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Radici (eLit): eLit
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Radici (eLit): eLit

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About this ebook

ROMANZO INEDITO

Abbandonata sulla soglia di un orfanotrofio di New Orleans quando era molto piccola, Kelly Santos si è lasciata alle spalle le sofferenze e le umiliazioni dell'infanzia e dell'adolescenza e, facendo affidamento solo sulla sua intelligenza, costanza e determinazione, è diventata un'affermata fotografa di moda. Il ritorno nella città dov'è cresciuta, in seguito alla morte della suora che è stata quanto di più vicino a una madre la piccola Kelly abbia conosciuto, riapre vecchie ferite e vecchi interrogativi sulle sue origini e la sua famiglia. I diari lasciati da suor Grace contengono forse delle risposte. In quegli scritti, però, c'è un segreto che può diventare mortale.
LanguageItaliano
Release dateJan 2, 2019
ISBN9788858996867
Radici (eLit): eLit
Author

Metsy Hingle

Inguaribile romantica, crede fortemente nel potere dell'amore... e scrive per dimostrarlo.

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    Radici (eLit) - Metsy Hingle

    successivo.

    Prologo

    «Era ora che si facesse viva. Ho aspettato in questo vicolo per venti minuti, e per poco non sono stato borseggiato due volte.»

    «Sono stata trattenuta» ribatté la donna, fredda, senza dare alcun segno di quanto detestava avere a che fare con quel miserabile individuo.

    «Be', è maledettamente fortunata che abbia aspettato» la informò lui. Il suo accento del Mississippi era reso ancora più strascicato dall'alcol. «Altri due minuti e me ne sarei andato.»

    «Allora immagino che sia un bene che sia venuta adesso.» A un cenno dell'uomo, lei aprì la portiera della macchina dal lato del passeggero e quasi ebbe un conato di vomito al puzzo di whisky e di fumo di sigaro stantio, mentre scivolava all'interno. Tuttavia, si costrinse a sbattere la portiera, chiudendo fuori il frastuono dei musicisti di strada e dei festaioli che erano affluiti a frotte nel Quartiere francese di New Orleans per festeggiare Halloween.

    «Proprio un bene, signorina. Io sono un uomo molto occupato» affermò lui, gonfiando il petto fino a far tirare i bottoni del suo datato completo scuro. «Ho di meglio da fare che passare il tempo aspettando i tipi come lei.»

    Di meglio, come annegare in una bottiglia di whisky o correre nella casa da gioco più vicina, pensò la donna, ancora più nauseata, a quel punto, di quanto lo fosse stata quando lui l'aveva cercata per la prima volta, sei mesi addietro.

    «Allora non perdiamo altro tempo tutti e due, dottore. Ha portato il documento?»

    «Certo che l'ho portato. Ma prima voglio vedere i soldi.»

    Lei prese la borsa di tela nera che aveva riempito con centomila dollari in contanti, l'aprì e la inclinò in modo che la luce del lampione stradale cadesse sul contenuto. Non c'era da sbagliarsi sul lampo di avidità che illuminò gli occhi dell'uomo alla vista del denaro. Come un drogato sul punto di ottenere la sua prossima dose, pensò lei. Ma quando lui allungò la mano verso la borsa, la chiuse con un colpo secco.

    «Non così in fretta, dottore. Prima voglio il certificato di nascita.»

    Lui frugò nella tasca della giacca, tirò fuori una busta ed esitò. I suoi occhietti porcini si strinsero.

    «Sa, di sicuro suo padre amava quella bambina. La chiamava la sua principessa. Immagino che avrebbe pagato un bel mucchio di soldi per sapere che non era perita in quell'incendio, dopotutto.»

    «Purtroppo per lei, mio padre è morto. E posso assicurarle che io non attribuisco lo stesso valore a quella bambina. La mia unica preoccupazione è proteggere il buon nome della mia famiglia. È la sola ragione per cui ho accettato di pagarla per quel certificato di nascita» ribatté lei.

    L'uomo batté la busta sul palmo, squadrandola intensamente.

    «Immagino che sua sorella sarebbe disposta a pagare molto per sapere chi era suo padre. Naturalmente, se lei dovesse...»

    «Io non ho una sorella» scattò la donna. La rabbia le offuscò per un attimo la vista, prima che riprendesse il controllo su se stessa. Più calma, disse: «E le consiglio di smettere di cercare di estorcermi più denaro, dottore. Altrimenti, potrei chiedermi se per caso ho commesso un errore, non andando alla polizia a denunciare la sua offerta».

    «Adesso aspetti un momento» scattò lui, allarmato. «Non c'è bisogno di coinvolgere la polizia in una piccola transazione d'affari fra amici.»

    «Lei e io non siamo amici, dottore. E dubito che la polizia vedrebbe la sua proposta come una transazione d'affari» ritorse la donna, divertendosi a innervosirlo.

    «Avevamo un accordo, e adesso è troppo tardi per lei per tirarsi indietro» protestò l'uomo, tendendole la busta.

    Lei la prese, e mentre lui afferrava la borsa e cominciava a palpare le mazzette di banconote, ne tirò fuori un foglio di carta ingiallito.

    Una gelida rabbia l'afferrò mentre fissava il documento, leggeva i nomi ed esaminava le firme. Per un momento, fu di nuovo una bambina di otto anni che origliava alla porta mentre suo padre annunciava a sua madre che intendeva lasciarle. Appallottolò il foglio nel pugno. Con uno sforzo, dominò la furia, proprio come quella sera di tanti anni prima, e si concentrò su ciò che doveva fare.

    «È sicuro che questa sia l'unica copia?»

    «Come?» L'uomo alzò gli occhi solo per un momento. «Sì, è l'unica» borbottò, e riprese a contare il denaro.

    Lei ficcò la busta e il foglio appallottolato nella borsetta e prese la pistola.

    «Allora, credo proprio che questo sia un addio, dottore» mormorò, poi premette con calma il grilletto.

    1

    «No!» gridò Kelly Santos, mentre le fiamme si alzavano tutto intorno a lei. Lingue di fuoco di un brillante arancione lambivano le tende e si arrampicavano avidamente su per le pareti, divorando la tappezzeria. Terrorizzata, Kelly girò su se stessa, in cerca di una via di scampo. Ma dappertutto dove guardava c'erano altre fiamme che erompevano attorno a lei.

    La circondavano.

    La intrappolavano.

    Lottò per vedere oltre il bagliore del fuoco e trovare una via per uscire da quell'inferno. Ma il fuoco era così rovente, il fumo troppo denso. Gli occhi le bruciavano, le lacrime le scorrevano lungo le guance. Mentre il fumo riempiva la stanza, cominciò a tossire. Le sembrava che i polmoni potessero scoppiarle nel petto da un momento all'altro.

    Devo uscire da qui. Devo uscire da qui.

    Ormai a malapena in grado di respirare, tentò di allontanare il fumo dal viso per riprendersi. E allora vide la porta. Il cuore le balzò nel petto, in parte per il sollievo, in parte per il panico, mentre notava la trave in fiamme che sovrastava lo spazio fra lei e la porta. Terrorizzata al pensiero che potesse crollarle addosso, Kelly aveva paura sia a muoversi, sia a restare ferma.

    All'improvviso un'esplosione scosse un'altra parte della casa. D'istinto, lei corse alla porta e afferrò la maniglia.

    Urlò quando il metallo rovente le scottò le dita, mordendole la carne. Singhiozzando, cadde a terra, stringendosi la mano ustionata. In quel momento la trave ardente precipitò, atterrando nel punto in cui lei si era trovata fino a pochi secondi prima. Kelly urlò di nuovo. Spaventata, sofferente, strisciò in un angolo della stanza e si premette contro la parete.

    «Devi dire a Nana dove sei! Vieni da Nana» sentì chiamare una voce familiare, prima vicino alla porta, poi a una finestra. Paralizzata dal terrore, non rispose. E mentre le fiamme devastavano la stanza, riempiendola di fumo e privandola dell'ossigeno, cominciò a soffocare.

    Tossendo violentemente, Kelly si svegliò di soprassalto. Ancora incapace di respirare, si alzò a sedere nel letto e continuò per diversi secondi a lottare per immettere aria nei polmoni. Premendosi una mano sul petto, si sforzò di riprendere fiato. Era solo un brutto sogno, si disse, mentre tentava di scacciare la sensazione troppo vivida di essere intrappolata dal fuoco, di essere sopraffatta dal fumo e dal calore. Con dita malferme si ravviò i capelli dal viso, scoprendo che aveva la fronte madida di sudore.

    «Solo un sogno» mormorò.

    Niente era reale. Non c'erano né fiamme, né puzzo di legno e stoffa bruciati, né fumo. Non c'era fuoco. Solo un sogno. Poco disposta a riflettere su che cosa poteva avere innescato, stavolta, quel vecchio incubo, Kelly chiuse gli occhi e respirò a fondo una, due volte. Seguì il rituale che usava fin dall'infanzia per liberarsi dagli effetti degli incubi e delle visioni che l'avevano perseguitata per la maggior parte della vita. Continuando a concentrarsi sulla respirazione, tentò di cancellare dalla mente tutte le tracce del sogno, sostituendo il fuoco e il fumo con immagini rilassanti di cieli azzurri, spiagge di sabbia bianca e ondate ritmiche.

    Mentre il suo respiro si faceva più regolare, poté quasi sentire il rumore delle onde, l'odore salmastro nell'aria, la brezza fresca sul viso. Finalmente, aprì gli occhi.

    Sbatté le palpebre palpebre una, due, tre volte, abituando gli occhi alla penombra della stanza. Guardandosi attorno notò le tende chiuse, riuscì a distinguere il tavolo su cui era posata la sua attrezzatura fotografica, la valigia vicino alla porta. Un'occhiata al quadrante luminoso dell'orologio sul comodino le disse che erano le dieci passate da pochi minuti. Di mattina o di sera?, si chiese. Poi ricordò.

    New Orleans.

    Era a New Orleans. All'improvviso tutti gli avvenimenti degli ultimi giorni le balzarono alla mente. Il ritorno da un servizio fotografico in Europa durato un mese, il messaggio della Madre Superiora sulla segreteria telefonica, che le annunciava che suor Grace era morta. Il messaggio era vecchio di più di due settimane.

    Due settimane.

    Tornando ad appoggiarsi ai guanciali, Kelly richiuse gli occhi. Lacrime silenziose le scivolarono lungo le guance. La sola persona al mondo che le avesse voluto bene era stata sepolta, e lei non era neppure riuscita a essere presente al funerale. Silenziosamente, si rimproverò per la centesima volta di non avere mai ascoltato i messaggi, mentre era all'estero. Non importava che le sole persone che la chiamavano fossero suor Grace, nei giorni festivi, e il suo agente, che sapeva bene dov'era. Avrebbe dovuto controllare ugualmente. Se l'avesse fatto forse sarebbe riuscita a tornare in tempo per vedere la suora un'ultima volta.

    Sentì una nuova ondata di dolore abbattersi su di lei e si coprì gli occhi con le mani, singhiozzando. E mentre piangeva, seduta sul letto nella camera d'albergo buia, pensò alla suora che era stata quanto di più vicino a una madre avesse mai avuto. La suora minuta, nel suo abito blu e bianco, era stata la sola persona che le aveva reso tollerabile crescere nel St. Ann's Orphanage.

    I ricordi le si affollarono alla mente. Suor Grace che, a sei anni, le asciugava le lacrime, quando una potenziale famiglia adottiva l'aveva riportata all'orfanotrofio, affermando che era posseduta dal diavolo a causa delle sue visioni. Suor Grace che, a otto anni, la confortava quando si era resa conto che nessuno avrebbe mai voluto che diventasse la sua bambina. Suor Grace che, a undici anni, la consolava quando gli altri bambini la prendevano in giro, sussurrando che era una strega. E suor Grace che, quando era una tredicenne solitaria, le andava in soccorso regalandole la sua prima macchina fotografica. Quella macchina fotografica era stata la sua ancora di salvezza. Le aveva aperto una finestra sul mondo, e alla fine le aveva offerto una via di fuga.

    E lei era fuggita, e non aveva mai guardato indietro. Dopotutto, con l'eccezione di suor Grace, non aveva bei ricordi di New Orleans. Aveva chiuso quella porta più di dieci anni prima, collocando le memorie della sua infanzia e adolescenza in un capitolo triste della sua vita. Un capitolo che non aveva mai avuto intenzione di riaprire. Proprio come non aveva mai avuto intenzione di tornare a New Orleans.

    Eppure, era tornata. Solo, l'aveva fatto troppo tardi, pensò Kelly, piangendo più forte. Troppo tardi per ringraziare suor Grace per avere creduto in lei in tutti quegli anni, per averle voluto bene quando nessun altro si curava di lei. Troppo tardi per dire a suor Grace quanto era stata importante per lei, quanto le era stata affezionata.

    Kelly sobbalzò all'ululato improvviso di una sirena della polizia. Si asciugò gli occhi con la manica del pigiama e scese dal letto. Andò alla finestra, aprì le tende e guardò nella strada sottostante. Il traffico si era fermato e si stava spostando sulla corsia più a destra. Due macchine della polizia, con le luci lampeggianti, passarono a tutta velocità davanti all'albergo e proseguirono in direzione del fiume Mississippi.

    Quando le auto della polizia furono scomparse, il traffico riprese a fluire. Kelly notò che, nonostante l'ora tarda, la strada era affollata. Le macchine sfrecciavano da un semaforo rosso all'altro e i pedoni, perlopiù a coppie o a gruppi, aspettavano su entrambi i lati il segnale verde per poter attraversare. Senza dubbio turisti o partecipanti a qualche convegno, rifletté, visto che ben pochi abitanti di New Orleans prestavano attenzione ai semafori.

    Un movimento dalla parte più lontana della strada attirò la sua attenzione. Un uomo che esibiva un cappuccio nero con le corna e brandiva un forcone da diavolo dalle punte rosse correva lungo il marciapiede, seguito da parecchie altre persone vestite nello stesso modo. Kelly aveva quasi dimenticato che era Halloween. Il diavolo guidò il gruppo di quelli che lei immaginò essere giovani studenti dell'università attraverso l'affollato incrocio di Canal Street. Evidentemente progettavano una notte brava, festeggiando nel Quartiere francese. Benché, a ventotto anni, lei non fosse molto più anziana di loro, l'idea di festeggiare l'attirava ben poco. Voltò le spalle alla finestra, guardò il letto sfatto e dibatté fra sé se tornare o no a dormire.

    Soffriva ancora degli effetti del fuso orario, poiché era appena tornata a New York, quando era saltata su un aereo per New Orleans. E piangere tanto non l'aveva aiutata. Di certo. Tuttavia, ricordando la ragione per cui si era svegliata, il vecchio incubo di essere intrappolata nel fuoco, sapeva che tornare a letto sarebbe stato inutile. Inoltre, rifletté, il suo organismo seguiva ancora l'orario europeo e quel breve sonnellino aveva alleviato un po' la sua stanchezza. Decidendo che una doccia e qualcosa da mangiare erano un'idea migliore, si diresse verso il bagno.

    Quando ne uscì, poco dopo, si sentiva già meglio. La doccia le aveva giovato. Sospettava che anche piangere le avesse fatto bene, visto che si era concessa poche occasioni per farlo, dopo avere appreso della morte di suor Grace. Aveva semplicemente preso i provvedimenti necessari per organizzare il viaggio a New Orleans. Nonostante le proteste di Wyatt, il suo agente, per quell'improvvisa partenza, aveva fatto bene a tornare. Aveva avuto bisogno di tornare. Non per suor Grace, ma per se stessa, perché sentiva la necessità di dirle addio. Una volta che lo avesse fatto, forse sarebbe stata capace di troncare quell'ultimo legame con il passato e con la bambina che era stata.

    Il suo stomaco brontolava. Premendovi sopra una mano, riconobbe un vuoto che non aveva niente a che vedere con il lutto, e tutto con il semplice fatto che era affamata. Quando aveva mangiato per l'ultima volta?, si chiese. E visto che non riusciva a ricordare di avere buttato giù niente, oltre al caffè, da quando era scesa dal volo da Parigi, decise che, probabilmente, era passato troppo tempo.

    Indossò i suoi jeans neri favoriti, un maglione a collo alto nero e avorio e gli stivali firmati che aveva comprato in Italia. Si passò la spazzola fra i capelli biondi, controllò il proprio aspetto allo specchio e corrugò le sopracciglia notando quanto fosse pallida. Frugò fra i campioni di cosmetici che un truccatore le aveva regalato, scelse un fard rosa chiaro e se lo passò sulle guance, per dare al viso un po' di colore. Poi applicò sulle labbra un rossetto della stessa tinta. Soddisfatta del risultato, andò a prendere la chiave della camera sul tavolo, se la fece scivolare nella tasca dei jeans, prese la macchina fotografica, la cui custodia le serviva anche da borsetta, e uscì in cerca di qualcosa da mangiare.

    Trovò quello che cercava in uno degli innumerevoli ristoranti situati nel Quartiere francese. Quello che mancava in lusso ed eleganza era più che compensato dalla qualità della squisita cucina... fatto che Kelly scoprì dopo il primo boccone del panino agli scampi che aveva ordinato. In un batter d'occhio aveva spolverato i croccanti scampi fritti serviti su un mezzo filone di pane francese e guarniti di lattuga, pomodori, sottaceti e maionese, e aveva mandato giù quel panino di dimensioni mostruose con l'aiuto di una bottiglia di birra ghiacciata. Sentendosi anche troppo sazia, Kelly uscì dal ristorante, certa che non sarebbe riuscita a mangiare o a bere nient'altro per almeno una settimana.

    Ma poco dopo essere arrivata a Jackson Square e avere esaminato i restauri in corso alla storica cattedrale di San Luigi, moriva già dalla voglia di un bel caffè con frittelle. Attraversando la piazza, si diresse verso il Café du Monde.

    Il locale era gremito, il che non era affatto insolito, visto che il famoso caffè all'aperto, rinomato per le sue frittelle ricoperte di zucchero, rimaneva aperto ventiquattr'ore al giorno, sette giorni alla settimana. Il fatto che era Halloween e la gente aveva voglia di festeggiare non faceva che contribuire all'affollamento. Scorgendo un tavolino nell'angolo più lontano che guardava sul marciapiede, Kelly si affrettò a farsi strada negli spazi ristretti per accaparrarselo. Si lasciò cadere sulla sedia, e pochi minuti dopo un giovanotto dall'aria stanca, in grembiule e berretto bianco, le comparve davanti. Raccolse su un vassoio tazze, piattini, posate e tovaglioli di carta usati e passò sopra al ripiano del tavolino uno strofinaccio umido che, sospettò Kelly, doveva essere stato bianco, un tempo, ma ora era grigiastro.

    «Che cosa posso portarle, signora?» chiese il cameriere.

    «Un bel caffè e frittelle.»

    «Decaffeinato o normale?»

    «Facciamo decaffeinato» rispose Kelly, decidendo che avrebbe avuto abbastanza difficoltà a dormire anche senza la caffeina.

    «Torno in un secondo» disse lui, allontanandosi in direzione della cucina.

    C'era stato un tempo in cui non le sarebbe neppure passato per la mente di sedersi in un caffè affollato, ammise Kelly. La paura di trovarsi in mezzo alla gente, il timore che toccare casualmente qualcuno innescasse una visione circa il passato o il futuro di una persona, l'aveva indotta a evitare la folla, durante l'infanzia e l'adolescenza. Ma gli anni di vita a New York e i frequenti viaggi l'avevano aiutata. Da adulta aveva imparato a controllare assai meglio le proprie reazioni.

    Mentre aspettava l'arrivo della sua ordinazione, fece ciò che faceva sempre: prese la macchina fotografica e guardò il mondo attraverso le lenti. Usando il teleobiettivo, fece una panoramica sulla scena dall'altra parte della strada, di fronte a Jackson Square. Intitolata ad Andrew Jackson, il presidente ed eroe di guerra immortalato nella statua equestre, la piazza era stata, un tempo, il cuore di New Orleans. E anche se, ormai, i confini della città si erano estesi ben oltre il Quartiere francese, quell'area restava il centro delle attività cittadine e il punto di maggiore attrazione sia per i turisti, sia per gli abitanti del posto. Kelly esaminò la zona a destra, dove una serie di chiromanti aveva collocato dei tavoli lungo un lato della piazza e tentava di convincere i passanti a farsi predire il futuro. Kelly scattò delle foto a una donna vestita da zingara, mentre passava il dito lungo il palmo della mano di un uomo. A giudicare dall'espressione, il cliente sembrava più interessato alla scollatura della donna che alle predizioni sul suo futuro.

    Spostando l'obiettivo a sinistra, lei notò solo due artisti al lavoro. Uno disegnava con i gessetti il ritratto di una donna nel costume di Elvira, Signora delle Tenebre, e un altro lo schizzo a carboncino di una coppia di mezz'età. Kelly scattò diverse fotografie, poi scrutò l'intera lunghezza dell'isolato in cerca di altri artisti che si guadagnavano da vivere con la loro abilità con la matita o il pennello, ma ne vide soltanto uno. Erano decisamente meno di quando lei aveva lasciato la città, dopo il diploma della scuola superiore, pensò, abbassando la macchina fotografica, delusa.

    Ma la riprese subito quando comparve una carrozza a cavalli. Il conducente fece appena in tempo a scaricare i passeggeri prima di caricare un altro gruppo di clienti. Fin da quando Kelly poteva ricordare, le vecchie carrozze erano state una caratteristica del Quartiere. Cominciò a scattare foto. Quella, in particolare, era dipinta di bianco e nero, ed era trainata da un mulo color cioccolato che esibiva un cappello ornato di fiori e un nastro nero e arancione legato alla lunga coda. Kelly regolò l'obiettivo e lo puntò sul conducente. A giudicare da come sventolava il cappello e agitava le braccia, l'uomo stava offrendo ai suoi passeggeri una prestazione più che soddisfacente. Kelly poteva facilmente immaginarlo nello stesso punto più di un secolo prima, con una carrozza piena di bellezze del Sud pronte a partire per un giro per le strade della città.

    Scattò parecchie foto in successione, poi puntò lo zoom sul viso del conducente. Amava studiare la faccia di una persona. Era come una mappa stradale, pensò, notando la pelle segnata dell'uomo. Una pelle che doveva avere visto più di mezzo secolo di sole, vento e gelo. Un ventaglio di rughe incorniciava gli occhi di un morbido castano e, visto il sorriso che aveva sulle labbra, Kelly immaginò che buona parte di quelle rughe fosse il risultato dell'abitudine di ridere. Le sopracciglia cespugliose e i capelli sale e pepe gli conferivano un aspetto teatrale. Aveva sempre sentito dire che i conducenti delle carrozze tendevano ad abbellire un po' la verità storica, per rendere le gite più emozionanti e le mance più sostanziose. Essendo Halloween, immaginò che i passeggeri di quella sera dovessero aspettarsi qualche rifacimento macabro della storia già colorita della città. Quando il conducente si mise a sedere, scosse le redini e partì, Kelly coprì l'obiettivo della macchina fotografica e la rimise nella custodia.

    Il locale diventava più affollato di minuto in minuto, e lei provò una punta di disagio. Per un momento, prese in considerazione l'idea di andarsene, ma, con la stessa rapidità, la scartò. Si stava rendendo ridicola. Poteva farcela, si rassicurò. Non era come se fosse intrappolata in una folla senza possibilità di uscirne. Nessuno la importunava. Tutti erano presi dai loro piccoli sogni. E benché non volesse origliare, la vicinanza dei tavoli le rendeva impossibile non sentire frammenti delle conversazioni che si svolgevano attorno a lei.

    «Avanti, Joey» cominciò il più alto dei tre ragazzi al tavolo alla sua sinistra. «Ci metteremo queste maschere da mostri e quel tizio alla porta non ci chiederà i documenti.»

    Al tavolo vicino, una brunetta minuta dichiarò: «Te lo giuro, Sarah Beth, devo essere stata fuori di testa per lasciarmi convincere a fare quel giro nel palazzo degli spettri. Non riuscirò a chiudere occhio, stanotte».

    «Sei ubriaco, Mark» scattò la donna al tavolo dietro Kelly. «Hai fatto una figura pietosa al party. Adesso bevi quel dannato caffè in modo che possiamo andare a casa.»

    Facendo del suo meglio per cercare di ignorare i suoi vicini, Kelly tamburellò con le dita sul piano del tavolo e lanciò un'occhiata ansiosa in direzione della cucina. Nell'impossibilità di vedere oltre il costante andirivieni di clienti e camerieri, sospirò e concentrò ancora una volta l'attenzione sul proprio tavolo. Stava per riprendere la macchina fotografica quando notò il giornale posato sulla sedia accanto alla sua. Erano giorni che non sfogliava un quotidiano o ascoltava un notiziario. Lo raccolse e sussultò alla visione che la colpì.

    «Era ora che si facesse viva. Ho aspettato in questo vicolo per venti minuti, e per poco non sono stato borseggiato due volte.»

    «Sono stata trattenuta» ribatté la donna.

    «Be', è maledettamente fortunata che abbia aspettato. Altri due minuti e me ne sarei andato.»

    «Allora immagino che sia un bene che sia venuta adesso.»

    Una strega linguacciuta e superba come sua madre, pensò l'uomo, mentre lei saliva in macchina. Peccato che avesse bisogno di denaro, perché niente gli sarebbe piaciuto di più che dirle che aveva cambiato idea, e lasciarla cuocere nel suo brodo.

    «Allora non perdiamo altro tempo tutti e due, dottore. Ha portato il documento?»

    «Certo che l'ho portato. Ma prima voglio vedere i soldi.»

    Lei aprì la borsa, e all'uomo venne l'acquolina in bocca alla vista di tutti quei contanti. Al diavolo le case da gioco della Gulf Coast. Avrebbe affittato una suite in quell'elegante nuovo albergo appena aperto e poi avrebbe tentato la fortuna all'Harrah's. Forse si sarebbe perfino trovato un paio di donne. Pregustando già la notte che l'aspettava, allungò la mano verso il denaro.

    «Non così in fretta, dottore» disse la donna, chiudendo la borsa con un colpo secco. «Prima voglio il certificato di nascita.»

    Lui esitò un momento, chiedendosi se avrebbe dovuto esigere di più per quel maledetto documento.

    «Sa, di sicuro suo padre amava quella bambina. La chiamava la sua principessa. Immagino che avrebbe pagato un bel mucchio di soldi per sapere che non era perita in quell'incendio, dopotutto.»

    «Purtroppo per lei, mio padre è morto. E posso assicurarle che io non attribuisco lo stesso valore a quella bambina. La mia unica preoccupazione è proteggere il buon nome della mia famiglia. È la sola ragione per cui ho accettato di pagarla per quel certificato di nascita» ribatté lei.

    L'uomo batté la busta sul palmo, squadrandola intensamente.

    «Immagino che sua sorella sarebbe disposta a pagare molto per sapere chi era suo padre. Naturalmente, se lei dovesse...»

    «Io non ho una sorella» scattò la donna. «E le consiglio di smettere di cercare di estorcermi più denaro, dottore. Altrimenti, potrei chiedermi se per caso ho commesso un errore non andando alla polizia a denunciare la sua offerta.»

    «Adesso aspetti un momento. Non c'è bisogno di coinvolgere la polizia in una piccola transazione d'affari fra amici.»

    «Lei e io non siamo amici, dottore. E dubito che la polizia vedrebbe la sua proposta come una transazione d'affari.»

    «Avevamo un accordo, e adesso è troppo tardi per lei per tirarsi indietro» protestò l'uomo, tendendole la busta.

    Mentre lui cominciava a palpare le mazzette di banconote, lei fissò il foglio per un momento, prima di appallottolarlo nel pugno.

    «È sicuro che questa sia l'unica copia?»

    «Come? Sì, è l'unica» mentì l'uomo.

    Quella strega avrebbe appreso anche troppo presto che ne aveva conservato un'altra copia, pensò. Impaziente di andare alla casa da gioco, cominciò a rimettere il denaro nella borsa.

    «Allora, credo proprio che questo sia un addio, dottore.»

    Qualcosa nella voce della donna, un freddo divertimento, lo mise in allarme. Alzò gli occhi e vide la pistola. Ma era troppo tardi. Prima che potesse dire una parola, lei premette il grilletto.

    «Signora? Signora, sta bene?»

    Kelly lasciò cadere il giornale e tornò di colpo dal vicolo buio al tavolo di quel locale. Con il cuore che batteva ancora all'impazzata, guardò il viso preoccupato del cameriere.

    «Signora, sta bene?» ripeté lui.

    «S... sì» rispose Kelly, anche se non era vero.

    «È sicura? Ha un'aria... strana.»

    «Sto benissimo» gli assicurò lei.

    Palesemente scettico, il cameriere le mise davanti le frittelle e il caffè.

    «Fanno quattro dollari e settantacinque.»

    Ancora scossa dalla visione, Kelly prese la borsa della macchina fotografica e tirò fuori il borsellino. Sfilò una banconota da cinque dollari e una da un dollaro e le mise sul tavolo.

    «C'era qualcuno seduto a questo tavolo, poco fa... la persona che ha lasciato il giornale. Per caso sa chi era?»

    Il cameriere si strinse nelle spalle.

    «Non saprei. Quando ho preso servizio, alle dieci, il giornale era già lì. Ho pensato di lasciarlo, in caso qualcuno volesse leggerlo. Ma se le dà fastidio, lo butto via.»

    «Non fa niente» borbottò Kelly, anche se, per la verità, desiderava disperatamente di non avere mai toccato quel giornale.

    Non voleva essere coinvolta. Voleva solo vedere la Madre Superiora al convento, sentirsi dire che suor Grace era morta serenamente, firmare qualunque documento gli avvocati le presentassero riguardo al testamento della suora e tornare a New York. Ma come poteva ignorare la visione che aveva appena avuto? E se l'omicidio non fosse ancora avvenuto? Se non faceva nulla, quell'uomo sarebbe stato ucciso.

    E se fosse già morto? Vuoi davvero essere il bersaglio di tutte quelle battute e di quei bisbigli?

    Buon Dio, no, non voleva essere coinvolta. Ma che scelta aveva? Per quanto potesse essere spiacevole esporsi alla curiosità e alle chiacchiere, non avrebbe potuto perdonarsi se un uomo fosse morto perché lei non aveva fatto nulla. Doveva farlo. Doveva andare alla polizia.

    «Signora, è sicura di stare bene?»

    «Sì» rispose Kelly, sentendosi già gravare addosso il peso della sua decisione. Spinse i sei dollari verso il cameriere. «Tenga il resto.»

    «Grazie» mormorò lui, intascando il denaro.

    Quando fece per andarsene, Kelly disse: «Ancora una cosa. La centrale di polizia è sempre in North Rampart Street?».

    Lui si strinse nelle spalle.

    «Non ne ho idea. Sono in città solo da un paio di mesi.»

    «C'è ancora» intervenne un tizio anziano, dall'aria malconcia, che sorseggiava un caffè al tavolo vicino.

    «Grazie» disse Kelly.

    Servendosi di un tovagliolo di carta, prese il giornale e lo ficcò nella custodia della macchina fotografica. Si alzò e si gettò la cinghia della custodia sulla spalla.

    «Non mangia quelle frittelle?» chiese il tizio.

    «No. Il mio stomaco non sta molto bene» rispose Kelly, in tutta sincerità. «Ma sarebbe un peccato sprecarle. Forse vorrebbe farmi il favore di mangiarle lei...»

    «Be', visto che è un favore, immagino

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