gli colava da un sopracciglio e dal braccio e una grande stanchezza lo stava assalendo. Will prese a imprecare con alte grida, sperando d’intimidire i suoi assalitori. Ma fu inutile. Quei due sembravano instancabili.
Come avrebbe fatto a metterli fuori combattimento da solo?, si chiese Will con un vago senso di preoccupazione.
Una lama scivolò sopra la cotta di maglia di ferro che gli copriva la spalla e lo ferì alla gola. L’acuto dolore lo stimolò a reagire, ma anche i suoi avversari raddoppiarono gli sforzi. Un forte colpo in testa lo fece barcollare e i due gli furono addosso come mosche sopra un mucchio di letame colpendolo con pugni e calci, spogliandolo delle armi e predisponendosi a ucciderlo. Un rivoletto di sangue gli spillò dalla fronte e gli ricadde sugli occhi, offuscandogli ancor più la vista.
Un rimbombo in lontananza coprì il battito accelerato del cuore di Will. Lui non vi fece caso perché non aveva nemmeno la forza di reggersi in piedi. Serrò le dita attorno all’impugnatura del pugnale che teneva infilato nella cintura. Era una ben piccola arma di difesa, ma era meglio di niente. Poi le sue gambe cedettero. Will mormorò una breve preghiera perché la sua morte fosse rapida e dignitosa.
Ma prima che i suoi assalitori menassero il colpo mortale, il rimbombo lontano diventò più nitido e chiaro: era il rumore degli zoccoli di cavalli che si stavano avvicinando. Imprecando fra i denti, i due uomini si girarono e si eclissarono velocemente all’interno della foresta, lasciando Will disteso per terra in mezzo alla strada.
Lui cercò di alzarsi, ma le gambe si rifiutarono di sostenerlo. Allungò una mano e serrò le dita attorno all’impugnatura del suo pugnale, abbandonato poco distante, e lo tirò verso di sé mentre i cavalli si fermavano a un palmo dai suoi piedi.
Era sopravvissuto all’attacco dei due banditi per essere schiacciato dagli zoccoli di un cavallo?
Will si sollevò su un gomito e fissò la confusa scena che si presentava ai suoi occhi offuscati. Ma non riuscì a darvi un senso. Un gruppo di cavalli dalle molte teste e dai troppi zoccoli scalpitava davanti a lui e il chiaro di luna faceva brillare sinistramente le armature dei cavalieri, conferendo loro un aspetto ultraterreno. Uno di loro chiamò un altro milady.
Erano le leggendarie donne guerriere venute a scortarlo nel Valhalla?
Will aveva sentito parlare di quelle vergini divine che presiedevano alle sorti delle battaglie e avevano l’incarico di scegliere i predestinati a morire e di accompagnarli nell’aldilà. Erano personaggi delle leggende pagane. Ma lui era cristiano e non credeva a quei racconti. O forse erano le aiutanti del demonio, mandate per portarlo all’inferno? Che importanza aveva? Will cercò di ridere, ma fu un tentativo inutile. Sperò che quelle donne con la corazza fossero belle, a prescindere dalla loro natura, se doveva passare l’eternità in loro compagnia.
Forse era morto, pensò mentre il più minuto dei cavalieri scivolava giù dalla sella e si toglieva l’elmo. La visione che fluttuò sopra di lui bastò a convincerlo.
«Valchiria» sussurrò.
«Come dite, messere?» La visione corrugò la fronte, socchiudendo gli occhi che avevano una insolita, bellissima sfumatura color ambra, notò Will anche al pallido riflesso del chiaro di luna.
A meno che il colpo ricevuto in testa non gli avesse spappolato il cervello, era proprio una donna in carne e ossa quella che si era inginocchiata al suo fianco e si chinava a toccargli il viso.
«State calmo, signore, e permetteteci di aiutarvi» mormorò la donna, mentre allungava la mano e gli sfilava il pugnale dalle dita prima che Will potesse impedirglielo. Poi lo consegnò a un uomo che era sceso a sua volta dalla sella e stava alle sue spalle.
Essere disarmato da una donna! Sempre più disorientato, Will si accorse che la sua vista si stava annebbiando. La lunga treccia scura della donna gli sfiorò la guancia, stuzzicando i suoi sensi con un intenso profumo di fiori. Un profumo che non gli era familiare, ma che era chiaramente femminile. Però non era quello di Gillian.
Chi era quella donna?
Will socchiuse gli occhi per guardarla, ma in quella semioscurità i lineamenti della sconosciuta risultavano indistinti. Ormai allo stremo delle forze, Will non riuscì più a sostenersi. Il braccio gli ricadde sotto il corpo, batté il capo per terra e perse i sensi.
«Che diamine, è svenuto.»
Lady Julianna d’Arcy afferrò il braccio dell’uomo che si era ripiegato sotto il corpo e glielo distese lungo il fianco. Con tocco gentile gli scostò i capelli dalla fronte, ma quando avvertì il sangue sotto le dita e vide un rivoletto colare lungo il viso, inarcò le sopracciglia. Altro sangue gli sgorgava dal collo e dal braccio.
Quell’uomo aveva bisogno di maggior aiuto di quello che poteva prestargli lì. Julianna tagliò due strisce di stoffa dai lembi del suo mantello usando il lungo e affilato pugnale abbandonato sul sentiero poco distante. «Rolf, vieni ad aiutarmi a fasciargli le ferite. Poi tu e Bart potrete portarlo via.»
Bart, che era il veterano del suo piccolo esercito, s’inginocchiò dietro il capo del ferito e gli sollevò con grande delicatezza la nuca per permettere a Julianna di passare la benda attorno alla fronte, mentre Rolf, il capo delle sue guardie, si occupava della ferita alla gola.
«Dove dobbiamo portarlo, milady?» s’informò Bart aggrottando la fronte.
Julianna legò i lembi del pezzo di stoffa e usò l’estremità per ripulire il viso dell’uomo dal sangue. «Lo portiamo a Tuck’s Tower, naturalmente. In quale altro posto dovremmo portarlo?»
«Volete portare uno straniero entro le mura del nostro castello, milady?» protestò Bart alzandosi in piedi e piantando le mani sui fianchi.
«Nelle sue condizioni non rappresenta un pericolo» osservò Julianna con tono brusco.
In nome di tutti i santi del Paradiso, quando Bart avrebbe smesso di considerarla una bambina? Suo padre era morto da quasi un anno, sua madre se n’era andata ancora prima, ma a differenza della maggior parte degli altri abitanti del castello Bart continuava a mettere in dubbio la sua capacità di governare le sue terre e la trattava come la damigella di Tuck’s Tower, una fanciulla da guidare e proteggere.
Cosa che Julianna non aveva mai voluto essere e che certamente non era mai stata.
Rolf, che aspettava pazientemente tenendo il ferito per le spalle, fece cenno a Bart di aiutarlo a sollevarlo, ma il vecchio soldato lo ignorò e si avvicinò a Julianna. «E quando sarà guarito, Lady Julianna?» le chiese sottovoce con tono di rimprovero. «Allora che cosa farete se dimostrerà di essere pericoloso? Con tutto quello che sta succedendo nel paese, non possiamo permetterci di essere troppo ospitali.»
«Osi contraddirmi, Bart? Osi contraddirmi qui, adesso?» Anche se cercava di tenere basso il tono della voce, Julianna fece in modo di fargli capire che era contrariata. «Comunque non preoccuparti, parleremo di questo più tardi. Adesso non è il momento. Se non ci affrettiamo, questo sventurato morirà in mezzo alla strada.» Tenendo a freno un impeto d’ira, Julianna si chinò e afferrò i piedi del ferito, facendo cenno a Rolf di sollevarlo per le spalle.
Anche se per lei fu una fatica, perché il ferito era alto e di corporatura snella ma robusta, Julianna non si permise di lasciar trapelare in alcun modo lo sforzo che stava sostenendo mentre lo trasportavano verso il suo cavallo.
«Lo porterò in sella con me» disse, contenta di consegnare il pesante fardello a un accigliato Bart e di montare in groppa al suo baio senza l’aiuto di nessuno.
Ci vollero tre uomini e una sequela d’imprecazioni per sollevare lo sconosciuto sulla sella davanti a lei. Soffocando a sua volta un’imprecazione, Julianna circondò il torace dell’uomo con le braccia per tenerlo fermo.
Il corpo muscoloso e asciutto del cavaliere si abbandonò contro di lei, rendendola consapevole di ogni suo particolare fisico anche attraverso lo strato di maglia di ferro che li separava.
Julianna allentò un poco la stretta e l’uomo emise una sorta di grugnito e si agitò, facendo urtare il fodero vuoto della spada contro la sua gamba. Julianna rinsaldò la presa e si guardò intorno, sperando di scorgere l’arma per terra. Se fosse sopravvissuto alle ferite, lo sconosciuto non l’avrebbe sicuramente ringraziata per aver abbandonato la sua spada nella foresta.
E se non fosse sopravvissuto, sarebbe stata un’altra arma da aggiungere al suo arsenale privato che negli ultimi tempi continuava a impoverirsi, pensò Julianna. Anche se quel pensiero la fece sentire come una ladra di tombe, da qualche tempo aveva raggiunto quel punto di disperazione in cui non si poteva andare troppo per il sottile. Purché non fosse stata costretta a diventare una fuorilegge come...
«Rolf, cerca la sua spada e tutto quello che sembra appartenergli» ordinò Julianna con tono deciso. «Anche il suo cavallo, se non è scappato. A Dio piacendo, credo che presto il nostro ospite avrà bisogno di tutto quello che gli appartiene.»
Julianna fece girare il suo cavallo e guidò il gruppo lungo il sentiero illuminato dal chiaro di luna cercando d’ignorare l’inquietante sensazione che le aveva procurato il contatto con il corpo dell’uomo affondato sulla sella davanti a lei. Tornò ad abbassare gli occhi sul viso dello sconosciuto. Nessuna macchia di sangue o ferita poteva offuscare la bellezza, la forza e il vigore di quei lineamenti virili.
Completamente stregata dallo sconosciuto, Julianna pregò di non doversi pentire di quello che stava facendo, forse con troppa avventatezza. D’altra parte non era detto che il suo gesto