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Le ragioni del silenzio: I Romanzi Storici
Le ragioni del silenzio: I Romanzi Storici
Le ragioni del silenzio: I Romanzi Storici
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Le ragioni del silenzio: I Romanzi Storici

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About this ebook

Inghilterra, 1815/1822 - Un controverso caso giudiziario anima i circoli londinesi: Mary Winters, la giovane governante di Marcus Traywick, è accusata di tentato omicidio ai danni del padrone e, non essendoci testimoni, il verdetto della corte appare scontato. Il giorno del processo, però, il Duca di Vail si presenta in aula e dichiara che l'imputata è sua moglie e pertanto non perseguibile in quella sede. Il caso sembra risolto, ma Mary non può fare a meno di chiedersi come mai l'uomo che un tempo aveva amato con tutta se stessa si sia fatto vivo solo in quel momento.

LanguageItaliano
Release dateSep 19, 2012
ISBN9788858904534
Le ragioni del silenzio: I Romanzi Storici
Author

Gayle Wilson

Gayle Wilson is a two-time RITA Award winner and has also won both a Daphne du Maurier Award and a Dorothy Parker International Reviewer's Choice Award. Beyond those honours, her books have garnered over fifty other awards and nominations. As a former high school history and English teacher she taught everything from remedial reading to Shakespeare – and loved every minute she spent in the classroom. Gayle loves to hear from readers! Visit her website at: www.booksbygaylewilson.com

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    Le ragioni del silenzio - Gayle Wilson

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    His Secret Duchess

    Harlequin Historical

    © 1997 Mona Gay Thomas

    Traduzione di Federica Isola Pellegrini

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    © 2005 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5890-453-4

    www.eHarmony.it

    Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche.

    Questo ebook non potrà in alcun modo essere oggetto di scambio, commercio, prestito, rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffuso senza il preventivo consenso scritto dell’editore. In caso di consenso, tale ebook non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui l’opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno essere imposte anche al fruitore successivo.

    Prologo

    Inghilterra, aprile 1815

    Fresco e riposato, ansioso di lanciarsi nella tanto attesa galoppata, il castrone sauro era notevolmente infastidito dal passo tranquillo che gli veniva imposto. Pur avendo manifestato la sua contrarietà, con consumata perizia e quasi inconsciamente, il suo cavaliere non aveva tardato a domare quella breve ribellione. Un osservatore superficiale, ovviamente, avrebbe avuto l’impressione che esistesse un legame perfetto, una sorta di fluido, fra le sue mani e il magnifico animale che montava.

    Fu solo quando scorse la figura esile che camminava all’ombra delle querce secolari che il tenente colonnello Lord Nicholas Stanton gli permise di galoppare a briglia sciolta, e solo per colmare quella breve distanza. Tirando di nuovo le redini, seguì lentamente la ragazza finché lei non si accorse della sua presenza.

    I suoi occhi blu, ombreggiati dalla tesa di un capello di paglia che sarebbe apparso terribilmente antiquato nell’elegante città da cui proveniva il figlio cadetto del Duca di Vail, studiò apertamente il cavaliere, prima di riportare lo sguardo sul sentiero di campagna che stava percorrendo.

    Le labbra ben disegnate di Nick Stanton si torsero in una piccola smorfia. Non era abituato a essere ignorato, specialmente dalle donne. In effetti, l’adulazione che le fanciulle da marito dell’alta società gli avevano tributato durante la sua recente visita a Londra avrebbe fatto girare la testa a qualsiasi uomo. Non solo era di nobili natali e infinitamente ricco, ma anche un famoso eroe della guerra di Spagna, le cui imprese nella penisola iberica erano state citate spesso nei dispacci dal fronte dello stesso generale Wellington.

    Il suo successo con il gentil sesso era notevolmente accresciuto dal fatto che il suo profilo era stato paragonato a quello di Adone in diverse occasioni e che il suo sarto non era mai stato costretto ad applicare delle imbottiture alle spalle delle uniformi che indossava con invidiabile disinvoltura. L’indifferenza che aveva letto negli occhi della ragazza dal cappello di paglia era in netto contrasto con il tipo di accoglienza che ultimamente gli era stata riservata a Londra.

    Forse a causa del suo atteggiamento sdegnoso, Nick affondò i tacchi nei fianchi del sauro affiancandosi alla figura in movimento. I profondi occhi azzurri della ragazza incontrarono i suoi ancora una volta, uno sguardo troppo diretto per essere scambiato per civetteria.

    «Buon pomeriggio» azzardò, adeguando il passo del cavallo a quello della giovane. Filtrando attraverso i rami sopra di loro, un raggio di sole si posò sui suoi capelli castani, accendendoli di riflessi dorati. La giubba dell’uniforme metteva in risalto le sue spalle larghe e la sua vita snella, i pantaloni attillati evidenziavano le sue lunghe gambe muscolose.

    A quel saluto, la ragazza tornò a sollevare lo sguardo, valutando lentamente cavallo e cavaliere. Benché il suo viso avesse tutto sommato lineamenti regolari, la bocca era troppo grande per la moda attuale, il naso dritto ma non aggraziato, e non c’era nulla nei suoi modi che risultasse anche solo vagamente affettato.

    L’abito di mussola a fiori che indossava era vecchio di almeno due anni. La gonna, rialzata qua e là in stile campagnolo per proteggere dai rovi il delicato tessuto, lasciava in mostra una semplice sottogonna bianca. Portava al braccio un cestino di vimini colmo di more.

    «Milord» si limitò a ribattere, riportando lo sguardo sul sentiero.

    Un’altra piccola smorfia di disappunto torse le labbra di Nick. Il silenzio si prolungò per alcuni minuti.

    «State raccogliendo more?» le domandò infine, un quesito sciocco che non aveva certo bisogno di conferme.

    La bocca della ragazza, più abituata al riso che alla compostezza, tremò pericolosamente, rischiando di perdere la sua risoluta severità. «Infatti» convenne.

    Ancora una volta, tornò a calare il silenzio, rotto soltanto dal battere degli zoccoli del cavallo.

    «Posso darvi un passaggio?» le propose Lord Stanton, tendendo la mano. Aveva dita lunghe e abbronzate, nonostante i mesi che aveva trascorso in Inghilterra, lontano dal suo reggimento. Non per sua libera scelta, beninteso, ma a causa della ferita che aveva riportato a Tolosa e che si era rivelata assai più grave del previsto. A un certo punto, si era perfino parlato di amputargli la gamba, ma grazie al cielo, quel pericolo era stato scongiurato da tempo. A parte una leggera, persistente rigidità al ginocchio destro, si considerava ormai in ottima forma e questo era stato appunto il motivo del suo ultimo viaggio a Londra: convincere i suoi superiori al quartier generale delle Guardie a Cavallo che era in grado di tornare al fronte.

    «No, grazie, milord. Sono sicura che i vostri impegni vi tengono fin troppo occupato per permettervi di perdere tempo con me.»

    «Vi garantisco che sarei felice di prestare aiuto a una signora.»

    Gli occhi di lei indugiarono un istante sul suo viso. «Ma come potete vedere, io non sono...»

    «Una signora?» la interruppe Nick sarcastico.

    «Bisognosa di aiuto» concluse lei, senza apparente rancore per quel motto di spirito. Spostando il cestino sull’altro braccio, estrasse dalla manica un fazzolettino con cui si deterse le gocce di sudore dal labbro superiore.

    «Avete intenzione di fare la marmellata?» domandò lui, seguendo il movimento del fazzoletto lungo l’arco del labbro.

    La ragazza gli scoccò un’occhiata, sollevando le ciglia scure che rivelavano uno sguardo intenso e indecifrabile. «Delle torte, probabilmente.»

    «Per il vostro innamorato?»

    «Non ho un innamorato, milord.»

    «Essendo una ragazza così bella, mi è difficile crederlo. Gli uomini sono forse ciechi da queste parti?»

    «Può darsi. Alle mie grazie, almeno. Pare che ci siano sempre... altri svaghi che li distraggono.»

    «Sono degli sciocchi, in tal caso» mormorò Nick. Senza riflettere, sfilò lo stivale destro dalla staffa e sistemò la gamba in una posizione più comoda, stendendo il ginocchio.

    «È quello che anch’io ho pensato spesso» convenne lei, osservando il suo gesto. Quando lui tornò ad abbassare lo sguardo, riprese a fissare il sentiero.

    «Avete un nome?»

    «Naturalmente, milord.»

    Questa volta, Nick non riuscì a trattenere l’ilarità e il sorriso che aveva stregato le donne del bel mondo sbocciò in tutta la sua seduzione. Stranamente, non parve sortire il benché minimo effetto sulla ragazza.

    «Posso conoscerlo?»

    «Forse sì» ribatté lei con la massima calma, togliendo dal cestino una mora che non doveva ritenere degna di venire inclusa nella preparazione delle sue torte. «E forse no. Non so che cosa dovreste conoscere, milord.»

    «Nessuno vi ha mai detto di non essere impertinente con le persone importanti?» rise Nick.

    «Nessuno tranne voi, milord. Ma sono sicura si sia trattato di una dimenticanza.»

    «Geltrude.»

    «Prego?»

    «Poiché sembrate così riluttante a illuminarmi in proposito, stavo cercando di indovinare il vostro nome.»

    «Mi chiamo Mary Winters, milord.»

    «E abitate qui al villaggio, Mary?»

    «Al vicariato, con mio padre, milord.»

    «Quindi siete la figlia del vicario.»

    «Evidentemente, milord.»

    «E avete finito di raccogliere le more, Mary Winters?»

    «Oh, no, milord. Il posto migliore, vedete, si trova al di là di quei cespugli.»

    Così dicendo, la ragazza lasciò il sentiero e scostando un ramo che ostruiva un minuscolo viottolo, scomparve nel sottobosco. Il ramo che aveva allontanato tornò a celare il varco come per magia.

    Cavallo e cavaliere rimasero soli nell’improvviso silenzio della campagna. Prima ancora che le foglie si fossero immobilizzate, Stanton era smontato da cavallo. Spostando lo stesso ramo, guidò il castrone nella radura in cui era svanita la ragazza. Una volta al riparo dei cespugli, legò le redini a un ramo e si guardò intorno in cerca di Mary Winters.

    Con suo sommo stupore, la vide in piedi sul tronco contorto di una quercia che si era biforcato quando non era che un tenero virgulto e che adesso formava una sorta di piattaforma naturale a una trentina di centimetri dal suolo. Il cestino era posato sull’erba e lei si teneva in equilibrio aggrappandosi a un ramo che sporgeva. Si era tolta il capello di paglia, liberando una cascata di riccioli scuri che sembravano catturare tutta la luce screziata dalle foglie della radura. I suoi occhi blu lo osservarono mentre le si avvicinava.

    «Sembra che zoppichiate, milord.»

    «Sono riuscito a non zoppicare per ben tre giorni» sorrise lui, «perciò potreste cercare di essere meno critica.»

    «Una ferita di guerra, immagino.»

    «E molto onorevole, vi assicuro. Riportata sul campo di battaglia.»

    La ragazza sollevò gli angoli delle labbra accennando a un sorriso. «Durante un’azione eroica, senza dubbio.»

    «Non in modo particolare.»

    «Lord Wellington ne sembrava convinto.»

    Scuotendo il capo con un sorriso, lui continuò ad avanzare inesorabilmente verso la quercia.

    «Allora come la volete definire? Temeraria? Incredibilmente coraggiosa?»

    «Una questione di opinioni, suppongo.»

    Nick si trovava di fronte a lei, adesso. Grazie alla sua statura, i loro occhi erano quasi allo stesso livello. Quelli azzurri incontrarono quelli grigi di lui e rimasero avvinti, poi lei lo toccò. Fece scorrere il palmo della mano sui capelli che gli si arricciavano sulla tempia. Alzando la sinistra, Nick gliel’afferrò e se la portò alle labbra.

    La sua bocca scivolò adagio lungo le dita macchiate dal succo delle more che aveva raccolto. Lei gli posò la mano libera sulla spalla, accarezzando con il pollice la lana della sua uniforme e risalendogli lungo il collo fino a chiudergli il palmo sulla nuca e affondargli le dita nei capelli.

    Lasciando andare la mano che aveva imprigionato, Nick le cinse la vita e la sollevò fra le braccia senza incontrare alcuna resistenza. Aderendo al suo corpo, Mary gli allacciò le braccia attorno al collo, dischiuse le labbra e le accostò alle sue. Abile ed esperta, la lingua di lui si insinuò all’interno in una carezza intima come quella di un amante. E altrettanto gradita.

    Si baciarono a lungo, senza fretta. Nonostante l’andatura claudicante con cui aveva attraversato la radura, Nick la reggeva senza sforzo, premendo il suo corpo contro il proprio. L’abbassò lentamente, finché la punta delle sue scarpe non toccò terra, ma le loro bocche non si separarono, continuando a muoversi l’una sull’altra, riluttanti a interrompere quel delizioso contatto. Fu lei infine a scostarsi, chiudendogli il viso fra le mani.

    «Ditemi che vi hanno rifiutato» lo supplicò.

    Lui scosse il capo. «Sapete bene che non lo avrebbero mai fatto, Mary. Il duca ha bisogno di tutti gli ufficiali qualificati, di tutti i veterani che riesce a trovare. Vi avevo avvertita prima di partire.»

    «E voi li avete convinti di essere completamente guarito.»

    «A dire la verità...»

    «A dire la verità, avete mentito sulle condizioni della vostra gamba.»

    «Erano troppo felici della mia offerta per sognarsi di oppormi un rifiuto. Mi avrebbero accettato anche se avessi avuto una gamba sola. Non siate in collera, Mary, amore mio. Il mio posto è al fronte, insieme ai miei uomini, al mio reggimento. È lì che voglio stare.»

    «Non di nuovo. Non posso permettervi di tornare in quell’inferno.» Non ci fu risposta. Non una parola di conforto. Gli uomini amavano la guerra e toccava alle donne restare a casa a piangere. «Quanto tempo avete?»

    «Tre ore. Meno. Ho dovuto cambiare il cavallo. C’erano delle cose che mi occorrevano alla villa, e dovevo dire addio a Charles e a mio padre, qualora...» La voce gli si spense nel notare le lacrime che le velavano gli occhi. «Sono venuto più in fretta che ho potuto, ma devo tornare a Londra per imbarcarmi all’alba.»

    «Siete appena arrivato. Suppongo...»

    «Tre ore, Mary» le ricordò lui. «Vogliamo passarle a discutere?»

    «No» bisbigliò Mary, offrendogli le labbra e intrecciandogli le dita nelle ciocche castane. «No» ripeté, mentre Nick le copriva la bocca con la sua per reclamare ciò che gli apparteneva.

    E che gli sarebbe sempre appartenuto.

    Nick aveva prelevato il suo mantello dalla sella e lo aveva steso al suolo. Adesso, sdraiati fianco a fianco, stavano guardando oscurarsi il cielo che si intravedeva fra le chiome degli alberi. Lui si era tolto la giubba e le dita di Mary avevano trovato da tempo i bottoni della camicia di batista che indossava al di sotto.

    Li aveva slacciati a uno a uno, esplorando con le labbra ogni centimetro del suo petto, a mano a mano che veniva scoperto. Infine, la sua bocca si era posata sulla pelle levigata del suo stomaco, e aveva preso a scendere lentamente.

    Il ritmo del respiro di lui si era modificato mentre lo accarezzava, ma non aveva protestato per quella pigra, esitante esplorazione. Solo di tanto in tanto, quando la bocca di lei aveva trovato una zona inesplorata, le aveva improvvisamente affondato le dita nella massa di riccioli scuri. Sottoposto alla squisita tortura di quelle labbra, era ormai incapace di formulare un pensiero coerente, di ricordare la differenza fra il bene e il male. Quella ragazza era Mary e aveva l’impressione di amarla da tanto tempo. Non c’era niente nella dolcezza dei suoi baci che profanasse ciò che provava per lei. Ciò che aveva provato fin dalla prima volta che l’aveva vista.

    Aveva assistito alla funzione religiosa quella domenica solo perché suo padre aveva voluto a tutti costi che lasciasse per qualche ora la villa in cui era rimasto segregato dal giorno del suo ritorno dalla Spagna. Si era sentito terribilmente imbarazzato per essere costretto ad appoggiarsi alle grucce, per le occhiate compassionevoli degli abitanti del villaggio e per le loro domande sulle sue imprese militari.

    Insieme a suo padre, aveva preso posto nel banco ducale, situato su una pedana sopraelevata posta direttamente di fronte al pulpito. Aveva fissato a lungo il pavimento mentre lottava contro l’umiliazione causata dall’inconsueta goffaggine dei suoi movimenti. Solo quando il duca gli aveva assestato una piccola gomitata per richiamarlo all’ordine, aveva abbassato lo sguardo sulla congregazione e lo aveva posato su Mary.

    Sedeva al centro della prima fila, intenta ad ascoltare il sermone di suo padre con espressione estasiata, del tutto ignara dell’avida attenzione del secondogenito del Duca di Vail. Un’esperienza che gli era sconosciuta e probabilmente, era stato quel suo atteggiamento non convenzionale e ingenuo ad attrarlo inizialmente.

    Tuttavia, aveva fatto presto a scoprire altri particolari sicuramente degni della sua attenzione. Lo splendore dei suoi occhi blu incorniciati da lunghe ciglia scure, l’incredibile purezza della sua carnagione, le lucide ciocche di capelli scuri modestamente nascoste sotto la cuffia della domenica. Ritenuto da anni una delle prede più ambite dell’alta società londinese, lui non aveva tardato a lasciarsi stregare dalla figlia di un parroco di campagna.

    In apparenza, però, Mary Winters non aveva provato il benché minimo interesse nei suoi confronti. Anzi, sembrava del tutto inconsapevole del fatto che quel mattino un illustre membro della comunità come il tenente colonnello Nicholas Stanton si fosse degnato di onorare la modesta chiesa del padre con la sua presenza. E di conseguenza, spinto in un primo momento dalla noia e dalla sua forzata inattività, si era messo d’impegno per modificare la situazione.

    Nelle settimane seguenti, il suo innaturale desiderio di recarsi alle funzioni aveva insospettito il padre. Il duca aveva cominciato a temere che il grave pericolo corso durante l’ultima impresa o la disastrosa influenza di un predicatore metodista fossero la causa di quel suo zelo religioso senza precedenti.

    Tuttavia, non aveva impiegato molto a rendersi conto che era dovuto a qualcosa di assai più consono al temperamento del figlio. Gli era bastato puntare l’occhialino nella direzione in cui Nick volgeva lo sguardo ogni domenica per scoprire che l’oggetto della sua devozione non era la promessa della beatitudine eterna, ma qualcosa di più concreto e terreno, e di assai più preoccupante. Lo aveva redarguito aspramente ed era rimasto sbalordito dalla sua risposta.

    «Prendermi gioco di lei? Buon Dio, signore, ma guardatela. Chi oserebbe prendersi gioco di Mary Winters?»

    Avendo visto una tranquillità di spirito e un’intelligenza non comuni trapelare dallo sguardo della ragazza, al duca non era rimasto che convenirne.

    «Mary» bisbigliò infine Nick, più una preghiera che una protesta. Ma le labbra di lei si soffermarono ancora nel punto che stava lentamente torturando. Serrò le palpebre quando Mary all’improvviso si fermò, pur essendo consapevole che era molto meglio così.

    Quel giorno era andato a cercarla ben sapendo che avrebbe potuto non rivederla mai più, che avrebbe potuto non avere mai la possibilità di farla sua, di assaporare le delizie che lei avrebbe potuto offrirgli. In quello stesso momento, sarebbe dovuto essere in viaggio per raggiungere il suo reggimento. Le aveva detto che non avevano che tre ore a disposizione, e sotto l’istintiva tenerezza delle sue mani e la dolcezza delle sue labbra, il tempo era volato, dissolvendosi come un fiocco di neve al sole.

    Giacque immobile, gli occhi chiusi, l’orecchio teso ai suoni della sera ormai prossima, al tubare delle tortore, allo stormire delle foglie nella brezza, sforzandosi disperatamente di riacquistare il suo autocontrollo.

    «Nick.» La voce di Mary lo sfiorò calda e carezzevole. Aprì gli occhi, poi, pur dicendosi che si trattava di pura follia, scoprì di essere incapace di richiuderli, incapace di rifiutare quello che lei gli stava offrendo.

    Si era abbassata il corpino dell’abito e la camiciola, tenendosi la soffice mussola contro il petto. Continuò a guardarlo negli occhi, senza sorridere, la massa arruffata dei capelli che le ricadeva sulle spalle d’avorio.

    Poi, si abbassò ulteriormente gli indumenti, esponendo il seno alla sua vista. Nick si sentì mozzare il fiato. A poco a poco, senza lasciarlo con lo sguardo, sollevò le dita della mano destra e se le portò al di sotto di un capezzolo, passandovi sopra il pollice ripetutamente.

    Inconsciamente, Nick sostituì la propria bocca alle sue dita tremanti. Non fu un gesto preordinato né un comando impartito alla sua mente, bensì un impulso dettato da qualcosa di assai più primitivo. Il respiro affannato di lei si trasformò in una serie di piccoli gemiti suscitati dal lento cerchio descritto dalla lingua di Nick intorno al capezzolo.

    Mary non aveva immaginato che la sua bocca potesse rivelarsi così calda ed esigente, che i suoi denti potessero stuzzicare in modo tanto tormentoso il turgido bocciolo creato dai suoi stessi baci. Qualcosa stava accadendo in lei, qualcosa che la spingeva a protendersi verso di lui. Nessun uomo prima aveva posato i propri occhi su quel punto così sensibile del suo corpo. Solo Nick. Era la sua donna ed era giusto che lo sapesse prima di andarsene.

    Tracciando una scia incandescente, lui le fece scorrere la lingua lungo l’incavo del seno, dandole l’impressione di marcarle a fuoco la pelle. Chiudendogli la testa fra le mani, lei lo attirò ulteriormente verso di sé, desiderando che la toccasse dentro, nel centro della sua femminilità che stava pulsando così dolorosamente. Non emise alcuna protesta allorché lui invertì le loro posizioni, adagiandola sul mantello, la ruvida lana contro la pelle nuda della sua schiena.

    Puntellandosi su un gomito, Nick osservò la sua figura flessuosa. Fece poi scorrere le dita delicatamente sul capezzolo che lei stessa aveva stuzzicato poco prima.

    Senza mai lasciare i suoi occhi, Mary lo afferrò per le spalle e lo attirò contro di sé, finché il suo petto non le sfiorò la pelle. Lui intraprese una danza lenta e sensuale sul suo corpo, sfiorandola appena, quel tanto che bastava a farle percepire il proprio calore.

    Fu solo quando Mary tornò a protendersi verso di lui che Nick la circondò con le braccia, stringendosela al petto. Lei aderì al suo corpo ancora una volta, esigendo, anelando a ricevere di più. Più di quanto potesse immaginare. Molto più di quanto ne avesse mai avuto l’intenzione.

    Imprigionata dal suo corpo, le sembrò di essere divorata da una fiamma inestinguibile mente con le mani tentava di slacciargli i pantaloni.

    «Mary» lo udì bisbigliare per ammonirla, ma lei non gli prestò ascolto.

    Nick stava per partire e conosceva anche lei i pericoli a cui sarebbe andato incontro. Fu una decisione cosciente la sua, non più ostacolata da tutto ciò che le era stato insegnato, da tutto ciò in cui aveva creduto, da quando la realtà della situazione non aveva abbattuto ogni barriera. Lui le apparteneva e il suo corpo esigeva che esercitasse quel possesso, nonostante i divieti imposti dalle regole della società e dai suoi insegnamenti religiosi. Quel momento non apparteneva che a loro, e forse non si sarebbe mai più ripetuto.

    Sfiorò i contorni sconosciuti del suo corpo, sollecitandolo a portare a termine ciò che avevano iniziato.

    «Mary» tornò a sussurrare lui, la voce arrochita dal desiderio, dalla passione e dall’angoscia.

    «Sì» mormorò lei. «Sì.»

    Le sue mani ripresero a supplicarlo. Nata e cresciuta in campagna, era totalmente priva di artifici e, ora, anche di remore. Infine, dopo un lungo tormento, lui unì le proprie mani alle sue per aiutarla a trovare ciò che cercava, guidarla e istruirla.

    Una corrente d’aria la investì, fredda e inaspettata, ma Mary la gradì, come gradì l’invasione che seguì in rapidissima successione. Un’invasione lacerante, dolorosa. Ansimando contro la sua spalla, lo udì ancora una volta bisbigliare il suo nome.

    Nick cominciò a muoversi dentro di lei e, affiorando dagli abissi del suo dolore, dal centro della sua femminilità, qualcosa cominciò a prendere forma, schiudendosi come un bocciolo di rosa sotto i caldi raggi del sole.

    In un primo momento, lei fu incapace di identificare quella sensazione che travalicava il disagio e la sofferenza. Una sensazione che sembrava espandersi all’infinito e condurla sulle vette di un piacere che non aveva mai conosciuto.

    Udì il grido che le sfuggì dalle labbra, poi la bocca di Nick tornò a coprire la sua, soffocando il grido che aveva lacerato il silenzio del crepuscolo che li circondava. L’appagamento di lui seguì quasi all’istante, invadendo ogni fibra del suo essere con l’impetuosità di un torrente in piena. Il suo corpo venne scosso da spasimi incontrollabili. Una, due volte. Poi si immobilizzò. A poco a poco, tutto si acquietò nella radura in cui giacevano ancora avvinghiati l’uno all’altro.

    Infine lui si sollevò sulle braccia

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