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La donna del conte: Harmony Collezione
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La donna del conte: Harmony Collezione

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About this ebook

Alla ricerca delle proprie radici, alla ricerca dell'amore...
Dopo una cocente delusione d'amore, Diana Reeves decide di lasciare gli Stati Uniti e partire per la Francia, cominciando un viaggio alla ricerca delle proprie origini. Giunta in Provenza, nel caratteristico villaggio di Bellevue-sur-Lac, la sua strada incrocia quella di Anton, l'affascinante conte de Valois, e per uno strano gioco del destino Diana si ritrova alle sue dipendenze. Anton non si fida della nuova arrivata, è convinto che nasconda qualcosa, e per questo le ha offerto un posto di lavoro. Averla accanto a sé gli è sembrato il miglior modo per tenerla sotto controllo. Ma la vicinanza risveglia un forte richiamo, che nessuno dei due aveva messo in preventivo.
LanguageItaliano
Release dateMar 10, 2020
ISBN9788830512429
La donna del conte: Harmony Collezione
Author

Catherine Spencer

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    La donna del conte - Catherine Spencer

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The French Count’s Pregnant Bride

    Harlequin Mills & Boon Modern Romance

    © 2006 Spencer Books Limited

    Traduzione di Matilde Lorenzi

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2007 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3051-242-9

    Prologo

    4 Novembre – ore 20.00

    Per una volta Harvey era arrivato al ristorante prima di lei ed era già seduto al loro tavolo preferito. Consegnò la mantella di cachemire alla ragazza del guardaroba e sorrise distrattamente a una graziosa giovane donna in stato di avanzata gravidanza, appollaiata su un alto sgabello del bar, prima di farsi strada tra i tavoli affollati della sala. Ventotto rose rosse, tante quante gli anni che compiva quel giorno, e un piccolo pacchetto elegantemente confezionato occupavano un lato del tavolo, all’altro un secchiello con una bottiglia di Taitinger Brut Riserve e due flûtes.

    «Sono in ritardo?» chiese lei porgendo la guancia per ricevere il consueto bacio di benvenuto.

    «No, sono io che sono in anticipo.»

    Perfetto gentiluomo come sempre, Harvey l’aiutò a sedersi sulla panchetta imbottita prima di prendere posto sulla sedia di fronte.

    «Nessuna emergenza dell’ultimo minuto?» sorrise lei contenta di essere lì con lui, che aveva fatto lo sforzo di non farla attendere nel giorno del suo compleanno. Capitava così spesso che fosse trattenuto e chiamato all’improvviso nel bel mezzo di qualunque cosa avessero programmato di fare! E sempre di più lo sentiva distante, preoccupato, chiuso nei suoi pensieri. Ultimamente era persino rimasto sveglio fino a tardi a camminare avanti e indietro nel suo studio per poi dormire sul divano onde evitare di svegliarla. Immaginava che quello fosse il prezzo da pagare per essere la moglie di un affermato cardiochirurgo.

    «Non stasera» confermò lui. «Mi copre Ed Johnson» disse, riempiendo i loro bicchieri per brindare. «Buon compleanno, Diana!»

    «Grazie, tesoro.» Il liquido biondo le scese in gola pizzicandole piacevolmente il palato e lei pensò che fino a pochi anni prima il massimo del festeggiamento che potevano permettersi era una bottiglia di vino scadente e spaghetti cucinati in casa. Ma Harvey aveva fatto carriera e su quel tavolo non c’era nulla di scadente. Sollevò le rose per respirarne la fragranza delicata.

    «Queste sono per me, vero?» chiese con un sorriso malizioso all’indirizzo del marito.

    «Queste, e anche questo» sorrise lui porgendole un pacchettino. «Aprilo prima di ordinare, Diana. Credo che ti piacerà.»

    E come poteva non piacerle un braccialetto di platino con zaffiri e diamantini? Felice, se lo allacciò al polso e agitò la mano per ammirarne gli effetti di luce. «Oh, Harvey... è meraviglioso! Come farò a ricambiare quando sarà il tuo compleanno?»

    «Non sarà necessario.» Sorridendo le indicò il menù a lato del piatto. «Cosa vuoi ordinare?»

    «Mmh... sono indecisa tra le costolette d’agnello e l’aragosta del Maine.»

    «Prendi l’aragosta. È la tua preferita.»

    «Vada per l’aragosta, con un’insalata mista, grazie.»

    Harvey fece un cenno al cameriere che si precipitò a prendere l’ordinazione. «E per lei, signore?»

    «Io sono a posto con lo champagne, grazie.»

    «Ma come?» gli chiese lei perplessa. «Tu non mangi? Non ti senti bene, tesoro?»

    «Non mi sono mai sentito meglio» esclamò lui con un profondo sospiro. Estrasse dalla tasca la sua carta di credito e la posò sul tavolo. «Il fatto è, Diana, che io ti lascio.»

    Un brivido freddo le corse lungo la schiena. Diana sbatté gli occhi e lottò per restare calma. «Come? Vuoi dire che devi tornare in ospedale?»

    «No. Vuol dire che ti lascio. Punto. Esco dal nostro matrimonio.»

    Dopo un istante lei scoppiò in una risatina nervosa. «Oh, Harvey, stai scherzando! Per un attimo ti ho creduto...»

    Ma suo marito non aveva ombra di sorriso sul volto. Anzi, una lieve espressione a metà tra pietà e fastidio, con una punta di disprezzo, gli balenava negli occhi. «Non è uno scherzo, Diana. Ho incontrato un’altra donna.»

    Piano piano, con estrema delicatezza, Diana posò il flûte ancora mezzo pieno sulla tovaglia immacolata. Tutto sembrava così irreale. «Un’altra donna?» ripeté. «Ma... da quanto tempo?»

    «Abbastanza.»

    La sensazione di sprofondare in un buio silenzioso, la stessa che aveva provato da bimba rischiando di annegare nella piscina dei suoi genitori, si impadronì di lei. Ma stavolta nessun padre amorevole si precipitò a tirarla fuori e consolarla. Lottò per risalire alla superficie. «Ma, Harvey... non durerà... sono cose che capitano spesso... lo supereremo e io... io ce la farò... te lo prometto...»

    Lui si sporse attraverso il tavolo per afferrarle entrambe le mani e scuoterle. «Ascoltami, Diana, non si tratta di un’avventura passeggera. Io e Rita siamo molto innamorati e stiamo costruendoci un futuro insieme.»

    «No!» esclamò lei a voce alta mentre liberava le mani dalla sua stretta. «Non è vero! Tu ami me! Me lo hai detto centinaia di volte.»

    «Non più ultimamente. Pensaci. Sono mesi che le cose tra noi non funzionano.»

    «Be’, non importa!» Una punta di isteria affiorò nella sua voce appena più alta del normale. «Non ti lascerò buttare tutto all’aria! Io non lo merito... noi non ce lo meritiamo...»

    Harvey si irrigidì allontanandosi dal tavolo. «Smettila di dare spettacolo, Diana!»

    Lei fece un gesto della mano verso il tavolo con le rose e la scatola del braccialetto ancora aperta. «E tutto questo cos’è?»

    «È il tuo compleanno, e che tu ci creda o no io provo ancora dell’affetto per te. Volevo lasciarti un ricordo di questo giorno.»

    «E dirmi che il nostro matrimonio è finito non ti sembrava abbastanza?»

    «Andiamo, Diana! Sinceramente credevo che tu ti fossi accorta che la situazione stava peggiorando, che qualcosa di vitale era morto tra noi.»

    «No. Io pensavo tu fossi troppo stressato dal lavoro, non che...» Guardò le rose, il braccialetto che aveva al polso e infine il viso dell’uomo che aveva sposato quasi otto anni prima come se lo vedesse solo in quel momento. Rise amara. «Del resto, non dicono tutti che la moglie è sempre l’ultima ad accorgersene?»

    «Vedo che sei sconvolta adesso. Ma quando ti sarai calmata capirai che è stato meglio troncare così piuttosto che arrivare al punto da non sopportare più nemmeno di parlarsi in modo civile. Vedrai.» Così dicendo si alzò. Educato e formale fino alla fine la salutò sfiorandole una guancia con un bacio. «Gustati l’aragosta, sei mia ospite, Diana.»

    Poi attraversò a lunghi passi la sala in direzione della giovane donna incinta che si alzò per andargli incontro. Le mise un braccio attorno alla vita e le depose un lungo bacio sulle labbra, prima di scortarla verso l’uscita con estrema delicatezza, come fosse stata di vetro soffiato.

    Incinta...

    La donna per cui Harvey la lasciava stava per avere il bambino che si era sempre rifiutato di dare a lei, sua moglie. E in quel momento qualcosa, davvero, morì in lei.

    1

    1 Giugno – ore 16.00

    Aix-en-Provence stava risvegliandosi dal pisolino pomeridiano mentre Diana, al volante di una vecchia auto a noleggio, imboccava la strada per Bellevue-sur-Lac, un paesino a circa ottanta chilometri in direzione nord-est.

    Aix-en-Provence: una bella città ricca di storia e cultura, dove ventinove anni prima una ragazza francese di Bellevue-sur-Lac, appena diciassettenne, dava in adozione a una coppia di americani quarantenni la sua neonata illegittima. Quella neonata era Diana.

    Ogni nome e ogni particolare erano stampati nella sua mente con tanta chiarezza che avrebbe potuto recitare a memoria la lettera ritrovata tra le carte di suo padre, dopo la morte dei genitori avvenuta due anni prima.

    Doveva ammettere che l’abbandono di Harvey le aveva fatto quasi dimenticare il suo lutto per alcuni mesi. Nei primi tempi dopo la separazione, Diana si era tormentata cercando di capire dove aveva sbagliato e se c’erano state modalità di comportamento che avrebbero potuto salvare il suo matrimonio e che lei non aveva adottato. Ma alla fine aveva dovuto arrendersi all’evidenza che non c’era nulla di tutto ciò. Harvey aveva smesso di amarla e perso la testa per un’altra con cui voleva passare il resto della vita facendoci dei figli. Semplice. Lei era rimasta sola.

    Sette mesi erano un periodo più che sufficiente per piangere la perdita di un uomo che si era dimostrato indegno delle sue lacrime, e qualche giorno prima Diana si era resa conto che la sua disperazione si era stemperata in una sorta di rassegnata indifferenza. In fondo doveva essergli grata di averla resa libera: per la prima volta in vita sua era completamente libera di fare qualunque cosa volesse. Era sola al mondo e con una più che soddisfacente situazione economica.

    Quello era il motivo per cui ora si ritrovava in quell’angolo sperduto di Francia, tra campi di lavanda, ulivi e vigneti e dove con un pizzico di fortuna avrebbe ritrovato le sue radici.

    «Non dirai sul serio!» aveva esclamato Carol Brenner, la sua migliore amica e una delle poche persone che le erano rimaste vicino dopo la perdita del titolo di moglie del dottor Harvey Reeves, quando l’aveva messa la corrente del suo progetto. «Tu sei pazza, Diana! Hai passato l’inferno in questi ultimi mesi, ti reggi in piedi a stento e ora vuoi attraversare l’oceano per andare in un paesino sperduto della Francia a cercare la tua madre biologica?»

    «Come sarebbe che non mi reggo in piedi? Sono solo un po’ dimagrita, via!»

    L’amica si era protesa attraverso il tavolino del bar in cui stavano sorseggiando un caffè e le aveva stretto le mani. «Diana, sei talmente magra che potresti essere scambiata per un’evasa da un campo di concentramento nazista! Scusa se sono così sincera, ma sono la tua migliore amica e ti voglio bene. Sono preoccupata per te e ora... anche questa follia!»

    Carol non aveva poi tutti i torti. Da quando non doveva più preparare eleganti cene per suo marito e i suoi illustri invitati capitava spesso che si dimenticasse di cucinare per se stessa! E a pranzo riusciva a ingoiare a stento un cappuccino.

    «Cercare la mia vera madre potrebbe comunque aiutarmi a uscire da questo periodo nero» aveva azzardato arrossendo lievemente. «È da molto tempo che volevo farlo e la separazione me lo ha solo impedito per un po’. Ora mi sento pronta, stai tranquilla.»

    «Io non ti capisco... Non mi avevi mai detto di essere stata adottata fino a qualche giorno fa! Non è certo un delitto da tenere nascosto, mi sembra.»

    «Non è stato per vergogna, ma per paura, che i miei genitori non volevano farlo sapere. Era stata un’adozione privata, un po’ speciale credo, anche se mio padre si era premurato di legalizzare il tutto. Figurati che anche io l’ho saputo per caso a otto anni...»

    «Come per caso?» l’aveva interrotta l’amica. «Non te lo avevano detto loro?»

    «Purtroppo è stato durante una lite alle elementari con una mia compagna particolarmente odiosa. Ci siamo prese per i capelli e lei mi ha gridato che io ero una adottata e che dovevo stare zitta!»

    «Che vipera! E tu che hai fatto?»

    «Io me ne sono tornata a casa tutta mogia a chiedere a mia madre cosa significasse la parola adottata e se fosse una malattia grave!» Aveva sorriso nel raccontarlo a Carol, ma in realtà ricordava bene la delusione e il dolore che erano seguiti all’imbarazzata spiegazione dei genitori.

    «Mi parlarono di una ragazza

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