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Il conte e la piccola ladra
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Il conte e la piccola ladra

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About this ebook

Scappata di casa per evitare un odioso matrimonio di convenienza organizzato dallo zio, suo tutore, Edwina finisce nei bassifondi di Londra, e per sopravvivere si taglia i capelli e indossa i panni del giovane Ed. Costretta a rubare per nutrirsi, un giorno la fanciulla tenta di borseggiare Adam Rycroft, aristocratico e mondano pittore della buona società. Sventato il tentativo di furto, il nobiluomo promette di non denunciare il ragazzo e anzi gli offre una generosa ricompensa, a patto che il ladruncolo lo aiuti a ritrovare un giovane cugino scomparso. Ma come reagirà il bel conte nello scoprire che sotto il travestimento da ragazzino sporco e cencioso si cela in realtà una splendida fanciulla di buona famiglia?
LanguageItaliano
Release dateMay 10, 2017
ISBN9788858965641
Il conte e la piccola ladra
Author

Helen Dickson

Helen Dickson lives in South Yorkshire with her retired farm manager husband. On leaving school she entered the nursing profession, which she left to bring up a young family. Having moved out of the chaotic farmhouse, she has more time to indulge in her favourite pastimes. She enjoys being outdoors, travelling, reading and music. An incurable romantic, she writes for pleasure. It was a love of history that drove her to writing historical romantic fiction.

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    Il conte e la piccola ladra - Helen Dickson

    successivo.

    1

    Londra, 1770

    Il mondo segreto di St. Giles era un labirinto di vicoli squallidi e cupi, dove la violenza e la morte regnavano sovrane e l'aria era fetida. I suoi abitanti erano ladri, tagliagole, borsaioli e prostitute, una moltitudine di uomini, donne e bambini abbruttiti dalla povertà e dalla fame, il cui unico sollievo veniva dal gin di pessima qualità venduto ovunque.

    Adam si muoveva tra quella folla lacera in cerca di un viso conosciuto, senza accorgersi del ragazzino cencioso che lo seguiva come un'ombra. Era così assorbito dalla propria missione che impiegò un attimo a rendersi conto del corpo che lo urtava e delle mani agili che gli rubavano l'orologio. Si voltò di scatto, imprecando, scorse un ragazzino correre via e lo inseguì attraverso l'intrico di vicoli.

    Il borseggiatore gli venne consegnato da due giovani in cerca di una ricompensa. Adam gettò loro uno scellino a testa e afferrò il piccolo ladro, che si difese urlando e scalciando. Questi riuscì a sfuggirgli di nuovo divincolandosi, pronto a correre via, ma Adam gli fece lo sgambetto e lo mandò a finire in una pozzanghera. Bagnato e infangato, il ragazzo rimase un attimo intontito, mentre lacrime di rabbia e umiliazione gli salivano agli occhi, poi si rialzò e brandì il coltello che teneva legato alla cintura.

    «Avrò il vostro sangue» ringhiò minaccioso.

    Adam estrasse la spada velocissimo e gliela puntò alla gola. «Non ci proverei, se fossi in te» replicò calmo. «Consegnami il coltello.»

    Il viso sporco arrossato dall'ira impotente, il piccolo ladro obbedì. Adam infilò il coltello nello stivale e rinfoderò la spada, poi gli strinse forte il braccio. In confronto al gigante che torreggiava su di lui, il ragazzo sembrava più minuto e fragile che mai.

    «Mi fate male!» lo accusò.

    «Prova ancora a derubarmi, piccola canaglia, e te ne pentirai amaramente!» scattò Adam. «E ora ridammi l'orologio» aggiunse, tendendo la mano.

    Gli occhi verdi del ragazzo erano colmi di un'ira furiosa verso lo sconosciuto che era riuscito a catturarlo, ma soprattutto verso se stesso. Il suo stomaco brontolava per la fame, ma ormai doveva dire addio al pasto sostanzioso che la vendita del bell'orologio gli avrebbe procurato dopo aver concesso a Jack la sua parte, naturalmente. Rimase muto e immobile, senza restituire il bottino.

    Irritato, Adam lo sollevò prendendolo per il bavero della giacca lacera, fino a quando il viso sporco si trovò vicinissimo al suo. «Forse un agente di polizia ti farà intendere ragione» lo minacciò.

    La prospettiva di finire in prigione per furto lo indusse a consegnare l'orologio. «Ecco qua» borbottò. «Mi... mi dispiace di averlo preso.»

    Adam notò quanto fossero piccole le sue mani, una caratteristica che senza dubbio gli tornava utile, nella sua attività di borsaiolo. «Il pentimento non ti servirà a molto» replicò con durezza.

    Il ragazzo sollevò lo sguardo e si trovò davanti due occhi di un azzurro intenso in un viso abbronzato. L'uomo era alto e muscoloso e dava l'impressione di essere abituato a cavalcare, andare a caccia e tirare di scherma. Sotto il tricorno i capelli scuri legati in un codino sulla nuca mettevano in risalto gli zigomi alti, il naso aquilino e la bocca ben disegnata, in quel momento tutt'altro che sorridente.

    Doveva avere almeno ventinove, trent'anni ed emanava forza e sicurezza. I suoi occhi azzurri e penetranti parevano capaci di leggergli nella mente. Spaventato, il ragazzo si guardò intorno in cerca di una via di scampo, ma l'uomo gli sbarrava il passaggio.

    Adam ricambiò il suo aperto esame: il piccolo ladro non doveva avere più di tredici o quattordici anni e gli ispirava una riluttante pietà. Era magro, cencioso e sporco come tutti i ragazzini di St. Giles, eppure c'era in lui qualcosa di raffinato che attirava l'attenzione. Ricordò che quando l'aveva catturato aveva imprecato in francese, una reazione davvero insolita per un ragazzo di strada.

    «Allora, cosa devo fare con te?» chiese con un sospiro. «Ti meriti una sculacciata, più che di finire davanti al magistrato.»

    «Provate ad alzare le mani su di me e ve ne pentirete» replicò l'altro.

    Adam lo fissò gelido, ma quando parlò la sua voce era calma e gentile. «Non sfidarmi, piccolo. Detesto quelli che picchiano i bambini, ma potrei anche cambiare opinione. Dimmi, ti guadagni la vita rubando, pur sapendo che potresti finire in galera o sulla forca?»

    «Sempre meglio che morire di fame» borbottò il piccolo ladro.

    «I tuoi genitori lo sanno?» chiese Adam. In realtà, era probabile che proprio loro fossero i ricettatori pronti a rivendere gli oggetti rubati dal figlio.

    Il ragazzo si cacciò le mani in tasca e distolse lo sguardo. «I miei genitori sono morti» rispose cupo.

    Il suo stomaco brontolò ancora per la fame e Adam si impietosì. «Stavo per cercarmi qualcosa da mangiare. Vuoi unirti a me?» gli propose.

    «Non accetto la carità» protestò l'altro, diffidente.

    «Fai come vuoi.» Adam si voltò e riprese a camminare.

    Il ragazzo lo seguì con lo sguardo, diviso tra l'orgoglio e la fame, poi lo richiamò. «Aspettate, milord! Mi andrebbe un boccone» ammise a malincuore.

    Adam sorrise tra sé e si girò. «Sbrigati, allora» lo sollecitò, dirigendosi verso la taverna più vicina.

    Il ragazzo lo seguì infuriato: se non avesse avuto tanta fame, lo avrebbe mandato al diavolo volentieri.

    La taverna era un locale affollato e buio, con le pareti annerite dal fumo. Una volta seduti in un angolo, Adam fissò ancora una volta il giovane compagno: nonostante i vestiti stracciati e il viso sporco, sedeva eretto e orgoglioso come un piccolo Principe. Ancora una volta la pietà lo invase: il giovane faceva parte dell'enorme legione di bambini poveri e abbandonati, che per sopravvivere erano costretti a rubare o a chiedere l'elemosina.

    Il pensiero andò a un altro ragazzo, un bastardo del suo stesso sangue; privato degli agi cui era abituato e condannato a una vita di stenti, era riuscito a sopravvivere? Lo cercava da mesi e forse quel ladruncolo cencioso avrebbe potuto aiutarlo.

    «Visto che dobbiamo mangiare insieme, potremmo anche presentarci. Io mi chiamo Adam, e tu?»

    Il ragazzo incontrò il suo sguardo: quello sconosciuto imponente sembrava un falco e lui si sentiva un uccellino sul punto di finire tra i suoi artigli. «Perché vi interessa il mio nome?» chiese diffidente.

    «Sono curioso. Allora?» lo incalzò Adam.

    «Mi chiamo Ed» rispose il giovane a malincuore, poi si tolse il berretto ed espose una massa sporca e arruffata di capelli dal colore incerto.

    «Sarebbe ora che ti facessi un bel bagno» osservò Adam.

    «Un bagno è roba da ricchi, non da gente come me» replicò il ragazzo. Poi si rimise il cappello e se lo calcò sulla fronte.

    «Dove vivi, quando non sei occupato a derubare la gente?»

    «Fate troppe domande» sbottò Ed imbronciato.

    «È una mia abitudine. Inoltre mi devi qualche risposta, visto che mi hai rubato l'orologio.»

    «Ho... una stanza.»

    «Con degli amici?»

    «No. Non ho bisogno di amici. Mi fido solo di me stesso, è più facile così.»

    «Ma devi sentirti solo.»

    In effetti, non aveva mai sperimentato una simile solitudine, unita alla continua paura di venire catturato. Odiava derubare la gente, odiava l'ambiente sordido di St. Giles e desiderava disperatamente tornare a una vita sicura e rispettabile. Quando, sei mesi prima, si era ritrovato là, non aveva avuto altra scelta che sottomettersi a un tiranno spietato.

    «Mi sembri un ragazzo intelligente, ma forse non hai abbastanza orgoglio o fede in te stesso, altrimenti non faresti il ladro. Perché rubi, Ed? È possibile che tu non abbia alternative?» gli chiese Adam diretto.

    «L'alternativa è molto peggiore» rispose Ed d'impulso. Adam lo guardava con tanto franco interesse da rendergli impossibile mentire. «Io credo in me stesso; odio rubare e prima o poi smetterò e cambierò vita, solo che non ho ancora trovato il modo.»

    Colpito e commosso suo malgrado dalla convinzione che gli vibrava nella voce, Adam gli credette. «Non metterci troppo, però» gli consigliò gentile. «I ladri sono destinati a una morte precoce o alla galera. Se verrai preso un'altra volta, non è detto che il derubato si mostri clemente come me. Hai sempre vissuto per strada?» aggiunse incuriosito. «O conosci altri paesi... per esempio la Francia?»

    Ed si irrigidì. «Perché me lo domandate?» gli chiese diffidente.

    «Quando ti ho bloccato, hai imprecato in un ottimo francese.»

    Fu come se una porta si chiudesse. Ed si ritrasse di scatto: non amava parlare di sé con gli sconosciuti, specie se curiosi come quello. «Ve l'ho detto, milord, voi fate troppe domande!» sbottò, distogliendo lo sguardo.

    Adam immaginò che Ed volesse dimenticare un passato doloroso. «Ti chiedo scusa per l'invadenza. Sono una persona riservata e rispetto lo stesso atteggiamento negli altri. Su, rilassati. Sta arrivando da mangiare.»

    Ed si gettò famelico sul pane imburrato, il pasticcio di carne e la torta di mele; Adam consumò il cibo con più calma, poi non riuscì a resistere alla tentazione di ritrarre quel viso mobile, tirò fuori un piccolo albo e un carboncino e cominciò a disegnare.

    Una volta soddisfatta la fame, Ed estrasse dalla tasca un fazzoletto, si pulì la bocca e si appoggiò allo schienale della sedia. Aveva notato le dita lunghe e sottili di Adam, tipiche di un uomo creativo, che si muovevano veloci e gli occhi che passavano da lui all'albo da disegno e incuriosito si sporse sul tavolo. «Posso vedere?»

    «Certo. Che ne dici?»

    Adam voltò l'albo e Ed sussultò incredulo: il ritratto era davvero somigliante. «Siete bravo» fischiò ammirato. «Dovreste farlo di lavoro.»

    «Grazie; ci penserò» promise Adam, nascondendo un sorriso.

    «Dovreste, milord» insistette Ed. «Posso tenerlo?»

    Adam strappò il foglio e glielo tese.

    Ed lo infilò sotto la giacca con cura, stando attento a non spiegazzarlo.

    «Ti senti meglio con lo stomaco pieno?» indagò Adam.

    «Sì, grazie.»

    «Mi fa piacere.» Adam continuava a fissarlo con un'intensità che lo metteva a disagio; allo stesso tempo, era curioso di saperne di più su quell'uomo che sapeva disegnare come un vero artista.

    «Cosa ci fa un gentiluomo come voi a St. Giles?» chiese diretto.

    «Sto cercando un bambino, un mio parente scomparso due mesi fa. È stato visto in questa zona, ma ci sono posti dove né io né la gente che lavora per me possiamo penetrare. Tu, invece, conosci ogni vicolo di St. Giles e potresti fare delle ricerche discrete.»

    «Io ho da fare» replicò Ed.

    Se non portava ogni giorno un buon bottino, doveva vedersela con l'ira di Jack.

    «Facciamo un patto» propose Adam.

    «Io non faccio patti.»

    «Ascoltami» insistette Adam, un guizzo divertito negli occhi azzurri. «Non ho bisogno di ricordarti che mi hai appena rubato l'orologio. Se accetti di aiutarmi, non chiamerò le autorità.»

    «Questo è un vile ricatto» sbottò Ed in tono indignato.

    «Verrai ricompensato, te lo prometto. Prima dicevi di voler cambiare vita. Bene, io te ne offro la possibilità. Tutto quello che devi fare è tenere gli occhi aperti. Il bambino che cerco ha nove anni, gli occhi castani, i capelli neri e si chiama Toby.»

    «A St. Giles ce ne sono a centinaia con queste caratteristiche. Inoltre, se è qui da due mesi a questo punto sarà irriconoscibile.»

    «Non credo» obiettò Adam cupo. «Toby è nato con la gamba destra più corta della sinistra e con il piede girato in dentro. È menomato e per camminare ha bisogno di una gruccia.»

    «Ci sono molti storpi a St. Giles, dalla nascita o menomati di proposito per chiedere l'elemosina» replicò Ed cinico.

    Adam estrasse un sacchetto dalla tasca. «Su, prendilo. Dentro ci sono cinque ghinee. Quando tornerò, tra quattro giorni, ne avrai delle altre» promise.

    Ed prese il sacchetto: erano mesi che non vedeva tanto denaro! «In cambio, devo solo cercare questo Toby?» chiese, diviso tra la speranza e l'incredulità.

    «Sì. Non devi parlargli, solo dirmi dove posso trovarlo. Io mi occuperò del resto. Saresti uno sciocco a rifiutare.»

    «Come fate a essere sicuro che non mi prenderò i soldi e non mi farò più vedere?»

    «Chiamala intuizione. Mi piace il tuo spirito e mi fido di te, Ed.»

    Nessuno gli aveva mai detto una cosa simile. «Grazie» mormorò a disagio. «Non mi merito tanta fiducia.»

    «Forse no» concordò Adam con un sorriso. «Dunque vedi di non deludermi.»

    «Cercherò.»

    Ed avvertì la sua profonda preoccupazione per il bambino scomparso e lo guardò di sottecchi: i capelli erano folti e scuri, il viso attraente e virile e la voce profonda. Per quanto sicuro di sé fino a sfiorare l'arroganza, Adam non sembrava crudele né disonesto. Inoltre era l'uomo più bello che avesse mai visto.

    «Mi dispiace di avervi derubato. Se Toby è qui, farò del mio meglio per trovarlo.»

    «Bene.» Adam sapeva che se non fosse tornato, non sarebbe stata colpa sua. «Al successo» brindò, sollevando il bicchiere e buttandone giù il contenuto in un unico sorso. «Ecco qua, riprenditi il coltello» aggiunse.

    Lasciarono la taverna e si accordarono per rivedersi nello stesso posto quattro giorni dopo.

    Adam seguì con lo sguardo il ragazzo fino a quando non scomparve nell'intrico di vicoli di St. Giles.

    2

    Heloise Edwina Marchant spinse la porta di una casa fatiscente ed entrò; le finestre erano così sporche da lasciar passare poca luce e nell'aria stagnava un odore fetido e penetrante. Salì le scale sconnesse senza neppure far caso ai pianti dei bambini dietro le porte chiuse. Solo qualche tempo prima quello spettacolo e quei suoni l'avrebbero disgustata, ma ormai facevano parte della sua vita quotidiana nello squallore di St. Giles.

    Entrò nella stanzetta che Jack Pierce le aveva riservato e che a volte divideva con altri ragazzi. Quel farabutto di Jack affidava i più piccoli alle cure di Mamma Pratchet, una megera sempre sotto l'effetto del gin, e incaricava i ragazzi più esperti d'insegnare loro i mille trucchi dei borsaioli.

    Appena arrivata a St. Giles, Edwina si era sentita stringere il cuore per i tormenti di quei bambini spesso abbandonati dai genitori, ma poi aveva capito di non poterli aiutare: no, non c'era spazio per la compassione, in quel

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