Un duro dal cuore tenero: Harmony Destiny
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Book preview
Un duro dal cuore tenero - Paula detmer Riggs
successivo.
Prologo
Ian MacDougall non era abbastanza ubriaco da perdere completamente la ragione. Infatti non aveva ancora buttato giù abbastanza alcool per stordirsi piacevolmente. Anche se era giunto il momento di pagare l'affitto e a denaro scarseggiava, aveva considerato seriamente la possibilità di acquistare un'altra bottiglia. In fin dei conti, ognuno aveva le sue priorità.
Così si era trascinato fino al supermercato all'angolo della strada per comperare dello scotch. Roba buona, non vetriolo. Finché acquistava roba buona, significava che non era poi tanto brillo, giusto? E allora perché diavolo alla fine aveva comperato del cibo per cani? Dannazione, quel fottutissimo segugio che era diventato la sua ombra poteva benissimo trovarsi da sé qualcosa da sgranocchiare nei bidoni dei rifiuti disseminati sulla spiaggia. In ogni caso, mentre percorreva la familiare striscia di sabbia mista a rocce, Ian aveva lo stomaco in fiamme e la testa che gli rimbombava, minacciando di spaccarsi in due.
Avrebbe dovuto comperarsi quel benedetto scotch e lasciare che il cane si arrangiasse. I cani non soffrono di incubi. Né di ricordi che ti tormentano fino a farti desiderare di sprofondare nell'oblio.
Fatta eccezione per i clienti abituali che dormi vano sotto ai fogli di giornale o in qualche riparo di cartone tra le rocce, Ian era solo su quella lingua di costa. Sopra di lui, le stelle brillavano come pezzi di ghiaccio, fredde e dure. Poco più in alto della spuma dei frangenti, una nebbiolina offuscava l'orizzonte, mandando qualche prolungamento sottile verso la spiaggia. Sotto alla scogliera, le onde rabbiose si infrangevano contro la terraferma, dando quasi l'impressione di volerla mordere.
Sostando al riparo di un blocco di granito, Ian si accese l'ennesima sigaretta e tirò una boccata di fumo. Spruzzi d'acqua lo raggiunsero ugualmente, rinfrescandogli il viso. Alle sue spalle la pulsante comunità di Ocean Beach a San Diego, California meridionale, si era finalmente coricata per la notte e solo poche finestre fiocamente illuminate punteggiavano l'oscurità.
La spiaggia era deserta.
Indipendentemente dal punto da cui partiva o dalla direzione che prendeva inizialmente, immancabilmente Ian finiva col ritrovarsi alla scogliera. Naturalmente, sapeva bene il perché. Era il luogo in cui un tempo aveva deciso di porre fine alla sua vita. Ed era il posto in cui aveva incontrato la donna che gli aveva fatto cambiare idea.
Dopo avere fatto a pezzi il mozzicone della sigaretta, lasciò cadere ciò che ne rimaneva nella tasca della giacca a vento prima di sedersi su di una fredda roccia piatta. Mentre pescava un'altra sigaretta dal pacchetto che teneva nel taschino della camicia, il cane che si era autoproclamato sua guardia del corpo si appiattì sul terreno rossastro ai suoi piedi.
«Fatti una vita tua, miserabile cagnaccio» borbottò Ian, corrugando la fronte. La ripugnante creatura sollevò lo sguardo, ringhiò la sua protesta, quindi posò sulle zampe anteriori il muso segnato da una lunga cicatrice, chiuse gli occhi e si addormentò.
Fortunato bastardo, pensò Ian mentre si accendeva stancamente la sigaretta. Aveva la gola secca per via dell'abitudine di fumarne un pacchetto al giorno. La tosse che l'aveva spinto a smettere quando erano nate le gemelle era tornata, se possibile anche più forte. Aveva ripreso a fumare pochi giorni dopo avere osservato con espressione sgomenta le bare identiche delle sue bambine e quella della sua ex moglie che venivano calate nella fredda terra. Era accaduto quasi un anno prima. Da allora, si era ubriacato tutte le sere, con una sola eccezione. Una notte di luna piena, quando il cane era entrato nella sua vita.
Ian aveva udito dapprima delle grida e poi un abbaiare furioso, portati a lui dalla brezza marina. Non sapeva ancora il motivo per cui era uscito a indagare. Abitudine, probabilmente. La risposta profondamente radicata di un uomo che aveva giurato di far rispettare la legge... e che aveva reagito come fosse un vecchio cavallo dei pompieri richiamato in azione dal suono di una sirena.
Quando aveva raggiunto il luogo dal quale si era levato il clamore, aveva trovato il cane disteso sulla sabbia, pestato a sangue da un gruppo di teppisti adolescenti. Solo una minuta ma coriacea donna dai riccioli neri e dai pungenti occhi castani stava cercando di impedire alla gang di finire la povera bestia. Poi, prima che Ian capisse ciò che stava accadendo, uno dei piccoli bastardi aveva afferrato brutalmente la donna per le spalle.
Sebbene Ian fosse stato quasi ubriaco fradicio, i vent'anni passati nelle forze di polizia avevano fatto scattare in lui una molla. Mesi e mesi di tentativi di sbronzarsi a morte lo avevano forse reso un filo più lento, ma sapeva ancora come muoversi: un'entrata in scena di grande effetto e un'intimazione urlata con rabbia sprezzante erano state sufficienti a rimettere a posto le cose. Come tutti i codardi, i teppistelli in erba se l'erano data a gambe piuttosto di affrontare un uomo della sua stazza.
«Quella donna ti ha salvato la vita, brutto cagnaccio senza nome» borbottò Ian, guardando di traverso quella specie di clown dalle vaghe sembianze canine, dal pelo lungo e dalle orecchie abbassate, che stava ai suoi piedi. Con il suo sesto senso infallibile che irritava tremendamente Ian, il cane aprì l'occhio attraverso il quale poteva ancora vedere e agitò quel che rimaneva della coda mozzata.
Rabbuiandosi in volto per dimostrare tutta la sua contrarietà, Ian passò suo malgrado le dita tra le orecchie del segugio. Non certo perché gli piacesse la patetica creatura, si rammentò. Nient'affatto. Accidenti, cosa c'era che potesse piacere? Quel cane era zoppo, brutto come il peccato e aveva l'appetito di un lupo. Peggio ancora, doveva anche essere un po' tonto, perché solo l'equivalente canino di un idiota sarebbe stato disposto a fare coppia con un infelice come Ian MacDougall.
«Lei non è qui, povero te. Accidenti, probabilmente ci ha dimenticati tutti e due prima ancora che l'aereo si alzasse da terra.» Nel momento stesso in cui pronunciava quelle parole, si rese conto che non erano esattamente vere. La donna che aveva singhiozzato sulla sua spalla nello studio del veterinario non era affatto il tipo dal cuore di pietra che dimentica facilmente.
Tirò una profonda boccata ed esalò il fumo lentamente. Non avrebbe mai dovuto toccarla. Era stata una sciocchezza farlo. Aveva ceduto al tipo di impulso idiota che pensava di avere superato da anni. Due estranei sulla spiaggia, ciascuno spinto dai propri demoni personali, che speravano di trovare conforto l'uno tra le braccia dell'altro. Grazie a Dio, la donna aveva avuto il buon senso di stare attenta, perché lui non aveva minimamente pensato alle possibili conseguenze.
Era stato fuori di sé quella sera, pieno di rabbia, sensi di colpa e angoscia. Dal processo erano passate meno di quarantotto ore. Hutch Renfrew gli aveva strizzato l'occhio quando era stato rimesso in libertà, e aveva riso beffardo. Quell'individuo aveva ucciso due ragazzine innocenti e la loro mamma, e lo avevano proclamato libero di uccidere di nuovo. Se Renfrew era ancora vivo lo doveva solo al fatto che Ian si era presentato in tribunale disarmato quel mattino.
Da allora, quel figlio di buona donna era sparito. Nemmeno le molte agenzie investigative a cui si era rivolto erano riuscite a scovare il capo della Banda per la Supremazia della Razza Ariana.
Dio solo sapeva quanto aveva provato a rintracciarlo.
L'indomani la sua aspettativa di un anno dall'ATF sarebbe ufficialmente scaduta. Il suo capo, Ed Stebbins, lo aveva avvertito che era giunto il momento di tornare a rimboccarsi le maniche o di gettare definitivamente la spugna. L'agente Ian MacDougall non poteva più rinviare la decisione. O dentro, o fuori. Eddie premeva per la prima soluzione.
A Ian invece non importava molto che andasse in un modo o nell'altro. Ma purtroppo era al verde e l'ATF era l'unica casa e famiglia che gli fossero rimaste.
C'era un nuovo incarico che lo aspettava. Glielo aveva detto Eddie quando aveva telefonato qualche giorno prima. Un caso di traffico illegale di armi in Florida. Niente più skinhead, aveva aggiunto il capo. Ian era troppo coinvolto a livello personale.
Già, era troppo coinvolto, ammise, tirando l'ultima boccata, prima di spegnere il mozzicone sulla roccia. Coinvolto quanto bastava per ritrovarsi ogni tanto a sognare a occhi aperti di sbudellare quel bastardo razzista con il suo coltello da caccia. Comunque fosse, tornare a lavorare con l'ATF gli avrebbe fornito l'accesso a quel genere di informazioni che un giorno avrebbero potuto portarlo a mettere le mani su Renfrew.
«Florida» borbottò, gettando un'altra occhiata stanca alla bestia ai suoi piedi. «Ho sentito dire che ci sono gli alligatori laggiù. Probabilmente mangiano dei relitti come me e te per colazione.»
Agitando la coda, il cane abbaiò. Un suono analogo giunse da un punto più avanti della spiaggia, facendo alzare in piedi l'animale. Con la testa piegata, il cane cercò di vedere nell'oscurità, lanciando di tanto in tanto un patetico latrato, come se si struggesse per la donna dal sorriso angelico e dal cuore d'oro che un tempo l'aveva salvato.
Anche lui aveva una buona stella lassù nel cielo pieno di luci, gli aveva detto lei. Ce n'era una per ogni anima che arrivava sulla faccia della terra. Ian le aveva quasi riso in faccia, ma poi aveva finito per baciarla.
Ian abbozzò un sorriso e si strinse nelle spalle. «Scordatelo, amico. Quella donna vive nell'Oregon, ricordi? Lavora in un qualche college sperduto in mezzo agli alberi.» Corrugando la fronte, affondò la mano nella tasca della giacca a vento e ne estrasse il suo biglietto da visita, che era rimasto lì fin da quando lei glielo aveva dato otto mesi e mezzo prima. Aveva avuto intenzione di buttarlo via, ma in qualche modo non lo aveva mai fatto.
Il nome e la qualifica professionale della donna erano impressi su quel pezzo di carta elegante e di gran classe, come la donna stessa. Infatti, sebbene indossasse un paio di jeans sbiaditi e un'ordinaria maglietta,