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Spari nel parco (eLit): eLit
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Spari nel parco (eLit): eLit

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About this ebook

Gli agenti federali Rob Dunnemore e Nate Winter si stanno concedendo una tranquilla passeggiata nel parco, al termine di una conferenza stampa in cui gli U.S. Marshal hanno annunciato la cattura di un pericoloso criminale, quando sentono degli spari e Rob cade a terra ferito.



Sarah Dunnemore, sorella di Rob, alla notizia si precipita dal fratello imbattendosi così nell'intransigente Nate, la cui principale preoccupazione è inchiodare l'attentatore. Lui sospetta che Sarah gli stia nascondendo qualcosa di fondamentale, soprattutto quando scopre il suo ruolo di confidente di un famoso ex vicino di casa: il Presidente degli Stati Uniti.



Su richiesta di Rob, Nate segue Sarah alla vecchia casa di famiglia, Nigth's Landing, dove l'attrazione immediata e reciproca che hanno provato al primo incontro diventa ancora più intensa. Ma Nate non permetterà a niente e a nessuno di frapporsi tra sé e la verità.
LanguageItaliano
Release dateOct 30, 2017
ISBN9788858978290
Spari nel parco (eLit): eLit
Author

Carla Neggers

Carla Neggers is the New York Times bestselling author of the Sharpe and Donovan series featuring Boston-based FBI agents Emma Sharpe and Colin Donovan and the Swift River Valley series set in small-town New England. With many bestsellers to her credit, Carla and her husband divide their time between their hilltop home in Vermont, their kids' places in Boston and various inns, hotels and hideaways on their travels, frequently to Ireland. Learn more at CarlaNeggers.com.

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    Spari nel parco (eLit) - Carla Neggers

    successivo.

    1

    La conferenza stampa si concluse, finalmente, dopo novanta minuti. Se fosse dipeso da Nate Winter, l'intera faccenda si sarebbe potuta risolvere in un quarto d'ora al massimo. Annunciare i risultati dell'operazione congiunta della task force per la cattura degli evasi. Delinearne il futuro. Rispondere a qualche domanda. Fatto.

    Ma i cronisti avevano una sconcertante capacità di trovare nuovi modi per porre le stesse domande che avevano appena fatto e i politici di ripetere quello che avevano già detto. I pezzi grossi dell'FBI, degli U.S. Marshal e del Dipartimento di polizia di New York volevano la loro parte di credito. Meritatamente, forse. Ma Nate voleva solo tornare al lavoro.

    Si defilò dalla soffocante sala per le conferenze al piano terreno di un lussuoso albergo di Central Park South, scelto dall'ufficio del sindaco, e uscì in strada, respirando a pieni polmoni l'aria gelida di New York.

    Era mezzogiorno. Il traffico era intenso. Alcuni passanti avevano aperto gli ombrelli, ma non stava realmente piovendo. Era solo una nebbiolina che aleggiava nell'aria. Tutti aspettavano con impazienza una vera giornata primaverile. Era la prima settimana di maggio, ma sembrava che fosse ancora marzo.

    Rob Dunnemore, il collega U.S. Marshal che era uscito con lui, incurvò le spalle contro il freddo.

    «Il mio sangue meridionale sta protestando.»

    Nate scoccò un'occhiata al collega più giovane. Portavano entrambi il loro migliore completo scuro, più le rispettive semiautomatiche calibro nove, manette e distintivi. La ferraglia non era visibile, ma Nate dubitava di poter passare per un uomo d'affari di New York.

    «A me sembra che la temperatura vada benissimo.»

    «Lo credo. Ci scommetto che la neve non si è ancora sciolta, dalle tue parti.»

    Cold Ridge, New Hampshire, nel cuore delle White Mountains. Nate non era più tornato a casa dal matrimonio di Carine, in febbraio.

    «Mio zio dice che c'è ancora neve sulle cime, ma a valle si è sciolta.»

    «Il gelido nord.» Rob rabbrividì esageratamente. Possedeva quel genere di bellezza bionda e di fascino del Sud, con un tocco di pericolo, che aveva un effetto irresistibile sul personale ausiliario femminile... e su più d'una collega. «New York è troppo fredda per me. Vieni, ho bisogno di una dose di primavera. Andiamo a vedere i tulipani a Central Park.»

    «Tulipani? Dunnemore, di che diavolo stai parlando?»

    «Ho visto un milione di tulipani quando sono stato in Olanda a trovare i miei, un paio di settimane fa» spiegò Rob sorridendo. «Ormai non posso più farne a meno.»

    Prima che Nate potesse rispondere, approfittò di una breccia nel traffico per arrischiarsi ad attraversare Central Park South. Nate, che era più alto e asciutto, lo seguì a passo più lento. Non era ancora abituato al vasto ventaglio di interessi del collega. Non aveva idea del perché Rob Dunnemore fosse finito del corpo degli U.S. Marshal, e meno che mai del motivo per cui era stato assegnato al distretto di New York. I Dunnemore erano una prestigiosa famiglia del Tennessee. Rob aveva studiato in scuole private a Nashville e a Washington e si era laureato alla Georgetown University. Aveva trascorso un anno all'estero. A Parigi. Era stato dappertutto e parlava sei o sette lingue, compreso l'arabo e il farsi. Prima o poi qualcuno a Washington lo avrebbe rastrellato per affidargli un lavoro di intelligence.

    Pur essendo a New York da soli quattro mesi, Rob notava tutto. Dopo cinque anni, Nate non si accorgeva neppure più della sporcizia e del rumore. La città gli piaceva, ma non si faceva illusioni. Non ci sarebbe rimasto. Si parlava di metterlo dietro una scrivania al quartier generale degli U.S. Marshal di Arlington, Virginia. Sarebbe stata una grossa promozione, dopo una dozzina d'anni passati per le strade.

    Lui e Rob scesero i gradini all'angolo fra la Quinta e la Cinquantanovesima ed entrarono nel parco dal lato sudest. Normalmente, il parco era affollato, ma in quella fredda giornata era quasi deserto. Il traffico sembrava distante, come se fossero entrati in un'oasi in mezzo ai grattacieli e a milioni di persone. L'erba era verde e folta, le foglie andavano infittendosi sugli alberi e sui cespugli, sul ripido pendio fra la recinzione e il famoso lago ellittico. Pioveva giusto abbastanza da punteggiare di piccoli cerchi la superficie grigia dell'acqua.

    «I tulipani sono straordinari, vero?» Rob si avvicinò al lago percorrendo la leggera curva del sentiero che lo costeggiava. «Mia sorella dice che la fioritura è già finita, nel Tennessee.»

    «Cristo, Rob, ho del lavoro che mi aspetta. Non posso perdere tempo a guardare i fiori.»

    «Che c'è? Noi duri Marshal non possiamo apprezzare i tulipani?»

    Nate si costrinse a guardare le migliaia di tulipani fioriti che formavano come delle onde sul pendio a destra del sentiero, di fronte al lago. Rosa scuro, rosa chiaro, bianco... i fiori aggiungevano un allegro tocco di colore alla giornata cupa.

    «Va bene, ho apprezzato i tulipani.»

    «Quando fioriscono i tulipani nel New Hampshire? In luglio?»

    «Siamo indietro di un paio di settimane rispetto a New York.»

    Probabilmente di più, quell'anno, stando a suo zio. Anche per un autentico ed esperto nativo del New Hampshire come Gus Winter, era stato un inverno lungo. Più neve del normale, più giorni con temperature che scendevano sotto zero... e in mezzo un matrimonio il giorno di San Valentino. La seconda delle sorelle minori di Nate, Carine, e il suo amico d'infanzia, Tyler North, si erano finalmente sposati. Erano quasi arrivati all'altare l'anno prima, ma il matrimonio era saltato all'ultimo momento. C'erano voluti un omicidio a Boston e una pericolosa avventura con uno psicopatico sulla famigerata Cold Ridge, nelle White Mountains, perché ritrovassero il buonsenso e, finalmente, si sposassero.

    L'ottobre precedente, l'altra sorella di Nate, Antonia, aveva sposato Hank Callahan, eletto subito dopo senatore del Massachussets.

    Nessuno aveva detto: Adesso tocca a te, ma Nate aveva sentito nell'aria il commento. Non aveva alcuna intenzione di sposarsi mentre lavorava ancora nelle strade. Era rimasto orfano da bambino. Preferiva non avere nessuno che si preoccupasse che tornasse a casa la sera. Una moglie, dei figli. Un cane. Non possedeva neppure un gatto!

    Gus, almeno, lo lasciava in pace. Suo zio aveva varcato da un po' la cinquantina, ormai, e non si era mai sposato. Aveva solo vent'anni quando gli era toccato di allevare i tre nipoti, dopo che i loro genitori erano morti assiderati su Cold Ridge, la montagna che incombeva sul piccolo paese in cui erano nati, e che portava lo stesso nome.

    Nate aveva lasciato Cold Ridge a diciotto anni e non era mai tornato a viverci.

    Non l'avrebbe mai fatto.

    «Ho visto i cornioli quando sono stato a casa in aprile» disse Rob con il suo gradevole accento del Sud. «Non se ne vedono molti, qui.»

    «Dunnemore? Hai intenzione di continuare a parlare di fiori per tutto il pomeriggio?»

    «I cornioli sono alberi che fioriscono...»

    «Lo so. Risparmiami.»

    «Dovresti venire a Nashville. Mia sorella...» Rob trasalì all'improvviso. Il suo corpo ebbe un sussulto, le ginocchia s'irrigidirono mentre si portava la mano al lato sinistro dell'addome. «Cristo. Nate... Cristo!»

    Nate estrasse la pistola, ma si disse che Rob poteva anche avere solo uno spasmo alla schiena... o un attacco di cuore. Non imprecava quasi mai. Doveva essere successo qualcosa. Forse l'aveva punto un'ape. Era allergico?

    Rob indietreggiò di un passo, barcollando. La giacca si aprì.

    Sangue.

    Filtrava fra le dita e si allargava sulla camicia bianca, sul lato sinistro del petto.

    Una quantità di sangue.

    «Mi hanno sparato» disse lui, crollando.

    Nate lo afferrò attorno alla vita con il braccio sinistro, impugnando ancora l'arma nella destra. E si guardò attorno in cerca di un riparo. Scorse una roccia sporgente vicino al lago, dall'altro lato del sentiero.

    La persona che aveva sparato... dove diavolo era?

    Rob cercò di obbligare i propri piedi a muoversi, ma Nate praticamente lo trascinò verso le rocce. Poi si rese conto che non aveva sentito alcun colpo. A quanto pareva, nessun lo aveva sentito. La gente se ne andava per i fatti suoi. Due donne anziane con le borse della spesa, un uomo di mezz'età che faceva jogging, un giardiniere del parco che lavorava dentro un'aiuola, dal lato più lontano.

    Erano tutti potenziali bersagli.

    «State giù!» gridò Nate. «Agenti federali! State giù! Presto!»

    Il giardiniere si tuffò a terra senza esitazione. Le due donne e l'uomo che faceva jogging lo imitarono, dopo un attimo d'incertezza, coprendosi la testa con le mani.

    Le rocce sembravano lontane un miglio. Nate non aveva idea da dove fosse giunto lo sparo. Fifth Avenue? Central Park South? I cespugli lungo la riva del lago offrivano parecchi punti in cui un cecchino poteva nascondersi.

    Un tiratore scelto poteva essere lontano centinaia di metri.

    Una pallottola gli si conficcò nell'avambraccio sinistro. Imprecò, ma non lasciò andare Rob, né la pistola.

    Decisamente non si era sentito alcun colpo. Il delinquente usava il silenziatore.

    «Tieni premuta la ferita» ordinò a Rob. «Non lasciarla. Hai capito? Chiedo aiuto.»

    Prima che potesse alzarsi in piedi, un poliziotto a cavallo si avvicinò.

    «Che co...»

    «Cecchino» tagliò corto Nate. «Scenda da quel cavallo, prima...»

    Non ci fu bisogno di concludere. L'agente vide il sangue sulla camicia di Rob, vide il distintivo alla sua cintura e smontò, sbraitando nella radio per chiedere aiuto. Agenti feriti. Cecchino al lago di Central Park.

    Nate sapeva che la polizia sarebbe arrivata in pochi secondi.

    «Siete feriti entrambi?» chiese l'agente.

    Nate annuì.

    «Siamo U.S. Marshal. Il cecchino ha usato un silenziatore.»

    «Va bene. State calmi.»

    Rob gemette e la mano gli scivolò via dalla ferita. Nate gli andò in aiuto, premendola con la propria mano, come richiedeva l'addestramento di pronto soccorso. Adesso sentiva il dolore al braccio. La manica della giacca era strappata e insanguinata. Dov'era il bastardo che gli aveva sparato?

    Chi sarebbe stato il prossimo?

    L'agente urlava ordini ai passanti.

    Sirene. Una quantità di sirene sulle strade.

    Nate guardò le migliaia di tulipani che coloravano il cupo scenario.

    Che cosa diavolo era successo?

    2

    Sarah Dunnemore ficcò un bastoncino di cannella fra i cubetti di ghiaccio e la fetta d'arancia nel bicchiere alto di punch dolce al tè e si appoggiò allo schienale della vecchia sedia a dondolo di vimini, nella casa di tronchi della sua famiglia, che risaliva al 1918. L'aria era tiepida, senza traccia, ancora, del calore e dell'umidità che l'estate del Tennessee avrebbe portato con sé, e il cielo era lavato dalla pioggia del giorno prima. Una brezza leggera saliva dal fiume, portando un lieve profumo di rose.

    Da qualche parte, nelle vicinanze, un uccello cinguettava.

    Sarah era arrivata a casa preparata al peggio: falle nel tetto, erba alta, pipistrelli, topi, cibo andato a male nel frigorifero... I suoi genitori erano stati per l'ultima volta a Night's Landing ai primi di aprile, anche se non necessariamente avrebbero notato tutti quegli inconvenienti, o vi avrebbero posto rimedio. Ma avevano assunto un nuovo giardiniere, come sua madre definiva l'uomo che si occupava della proprietà, e sembrava che la cosa funzionasse. Non era ancora sparito, come tanti suoi predecessori, ed era in gamba nel suo lavoro. Il prato era ben tenuto, i fiori e gli ortaggi prosperavano e la casa era in buone condizioni, in quel perfetto pomeriggio di inizio maggio.

    I Dunnemore erano arrivati sul fiume Cumberland alla fine del diciottesimo secolo e vi erano sempre rimasti, a volte vivendo fra mille difficoltà, a volte prosperando... e sempre correndo avventure e troppo spesso morendo giovani.

    Dopo un solo sorso del suo punch, Sarah decise di non bere l'intera caraffa da sola. Era anche più dolce di come lo ricordava. Era tornata a casa l'ultimo Natale, ma il punch al tè era una ghiottoneria estiva. Era riuscita ad andare a Night's Landing solo una volta, l'estate precedente, una visita lampo che non le aveva consentito un pomeriggio di ozio nel portico.

    Il portico era ombreggiato da una grande quercia su cui lei e suo fratello Rob si arrampicavano da bambini. Ma anche i rami inferiori erano troppo in alto, ormai. Lei e Rob si nascondevano lassù per spiare la nonna Dunnemore e loro padre che discutevano di politica nel portico, o la loro madre che sgusciava fagioli e canterellava fra sé, credendo di essere sola.

    Sarah aveva preparato il punch tuffando le bustine di tè nella vecchia teiera della nonna, lasciandolo riposare nel portico per un'ora, e poi aggiungendo una litania di ingredienti: succo d'arancia, succo di limone, estratto di menta, spezie, zucchero. Sapeva che era meglio non rifletterci a lungo, o non l'avrebbe bevuto. Non le veniva mai voglia di punch dolce, tranne quando era a casa, nel Tennessee.

    I suoi amici in Scozia avevano storto il naso quando aveva descritto la ricetta della nonna.

    «Sprecate del buon tè in questo modo?»

    Be', no. Lei usava il tè in bustine più a buon mercato che riusciva a trovare.

    Non dava peso ai commenti scherzosi dei suoi amici. Anche loro avevano la loro parte di stranezze alimentari.

    Aveva trascorso tre settimane in Scozia in autunno, e poi gli ultimi tre mesi filati, lavorando senza interruzione a completare l'ultimo di una serie di progetti sotto un solo, impegnativo titolo: La casa Poe. Sembrava un titolo secco e banale, eppure era stato il suo chiodo fisso fin dal liceo, prima ancora che sapesse che cos'era l'archeologia storica.

    I Poe erano arrivati sul fiume Cumberland non molto dopo i Dunnemore. Sarah conosceva la storia della loro famiglia, della loro casa sul fiume, risalente a subito dopo la guerra civile, della terra su cui era costruita, meglio di quanto conoscesse la propria. Aveva scritto articoli e saggi, aveva condotto interviste e ricerche, aveva organizzato scavi archeologici sul posto, aveva conservato documenti e manufatti, aveva ottenuto autorizzazioni, aveva contribuito a creare una fondazione privata che collaborava con lo stato e con il governo federale per salvaguardare la casa Poe come luogo di interesse storico. E adesso aveva prodotto un documentario che ricostruiva le radici scozzesi della famiglia.

    Era tempo di passare oltre. Di trovare qualcos'altro da fare.

    Non aveva idea di che cosa, ma respinse il pensiero delle molteplici possibilità prima che diventasse un'ossessione, come lo era stato durante il lungo viaggio di ritorno dalla Scozia. Che cosa avrebbe fatto adesso? Insegnato a tempo pieno? Lavorato per una fondazione? Un museo? Avrebbe trovato un nuovo progetto?

    Avrebbe avuto una vita?

    Sarah sfilò il bastoncino di cannella dal bicchiere e ne leccò l'estremità, guardando le ombre allungarsi sul lussureggiante prato verde. Si chiese se suo nonno, che aveva costruito la casa di tronchi per attirare una moglie, avesse mai immaginato che le dighe un giorno avrebbero innalzato il livello del fiume e l'avrebbero portato in prossimità del portico, se avesse mai immaginato quanto sarebbe stato bello lo scenario quasi cent'anni dopo... se avesse previsto quanto la famiglia si sarebbe affezionata a quel luogo. Sarah non l'aveva mai conosciuto. Era morto presto e tragicamente, come tanti Dunnemore prima di lui.

    Quando era bambina, aveva creduto alle storie secondo cui i tronchi per costruire la casa provenivano da alberi che erano stati tagliati, fatti saltare o distrutti in vari altri modi quando il Genio dell'Esercito degli Stati Uniti aveva costruito le dighe sul Cumberland per controllare le inondazioni e produrre energia elettrica. Ma poi si era resa conto che le dighe erano state costruite decenni dopo la casa.

    La sua famiglia aveva una vivace tendenza a raccontare storie, e non avrebbe esitato ad aggiungere qualche fantasiosa invenzione, per rendere più eccitante una storia già bella di per sé.

    Sarah era convinta che quella fosse una delle ragioni per cui suo padre era per natura un così abile diplomatico. Non credeva necessariamente in qualunque cosa gli dicessero, ma al tempo stesso non condannava nessuno per avere stiracchiato la verità, averla esagerata o contorta, o avere fatto in modo che servisse ai suoi scopi. Per Stuart Dunnemore tutto ciò era perfettamente normale.

    Sarah non aveva alcuna intenzione di fare delle ricerche sulla propria famiglia, come nuovo progetto. Le bastava avere condotto ricerche sui vicini di Night's Landing... specie quando l'ultimo dei Poe era appena stato eletto alla Casa Bianca. Aveva promesso a John Wesley Poe, il presidente Poe, che sarebbe stato il primo a vedere il suo documentario. Ma il patto era che non poteva chiederle di cambiare nulla.

    Un tordo cantava da qualche parte nelle vicinanze. Sarah sorrise, osservando una barca risalire il fiume lungo la ripida riva opposta e bevve un altro po' di tè. Forse non era troppo dolce, dopotutto.

    Forse, benché non avesse nulla di particolare da fare, stavolta non si sarebbe cacciata nei guai. Non combinava mai niente di buono quando aveva troppo tempo libero. Odiava annoiarsi. Le piaceva l'indipendenza che il suo lavoro le consentiva, facendo della sua naturale impulsività una virtù, piuttosto che uno svantaggio. Ma quando non aveva un obiettivo preciso, niente ad ancorarla, la sua impulsività non le era sempre stata d'aiuto. Una volta aveva tentato di costruirsi una barca ed era quasi annegata. Un'altra volta aveva provato ad andare a caccia di rane ed era finita con una gamba piena di sanguisughe. Poi c'era stata la volta in cui, per un capriccio, era finita in Perù, senza avere neppure lontanamente il denaro sufficiente.

    Niente affari di cuore, però. Aveva imparato a non essere impulsiva con gli uomini.

    Il telefono squillò, interrompendo le sue riflessioni a ruota libera. Posò il bicchiere sul vecchio tavolo traballante e allungò la mano verso l'antiquato apparecchio a disco che usavano nel portico fino da quando poteva ricordare.

    Probabilmente era qualcuno che voleva venderle qualcosa. Non erano in molti a sapere che era a casa. Lo sapevano i suoi genitori, ma erano ad Amsterdam. Rob, ma era in servizio a New York e lei gli aveva promesso di andare presto a trovarlo. I suoi amici scozzesi.

    Il presidente, ma Wes Poe non chiamava spesso.

    Virtualmente nessuno dei suoi amici in Tennessee sapeva che era tornata a Night's Landing. Era a casa solo da una settimana e si era appena ripresa dal fuso orario.

    Sollevò il ricevitore, ma non ebbe il tempo di dire neppure una parola.

    «Sarah.» Riconobbe a stento la voce di suo fratello. «Dio...»

    La voce era debole, ansimante. Sarah strinse forte il ricevitore.

    «Rob? Che succede? Che cosa...»

    «Ho chiesto a Nate di chiamarti. Mi... maledizione.»

    «Sei a New York?» Sarah sentiva delle sirene in sottofondo, gente che gridava, e il panico le strinse la gola. «Rob, parla! Che sta succedendo? Chi è Nate?»

    Un grosso insetto si posò sull'orlo del bicchiere. Lei non riusciva a respirare, non riusciva a pensare, mentre aspettava la risposta di suo fratello.

    «Mi hanno sparato. Ma andrà tutto bene.»

    «Rob!» Sarah balzò in piedi. «Rob, dove sei? Che cosa posso fare?»

    Un'altra voce prese la linea.

    «Signorina Dunnemore? Nate Winter. Lavoro con suo fratello. C'è qualcuno con lei?»

    «No, sono sola. Rob...»

    «Voleva che sentisse la notizia da lui. C'è un paramedico che lo sta assistendo, adesso. Dobbiamo andare. La chiamerò non appena saprò qualcosa di più.»

    «Aspetti! Non riattacchi! Dove è ferito? È grave?»

    «Ha ricevuto una pallottola nella parte superiore sinistra dell'addome.» La voce di Nate Winter era professionale, priva d'emozione, ma Sarah credette di sentire una traccia di qualcos'altro. Sofferenza, paura. «Stanno arrivando i paramedici per me. Spiacente, devo andare. Le darò notizie, glielo prometto.»

    Lei afferrò il senso delle sue parole.

    «Hanno sparato anche a lei? Mio Dio...»

    La comunicazione s'interruppe.

    Le mani di Sarah tremavano talmente che ebbe difficoltà a riattaccare. Nate Winter era un altro Marshal? Sapeva molto poco del lavoro di suo fratello, e lui sapeva ancora meno del suo. Archeologia storica... Rob affermava di non sapere neppure che cosa fosse. L'archeologia tradizionale studia i popoli e le culture preistoriche. L'archeologia storica è una branca dell'archeologia che studia popoli e culture esistiti in epoca storica, gli aveva spiegato lei dozzine di volte.

    Rob dava la caccia agli evasi. Evasi armati e pericolosi. Questo, Sarah lo sapeva.

    Era stato uno di loro a sparargli?, si chiese, sentendosi mancare l'aria.

    «Signorina?»

    Ethan Brooker, il nuovo custode e giardiniere della proprietà dei suoi genitori, salì lentamente i gradini del portico, palesemente preoccupato. Indossava la solita salopette da lavoro e una maglietta dei Tennessee Titans. I capelli scuri erano raccolti in una coda di cavallo e la mascella squadrata era ombreggiata da una barba di almeno due giorni. Era alto e muscoloso e aveva un tatuaggio nero sul braccio destro.

    «Signorina Sarah, non ha l'aria di stare troppo bene.» Parlava con un pesante, strascicato accento texano. «Posso fare qualcosa per lei?»

    «Ho bisogno...» Sarah respirò a fondo, ma aveva l'impressione che l'aria non le entrasse nei polmoni. Era come se tutto il suo corpo si sforzasse di assorbire lo shock della chiamata di Rob. «Ho bisogno di aspettare una telefonata. Mio fratello...»

    Non poté finire. Continuò solo a cercare di respirare.

    Il vecchio pavimento del portico, dipinto di verde scuro, scricchiolò sotto il peso di Ethan. Doveva avere trentatré o trentaquattro anni, un paio più di lei, ed era molto più alto. I suoi genitori lo avevano sorpreso a pescare sul pontile, quando erano tornati a casa per qualche giorno. Era entrato abusivamente nella loro proprietà, a dire il vero, ma aveva spiegato che si era appena trasferito a Nashville e cercava lavoro. Visto che avevano trovato il tetto che faceva acqua e il giardino pieno di erbacce, gli avevano offerto quel posto. Da quando Sarah era arrivata a Night's Landing, una settimana prima, l'aveva visto lavorare sodo ogni giorno. Viveva nel vecchio cottage della nonna Dunnemore, giù in riva al fiume, vicino ai boschi che separavano i Dunnemore dai Poe.

    La nonna aveva perso il marito in un incidente durante il taglio degli alberi e un figlio nella seconda guerra mondiale. La prima moglie del figlio rimasto era morta dopo una lunga lotta contro la sclerosi multipla. La nonna aveva fatto costruire il cottage per sé dopo avere insistito affinché lui e la moglie ammalata andassero a vivere nella casa.

    Sarah conosceva la storia di come suo padre aveva quasi perso la voglia di vivere, là a Night's Landing, dopo la morte della moglie. Ma poi aveva conosciuto sua madre, minore di lui di ventidue anni, la giovane, vibrante Betsy Quinlan, una donna a cui perfino la nonna Dunnemore riconosceva il merito di avere cambiato la fortuna dei Dunnemore.

    Sarah sentì il cuore martellarle angosciosamente nel petto.

    Non un'altra tragedia... Non Rob.

    «Che cos'è successo a suo fratello, signorina Sarah?»

    Ethan era sempre educato e deferente. Sarah sospettava che fosse un musicista country in cerca della sua grande occasione a Nashville. L'aveva sentito suonare la chitarra nel portico del cottage al mattino presto e alla sera tardi.

    «Signorina?»

    «Rob... Gli hanno sparato.»

    Le parole non sembravano meno surreali adesso che le aveva pronunciate ad alta voce.

    Lottando contro le lacrime, sforzandosi di parlare normalmente, raccontò a Ethan della telefonata di suo fratello da New York, di Nate Winter, della sua promessa di richiamarla al più presto.

    «Che cosa terribile, signorina Sarah.» Ethan scosse la testa, sospirando pesantemente. «Chi potrebbe voler sparare a due persone come loro?»

    «Rob fa parte degli U.S. Marshal. Non... non so che cosa stesse facendo.»

    «I Marshal devono avere un ufficio a Nashville. Manderanno qui qualcuno. Tenga duro.» Ethan parlava con sicurezza, mentre tirava fuori dalla tasca posteriore una scolorita bandana rossa e si puliva le mani. «Lei è la parente più prossima di suo fratello presente negli Stati Uniti, no? I Marshal si prenderanno cura di lei.»

    Lo stomaco di Sarah si contrasse.

    «I miei genitori. Sono ad Amsterdam. Oh, Dio. Chi li avvertirà?

    «Lasci che ci pensino i Marshal. Lei non ha informazioni sufficienti, per ora. Se cerca di chiamarli adesso non farà altro che spaventarli, forse senza necessità.»

    L'atteggiamento pratico di Ethan aiutò Sarah a recuperare la calma. Si sentiva come se avesse un peso enorme sul petto, e si costrinse a respirare a fondo, lentamente.

    «Rob era in grado di parlare» disse. «È un buon segno, non crede?»

    «Non si tormenti con troppe domande. Perché non va a bagnarsi un po' il viso con l'acqua fredda? A me giova sempre, quando mi strappano via il tappeto da sotto i piedi.»

    Acqua fredda. Sarah si chiese se avesse l'aria di essere sul punto di svenire.

    «Vada» insistette Ethan, calmo. «Io faccio un salto giù al cottage a darmi una ripulita, poi tornerò qui e resterò con lei fino a quando non verranno i Marshal, o quell'agente con cui ha parlato non la richiamerà.»

    «Non crede che lo farà, vero?»

    «No, se è ferito anche lui. I medici e l'FBI lo faranno prima rattoppare. Adesso vada. Un passo alla volta, okay?»

    Sarah annuì.

    «Grazie. Rob e io siamo gemelli, lo sapeva?»

    «Mi pare che sua madre me l'abbia detto, sì.»

    «Ha rischiato di morire quando ci ha avuti.»

    Forse. Poteva essere un'altra delle esagerazioni dei Dunnemore. Benché non fosse una Dunnemore di nascita, Betsy si era rapidamente adeguata a quella tradizione di famiglia. Perfino le lettere e i diari del diciannovesimo secolo che Sarah aveva scoperto nel corso delle sue ricerche sui Poe avevano fatto cenno ai Dunnemore e alla loro passione per il dramma e l'avventura. Avevano preso tante decisioni sbagliate, romantiche, avventate, che li avevano condotti al disastro... e quello era esattamente il giudizio che suo padre aveva dato sulla scelta di Rob di diventare un Marshal. Una decisione sbagliata che lo avrebbe portato al disastro.

    Ethan non fece commenti e scese i gradini del portico con lo stesso passo determinato con cui li aveva saliti. Si fermò per lanciare un'occhiata a Sarah, come per assicurarsi che non fosse crollata nei pochi secondi in cui le aveva voltato le spalle. Lei non poté sorridere. Non poteva fare nulla per rassicurarlo.

    «Un po' d'acqua fredda, signorina Sarah» ribadì lui. «Le farà bene. Tornerò fra pochi minuti.»

    Lei riuscì ad aprire la porta della zanzariera e a entrare

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