Sguardo di fuoco
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About this ebook
Prima regola: non mostrare di sé più del proprio corpo in camera da letto.
Un'occhiata al manichino nella vetrina di un grande magazzino e l'ambizioso pubblicitario Eric Harmon sa con certezza che nessuna donna potrebbe essere altrettanto perfetta. Ma la bellezza dalle lunghe gambe è in realtà un ex modella, Dallas Shea. Ed è una persona in carne e ossa. Quando Eric la incontra a un noioso ricevimento è sorpreso che esista davvero e decide di scoprire se, a toccarla, la donna del mistero è altrettanto autentica.
Seconda regola: si può fare un'eccezione?
Dallas è incredibilmente attratta da Eric, ma non vuole che la loro bollente relazione si avvicini a una storia vera. Ci sono troppe cose di sé che non è ancora pronta a rivelare.
Debbi Rawlins
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Book preview
Sguardo di fuoco - Debbi Rawlins
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
A Glimpse Of Fire
Harlequin Blaze
© 2005 Debbi Quattrone
Traduzione di Marina Riva
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.
© 2006 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5893-923-9
www.harlequinmondadori.it
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1
Dallas Shea controllò l’ora e s’infilò le chiavi di casa nella tasca dei jeans. Aveva pensato di farsi a piedi tutti e diciotto gli isolati per andare in centro all’appuntamento con Trudie, soltanto che a quel punto un taxi avrebbe fatto sicuramente più al caso suo.
«Oh, bene! Sei ancora qui.» Wendy, la sua compagna di appartamento, uscì dal minuscolo bagno mentre ancora si stava raccogliendo i lunghi capelli rossi. Dietro di lei un mucchio di asciugamani giaceva accanto alla vecchia vasca.
Dallas sospirò. Quella ragazza era una perfetta casinista. Divertente, spontanea, ambiziosa e leale ma pur sempre una perfetta casinista.
«Porteresti fuori Bruiser a fare i suoi bisogni?»
«No.»
Il piccolo bastardino nero, sentendo il suo nome, si materializzò da dietro il divano verde a fiori, dimenando la coda e guardando Dallas con occhi pieni di affetto. Doveva pesare all’incirca sette chili, dunque molto di più rispetto a tre mesi prima quando Wendy l’aveva trovato alla disperata ricerca di cibo in un parcheggio sulla Diciannovesima strada.
«Per favore. In cambio io preparerò la cena.»
Indirizzando all’amica un’espressione molto eloquente, Dallas s’incamminò verso la porta, cercando deliberatamente di evitare lo sguardo di Bruiser. «L’ultima volta hai detto la stessa cosa.»
«E sono stata di parola.»
«Degli hot dog presi all’angolo da Howie non sono esattamente quello che io intendo per cena.»
«Dai, per favore. Ho un’audizione» si giustificò Wendy saltando su una gamba mentre s’infilava una scarpa da ginnastica sopra le calze color porpora. «È molto importante per me, si tratta di un nuovo musical per il quale scritturano dodici ballerine. E questa volta ce la farò, ne sono sicura.»
Dallas tolse il chiavistello dalla porta, poi esitò. In fondo Wendy ci teneva davvero a quel genere di lavoro, nonostante a ventinove anni compiuti si ritrovasse spesso a contendersi un posto con dei ragazzini, ai quali andavano a finire la maggior parte degli ingaggi.
Guardò la sua amica e poi Bruiser, i cui occhi speranzosi non riuscirono a lasciarla indifferente.
Sospirando aprì la porta a Wendy. «Vai.»
Con un largo sorriso sulle labbra, l’amica saltellò verso di lei infilandosi l’altra scarpa da ginnastica. «Sapevo di poter contare su di te.»
«Fai attenzione a dove metti i piedi. Mi servi viva per continuare a contribuire a pagare l’affitto» dichiarò prima di prendere il guinzaglio dal gancio appeso al muro. «E non ti preoccupare per la cena. Esco con Trudie.»
«Salutamela» disse Wendy sgusciando fuori dalla porta per poi richiudersela alle spalle.
«Ehi, perché mi guardi in quel modo?» chiese al cagnolino accarezzandolo mentre gli metteva il guinzaglio. Bruiser cercò di ringraziarla a modo suo, vale a dire leccandole il mento e mancando di un soffio la bocca, visto che all’ultimo momento Dallas si tirò indietro quel tanto che bastava per evitarlo.
«Okay, piccolo. So bene che ormai è un po’ di tempo che non esco con un ragazzo, ma ti comunico che a me sono sempre piaciuti quelli alti più di te» gli spiegò afferrando un sacchetto per i suoi bisogni.
In un certo senso invidiava Wendy. Lei era una che non aveva mai rinunciato. Il suo ottimismo e il suo entusiasmo sembravano davvero inesauribili, anche quando aveva perso il contratto con la Revalyn l’anno precedente perché l’agenzia aveva deciso che per lo spot pubblicitario al quale stavano lavorando serviva qualcuno con le mani dall’aspetto più giovanile delle sue. Grazie al cielo i piedi non invecchiavano con la stessa velocità.
E ancora di più grazie al cielo per aver deciso di abbandonare quel mondo solo un anno dopo aver fatto la modella nel periodo dell’università, quando se n’era andata di casa e aveva avuto bisogno di soldi per mantenersi. Ma era un ambiente troppo crudele. C’era sempre qualcuno di più alto, più magro, più giovane.
Aprì la porta e fece uscire Bruiser, poi ricontrollò l’orologio e chiamò l’ascensore, sperando che almeno qualcuno si fosse degnato di far riparare quel trabiccolo. Si sbagliava. Nel caso in cui se lo fosse potuta permettere avrebbe traslocato all’istante, ma trovare una appartamento in quel quartiere di Brooklyn senza spendere una follia era un’impresa ardua. Avrebbe dovuto lavorare molto di più, o peggio ancora, cercarsi un altro lavoro, magari del genere che i suoi avrebbero apprezzato. Il solo pensiero la fece rabbrividire.
«Per fortuna sei arrivata» la salutò Trudie sorridendole con gli occhi castani vistosamente truccati. «Ti spiace chiudere la porta?»
«Affatto» ripose Dallas prima di lasciarsi sprofondare nella poltrona in pelle color borgogna. «Allora, come va?»
«Sono rovinata.»
Dallas si trattenne dal sorridere. La sua amica aveva da sempre una naturale predisposizione per il melodramma. Già all’epoca dell’università tutti pensavano che avrebbe fatto fortuna a Broadway, anziché finire a lavorare come vetrinista. «Cos’è successo?»
«Ho avuto l’incarico di occuparmi della vetrina più prestigiosa di Fifth Avenue per la festa del Quattro Luglio, che quest’anno coincide anche con il decimo anniversario del grande magazzino.»
«Sembra un bel colpo.»
«Sì» ammise Trudie miseramente, «se non fosse che rischio di essere licenziata.»
«Perché?»
«Ascolta e capirai» le spiegò l’amica facendole sentirei il messaggio lasciato in segreteria telefonica da una certa Starla Jenkins che diceva di aver contratto un virus intestinale e di dover rinunciare all’impegno preso per il giorno dopo.
«E questo cosa significa?»
«Significa che sono rovinata.»
«Chi è Starla Jenkins?»
«È la modella alla quale avevo assegnato il lavoro» rispose Trudie respirando profondamente. «Al diavolo lei e quel dannato virus!»
«Ma perché te la prendi in questo modo? New York pullula di ragazze desiderose di prendere il suo posto, basta che chiami una delle tante agenzie.»
«Non è così semplice» dichiarò guardandola all’improvviso con una strana espressione. «Le tue unghie sono in uno stato pietoso» aggiunse subito dopo.
Istintivamente Dallas chiuse le dita a pugno. «Ho finito di lavorare poco fa. E poi, cosa importa?»
«Niente, infatti» disse Trudie. «La cosa si può fare ugualmente.»
Una brutta sensazione le attanagliò lo stomaco. Quale cosa? «Ascolta, evitiamo di uscire a cena e ti aiuto io a trovare chi la sostituisca.»
«Non c’è bisogno, l’ho già trovata» le rispose Trudie fissandola negli occhi.
Dallas indietreggiò, sentendosi improvvisamente a disagio. La sua amica non poteva pensare di... Non era possibile. Anzi, era ridicolo. «No.»
«E dai, Dallas. Non ti sto chiedendo di farlo gratis.»
«Perché io, quando potresti trovarne un’altra in mezz’ora?»
«Perché ho promesso al mio capo qualcosa di davvero speciale, un manichino vivente.»
Dallas spalancò la bocca senza riuscire ad articolare suono.
«Sai una cosa? Sei stata tu involontariamente a farmi venire l’idea» continuò, ricordandole quando nel periodo in cui andavano all’università riuscisse a rimanere immobile nella stessa posizione e con la stessa espressione anche per mezz’ora di fila, sbalordendo chiunque.
«Sono passati almeno otto anni» precisò Dallas con determinazione.
«L’hai fatto anche l’anno scorso alla festa di Capodanno, riuscendo a scucire ben cinquanta dollari a Chandler Whitestone.»
«Si trattava di una scommessa!»
«Per favore, tu sei l’unica che possa salvarmi.»
Dallas sospirò. «Sono certa che troverai qualcun altro, altrimenti potresti sempre farti venire una nuova idea per quella vetrina.»
«Entro domani?»
«Okay, allora mettiamola così. Non ho alcuna intenzione di starmene dentro la vetrina di quel dannato grande magazzino. In più sono anche fuori forma.»
«Bugiarda, sai benissimo di avere ancora un fisico da modella.»
«Peccato che abbia ventinove anni.»
«Peccato che la tua età non interessi a nessuno.»
«Opinione molto discutibile» precisò Dallas. «Allora, usciamo a cena o no?» le domandò per cambiare argomento.
«Ascoltami, si tratta di una vera emergenza. Non te lo chiederei se non fossi disperata.»
«Hai almeno provato a trovare una sostituta?»
«Sì, te lo giuro.»
Dallas si lasciò sprofondare nella poltrona. Le credeva. Trudie non era solita chiedere favori a nessuno, non l’aveva fatto neppure quando il suo ex fidanzato se n’era andato di casa portandosi via la metà dei mobili, per altro tutti della sua amica, e lasciandola da un momento all’altro.
«Per favore, Dallas. Almeno fino a quando Starla non si riprenderà da quel virus. Santo cielo, cosa devo fare? Vuoi che mi metta a implorarti in ginocchio?»
«Okay» dichiarò Dallas, «accetto. Dimmi solo per quanto tempo vuoi che io rimanga in posa e cosa devo indossare.»
Un sorriso spuntò sul viso di Trudie. «Andiamo a cena e ti spiegherò tutto. Offro io.»
Dallas la seguì. Questa faccenda non le piaceva neanche un po’.
Eric Harmon pagò il tassista e scese su Lexington Avenue. Di Tom neanche l’ombra. Controllò l’orologio, stranamente non c’era neppure il solito traffico. Pareva proprio che avesse largamente anticipato il suo amico nell’appuntamento che avevano all’angolo dell’edificio dove si trovavano gli uffici dell’agenzia di pubblicità Webber and Thornton, per la quale entrambi lavoravano.
Strizzò gli occhi e guardò al ventesimo piano contando quattro finestre partendo da sinistra. La luce dell’ufficio di Tom era ancora accesa, come sempre d’altro canto. Soltanto che lui non aveva alcuna intenzione di salire e di rimettersi al lavoro. Era troppo stanco.
Sarebbe stato meglio se si fossero incontrati direttamente da Pete’s Grill, realizzò in quell’istante. Per lo meno a quell’ora se ne sarebbe già stato con il suo bicchiere di scotch in mano. Ricontrollò l’orologio e poi si spostò per evitare di essere travolto dall’orda di pedoni che stavano per attraversare la strada, quindi estrasse il telefonino dalla tasca della giacca.
«Mettilo pure via, sono dietro di te.»
Voltandosi vide Tom che finalmente era arrivato. «Ho bisogno di un drink.»
«Anch’io.»
«Da quando ti porti il lavoro anche a casa?» gli chiese Eric lanciando un’occhiata alla valigetta che il suo amico aveva in mano.
Tom scosse la testa con espressione cupa. «Non so come sia andato il tuo appuntamento, ma so che ti devi ritenere super fortunato per non essere stato in ufficio questo pomeriggio.»
«Grandioso. Dimmi solo che non si tratta dell’affare con la Mercer.» Lavorare nel mondo della pubblicità significava sentirsi continuamente sotto pressione. Trovare l’accordo con il cliente poteva catapultarti in cima al mondo, ma non sempre le cose andavano lisce e allora ci si sentiva talmente a pezzi da voler prenotare un biglietto di sola andata per la Siberia.
«Ti dico che non ho intenzione di parlare di lavoro finché non avrò un bicchiere di scotch in mano» insistette Tom urtando involontariamente una bionda passante. «Mi scusi» le disse prontamente con un sorriso, di fronte al quale l’irritazione della donna svanì d’incanto.
«Non c’è problema» replicò lei ricambiando il sorriso.
Eric sospirò. «Dai, Romeo, andiamo da Pete prima che tua moglie ti chiami ordinandoti di tornare immediatamente a casa.»
Tom diede un ultimo sguardo eloquente alla bionda prima di seguire l’amico. «A proposito di mogli, visto che tu non ne hai una» dichiarò come se si trattasse si un crimine, «chi porterai alla festa che anche quest’anno il signor Webber organizza per ringraziare tutto il suo staff per l’ottimo lavoro svolto eccetera eccetera?»
«Chi dice che devo per forza portare qualcuno?»
«Si tratta di regole non scritte, amico mio. Non puoi presentarti da solo anche questa volta, non da Webber che appartiene tenacemente alla vecchia scuola di pensiero secondo la quale tutti, a trent’anni compiuti, dovrebbero essere sposati e sistemati. Ti ricordi la foto dell’anno scorso? Eri l’unico senza uno straccio di donna al suo fianco, e la cosa al capo non è piaciuta per niente.»
Ma Eric non ci stava. «Questo modo di pensare non è solo ridicolo, è