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Dolce sbaglio: Harmony Collezione
Dolce sbaglio: Harmony Collezione
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Ebook166 pages2 hours

Dolce sbaglio: Harmony Collezione

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About this ebook

Sbagliare è umano, perseverare... può essere anche divino.
Mia Gardiner sapeva bene che il suo interesse per Carlos O'Connor era del tutto insensato. Lui apparteneva a un altro mondo, ed era fin troppo al di là delle sue possibilità. Ma dal giorno in cui lo sguardo di Carlos si è posato su di lei, tutto è cambiato...
Sono passati otto anni da allora, Mia è diventata una donna e una persona più saggia ed esperta, ma non ha mai dimenticato le incredibili sensazioni provate grazie a Carlos. E adesso lui è tornato nella sua vita come un turbine.
LanguageItaliano
Release dateApr 10, 2020
ISBN9788830513341
Dolce sbaglio: Harmony Collezione
Author

Lindsay Armstrong

Dicono che l'Africa resti per sempre nel cuore di chi vi è nato... Lindsay Armstrong è nata in Sud Africa ed è cresciuta con tre ambizioni ben precise: diventare una scrittrice, vedere il mondo e diventare guardia forestale. Non è riuscita a realizzare il suo ultimo obiettivo, ma l'amore per la natura selvaggia e per l'Africa non l'ha mai abbandonata.

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    Book preview

    Dolce sbaglio - Lindsay Armstrong

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Return of Her Past

    Harlequin Mills & Boon Modern Romance

    © 2013 Lindsay Armstrong

    Traduzione di Sonia Indinimeo

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3051-334-1

    Prologo

    Mia Gardiner stava preparando la cena per i suoi genitori, quando scoppiò il temporale con un preavviso davvero minimo.

    Un attimo prima stendeva la pasta, un attimo dopo correva per le stanze della vecchia casa, conosciuta come West Windward, residenza della facoltosa famiglia O’Connor, per chiudere porte e finestre mentre le gocce di pioggia mitragliavano il tetto come proiettili.

    Fu quando andò a chiudere l’ingresso principale che una figura scura e gocciolante emerse dall’oscurità e avanzò barcollando verso di lei.

    Il cuore le balzò in gola per lo spavento, poi lo riconobbe.

    «Carlos? Sei tu? Ma cosa...? Come stai?» gli chiese allarmata, notando il sangue che gli colava da una brutta ferita sulla tempia. «Cos’è successo?» volle sapere sorreggendolo con tutte le sue forze per impedirgli di crollare.

    «Un ramo è caduto mentre andavo dal garage alla casa e mi ha colpito alla testa» spiegò lui con aria un po’ confusa. «Questa è proprio una tempesta!» aggiunse.

    «Non ti sbagli.» Mia gli appoggiò la mano sulla spalla. «Vieni con me, ti medico la ferita.»

    «Quello di cui adesso ho bisogno è qualcosa di forte!» protesto lui, ondeggiando di nuovo.

    «Vieni» disse Mia, portandolo verso l’alloggio della governante, nel piccolo ma confortevole soggiorno che si affacciava sulla cucina.

    Lei tolse il lavoro a maglia della madre dal divano, su cui Carlos O’Connor si adagiò, con gratitudine. A dire il vero ci crollò sopra e chiuse gli occhi con un lungo lamento.

    Mia non perse tempo. Pulì, disinfettò e fasciò la ferita, mentre fuori la grandine aveva rapidamente preso il posto della pioggia.

    D’un tratto mancò la luce e la casa precipitò nella più completa oscurità. Accadeva spesso durante i temporali e per fortuna sua madre teneva alcune lampade a olio nel ripostiglio. Avanzò incespicando al buio e ne trovò due. Le accese e le portò in soggiorno.

    Carlos giaceva immobile, con gli occhi chiusi. Era bianco come un lenzuolo.

    Lo fissò e si sentì avvolgere da un’ondata di tenerezza. Era l’uomo più attraente che avesse mai visto. Un metro e ottantacinque di muscoli tesi sotto la pelle olivastra, capelli corvini e profondi occhi grigi nei quali scintillava spesso la fiamma indomita di una naturale passionalità, che tradiva le sue origini spagnole.

    A soli quindici anni, Mia aveva preso una cotta tremenda per lui. E come avrebbe potuto evitarlo?, si era chiesta spesso. Come avrebbe potuto essere immune al suo fascino, alla devastante aura di virile sensualità che lo circondava?

    Doveva avere una decina d’anni più di lei, ma non si era mai dovuta porre il problema. Purtroppo...

    Non che avesse avuto tante occasioni di vederlo, negli ultimi cinque anni. Carlos non viveva nella proprietà in cui era cresciuto. Si era trasferito a Sydney e tornava a casa di tanto in tanto. Di solito si fermava solo per un paio di giorni durante i quali cavalcava, non solo il suo cavallo, ma anche un rumoroso quad. Anche Mia aveva un cavallo e le era stato permesso di tenerlo nella proprietà. Quella passione era l’unica cosa che avevano in comune.

    In passato avevano fatto delle magnifiche cavalcate insieme, ma Carlos non aveva mai mostrato di aver capito l’effetto che esercitava su di lei.

    All’inizio, i suoi sogni a occhi aperti erano stati semplici, romantici e infantili, ma negli ultimi due anni si erano fatti più arditi e lei aveva cominciato a pensare che sarebbe stato meglio dimenticare Carlos O’Connor. Era un milionario e lei era solo la figlia della governante.

    Era fuori dalle sue possibilità. Cosa aveva lei da offrirgli in più rispetto alle sofisticate bellezze da copertina che a volte lo accompagnavano nelle sue visite?

    «Mia?»

    Riemerse dai suoi pensieri con un sobbalzo e vide che Carlos aveva aperto gli occhi.

    «Come ti senti?» Si inginocchiò accanto a lui e abbassò la lampada. «Ti fa male la testa? Vedi doppio? O hai altri strani sintomi?»

    «Sì.» Ci pensò un momento.

    Mia aspettò. «Cosa?» lo sollecitò impaziente e preoccupata. «Dimmi! Non credo di riuscire a convincere un medico a venire con questo...» E fece un gesto vago indicando il tetto da cui proveniva il frastuono assordante della grandine. «Ma...»

    «Non mi serve un dottore» mormorò lui, avvicinandosi pericolosamente. «Solo questo. Sei cresciuta, Mia e sei diventata molto attraente...»

    Lei rimase senza fiato mentre le sue braccia le si stringevano attorno e in qualche modo, non capì bene come, si trovò stesa accanto a lui sul divano. «Carlos!» protestò, tentando di mettersi a sedere. «Che cosa stai facendo?»

    «Rilassati» mormorò lui.

    «Ma... ecco... a parte tutto, potresti avere un trauma alla testa!»

    «Se così fosse, calma, calduccio e comfort sarebbero raccomandati, non sei d’accordo?» suggerì con un’aria seria e una faccia da sberle.

    «Io... tu... forse ma...» Mia si arrese, impotente.

    «Ecco. Ed è proprio quello che tu sei in grado di offrirmi, signorina Gardiner. Quindi, ti dispiacerebbe evitare di dimenarti e sgusciare via come una sardina intrappolata?»

    «Una sardina intrappolata?» ripeté Mia indignata. «Ma come ti permetti?»

    «Mi dispiace. Non è una delle mie analogie migliori. Che ne dici di sirena intrappolata? Sì, è meglio... non trovi?» Le fece scivolare le mani sul corpo e la strinse a sé. «Sardina... Devo essere matto!» esclamò.

    Mia respirò a fondo e si preparò a dirgli che era matto davvero, quando improvvisamente le venne da ridere. Risero insieme, a lungo e fu la cosa più bella che le fosse mai capitata da tempo.

    Mia si abbandonò tra le sue braccia e quando Carlos iniziò a baciarla, non oppose resistenza. Era completamente soggiogata dall’estasi che si era impossessata di lei, nutrita dal tocco delle sue mani, dal sapore delle sue labbra, mentre le sussurrava che la sua bocca era sensuale, che la sua pelle sembrava di seta e i suoi capelli erano neri come la notte.

    Divenne consapevole del suo corpo in modi che non aveva mai conosciuto prima, mentre incessanti rivoli di desiderio la scuotevano dal profondo di ogni sua fibra. Era stregata da quel corpo possente, dai suoi lineamenti scolpiti, dalle spalle muscolose e dal modo in cui le sue mani le procuravano il piacere più intenso che avesse mai provato.

    Mia ricambiò il bacio e una volta finito, lo circondò con le braccia e rimase stesa accanto a lui, in silenzio. Non riusciva ancora a rendersi conto di quello che era accaduto, ma di una cosa era certa. Contrariamente a ciò che aveva sempre pensato, non era affatto impossibile che Carlos O’Connor si sentisse attratto da una ragazzina diciottenne. Per quale altro motivo avrebbe sottolineato il fatto che era cresciuta e che era diventata attraente?

    O era solo colpa della botta in testa?

    Due giorni dopo Mia lasciò la tenuta degli O’Connor e partì per il Queensland, dove aveva ottenuto l’ammissione all’università.

    Aveva salutato i suoi genitori, orgogliosi di lei ma infinitamente tristi per la sua partenza. Lei si era consolata pensando che entrambi amavano il loro lavoro alla tenuta. Suo padre aveva un gran rispetto e molta ammirazione per Frank O’Connor che aveva trasformato la sua impresa di costruzioni in una holding di successo. Purtroppo, il vecchio capofamiglia di recente era stato colpito da un ictus che lo aveva ridotto su una sedia a rotelle, lasciando il peso degli affari sulle spalle del figlio Carlos.

    Era stata Aranxta, la madre, una minuta donna spagnola che in gioventù era stata bellissima ma che ancora adesso rappresentava un’icona di stile, ad aver dato al suo unico figlio un nome spagnolo. Ed era sempre lei, tra gli O’Connor, quella che amava appassionatamente la tenuta di West Windward, nella Hunter Valley.

    La madre di Mia si prendeva cura della casa, con tutti i suoi oggetti d’arte, gli inestimabili tappeti, le preziose tappezzerie e la ricercata biancheria di lino e seta. Suo padre invece, si occupava dei giardini.

    In qualche modo Mia aveva ereditato i talenti di entrambi i genitori. Amava il giardinaggio e il più grande complimento che il padre le avesse mai fatto era stato di dirle che aveva il pollice verde. Dalla madre aveva preso l’occhio per il dettaglio decorativo e l’amore per la buona cucina.

    Mia era consapevole di dovere molto ai suoi genitori. Avevano fatto parecchi sacrifici e risparmiato per darle la migliore educazione, in un collegio privato. Ecco perché li aiutava come poteva quando era a casa e sapeva di coronare un loro grande sogno, andando all’università.

    Ma mentre saliva in macchina, due giorni dopo la tempesta, i suoi pensieri erano confusi, la testa le girava ancora e aveva il cuore stranamente in subbuglio.

    Raccolse tutte le sue forze e se ne andò senza guardarsi indietro.

    1

    «Sarà presente Carlos O’Connor» mormorò intimorita Gail, l’assistente di Mia Gardiner.

    Per un attimo le mani di Mia, impegnate a preparare una complicata composizione floreale, si fermarono a mezz’aria. Si riprese subito e ricominciò a disporre le rose nella ciotola. «Be’, è il fratello della sposa» disse con noncuranza.

    Gail scrutò la lista degli ospiti e guardò il suo capo. «Come lo sai? Non hanno lo stesso cognome.»

    «In realtà è il fratellastro» si corresse Mia. «Stessa madre spagnola, ma padri differenti. Hanno un paio d’anni di differenza. Penso che lei avesse meno di due anni quando è morto suo padre e la madre si è risposata col padre di Carlos.»

    «Come lo sai?» domandò Gail.

    Mia indietreggiò per ammirare il suo lavoro, ignorando la breve fitta che le trapassò il cuore. «Non c’è molto che non si sappia sugli O’Connor.»

    Gail strinse le labbra senza fare commenti e si concentrò sulla lista degli ospiti. «Qui dice solo Carlos O’Connor e partner. Non dice chi sia la partner. Devo aver letto qualcosa su lui e Nina French.» Gail indugiò un attimo. «Lei è stupenda! E non sarebbe bello sposare tutti quei soldi? Lui possiede una fortuna, no? Ed è anche bello, Carlos O’Connor. Non ti pare?»

    «Indubbiamente» rispose Mia guardando arcigna la vaschetta di ortensie blu e rosa ai suoi piedi. «E questi dove li metto, ora? Per quel che ne so, una zuppiera Wedgwood potrà sembrare strana ma sono sicura che questi fiori ci staranno benissimo. Cosa stai facendo, Gail?» chiese con decisione, vedendola un po’ imbambolata.

    Gail riemerse dal suo piacevole fantasticare su Carlos O’Connor e sospirò. «Sto giusto andando ad apparecchiare i tavoli» disse altezzosa e si allontanò, spingendo il carrello con le posate.

    Mia fece una smorfia e andò a cercare la zuppiera Wedgwood.

    Alcune ore dopo, quando il sole calò su Mount Wilson, Mia stava ancora lavorando. Aveva finito di sistemare i fiori da un pezzo e si era rintanata nel suo piccolo ufficio, quartier generale del Bellbird Estate.

    Era da quell’ufficio, nell’edificio principale della vecchia fattoria, che gestiva l’organizzazione di cerimonie ed eventi. Un business che stava crescendo in fretta grazie alla sua abilità e al passaparola che stava rendendo Bellbird Estate un must per chi desiderava sorprendere i propri ospiti.

    Non solo la vecchia casa si prestava magnificamente agli eventi, ma Mia aveva saputo valorizzare al massimo i tesori che conteneva. Meravigliosi vecchi mobili, vasi, lampade, tovaglie preziose e una bella collezione di ceramiche, inclusa la zuppiera Wedgwood momentaneamente

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