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Un ex in camice bianco: Harmony Bianca
Un ex in camice bianco: Harmony Bianca
Un ex in camice bianco: Harmony Bianca
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Un ex in camice bianco: Harmony Bianca

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About this ebook

Obbedire al capo di giorno e scivolare nel suo letto di notte. Fare il medico non è mai stato così eccitante.



Dopo aver vagabondato di città in città alla ricerca di suo padre, la dottoressa Ruby Smith ha deciso di fermarsi nell'unico posto che abbia mai potuto considerare casa, il luogo dove ha incontrato il suo primo, grande amore. Che adesso è diventato il suo capo.



Jack Forbes non può credere ai suoi occhi: la donna che anni prima gli ha spezzato il cuore è tornata e ora lavora per lui. Una sola occhiata gli basta per capire che l'attrazione tra loro non è mai svanita. Peccato che adesso i suoi piani siano cambiati e che lui non abbia più intenzione di mettere radici. Forse però Ruby potrebbe fargli cambiare idea.
LanguageItaliano
Release dateJan 10, 2019
ISBN9788858992579
Un ex in camice bianco: Harmony Bianca

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    Un ex in camice bianco - Sue Mackay

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Dangers Of Dating Your Boss

    Harlequin Mills & Boon Medical Romance

    © 2012 Sue MacKay

    Traduzione di Katia Perosini

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5899-257-9

    1

    «Se non mangio qualcosa entro cinque minuti, svengo» annunciò Ruby Smith al proprio responsabile Dave, non appena furono rientrati dalla missione di soccorso.

    «Siamo alle solite. Hai fatto colazione?» le domandò lui mentre preparava le borse da scaricare e rifornire.

    «Sì, ma ore fa.» Ruby diede un’occhiata all’orologio. «Sei, per l’esattezza.»

    La richiesta di soccorso era arrivata proprio nel momento in cui stava assaporando il primo boccone di un invitante pasticcio di carne appena uscito dal forno. Si era trattato del recupero e trasporto all’Hutt Hospital di una giovane donna con entrambi i femori fratturati e l’arteria femorale seriamente compromessa.

    «Ehi, rossa, sei proprio tu?» Una profonda e virile voce maschile leggermente arrochita la chiamò dalla pista asfaltata.

    E il suo cuore sussultò.

    Jack?

    Anche dopo anni di lontananza, quella voce le risultava familiare quanto la propria. E pareva avere ancora la capacità di mettere in dubbio la tanto sofferta decisione di tenersi alla larga da lui.

    Quella voce era stata la prima forza d’attrazione di Jack, l’unico uomo che lei avesse mai amato.

    L’uomo da cui se n’era andata per il più sciocco dei motivi.

    Ma cosa ci faceva lì Jack quel giorno?

    Avrebbe dovuto cominciare a lavorare il lunedì successivo, quando lei si sarebbe sentita pronta a incontrarlo. Al momento, l’idea di dover lavorare con lui non le era ancora entrata in testa.

    Sarebbe stato come ai vecchi tempi? Con Jack, il professionista navigato che la osservava come un falco, pronto a svelarle i segreti del mestiere e fare di lei un’infermiera d’eccellenza? E lei, lo avrebbe ascoltato con impazienza, desiderosa di toccarlo ogni volta che ce ne fosse stata la possibilità?

    Un sospiro di rammarico le solleticò le labbra.

    Che lo volesse o meno, doveva tenere le mani a posto questa volta, a costo di cacciarsele in tasca a forza.

    Era una donna adulta ora, e sapeva bene quanto valeva. Se avesse avvertito qualche scarica elettrica durante i turni di lavoro, avrebbe saputo sopravvivervi senza problemi.

    D’altra parte, non aveva scelta.

    Wellington era casa sua ora. Non avrebbe mai più ficcato le poche cose che possedeva in una valigia per andarsene chissà dove. Aveva fatto le proprie ricerche, trovato quel che cercava e imparato a gestire il dolore per aver sprecato i migliori anni della propria vita inutilmente. Se avesse lasciato che Jack le si avvicinasse di nuovo, non sarebbe riuscita a nascondere la fragile impalcatura su cui si reggeva la sua nuova esistenza.

    Fece capolino fuori dal velivolo, aggrappandosi alla maniglia del portellone con una tale forza che le nocche persero colore.

    Jack era là, alto e longilineo, lo sguardo virile fisso su di lei.

    La gola le si seccò e un fremito di desiderio le attraversò sensuale il corpo, raggelandola e surriscaldandola al tempo stesso.

    Jack Forbes, il suo nuovo capo.

    Il suo antico amore.

    «Ciao Jack» mormorò con voce flebile. Ciao meraviglia divina, aggiunse tra sé.

    Lui le rivolse quel suo solito irresistibile sorriso che gli aveva spalancato tutte le porte, compresa quella del suo cuore. «Alza il sedere da quel trabiccolo volante e vieni a salutare il tuo vecchio compagno di sventura.»

    Ah, era in quei termini che voleva metterla? Compagno di sventura... Per lei poteva anche andare, come inizio era meglio di quanto si fosse aspettata.

    Saltò giù dal velivolo, facendo una smorfia per il dolore al ginocchio e stringendosi nelle spalle si preparò per il momento più desiderato e al tempo stesso più temuto da quando era rientrata in Nuova Zelanda.

    «Che piacere vederti» squittì quindi.

    «Il piacere è tutto mio, Ruby la rossa

    Rossa era il suo vecchio soprannome, quello con cui lui la chiamava la sera quando la sentiva rientrare a casa o la mattina quando le si rotolava accanto nel letto ancora assonnato.

    Il viso di Ruby andò in fiamme. Si era accorto di come l’aveva chiamata? Sbatté le palpebre e lo guardò, cercando di lasciarsi scivolare addosso il turbamento che quell’appellativo le aveva procurato.

    Eppure, sentiva le dita formicolare, lo stomaco contorcersi, il cuore battere all’impazzata e un desiderio primitivo e rovente si sprigionò in lei.

    Santo cielo, quell’incontro non doveva essere infarcito di desiderio e tentazione!, considerò allarmata. Compagno di sventura, ricordava?

    «Chi l’avrebbe mai detto che saresti finito a lavorare sugli elicotteri» esclamò poi con malcelata nonchalance.

    «Perché no?» Il sorriso di lui si spense. «Accidenti, mi è quasi venuto un infarto quando ho letto il tuo nome sulla lista del personale. Non sapevo che fossi tornata in Nuova Zelanda, men che meno a Wellington.» Strinse lo sguardo e lo fece scivolare lungo il corpo di lei, provocandole un’ulteriore accelerazione del battito.

    Non c’erano dubbi, desiderava ancora quell’uomo con tutta se stessa.

    Con quelle premesse, considerò con stizza, lavorare con Jack sarebbe diventata un’impresa di proporzioni epiche. «So cosa intendi. Anche per me scoprire che avevi lasciato il reparto di Pronto Soccorso è stato un bel colpo.» Era la verità.

    «Sono un uomo pieno di sorprese.» C’era forse un accenno di sarcasmo nella sua voce?

    «Forse ne ho qualcuna anch’io» ribatté lei.

    Come la casa che si era comprata e che passo dopo passo stava ristrutturando o il compagno che aveva scelto per il proprio tempo libero. Se Jack non restava sbalordito davanti a simili novità, significava che in quegli anni di lontananza si era trasformato in un blocco di ghiaccio.

    Poi, inaspettatamente, i ricordi la investirono con violenza, riempiendola di vergogna.

    Tre anni prima, sul volto di Jack erano apparse sorpresa e incredulità davanti a quell’inaspettata notizia. «Sei davvero convinta di voler mollare tutto e lasciare Wellington? Di voler lasciare me?»

    «Devo. Non riuscirò mai a trovare mio padre se resto qui, e visto che ho scoperto che è americano mi sembra logico andare negli States a cercarlo. Dai, Jack, cerca di capire. Per la prima volta nella vita ho un punto da cui partire. Come potrei lasciarmi scappare l’occasione?» Tremava a tal punto che il piatto le era scivolato di mano spargendo tutta la cena sul pavimento. «Potresti venire con me» aveva sussurrato poi, in preda alla disperazione.

    «Certo, rossa, potrei mollare tutto e andarmene. Come se fosse facile! Mi manca un anno soltanto per prendere la specialità in medicina d’urgenza. Fermarmi ora sarebbe assurdo.» Le aveva preso le mani. «Tu, piuttosto, potresti aspettarmi.»

    Lei aveva scosso la testa, resistendo all’impulso di lanciarsi tra le sue braccia e restarvi per sempre. «Non posso. Ho atteso tutta la vita di conoscere mio padre e ora sono a tanto così da lui. È troppo importante per me, devo andare.» Jack era altrettanto importante, forse di più, ma si era stupidamente convinta che trovare suo padre avesse la priorità su tutto.

    Il viso di Jack era pallido, gli occhi ricolmi di tristezza. «Finché non lo farai, non sarai completamente felice, vero? Neppure con me?»

    Non era riuscita a rispondere a causa del nodo che le aveva serrato la gola.

    E così il loro rapporto era andato in frantumi, come spinto da un perverso meccanismo di autodifesa. Di comune accordo, avevano deciso di prendersi una lunga pausa di riflessione e lasciare al futuro le loro sorti. Eppure, i giorni precedenti la partenza furono di una tale intensità che tutto l’amore del mondo sembrava essersi concentrato in quel breve lasso di tempo.

    Jack sollevò una mano, l’inquietudine dipinta sul volto. «Ehi, lasciamo stare il passato. Dopo tutto, si chiama così mica per niente.»

    «È vero. Ora è tutto diverso, noi stessi siamo diversi.» Lei lo era senz’altro. Fece un sorriso forzato, poi gli domandò: «Allora, è stata generosa la vita con te? Hai una bella cera per essere un uomo di una certa età».

    Gli occhi color grigio fumo di Jack s’illuminarono e le piccole linee alle estremità degli occhi si contrassero in un sorriso. «Non mi lamento. Quanto alla certa età, considero compiere trent’anni un avvenimento, non un lutto.»

    Allora perché quella malcelata espressione d’incertezza?, osservò lei in silenzio. Jack era sempre stato un uomo controllato e sicuro di sé e il termine dubbio non aveva mai fatto parte del suo vocabolario.

    Inutile chiederglielo, tanto lui non le avrebbe svelato nulla: parlare delle faccende che lo inquietavano non era nel suo DNA. Jack prendeva tutto ciò che la vita gli offriva e andava avanti, mascherando dietro un atteggiamento noncurante i sentimenti che provava realmente. Era una vera roccia. La persona su cui tutti contavano in ogni situazione, e che a sua volta non contava su nessuno.

    Ruby si batté la fronte con una mano. «Ma certo, avrai organizzato una festa di compleanno in pompa magna.» Abbozzò qualche passo di danza sul posto, poi lo sogguardò. «Spero che tu abbia ancora tutta l’attrezzatura a posto, senza ruggine né cedimenti.»

    «Diamine, rossa, mi è mancata la tua linguaccia! Nessuno osa mai essere tanto sfacciato con me.»

    E nel giro di un solo secondo, Ruby si ritrovò sospesa nell’aria contro il torace sodo e muscoloso di Jack che l’aveva avvolta in un caloroso abbraccio sollevandola da terra. Sentiva il suo cuore battere forte e regolare, le sue braccia possenti che la sorreggevano.

    «Accidenti, chi è che ti tiene così in forma?» bofonchiò a fatica, cercando di divincolarsi.

    Ma Jack non la lasciò andare, né rispose alla domanda. «Ti trovo bene, dolcezza» aggiunse invece. «Anche con quegli assurdi capelli sparati in testa e quella tintura scarlatta che ci hai rovesciato sopra. Che ne è stato della tua fluente chioma ramata?»

    Mi ricordava troppo te. Ogni volta che si era guardata allo specchio, il suo cuore ferito aveva ripreso a sanguinare. «Erano troppo scomodi per l’elicottero» rispose evasiva.

    «Lo immagino. Che peccato, però.»

    «Be’, almeno non perdo più troppo tempo a curarli.» Una volta passava le ore a pettinarsi quei capelli lunghi fino alla vita che erano stati il suo unico vezzo.

    Insieme a quel ricordo, le ritornarono vividi alla mente l’intensità dell’amore che aveva tenuto legati lei e Jack, i pomeriggi passati a fare freneticamente l’amore, il profumo di pino silvestre del dopobarba che lui ancora utilizzava.

    Cos’altro era rimasto invariato? Jack era la stessa persona di allora?

    Sollevando lo sguardo, vide che lui la stava studiando con la stessa espressione sconcertata che l’aveva perseguitata da quando si erano salutati all’aeroporto tre anni prima. Un’espressione che le ricordava impietosa che non si apprezza il valore di quello che si

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