Segreti dimenticati: Harmony Destiny
By Kat Cantrell
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Segreti dimenticati - Kat Cantrell
successivo.
Prologo
Isola di Batam, Indonesia
Con un gesto automatico, il braccio di Falco bloccò il pugno. Non l'aveva visto arrivare. Tuttavia qualcosa gli diceva che avrebbe dovuto aspettarsi l'attacco del suo avversario.
E ora il contrattacco. La testa del contendente scattò all'indietro. Nessuna pietà. Carne colpisce carne, ancora e ancora, ritmicamente.
I movimenti erano fluidi, non aveva bisogno di riflettere. Aveva imparato come muoversi da Wilipo solo pochi mesi prima, eppure i suoi muscoli sembravano già forgiati dall'esperienza, e riuscivano a mettere in pratica facilmente le tecniche che aveva appreso.
Il suo avversario, Ravi, tornò però all'attacco. Falco lo schivò girandogli intorno per evitare il colpo. La gamba destra era dolorante per lo sforzo. L'ignorò. D'altronde, le ossa rotte facevano sempre male.
Da bordo ring, Wilipo brontolò, il che significava più lavoro di piedi e meno colpi diretti.
Wilipo non parlava inglese mentre Falco aveva imparato appena una manciata di parole in bahasa prima di diventare studente di arti marziali sull'isola di Batam. Durante gli allenamenti comunicavano a gesti. Una benedizione, considerando che Falco non aveva molto da dire.
Il tanfo di pesce, più intenso quel giorno per il caldo, riempiva l'aria. Fissandosi, Falco e Ravi giocavano entrambi di gambe. Il ragazzo del villaggio vicino era diventato il compagno di allenamento dopo avere esaurito gli sfidanti del suo stesso paese.
Era sulla bocca di tutti e non aveva certo bisogno di parlare bahasa per capire che era temuto.
Avrebbe voluto dire loro di non farlo. Sapeva di essere l'occidentale in un villaggio asiatico di gente semplice. L'uomo dal pugno pericoloso.
Quasi un anno prima, un pescatore lo aveva trovato in acqua, privo di sensi, con ferite molto gravi. O almeno questo era ciò che era riuscito a dedurre dall'inglese stentato parlato dal dottore.
Sarebbe dovuto morire prima che la corrente lo trascinasse sulle rive indonesiane, o comunque durante i sei mesi di coma successivi.
Invece era sopravvissuto.
E quando alla fine si era risvegliato, si era trovato davanti l'incubo della riabilitazione.
I suoi ricordi erano passeggeri. Inconcludenti. Incompleti. Lui era l'uomo senza passato, senza casa, senza identità.
Si sentiva sperduto e arrabbiato.
L'unico indizio del suo passato era tatuato sul petto, in alto a sinistra: un falco. Fiero, audace. Con un vessillo scarlatto tra gli artigli su cui impressa la parola Falco. Era così che il suo salvatore lo chiamava – poiché lui non ricordava come si chiamasse – anche se questo lo irritava.
Il motivo doveva nascondersi tra le pieghe della sua memoria. Quando, però, si sforzava di ricordare, finiva solo per desiderare di prendere a pugni qualcuno, e per di più, gli veniva un tremendo mal di testa. Non passava minuto in cui non sentisse l'esigenza profonda di scoprire perché fosse stato strappato dalle grinfie della morte. Sicuramente era rimasto in vita per una ragione. E sicuramente avrebbe ricordato un dettaglio cruciale che l'avrebbe aiutato a scoprire chi era.
Fino ad allora, però, era rimasto deluso.
Solo combattendo riusciva a trovare un po' di pace e a fare chiarezza. La sua mente, infatti, si concentrava su altro e non solo sulla lotta per ricordare.
Ravi e Wilipo stavano parlando in bahasa molto velocemente, escludendolo come sempre.
Wilipo brontolò di nuovo, il che significava che era arrivato il momento di interrompere l'allenamento. Annuendo, Falco si bloccò, il respiro affannato. Ravi non ebbe i riflessi altrettanto pronti e il suo gancio colpì Falco.
Il dolore gli esplose in testa. Che diavolo!
Sputò fuori quell'imprecazione nell'istante esatto in cui Ravi lo colpì, anche se Falco non conosceva – o almeno così pensava – l'italiano.
Ravi si inchinò per scusarsi, abbandonando le braccia lungo i fianchi.
Sfregandosi le tempie, Falco si accigliò ripensando al colpo appena incassato: aveva avuto una sorta di flash.
Stucco bianco. Vetro. Una casa arroccata su di una scogliera, a sovrastare l'oceano. Malibu. La brezza tiepida. Una donna dai capelli rossi.
Casa sua. Lui aveva una casa, piena di cose, di ricordi... piena di pezzi della sua vita.
Le immagini gli passavano davanti agli occhi come se fosse sempre stato lì, sapeva che sarebbe riuscito a ritrovare quel posto.
Casa. Doveva tornarci, in qualche modo.
1
Los Angeles, California
Alle cinque in punto, Caitlyn si svegliò in automatico, come faceva ogni mattina. I bambini, per fortuna, avevano cominciato a dormire tutta la notte; nonostante ciò, il suo corpo si era come impostato all'ora dell'allattamento, in una sorta di sveglia mamma!.
Questo non glielo avevano detto. Così come non era stata mai messa in guardia sul fatto che tre gemelli l'avrebbero impegnata il triplo rispetto a chi deve badare a un solo bambino, anzi un milione di volte di più.
Tuttavia, avrebbero ricambiato i suoi sforzi regalandole attimi di meraviglia.
Caitlyn prese il baby monitor dal comodino e rimase a guardare i suoi tesori dormire nelle rispettive culle. Antonio Junior sospirava agitando la manina avanti e indietro come se sapesse che la mamma lo stava guardando. Al contrario, Leon e Annabelle dormivano come sassi. Era un tratto genetico che avevano ereditato da Vanessa, la loro madre biologica, insieme ai suoi capelli rossi. I capelli del piccolo Antonio, invece, erano scuri come un cielo senza stelle, esattamente come quelli del padre.
E se crescendo fosse diventato affascinante anche solo la metà del padre, avrebbe sicuramente fatto strage di donne.
Nonostante gli sforzi, Caitlyn non riuscì a riaddormentarsi. L'essere esausta era diventata una condizione con cui aveva imparato a convivere, però non aveva a che fare con il sonno. Tre gemelli di otto mesi senza padre minavano la sua sanità mentale, e nelle ore che precedevano l'alba, una miriade di domande, dubbi e paure le affollavano la mente.
Cosa avrebbe dovuto fare per incontrare l'uomo giusto? Uscire indossando una maglietta macchiata di rigurgiti con la quale abbordare potenziali vittime? Ehi tu, hai mai avuto fantasie sull'andare in giro tutta la notte con tre gemelli? Perché ho giusto una proposta da farti!
No, gli uomini di Los Angeles non avevano nulla da temere da Caitlyn Hopewell, questo era poco ma sicuro. E anche senza il pacchetto famiglia, le sue regole in fatto di relazioni facevano allontanare la maggior parte degli uomini: non andare a letto con qualcuno a meno che tu non ne sia innamorata e non abbia un anello al dito. Fine del discorso. Quella era stata la regola di vita che l'aveva accompagnata negli anni dell'università e anche da adulta, specialmente dopo aver saputo secondo quali criteri sua sorella Vanessa decideva se andare o meno a letto con un uomo. Il tipo in questione avrebbe dovuto, come minimo, regalarle un gioiello o farle avere un avanzamento di carriera.
Caitlyn non la pensava così, il che praticamente stava a significare che sarebbe rimasta single.
Sarebbe tuttavia bastata a tre bambini, anche se li amava moltissimo, non essendo la loro mamma?
Quando aveva accettato di fare da madre surrogata a Vanessa, pensava a un impegno di nove mesi, non che durasse per tutta la vita. Il destino, però, aveva avuto ben altri programmi.
Era ora di iniziare la giornata. Strizzò gli occhi guardando lo schermo del telefono: le sei. Cercando di sistemare gli scuri ricci ribelli in una coda, s'infilò dei pantaloni e un top, determinata a concedersi almeno venti minuti di pilates prima che Leon si svegliasse.
Srotolò il tappetino sul pavimento in legno vicino alla vetrata che dava sulla spiaggia di Malibu, il suo posto preferito per stare un po' tranquilla. C'era un'intera palestra al primo piano della villa di Antonio e Vanessa, ma non osava usarla. Non ancora. Lì c'erano ricordi di Antonio dovunque, dai trofei appesi al muro, al ring al centro del locale.
Erano passati pochi minuti quando Caitlyn sentì il primo dei tre gemelli piangere e si precipitò nella loro stanza attraversando il corridoio prima che il piccolo svegliasse i fratelli.
«Eccomi qui, tesoro» canticchiò prendendo quel bel fagottino dalla culla.
Come un meccanismo a orologeria, era sempre il primo dei tre a voler mangiare. Caitlyn cercava di trascorrere del tempo da sola con ciascuno di loro mentre dava la pappa.
La mattina passò rapidamente tra pianti e bagnetti, quando all'improvviso qualcuno bussò con insistenza alla porta.
Il ragazzo delle consegne, sperò. Aveva ordinato un nuovo seggiolino per auto, tuttavia non poteva essere già arrivato.
«Brigitte? Vai tu?» chiamò Caitlyn. La babysitter non rispose. Probabilmente era alle prese con i gemelli.
Con una scrollata di spalle, Caitlyn si mise il telefono in tasca e raggiunse la porta aspettandosi un uomo in divisa marrone.
Non era il corriere. L'uomo sulla soglia, con una barba incolta e di una mole che la sovrastava, aveva uno sguardo incuriosito e familiare. C'era qualcosa nel modo in cui inclinava la testa...
«Antonio!»
Quel nome le rimase strozzato in gola.
No! Non poteva essere lui. Antonio era morto nello stesso incidente aereo di Vanessa, oltre un anno prima. Rimase delusa, anche se il suo cuore si aggrappava disperatamente all'idea che il padre dei bambini si trovasse proprio lì davanti a lei in carne e ossa.
«Antonio» ripeté l'uomo e i suoi occhi si spalancarono. «Ci conosciamo?»
La sua voce roca la travolse, sconvolgendola, e le lacrime le velarono gli occhi. Aveva persino lo stesso tono di voce di Antonio. Le era sempre piaciuta quella voce.
«No, non credo proprio. Per un attimo, ho pensato che lei fosse...»
Un fantasma.
Ricacciò indietro quel pensiero.
Il suo sguardo vacuo non avrebbe dovuto ingannarla, eppure, anche con la barba lunga e dieci chili in meno, somigliava così tanto ad Antonio che non poteva smettere di pensare a lui.
«Questa è casa mia, allora» insistette convinto con una punta di meraviglia mentre il suo sguardo vagava per il salone oltre la porta aperta. «La riconosco. Ma l'albero di Natale è nel posto sbagliato.»
In automatico, Caitlyn diede un'occhiata dietro di sé nel punto dove aveva faticosamente posizionato l'abete di oltre tre metri, e cioè nel salone accanto alla vetrata che si affacciava sull'oceano.
«No che non lo è» replicò.
«Non mi