Passione nascosta: Harmony Destiny
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Jean Brashear
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Passione nascosta - Jean Brashear
successivo.
1
«Per tuo padre sarebbe importante saperti felice accanto a qualcuno, Michael. Specie in questo momento. Un uomo non può stare solo.»
«Ma io non sono solo, mamma. Ho tanti amici.» Michael Longstreet si appoggiò allo schienale della poltrona girevole e guardò fuori della finestra dell'ufficio, che si affacciava sulla via principale.
Febbraio era un mese tranquillo a Prosperino.
Quell'anno però qualcosa turbava la serenità e la quiete del piccolo centro turistico californiano. Tutta la cittadinanza teneva il fiato sospeso.
Proprio in quel periodo il cuore di suo padre stava cedendo. Sua madre lo vedeva spegnersi di giorno in giorno.
«E poi io ho già avuto la mia parte di felicità, mamma. Con Elaine» aggiunse piano.
La voce di sua madre si affievolì. «Lo so. E non mi do pace, credimi. Forse, se non vi avessimo negato la nostra benedizione, lei e il bambino sarebbero ancora vivi.»
No, mamma. Ti sbagli. «Mamma, non...»
«È solo che siamo in pensiero per te.»
Non era una novità. Era sempre la stessa storia. «E non ce n'è motivo. Io sto bene così. Ho il mio lavoro di sindaco che mi tiene impegnato.» Consultò l'orologio. Doveva incontrarsi con Rory Sinclair. L'esperto dell'FBI era riuscito a identificare la sostanza tossica che aveva contaminato l'acqua dell'Hopechest Ranch. «Scusa, ma devo scappare. Ho una riunione. Più tardi passo a salutare papà, va bene?»
«Possiamo stare tranquilli, Michael? L'acqua che beviamo in città è sicura?»
«Sicurissima» rispose lui. Perché era suo dovere, come sindaco, rassicurare tutta la cittadinanza ed evitare di diffondere il panico. «Il caso è nelle mani dell'FBI, che ormai è vicina a una soluzione.» Lo sperava di cuore. Se non altro, per ricominciare a dormire tranquillo. Erano settimane che non chiudeva occhio. «Ora ti lascio, mamma. Ma tu cerca di stare tranquilla. Non posso presentarmi a casa con una moglie solo per far contento papà; però verrò a parlare con lui per convincerlo che sto bene.» Lo avrebbe fatto davvero, perché era sempre stato un figlio esemplare. Non aveva mai deluso le aspettative dei genitori. Tranne che in un'unica occasione.
E se n'era pentito amaramente.
Suzanne Jorgenson non era lei, quel giorno.
A Michael bastò guardarla mentre se ne stava in piedi davanti al leggio, ad affrontare i suoi concittadini che lui stesso aveva convocato per quel consiglio comunale straordinario. Parlavano tutti insieme animatamente, esternando paure più che giustificate. La giovane assistente sociale ascoltava, in silenzio.
«Michael, ma questo DM... come diavolo hai detto che si chiama?» chiese qualcuno.
«DMBE.» Era la sostanza tossica che avevano identificato nell'acqua. Glielo avevano comunicato soltanto un'ora prima.
«Sì, insomma, mia moglie è incinta e ho altri tre bambini a casa. Siamo sicuri che il problema sia solo all'Hopechest?»
Michael si avvicinò al microfono. «Finora i sintomi dell'intossicazione sono stati riscontrati solo sui ragazzi che vivono all'Hopechest o su alcuni membri del personale che ci lavorano.»
«Ma perché avvelenare l'acqua che bevono quei ragazzini?»
«Perché quelli sono un branco di smidollati scansafatiche buoni a nulla, ecco perché!» si intromise una voce burbera.
E finalmente gli occhi viola di Suzanne presero vita, accendendosi di collera. «Solo perché sono quarant'anni che non ha bambini in giro per casa, non significa che lei non abbia il dovere morale di aiutare quelli meno fortunati, Homer Wentworth!»
Michael gioì tra sé e sé. Quella vecchia cornacchia di Homer sarebbe stato pronto a innalzare un muro di cinta intorno alla sua proprietà e a ignorare il resto del mondo. Ma aveva scelto la persona sbagliata per mettersi a discutere. Se c'era una cosa che Suzanne Jorgenson difendeva a spada tratta erano i ragazzi dell'Hopechest, che provenivano da famiglie disastrate.
Da quando era arrivata a Prosperino alcuni mesi prima, Michael l'aveva vista spesso salire sul podio e prendere la parola per battagliare con le autorità, battendo i piedi per pretendere che venissero rispettati i diritti di quei ragazzini indifesi. Diritti che troppo spesso la comunità calpestava.
Combattiva e piena di energia, Suzanne era capace di far caricare l'aria di elettricità durante i consigli comunali. A volte lui stesso le gettava l'amo. E immancabilmente Suzanne abboccava, partendo in quarta e innescando accese diatribe. Sebbene ufficialmente lei fosse lì in rappresentanza delle ragazze madri della Emily's House, un'altra iniziativa finanziata dalla fondazione Hopechest, si infiammava ogni volta che venivano lesi gli interessi degli indifesi e dei meno fortunati.
Tuttavia, in un momento così delicato per Prosperino, Michael capiva quanto fosse importante che tutti mantenessero la calma e restassero uniti.
Batté il martelletto, richiamando l'adunanza all'ordine e al silenzio. «Homer, sono qui per assicurare a tutta la cittadinanza che la situazione è sotto controllo. Le cisterne d'acqua da cui ci approvvigioniamo vengono controllate continuamente...»
«C'è chi pensa che faremmo meglio ad andarcene, signor sindaco» lo interruppe una vecchietta seduta in seconda fila.
«Ognuno è libero di fare come crede. Io resto qui. Presto sapremo il motivo per cui il DMBE è finito nella cisterna dell'Hopechest. Nel frattempo, gli esperti pagati generosamente da Joe Colton lavorano giorno e notte per trovare il modo di neutralizzare questa sostanza tossica nell'acqua, se dovesse finire anche in quella che esce dai nostri rubinetti.»
Tra i presenti si levò un timido applauso rivolto a Joe Colton, che presenziava al consiglio assieme alla moglie Meredith.
«A questo punto, dobbiamo decidere come organizzarci coi ragazzi dell'Hopechest che per fortuna non sono rimasti intossicati. Blake, in che modo possiamo esserti di aiuto?» riprese Michael.
Blake Fellon, direttore dell'Hopechest Ranch, era in piedi accanto a Suzanne. «Cerchiamo una trentina di famiglie che siano disposte a ospitare uno o due dei nostri ragazzi. Per come stanno le cose, riteniamo sia più prudente allontanarli dal ranch, anche se adesso abbiamo chiuso i pozzi e beviamo solo acqua che ci facciamo consegnare quotidianamente.»
«Blake...» Joe Colton si alzò dalla sua sedia, prendendo la parola. «Io e Meredith avremmo pensato a una soluzione. Nel nostro ranch abbiamo posto a sufficienza per tutti quei ragazzi. Così non sareste costretti a dividerli.»
«Le ragazze della Emily's House devono seguire una dieta speciale» gli fece notare Suzanne. «E devono essere accompagnate periodicamente in ospedale per i controlli. Siete sicuri di volervi addossare un impegno simile?»
Joe annuì. «L'Hopechest Ranch è una nostra creatura.» Sorrise alla moglie che aveva perduto e miracolosamente ritrovato. «Ci sembra la cosa più giusta da fare. Naturalmente contiamo sull'aiuto di tutto il personale dell'Hopechest, che sarà libero di andare e venire dal nostro ranch per tutto il tempo necessario.»
«Grazie di cuore, Joe» gli rispose Blake Fellon. «Faremo del nostro meglio per approfittare il meno possibile della vostra disponibilità e generosità. Dico bene, Suzanne?»
I lunghi capelli corvini le ricaddero sul viso dall'incarnato di pesca mentre lei annuiva. «Dici bene.»
«Allora la questione è risolta» concluse Michael. «Continueremo a fornire aggiornamenti sulla questione acqua sul nostro sito web. E per quelli tra voi che fanno finta che Internet non esista... affiggeremo ogni giorno un avviso sulla bacheca esterna.» Scrutò i visi ancora perplessi dei suoi concittadini e attese che in sala tornasse il silenzio. «Mio padre è in condizioni critiche e non ho intenzione di trasferirlo altrove né intendo farlo io. Questo per farvi capire che sono sicuro che tutto si sistemerà. Stiamo lavorando tutti quanti per garantirvi che non correte alcun pericolo. Per qualsiasi altro dubbio, sapete dove si trova il mio ufficio. Anche se poi, già lo so, finite per venirmi a cercare a casa mia» aggiunse, provocando qualche risatina in sala. «Comunque, io non vado da nessuna parte e sono sempre a disposizione. Ci sono altre domande?» Attese per qualche secondo ma nessuno fiatò. «Bene. Per ora è tutto.» Batté il martelletto. «La seduta è aggiornata.»
«Andiamo a parlare con Joe per vedere quando possiamo portare i ragazzi alla Hacienda del Alegria» disse Blake Fellon.
Suzanne guardò pensosa in direzione della sala che cominciava a svuotarsi. Sensibile com'era alle vibrazioni che avvertiva intorno a sé quando l'aria si surriscaldava, aveva sentito sulla pelle l'ansia di tutta quella gente; il sindaco era stato abile a smorzarla con la sua disinvoltura.
«Suzanne, mi hai sentito?»
«Ehm... sì, andiamo.»
Ma non era solo disinvoltura, quella di Michael Longstreet. Il loro sindaco aveva tatto, modi garbati e una parlantina sciolta capace di lasciare a bocca aperta chiunque. Non per niente faceva l'avvocato. E non per niente spesso e volentieri la spuntava nei loro accesi e frequenti battibecchi.
Lo guardò di sfuggita. Capelli castani schiariti dal sole, che non tagliava da chissà quanto tempo, il solito paio di jeans, scarpe di pelle scamosciata. Nessuno, a guardarlo, lo avrebbe preso per un ex studente di Yale, laureato con lode in Giurisprudenza. Intelligente, ricco sfondato... e sì, anche belloccio. Avrebbe potuto ambire alla poltrona di socio in un prestigioso studio legale di Wall Street, invece si accontentava di fare il sindaco a Prosperino. Chissà perché.
Suzanne non lo sapeva e non le interessava. A lei, in quel momento, interessava solo sistemare i ragazzi dell'Hopechest. Alla Emily's House aveva otto ragazze madri cacciate di casa. Otto giovani incinte che avevano bevuto l'acqua contaminata e temevano per la vita delle loro creature.
Per non parlare dei quarantotto ragazzini che ancora dormivano al ranch, tutti con problemi seri e in uno stadio particolarmente delicato del loro sviluppo emotivo.
Qualcuno la toccò delicatamente su un braccio. «Hai un'aria stanca, Suzanne. Sarà un momentaccio, sia per te sia per Blake.» A parlare era stata Meredith Colton, la dolcezza e l'eleganza fatte persona.
«Siamo tutti allo stremo delle forze» confermò lei. «Non abbiamo un attimo di tregua, come può immaginare.»
«Sicura che sia solo questo? Hai come lo sguardo spento...»
Non appena avesse avuto un momento, Suzanne si sarebbe andata a scavare un buco da qualche parte per nascondersi ed evitare la bomba che le era piovuta addosso un attimo prima che uscisse di casa per recarsi a quel consiglio. «Non è niente. Sto bene.» Cercò di sorridere. «Pensiamo a quei poveri ragazzi, piuttosto. A come dovremo sistemarli...»
Michael uscì dal comune insieme a Blake. Lo accompagnò alla macchina e aspettò che partisse. Quindi rimase per qualche istante sul marciapiede della via principale di Prosperino, la città in cui conservava tutti i ricordi della sua infanzia. Pensò al figlio che non avrebbe mai portato in bicicletta su quelle strade, che non si sarebbe mai arrampicato su un albero del parco.
E il dolore feroce di sempre tornò a dilaniargli l'anima. Nessun genitore di Prosperino avrebbe perso un figlio per colpa di quell'acqua contaminata, giurò solennemente a se stesso. Lui non avrebbe avuto pace finché tutta quanta la città non fosse stata al sicuro da quel terribile pericolo.
Non poteva più fare nulla per la donna e per il bambino che aveva seppellito dall'altra parte del continente. Non poteva far niente per suo padre, che si stava spegnendo, o per esaudire il desiderio del vecchio genitore di vederlo sposato.
Ma poteva