Brividi segreti: Harmony Destiny
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About this ebook
Alexis: "Come mai Jordan si comporta come se fossi ancora sua?"
Jordan: "Alexis non dovrà mai scoprire quello che ho fatto."
Alexis: "Ho la sensazione di aver perso il controllo della mia vita."
Jordan: "Perché Alexis non capisce che siamo perfetti insieme?"
Alexis: "Come potrò fidarmi ancora di lui?"
Jordan: "Come farò a riconquistarla?"
Lei ha chiesto a Jordan di lasciarla andare una volta per tutte. Ma, quando arriverà il momento, Alexis sarà capace di farlo senza voltarsi indietro?
Barbara Mccauley
Coltiva molti interessi, fra cui la scrittura. E proprio la passione che ha per i romanzi d'amore l'ha portata a diventare un'autrice di successo.
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Book preview
Brividi segreti - Barbara Mccauley
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Blackhawk’s Affair
Silhouette Desire
© 2007 Barbara Joel
Traduzione di Carlotta Picasso
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2008 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5899-869-4
1
Jordan Alistair Grant non si era mai fatto sopraffare dagli eventi. Aveva sempre guardato in avanti con coraggio e determinazione, lasciandosi il passato alle spalle, imparando dai fallimenti e ricominciando ogni volta da capo senza mai dare un grande valore al denaro. Ricco, poi povero e poi di nuovo ricco, aveva costruito un impero di cui andava fiero.
Le macchine di lusso, le case esclusive, la compagnia aerea privata... erano stati dei mezzi per raggiungere un fine, lo stimolo per affrontare delle sfide sempre più ardue.
La competizione significava molto per lui, era la molla che lo spingeva a fare sempre di più, a tentare l’impossibile per assaporare il piacere di vincere un avversario, di vederlo gettare la spugna e arrendersi.
Aveva sempre considerato il lavoro un gioco, sia che si trattasse di compravendite immobiliari, o di petrolio, sia che giocasse in borsa. Affrontava gli affari con lo spirito di chi gioca al tavolo verde e lancia i dadi, tentando la sorte.
L’aspetto era quello di un uomo forte, volitivo: capelli neri tagliati corti, muscolatura potente, prerogativa di chi si sottopone a un quotidiano allenamento fisico, mento forte e mascella squadrata. Gli occhi verdi, intensi sotto le sopracciglia scure, a seconda dell’umore, diventavano freddi e taglienti come lame in grado di piegare qualunque antagonista, o magnetici e seducenti, capaci di conquistare qualsiasi donna incrociasse il suo sguardo. Con un’occhiata riusciva a intimidire chiunque, ma bastava che accennasse un sorriso e il mondo cadeva ai suoi piedi.
Non lo interessava l’opinione della gente. Che lo giudicassero un tipo freddo e calcolatore era del tutto indifferente per lui, l’importante era che nessuno gli mettesse i bastoni tra le ruote.
Il rumore del carrello che fuoriusciva dalla carlinga annunciò l’imminente atterraggio.
Jordan guardò il Rolex: erano in perfetto orario.
«Atterreremo tra dieci minuti, signor Grant» comunicò Denise.
Riordinato il galley, l’assistente di volo che stava sostituendo temporaneamente una sua collega, si era avvicinata a lui. Era una donna attraente, dai capelli rossi, un sorriso accattivante e luminosi occhi color nocciola.
Durante quegli ultimi anni Jordan era stato costretto a volare spesso. Aveva uffici a Dallas, Lubbock e Houston, per non menzionare le società affiliate sparse lungo la West Coast.
A trentaquattro anni era stanco di lavorare dodici ore al giorno, sette giorni alla settimana, passando da una riunione all’altra e prendendo continuamente l’aeroplano. Aveva investito anima e corpo nelle sue società e nelle imprese affiliate, accumulando una fortuna, e adesso era arrivato il momento di rallentare, di dare un’ulteriore svolta alla sua vita, di tornare alle sue radici.
Amante delle sfide, soprattutto quando era più giovane, ne avrebbe affrontate altre, ma di genere diverso.
Cresciuto a Five Corners in una proprietà di duemila acri nel Texas orientale, ricca di bestiame, legno e petrolio, Jordan era nato dall’unione fortunata tra Richard Grant, un uomo di nobili natali, ma squattrinato, appartenente all’alta società di Boston ed Enter Kitty Turner, la figlia di un ricchissimo proprietario terriero senza alcun aggancio con le persone che contano. Era stato un connubio perfetto.
Pur apprezzando il denaro di cui era entrato in possesso grazie al matrimonio con Kitty, Richard aveva detestato la vita nel ranch e aveva odiato il Texas, il lavoro manuale e il cameratismo che si respirava, considerando Five Corners al di sotto della sua condizione sociale.
Perso nei suoi pensieri, Jordan non si era reso conto che Denise era ancora in piedi al suo fianco e gli stava parlando, offrendogli dell’altro caffè.
«Oh, no, grazie» le rispose, lanciandole un’occhiata distratta mentre lei prendeva la tazza vuota.
«Devo dire al pilota di mettersi in contatto con il suo autista?» s’informò Denise.
«Non c’è n’è bisogno. Verrà a prendermi un amico» rispose lui, conscio del fugace contatto della mano di lei sul suo braccio e del suo sguardo attento.
«C’è qualcos’altro che posso fare per lei, signore?»
Jordan scosse la testa, congedandola e osservandola prepararsi all’atterraggio. Pur essendo una ragazza attraente, quel giorno lui aveva in mente una donna soltanto: capelli corvini, occhi azzurri come due zaffiri e gambe lunghe e tornite.
La sensazione di sentirle strette intorno ai suoi fianchi era più reale che mai. Cercò di riscuotersi, pensando al suo orgoglio ferito quando quelle gambe, dapprima così accoglienti, lo avevano respinto. Forse non si era trattato di semplice orgoglio ferito, rifletté. Il dolore che aveva provato era stato simile a un calcio nello stomaco.
Ma ormai erano passati otto anni. Aveva creduto di essere innamorato, peggio, aveva creduto che lei si fosse innamorata di lui, un errore imperdonabile che non avrebbe mai più commesso.
Il jet atterrò con dolcezza, un lieve stridio di gomme sul nastro d’asfalto, poi dei piccoli sobbalzi prima di arrestarsi a fondo pista.
Jordan guardò fuori dal finestrino il paesaggio familiare, la foresta verde che si stava tingendo dei colori dell’autunno. Era cresciuto nei boschi del Texas, dove aveva trascorso giornate intere a nascondersi tra gli alberi, a giocare a fare il soldato quando era poco più che un bambino e a costruire fortini. A quattordici anni si era anche rotto un braccio tuffandosi nel lago da uno sperone roccioso e a sedici aveva distrutto il suo primo furgone, un Ford V-8 486 color argento nuovo di zecca con gli interni di pelle nera, andando a sbattere contro un albero.
La sottile cicatrice sul sopracciglio sinistro era il ricordo di quell’incidente.
Tuttavia quel bosco fitto, quel paesaggio verde e rigoglioso gli riportavano alla mente altre immagini che non avevano nulla a che fare con le bravate di un ragazzino impulsivo e tutto con il desiderio che spinge ogni ragazzo a cercare la compagnia dell’altro sesso.
Sapeva che lei non avrebbe gradito il suo ritorno, ma dopo otto anni Jordan non aveva motivo di preoccuparsi di quello che a lei piaceva o non piaceva.
Era tempo che tornasse a casa.
Ottobre era da sempre il periodo dell’anno preferito da Alexis Blackhawk. I giorni caldi e umidi dell’estate cedevano il passo a notti più lunghe e fresche e l’aria diventava frizzante e piacevole.
Ricordava che da bambina guardava incantata i fiori gialli dei pioppi americani, il rosso intenso delle querce, l’arancione acceso delle zucche esposte sui banchetti lungo le strade... Erano i colori tipici dell’autunno le cui infinite sfumature la ammaliavano.
Adesso al volante della sua macchina decappottabile rossa fiammante, con il vento nei capelli e la musica di Mary J. Blige nelle orecchie, correva veloce, appagata, non potendo fare a meno di pensare che la vita fosse bella.
Affrontò una svolta a sinistra con eccessiva disinvoltura e la macchina sbandò leggermente ma Alexis riuscì a mantenere le ruote aderenti al terreno, schiacciò di nuovo il pedale sull’acceleratore, sollevando polvere e ghiaia e imboccò la strada che portava a Stone Ridge Stables.
Nonostante le gobbe e gli avvallamenti, quella macchina sportiva si comportava come una vera fuori classe e il rombo del motore era musica per Alexis. Ne dovrò comprare una quando tornerò a casa, pensò, anche se a New York sarebbe stata superflua perché non aveva molte occasioni per guidare.
Sorrise, pensando che comunque si poteva permettere un acquisto frivolo e pressoché inutile.
L’inaspettata eredità ricevuta da un nonno che non aveva mai conosciuto, le consentiva di spendere per il semplice gusto di farlo, per capriccio, o per divertimento.
Dall’avere esaurito le sue carte di credito, azzerato il conto corrente e in attesa che entro due settimane le staccassero la corrente elettrica, era passata ad avere tanti di quei soldi da non sapere come spenderli.
Aveva impiegato un po’ di tempo a prendere coscienza di quel cambiamento, ma dopo tre giorni di acquisti folli sulla Quinta Avenue, aveva trovato e comprato la casa dei suoi sogni sulla West Side. Era perfetta.
Dopo essersi insediata nel suo nuovo appartamento, avrebbe incrementato l’economia della nazione, arredando con mobili pregiati ciascuna stanza a cominciare dalla camera da letto per finire al guardaroba. Le cose da fare erano tante e il tempo molto poco.
Nel buio della notte i fari illuminarono un gruppo di mucche addormentate che sollevarono il muso a fatica, disturbate da quel visitatore notturno. Raggiunta la fine delle stalle, Alexis spense la radio e, arrivata di fronte alla casa dove era nata ventisette anni prima, spense i fari e arrestò il motore.
Era passato un anno dall’ultima volta che era tornata a Stone Ridge Stables, eppure non era cambiato niente. Il ranch era esattamente come lei lo ricordava: lo stesso rivestimento di legno bianco, gli stessi infissi neri, lo stesso rampicante attorcigliato intorno alle colonne del porticato.
Aspirò il profumo del caprifoglio, assaporò la quiete di quel luogo, rotta solo dal canto di un tordo e dal gracidio di una rana. Quanti ricordi gli evocava quel posto: alcuni le scaldavano il cuore, altri avrebbe voluto cancellarli.
Scesa dalla macchina, stiracchiò la schiena affaticata e osservò la sua vecchia casa.
Sarebbe dovuta arrivare il pomeriggio seguente, perciò era molto probabile che le sue sorelle e suo fratello dormissero già.
Questa è la vita eccitante in un ranch, pensò tra sé, scuotendo la testa e sorridendo. Tuttavia non sapeva ancora decidere se fosse peggio andare a letto prima di mezzanotte, o svegliarsi alle sei del mattino.
Sospirando, prese la borsa a mano dal sedile anteriore e lasciò il resto dei bagagli nel baule, poi entrò furtiva dentro casa.
Vivendo in città da nove anni, aveva dimenticato quanto fosse buia la notte senza luna.
Udendo il rumore dei tacchi sull’impiantito di legno dell’ingresso, si sfilò le scarpe e camminò in punta di piedi come faceva da adolescente quando rientrava in casa dopo il coprifuoco, pregando che suo fratello maggiore Trey non la sentisse.
Invece lui si accorgeva sempre del suo ritardo e la discussione che ne seguiva risvegliava gli altri familiari, la casa degli stallieri e la contea vicina. Lei gli ripeteva di non trattarla come una bambina e lui replicava che era lei che si comportava come una bambina. E il battibecco proseguiva: non devo fare quello che dici tu; invece sì, finché sarai sotto la mia tutela.
L’ultima parola spettava sempre a Trey. Contro di lui non poteva fare niente. Le sue sorelle, Kiera e Alania, parteggiavano per lei in silenzio dietro le porte chiuse perché non avrebbero mai osato intromettersi nelle loro discussioni. Non si sarebbero mai permesse