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Demon's secret (eLit): eLit
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Demon's secret (eLit): eLit
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Demon's secret (eLit): eLit

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About this ebook

I Signori degli Inferi: seducenti guerrieri immortali, legati da un'antica maledizione che nessuno è mai riuscito a infrangere...
Un guerriero tormentato dai demoni... Una spietata cacciatrice

Custode del demone dei Segreti, Amun conosce i pensieri più oscuri di chi gli sta accanto e, per non tradire le persone che ama, ha scelto di non parlare. Ma proprio per questo ora si trova in condizioni disperate, al punto che l'unica via di scampo ormai sembra la morte. Finché non incontra Haidee, una spietata Cacciatrice prigioniera nella fortezza di Budapest. Lei è l'unica in grado di alleviare le sue sofferenze, e chissà perché, anziché odiarlo è attratta da lui. Ma oltre al corpo, sarà disposta a concedere ad Amun anche la sua anima, e ad affrontare la collera di un micidiale avversario per salvarlo?
LanguageItaliano
Release dateAug 31, 2017
ISBN9788858973882
Demon's secret (eLit): eLit
Author

Gena Showalter

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Demon's secret (eLit) - Gena Showalter

    1

    Strider, custode del demone della Sconfitta, varcò le imponenti porte della fortezza di Budapest che condivideva con un gruppo crescente di amici – fratelli e sorelle uniti dalle circostanze, più che dal sangue, ma non per questo meno legati tra loro – lottando contro un impeto di innegabile piacere.

    Ce l’aveva fatta! Aveva inseguito il nemico per tutti i continenti e rinunciato a uno degli oggetti divini necessari a trovare e distruggere il vaso di Pandora – cosa che gli avrebbe procurato una bella punizione – era stato mangiato vivo dagli insetti e ferito dal coltello di una pollastrella, ma alla fine aveva vinto. E ora era pronto a festeggiare.

    «Sono il re del mondo! Venite qui a bearvi nella mia gloria.» La sua voce echeggiò nell’atrio, ma nessuno rispose.

    Ridacchiando, spostò comunque la donna priva di sensi che portava in spalla in una posizione più comoda... per lui. Era lei il nemico che aveva inseguito e la pollastrella così scortese da trafiggergli il pancreas con un pugnale. Non vedeva l’ora di annunciare agli altri che era riuscito dove loro avevano fallito.

    «Ehi, paparino è tornato a casa!» annunciò a gran voce. «C’è qualcuno?»

    Nessuna risposta. La sua euforia cominciò a svanire.

    Maledizione. Quando perdeva una sfida stava malissimo per giorni, ma quando vinceva vibrava di energia e gli pareva di scoppiare di gioia. Era quasi come un orgasmo. Aveva bisogno di condividere quell’entusiasmo con qualcuno: nella fortezza vivevano dodici guerrieri, molti dei quali accoppiati, e nessuno lo aspettava per dargli il benvenuto! Con tutti i dispositivi e gli allarmi che tenevano sotto controllo la casa e i suoi paraggi, la sua presenza era stata di certo notata, eppure...

    Non aveva senso.

    Forse se lo meritava, ammise: non mandava SMS e non telefonava da una settimana, ma in fondo nell’ultimo aggiornamento gli avevano detto che il pericolo era passato e che tutti potevano tornare, così aveva smesso di chiamare per sapere come andavano le cose.

    Per consolarsi immaginò l’espressione della prigioniera al suo risveglio: si sarebbe ritrovata in gabbia, una scoperta non piacevole. Poi si guardò intorno e le ultime tracce di euforia sparirono. Si fermò di colpo.

    Nel breve lasso di tempo della sua assenza qualcuno aveva cambiato in modo radicale la cupa fortezza che i guerrieri consideravano casa loro. Il malconcio pavimento di pietra era adesso di marmo bianco con venature di ambra e le pareti sbrecciate erano coperte di lucidi pannelli di palissandro.

    La scalinata saliva serpeggiando, senza più crepe, ornata da una brillante ringhiera d’oro. C’erano anche una poltroncina di velluto bianco e bacheche di vetro piene di oggetti preziosi – vasi decorati, scrigni tempestati di pietre preziose e antiche punte di lancia.

    Niente era là in precedenza.

    Tutti quei cambiamenti in meno di un mese? Sembrava impossibile, anche con i Titani che entravano e uscivano dalla fortezza a loro piacimento. Inoltre quegli dei erano interessati a provocare morte e distruzione, più che alla decorazione d’interni. O forse, tutto preso dalla soddisfazione per il lavoro svolto, era entrato nella casa sbagliata? Gli era già successo in passato.

    Se le cose stavano davvero così, non sarebbe stato facile spiegare lo stato pietoso della donna che portava in spalla, o giustificare le macchie di sangue sui propri vestiti senza passare un po’ di tempo in prigione.

    No, decise un attimo più tardi: quella era la casa giusta. Sul muro che fiancheggiava la scalinata era appeso un ritratto di Sabin, custode del demone del Dubbio. Nudo. Solo una persona poteva osare una cosa del genere: Anya, dea dell’Anarchia e compagna di Lucien, custode del demone della Morte. Una strana coppia, a suo parere, ma visto che nessuno gli aveva chiesto la sua opinione se l’era tenuta per sé. Inoltre, meglio stare zitto che perdere la sua appendice preferita: Anya non gradiva le critiche.

    «Ehi, Tor Tor» gridò.

    Torin, custode del demone della Malattia, non lasciava mai la fortezza. Seguiva sugli schermi dei computer tutto ciò che succedeva, si assicurava che non si verificassero invasioni e faceva un sacco di soldi per tutti loro.

    Quando gli rispose solo l’eco del suo richiamo, Strider cominciò a preoccuparsi. Era successo qualcosa di catastrofico? I demoni erano stati spazzati via? Ma, allora, perché lui era ancora là? O forse Kane, custode del demone del Disastro, aveva avuto una settimana particolarmente devastante e...

    Sentì un suono di passi sempre più vicino e il sollievo lo invase. Sollevò lo sguardo e scorse Torin in cima alle scale, in piedi su un tappeto a strisce stile zebra che non aveva mai visto prima. I folti capelli bianchi gli incorniciavano il viso dalla bellezza diabolica, gli occhi verdi brillavano come smeraldi, era vestito tutto di nero e le mani erano coperte da soffici guanti, necessari a salvare l’umanità.

    «Bentornato a casa» lo salutò. «Testa di cazzo» aggiunse.

    «Che saluto carino!»

    «Non chiami, non scrivi e ti aspetti un benvenuto con mazzi di fiori e acclamazioni?»

    «Certo.»

    «Logico.»

    Il minimo contatto con la pelle di Torin bastava a scatenare un’epidemia devastante; Strider era immortale e non sarebbe morto, ma nel caso degli umani il contagio poteva diventare inarrestabile. Inoltre lui lo avrebbe passato a chiunque toccasse: per quanto non adorasse sedurre le donne mortali, quando lo faceva preferiva la modalità pelle contro pelle.

    «Allora, tutto a posto qui?» chiese. «Stanno tutti bene?»

    «Vuoi proprio saperlo?»

    «Sì.»

    «Be’, va tutto più o meno bene. La maggior parte dei ragazzi è in giro a nascondere gli oggetti divini, a cercare l’ultimo o a dare la caccia a Galen.» Torin scese le scale facendo i gradini a due per volta e si fermò in fondo, restando a distanza di sicurezza. Come sempre. Puntò lo sguardo sulla donna e un lampo divertito gli illuminò gli occhi verdi. «Ti sei innamorato anche tu? Coglione! Pensavo avessi più buon senso.»

    «Per favore! Non voglio avere niente a che fare con questa stronza.» Bugia: durante il loro lunghissimo viaggio, si era trovato spesso a desiderarla, per poi odiarsi sempre di più. Quella donna era un concentrato di sesso, ma anche un pericolo mortale.

    Le labbra sensuali di Torin si incurvarono divertite. «È quello che diceva Maddox di Ashlyn, Lucien di Anya, Reyes di Danika, Sabin di...»

    «Okay, okay, ho capito.» Strider alzò gli occhi al cielo. «Ora stai zitto.» La ragazza lo attraeva, era vero, ma non sarebbe mai stato così stupido da farsela. Le donne gli piacevano docili e sane di mente.

    Bugiardo. Lei ti piace davvero. Purtroppo non poteva incolpare il suo demone per quell’ammissione, ma... Perfino in quel momento gli bastava pensare a lei per sentire il corpo teso ed eccitato.

    Torin incrociò le braccia sul petto. «Allora, chi è? Un’umana con capacità sovrannaturali? Una dea? Un’Arpia?»

    In effetti i suoi amici tendevano a scegliere donne potenti, con talenti particolari: Ashlyn poteva sentire le voci del passato, Anya appiccava incendi con la mente (e non solo), Danika vedeva nei cieli e nell’inferno e Gwen, la moglie di Sabin, aveva un lato oscuro che mostrava prima di uccidere l’avversario in modo atroce.

    «Amico mio, quella che ho portato qui è un’autentica Cacciatrice.» Strider le diede una pacca sul sedere, come per sottolineare che non aveva alcun valore per lui, ma non rivelò all’amico chi era. Non sapeva come mai: forse era colpa della stanchezza. Sì, in effetti era sfinito e non aveva voglia di affrontare commenti, domande e lodi. L’indomani, dopo una buona notte di risposo, avrebbe raccontato tutto.

    La ragazza non reagì alla pacca, d’altra parte Strider non se l’aspettava: l’aveva drogata più volte, mentre giravano il mondo passando da Roma alla Grecia, da New York a Los Angeles e infine a Budapest, inseguiti invano dagli altri Cacciatori. Volevano salvarla, ma non ci sarebbero mai riusciti.

    Abbiamo vinto!, proclamò euforico il suo demone.

    Esatto, confermò Strider con un fremito deliziato.

    «Una Cacciatrice?» Torin perse ogni divertimento e gli occhi verdi assunsero un bagliore duro e letale.

    «Temo di sì.»

    I Cacciatori erano i loro più acerrimi nemici, fanatici decisi a distruggerli: quei bastardi li consideravano malvagi al di là di ogni possibilità di redenzione e li incolpavano di ogni male. Strider dal canto suo era deciso a spedirli all’inferno uno alla volta. Se avesse usato le bombe a mano, magari poteva inviarne centinaia in un colpo solo in quei gironi infuocati. Dipendeva dall’umore del momento.

    «Avresti dovuto eliminarla» commentò Torin. «Ora Sabin vorrà parlare con lei.»

    Ossia torturarla. «Lo so: è per questo che è ancora viva.» Quella ragazza sapeva cose interessanti sugli dei e poteva compiere imprese incredibili, come materializzare delle armi dal nulla. Strider era convinto che ci riuscissero solo gli angeli, ma lei non lo era. E non solo perché le mancavano le ali. Il suo caratterino non era certo angelico.

    Voleva sapere tutto, e poi c’era dell’altro: non era riuscito a eliminarla. Ogni volta che ci aveva provato, guardare il suo bel viso l’aveva fatto esitare. L’esitazione aveva lasciato il posto al desiderio e lui aveva dovuto lottare contro l’impulso di baciarla, invece di ucciderla.

    Sabin non si sarebbe lasciato commuovere. In fondo quella donna...

    Strider digrignò i denti e un dolore atroce si propagò dalle tempie al cervello: reagiva sempre in quel modo, quando si ricordava che quella donna aveva aiutato a decapitare il suo amico Baden, un tempo custode del demone della Sfiducia.

    Non avrebbe mai potuto dimenticare o perdonare quell’azione.

    Era successo migliaia di anni prima, ma il dolore era vivo come se fosse accaduto quella mattina: quel giorno un pezzo della sua anima era morto insieme all’amico e, come la ragazza aveva imparato nel loro viaggio, era avvizzita anche una parte del suo cuore.

    Strider non aveva più alcuna pietà. Soprattutto non per lei.

    Pensava di essersi vendicato tanti secoli prima, uccidendola: ricordava bene il sibilo della lama che si abbatteva su di lei, decapitandola, il lago di sangue, l’odore di morte, il rumore del corpo che cadeva e l’ultimo rantolo uscito dalla sua bocca, eppure eccola là, viva, vegeta e pronta a farlo impazzire.

    Forse l’aveva uccisa, ma lei era rinata, oppure la sua anima era stata inserita in un altro corpo. O forse era più immortale di lui ed era guarita da quell’incredibile ferita. Non lo sapeva e non se ne curava.

    Una sola cosa contava: lei era Hadiee dell’antica Grecia. Be’, adesso si faceva chiamare Haidee. Per dare un tocco moderno al suo nome, diceva. Be’, lui se ne fregava: la chiamava Gius, diminutivo di Giustiziere dei demoni.

    La prova dei suoi crimini era evidente nei suoi gelidi, duri occhi grigi, nell’orgoglio che le vibrava nella voce ogni volta che parlava di quella notte fatale – adoro il modo in cui la sua testa è rotolata – e nei tatuaggi sulla schiena: Haidee: 1, Signori: IIII.

    Haidee meritava tutto quello che lui e Sabin le avrebbero fatto.

    «La porto nelle segrete» annunciò con un misto di soddisfazione e rimpianto che non aveva mai sentito nella propria voce. «Sii carino, avverti il nostro amico Dubbietto» aggiunse mettendosi in moto.

    «Non posso. C’è... una cosa che devi vedere.» Le parole di Torin erano cariche di paura, desolazione e di una sorta di cupa aspettativa.

    Strider si fermò di colpo, sistemò Gius per evitare che scivolasse a terra e si voltò verso l’amico. Notò quanto fosse pallido e il terrore lo invase. «Hai detto che andava tutto bene. Cos’è successo?»

    Torin scosse la testa. «Non c’è modo di spiegartelo: devi vederlo. E poi ho detto che tutto andava più o meno bene. Ora vieni.»

    «La ragazza...»

    «Porta anche lei: sarà ben sorvegliata.» Torin corse su per le scale, facendo di nuovo i gradini due alla volta.

    Strider lo seguì sempre più allarmato, con Gius che gli ballonzolava sulla spalla. Se fosse stata sveglia avrebbe urlato di dolore per i continui colpi allo stomaco e lottato con un’abilità e una tenacia che pochi guerrieri possedevano. Peccato che le droghe fossero così potenti: un bel corpo a corpo gli avrebbe calmato i nervi.

    Rinchiudere quell’abominevole Cacciatrice nelle segrete avrebbe richiesto solo pochi minuti; perché Torin glielo aveva impedito? Cosa c’era di così urgente e importante da mostrargli?

    Quelle domande svanirono appena raggiunto il pianerottolo. Strider rimase a bocca aperta, senza parole: angeli dappertutto. Non c’era da meravigliarsi che la casa fosse cambiata.

    Erano allineati lungo le pareti, con le immense ali bianche striate d’oro, il tratto distintivo degli angeli guerrieri. Il loro profumo – un misto di orchidea, rugiada del mattino, cioccolata e champagne – pervadeva l’aria. L’altezza variava, ma era sempre notevole; nonostante le lunghe vesti bianche dall’apparenza femminile, i loro muscoli potevano competere con i suoi.

    In maggioranza erano maschi e tutti erano assassini di demoni abituati a inseguire, distruggere e a volte proteggere. Dato che non gli corsero incontro brandendo una spada di fuoco, immaginò che al momento quell’ultima funzione avesse la precedenza.

    Li osservò con attenzione: erano ventitré in tutto, ma nessuno ricambiò il suo sguardo. Rigidi e silenziosi, fissavano tutti davanti a sé.

    Fisicamente lo affascinavano, per quanto gli costasse ammetterlo. Il loro magnetismo aveva un effetto ipnotico, come una droga per gli occhi.

    I capelli presentavano le sfumature più diverse, da neri come la notte a bianchi come la neve, ma il suo colore preferito era il biondo, così ricco e vivo da sembrare oro fuso. In ogni caso Strider non li avrebbe presi in giro per quei boccoli dorati: gli angeli non lo avevano attaccato, né degnato di uno sguardo, ma emanavano lo stesso una potenza mortale.

    Qualcuno si schiarì la gola.

    Strider batté le palpebre e si rese conto che Torin era al centro del corridoio. Probabilmente era sempre stato lì, ma appena aveva scorto gli angeli lui si era dimenticato di qualsiasi altra cosa. Ehm, davvero imbarazzante.

    «Perché?» fu tutto ciò che riuscì a chiedere.

    Torin capì al volo cosa intendeva. «Aeron e William hanno portato Amun all’inferno per liberare Legione. Ci sono riusciti. Lei è viva e sta guarendo, ma Amun...»

    Strider completò da solo la frase e fu tentato di sbattere un pugno contro il muro: il custode del demone dei Segreti aveva una miriade di nuove voci nella testa.

    Conosceva Amun da millenni e sapeva che il suo demone assorbiva i pensieri più cupi e i misteri più profondi di chiunque gli stesse vicino: cose sepolte da tempo, orribili, raccapriccianti, indesiderate e umilianti. Se Amun era stato all’inferno, un luogo gremito di demoni nella loro forma più pura, ora la sua testa doveva essere piena di ogni sorta di orrori: sussurri malevoli, immagini perverse che cancellavano l’essenza di ciò che era. O meglio, di ciò che era stato.

    «E gli angeli?» chiese a denti stretti. Non era molto educato parlare di loro come se non fossero là, lo sapeva, ma in quel momento non gliene fregava niente: non voleva bene a molta gente, ma di sicuro era affezionato agli altri abitanti della fortezza, posseduti da un demone come lui. Li amava più di quanto amasse se stesso, ed era tutto dire!

    «Volevano ucciderlo, ma...»

    «Cazzo, no!» ruggì Strider. Chi osava toccare uno dei suoi amici avrebbe perso le mani, gli arti, gli organi e, alla fine, anche la vita.

    Sollevò Gius, la prese tra le braccia e la sistemò a terra, poi si fece avanti brandendo un pugnale.

    Sconfitta avvertì il suo bisogno di distruggere e scoppiò a ridere. Vittoria!

    «Fermati.» Torin sollevò un braccio per bloccarlo, pur indietreggiando per mantenere la solita distanza di sicurezza. «Lasciami finire, maledizione. Volevano ucciderlo, ma non lo hanno fatto e non lo faranno» terminò.

    Non ancora, almeno. La frase restò sospesa nell’aria. Strider preferì ignorare quella minaccia e si fermò, tutto sudato e ansimante per l’improvviso accesso di rabbia furibonda.

    Niente vittoria?, piagnucolò il suo demone.

    Non è stata lanciata nessuna sfida. Dunque poteva tirarsi indietro senza conseguenze.

    Sconfitta sospirò deluso.

    «Perché sono qui, allora?» sbottò Strider.

    Gli occhi verdi di Torin si rabbuiarono, mentre lui passava il peso da un piede all’altro e apriva e richiudeva la bocca. «Amun non ha assorbito solo nuovi ricordi, ma anche centinaia di demoni.»

    «Com’è possibile? Ho vissuto insieme a lui per secoli e non ha mai assorbito il mio demone.»

    «E neanche il mio, ma i nostri sono demoni di rango superiore, che possono legarsi a degli umani. Quelli erano demoni minori, capaci solo di attaccarsi a quelli come i nostri... e lo hanno fatto, con il suo. Amun ora è contaminato e rappresenta un pericolo molto peggiore del tocco della mia pelle. Gli angeli sono qui per sorvegliarlo, limitare i suoi contatti con gli altri e assicurarsi che non se ne vada, o faccia male a se stesso o agli umani.»

    Strider si incupì. Amun parlava di rado, deciso a contenere dentro di sé i segreti che aveva rubato suo malgrado, così che nessun altro dovesse affrontarli. Era un peso orribile, che pochi sarebbero stati in grado di sopportare, eppure lui lo faceva per preservare il benessere di chi gli stava intorno. Amun un pericolo? No, non poteva crederlo. «Spiegati meglio» ordinò imperioso.

    «Amun trasuda malvagità: ti basterà entrare in camera sua per percepirla e cominciare a desiderare cose orribili.» Torin rabbrividì. «Non riuscirai a scacciare quei desideri disgustosi; ti resteranno attaccati per giorni.»

    A Strider non importava. E comunque non riusciva a crederci. «Voglio vederlo.»

    Torin esitò un attimo – pareva quasi che si aspettasse quella richiesta – poi assentì. «Ma la ragazza...»

    Strider sentì un fruscio di vestiti alle sue spalle, seguito da un gemito femminile. Si girò in tempo per vedere un angelo che prendeva in braccio Gius e la portava nella camera vuota accanto a quella di Amun.

    Fu sul punto di avventarsi sulla creatura celeste e strappargliela dalle braccia. Aveva già avuto a che fare con gli angeli – in particolare con Lysander, il capo dei guerrieri – e sapeva che quegli esseri non avrebbero mai capito la profondità del suo odio per lei. L’avrebbero considerata un’umana innocente, bisognosa di cure e gentilezza. Amun però era più importante di Haidee, così lui non si mosse.

    «Tanto perché lo sappiate, quella donna è peggiore di un demone» li avvertì. «Farete meglio a sorvegliarla come Amun. Non uccidetela, però» aggiunse prima di riuscire a fermarsi. «È in possesso di informazioni che ci servono.»

    L’angelo si fermò e si girò verso di lui. Aveva gli occhi verdi come Torin, ma i suoi erano limpidi, intensi e sfolgoranti. «Sento la sua infezione» dichiarò con voce profonda. «Farò in modo che non lasci la fortezza e che resti viva. Per ora.»

    Infezione? Strider non ne sapeva niente, ma in quel momento non se ne curò. «Grazie.» Maledizione, non pensava che sarebbe mai arrivato a ringraziare un assassino di demoni! Be’, a parte Olivia, la compagna di Aeron. Scosse la testa, scacciò dalla mente Gius e qualsiasi altra cosa e seguì Torin, che si fermò in fondo al corridoio, trasse un respiro mesto e girò la maniglia.

    «Stai attento» gli raccomandò. Poi si fece da parte per permettergli di entrare.

    La prima cosa che notò fu l’aria densa e cupa. Poi sentì l’odore di zolfo e venne investito da urla attenuate ma indimenticabili. Erano migliaia e creavano un coro colmo di orrore. Si fermò ai piedi del letto e abbassò lo sguardo: Amun si dibatteva sul materasso, tappandosi le orecchie e gemendo. No, si rese conto un attimo dopo: quei gemiti non venivano dal suo amico, che teneva la bocca aperta in un grido senza fine che non riusciva a liberare, ma da lui stesso.

    La pelle scura era ridotta a brandelli sanguinanti. Come guerriero immortale, Amun si riprendeva in fretta, ma quelle sembravano ferite guarite e poi riaperte infinite volte. Il tatuaggio a forma di farfalla un tempo gli ornava il polpaccio destro, ma ora si muoveva su per la gamba, arrivava allo stomaco, si frammentava in centinaia di piccole farfalle, si riuniva formandone una e poi scompariva dietro la schiena.

    Com’era possibile?

    Strider studiò tremando il viso, dove le ciglia sembravano incollate e le orbite così gonfie che... Una nausea atroce lo invase: l’amico aveva cercato di cavarsi gli occhi, forse per bloccare le immagini che si formavano dietro di essi.

    Fu l’ultimo pensiero coerente che riuscì a formulare, poi l’oscurità lo avvolse, colmandogli la mente e consumandolo. Ricordò i pugnali che portava assicurati a varie parti del corpo; avrebbe dovuto brandirli e usarli per fare a pezzi se stesso, Amun, gli angeli appostati fuori dalla porta e tutto il mondo. Il sangue sarebbe fluito a fiumi, la carne sarebbe caduta a brandelli, le ossa si sarebbero polverizzate.

    Avrebbe bevuto il sangue e divorato le ossa, ma non sarebbero stati loro a mantenerlo in vita. No, a quello avrebbero pensato le urla di dolore provocate dalle sue azioni. Avrebbe gioito del terrore altrui e riso, riso tanto. Scoppiò a ridere: quel suono raggelante era musica per le sue orecchie.

    Sconfitta non sapeva come reagire. Starnazzò, piagnucolò e infine si rifugiò in fondo alla mente di Strider. Il demone aveva paura.

    Qualcosa di forte e duro lo afferrò per gli avambracci e lo tirò all’indietro, strappandolo all’oscurità e trascinandolo fuori dalla stanza, in una luce intensa. Strider scalciò e gridò, mentre gli occhi bruciavano e si riempivano di lacrime. Queste gli schiarirono la mente e le immagini orrende di poco prima svanirono. Più o meno.

    Batté le palpebre confuso. Tremava con violenza, era tutto sudato e le palme sanguinavano perché aveva afferrato i pugnali per la lama e li stringeva ancora. Il dolore era forte ma sopportabile. Aprì le dita e le armi caddero a terra.

    Un angelo gli stava davanti, un altro dietro. Sfolgoravano di una luce interiore intensa come quella del sole. Strider prese un respiro, poi un altro, e ringraziò gli dei: niente odore di zolfo e sapore di cenere. Solo il profumo della rugiada del mattino e il ritorno della cruda realtà.

    Era quello che Amun doveva sopportare?

    Lui aveva avuto solo un assaggio, mentre l’amico era immerso in quell’orrore giorno e notte. Nessuno poteva restare sano di mente in una situazione del genere.

    «Guerriero?» lo chiamò l’angelo di fronte a lui.

    «Sono di nuovo me stesso» gracchiò Strider. Una bugia: non sarebbe mai più stato uguale a prima.

    Guardò al di sopra della spalla dell’angelo e scorse Torin. Condivisero un momento di inorridita comprensione, poi l’attenzione si puntò di nuovo sull’angelo. «Perché vi limitate a stare qui fermi? Qualcuno dovrebbe incatenarlo: si sta facendo a pezzi. E infilategli una flebo, cazzo! Ha bisogno di medicine, di nutrimento.»

    I due angeli si scambiarono un’occhiata simile a quella che lui aveva condiviso un attimo prima con Torin, ma la loro era carica di conoscenze acquisite solo attraverso battaglie e dolori. Poi uno tornò vicino al muro e l’altro entrò in camera di Amun.

    «Gli abbiamo già fatto molte flebo, ma non durano mai a lungo» spiegò il primo angelo. «Gli aghi schizzano fuori dalle vene. Possiamo incatenarlo, però. E prima che tu ci chieda di lavarlo e curarlo, sappi che lo stiamo facendo: gli facciamo il bagno, gli laviamo i denti, gli ripuliamo le ferite, lo alimentiamo, ci prendiamo cura di lui in tutti i modi possibili.»

    «Quello che fate non basta.»

    «Se hai altre idee, siamo pronti ad ascoltarle.»

    Strider non aveva risposte. Controllava di nuovo i suoi pensieri, ma il bisogno di uccidere, di fare del male agli innocenti non era sparito del tutto. Era ancora là, come una patina sottile sulla pelle.

    Aveva la sensazione che non sarebbe riuscito a liberarsene neanche sfregandosi a sangue.

    Come avrebbe fatto Amun a sopravvivere a un simile orrore?

    2

    In qualche breve momento di lucidità Amun sapeva chi era, chi era stato e che mostro era diventato. Voleva morire, ma nessuno aveva pietà di lui al punto da assestargli il colpo di grazia. E, per quanto ci provasse, non riusciva a infliggersi abbastanza danni da farlo da solo.

    Così lottava, tentando di espellere le immagini cupe e i disgustosi impulsi che lo bombardavano senza sosta e allo stesso tempo cercando di tenerli dentro di sé. Una sfida impossibile, che era destinato a perdere: erano troppi e troppo forti e avevano già bruciato la sua anima immortale, l’ultima tenue catena che li teneva legati alla sua volontà. Non che avesse mai esercitato un gran controllo su di essi.

    Aveva comunque lottato con ogni fibra del suo essere: se quelle immagini e quegli impulsi, quei demoni, si fossero scatenati su esseri innocenti e privi di ogni sospetto...

    All’idea della distruzione che ne sarebbe seguita un brivido lo scosse. Allo stesso tempo, però, sentì in bocca il dolce sapore della devastazione.

    Quel breve momento di lucidità svanì come nebbia e un diluvio di immagini e ricordi gli invase la mente. Non sapeva quali appartenessero a lui e quali ai demoni, o alle loro vittime: pestaggi, stupri, omicidi, dolore, traumi, morte, una paura paralizzante che consumava e distruggeva allo stesso tempo.

    Sapeva solo che un fuoco ardente gli bruciava la pelle, che migliaia di esseri minuscoli e infetti si erano insinuati nelle sue vene e lo divoravano dall’interno, che la puzza della carne marcia gli riempiva le narici. Pile di cadaveri si accumulavano intorno a lui, sopra di lui, intrappolandolo e soffocandolo.

    Aiuto!, gridò nella mente. Qualcuno mi aiuti! Ma non venne nessuno, come sempre. Passarono ore, forse giorni, poi quel frenetico dibattersi si attenuò. Per gli dei, che sete! Aveva bisogno di qualcosa, di qualsiasi cosa, per togliersi dalla bocca quell’orrendo sapore di cenere. Aiuto! Vi prego!

    I soccorsi non arrivarono neanche quella volta. Era la sua punizione. Sarebbe morto là, per poi tornare alla vita e soffrire ancora. La disperazione alimentò i suoi tentativi di liberarsi, ma c’erano troppi corpi e il loro peso lo affondava in un mare di sangue da cui non poteva sperare di fuggire.

    Poi la prospettiva cambiò: ora guardava dall’alto quella pila di corpi in decomposizione e stringeva ridendo un altro cadavere da lanciare giù.

    Quella creatura era morta troppo presto, pensò osservando la donna inerte che stringeva nelle braccia coperte di squame. L’aveva tenuta incatenata, facendola a pezzi un po’ per volta, aveva riso davanti alle sue invocazioni di pietà e l’aveva costretta a guardare mentre faceva la stessa cosa ai suoi cari. Così divertente!

    Le sue lacrime erano una vera delizia. Voleva vederla soffrire ancora a lungo, ma quella mattina aveva esagerato... In fondo non aveva importanza, si disse: era il demone del Tormento e c’erano ancora migliaia di anime in attesa delle sue attenzioni. Perché piangere la perdita di una?

    Si liberò del corpo, lanciandolo sulla pila di salme. Un attimo dopo uno dei suoi avidi servi strisciò sul cadavere e cominciò a divorarlo, lanciando sibili feroci alle altre creature che cercavano di partecipare a quel succulento banchetto.

    Poi la prospettiva cambiò ancora. Non era più Tormento, ma una ragazzina umana di non più di dodici anni, atterrita e rannicchiata in un angolo, con il viso rigato di lacrime, una rozza veste che sembrava presa da una recita teatrale e un’oscurità soffocante che l’avvolgeva.

    «Chi sei?» chiese una dura voce maschile in greco. Greco antico.

    Davanti a lei risuonava un rumore di passi, ma non riusciva a vedere chi aveva parlato: quell’essere si era portato via tutta la luce. Comunque non aveva bisogno di vederlo per sapere chi era: l’Uomo Cattivo, salvatore e bruto allo stesso tempo. In base alle poche volte che lo aveva potuto osservare, sapeva che era basso e grassoccio, con il viso butterato dal vaiolo. Quando le sue parole lo compiacevano le dava cibo e riparo, altrimenti la teneva prigioniera, con la minaccia di venderla come schiava.

    Non voleva più provare una simile paura.

    L’aveva trovata nella capanna dove aveva passato tutta la vita. Fino al suo arrivo era troppo spaventata per andarsene, anche se non c’era più nessuno che potesse prendersi cura di lei. Lui era a conoscenza degli orrori che colmavano

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