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Un regno per la dottoressa: Harmony Bianca
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Un regno per la dottoressa: Harmony Bianca

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About this ebook

Quando la sua clinica in Malesia si trova improvvisamente a corto di personale, la dottoressa Arissa Cotter si vede costretta ad accettare l'aiuto del dottor Philippe Aronaz, un turista appena sbarcato in quell'incantevole paradiso. Ciò che lei ignora è che il suo eroe dalla scintillante armatura in realtà è... un principe.
Quando lo scopre, Arissa si sente tradita, ma non riesce a ignorare la richiesta di aiuto di Philippe che la invita a seguirlo nel suo regno. In quel paese magico e selvaggio, l'attrazione che era vibrata tra loro in Malesia esplode senza più vincoli. Il prezzo da pagare per quel breve momento di passione però si rivela subito troppo alto. Abituata da sempre a nascondersi e a restare nell'ombra, riuscirà Arissa a sopportare le luci della ribalta per stare accanto al suo principe?
LanguageItaliano
Release dateJun 20, 2019
ISBN9788858999233
Un regno per la dottoressa: Harmony Bianca

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    Un regno per la dottoressa - Scarlet Wilson

    successivo.

    1

    Philippe prese posto sul sedile e si abbassò il berretto da baseball fin sopra gli occhi. Il volo per Temur Sapora, l'isola malesiana nel Mar Cinese Meridionale, sarebbe durato quattro ore e aveva intenzione di dormire per tutto il tempo.

    Due minuti dopo un omone cercò di infilarsi tra le sue ginocchia e i sedili per sedersi nel posto vuoto accanto a lui. Philippe alzò lo sguardo, spostandosi un poco di lato per fargli spazio. Fu un grave errore. L'uomo, dal viso rubicondo, iniziò immediatamente a parlare. «Mi scusi. Sono tropo grosso per questi sedili.» Rise, porgendogli la mano.

    «Mi chiamo Harry Reacher, vengo da Minneapolis, negli Stati Uniti. Va anche lei a Temur Sapora?»

    Philippe assunse la sua solita espressione di circostanza, rinunciando alla tentazione di rispondere sgarbatamente. Era ovvio che andasse a Temur Sapora, quel volo non faceva scali.

    «Philippe» si limitò a dire, tralasciando il cognome. Non gli importava che quel tizio fosse americano. Il suo nome era piuttosto conosciuto in tutto il mondo. L'obiettivo di quella vacanza era restare nell'anonimato, per questo aveva scelto un'isola quasi sconosciuta, sperduta nel Mar Cinese Meridionale.

    «Sono un medico» aggiunse Harry velocemente, prendendo un fazzoletto dalla tasca dei pantaloni per asciugarsi il sudore dalla fronte. «Lavorerò presso una clinica dell'isola per un paio di settimane. Hanno fatto passi da gigante nella cura delle ferite.»

    «Davvero?» Aveva attirato l'attenzione di Philippe. Si raddrizzò sul sedile. «E cosa stanno facendo?»

    Harry spalancò gli occhi. «È anche lei del mestiere?»

    Philippe annuì. «Sì, sono un medico anch'io.»

    «Ah...» Harry lo studiò per un momento e Philippe sperò che non lo avesse riconosciuto.

    «Allora è anche lei qui per lavorare?»

    Philippe scosse la testa e sorrise. «Assolutamente no. Sono in vacanza. La prima volta in cinque anni. Ho intenzione di starmene due settimane a prendere il sole, bere qualche birra e dormire.» Tralasciò il fatto che in realtà aveva bisogno di un po' di tempo per riprendersi dopo il suo ultimo caso in Pronto Soccorso. Il ricordo di quell'esperienza non lo avrebbe mai abbandonato.

    «Ma allora dove sono i suoi amici?» chiese Harry sorpreso. «Voi giovani non andate sempre in vacanza in gruppo?»

    Philippe si strinse nelle spalle. Aveva anni di esperienza nell'evitare le domande alle quali non voleva rispondere. «Grazie per il complimento, ma non sono così giovane... ho trentun anni. E le garantisco che se i miei amici fossero con me non riuscirei a dormire nemmeno un minuto. Ma in questo momento ho bisogno di riposare. Ho lavorato cinquanta ore a settimana per gli ultimi cinque anni e tra pochi giorni inizierò un nuovo lavoro, così mi sono preso una pausa per rigenerarmi.»

    Harry sorrise di nuovo. «E ha scelto Temur Sapora? È un po' fuori dalle solite mete turistiche.»

    Philippe annuì. «Il che è perfetto. Spiagge bellissime, oceano cristallino e un lussuoso resort lontano da tutti.»

    Harry fece spallucce. «Un po' di relax fa sempre bene.»

    «Ma lei è qui per lavorare.» Era curioso di conoscere i progressi nella cura delle ferite.

    Harry gli rivolse un altro sorriso. «Ma è per ragioni utilitaristiche: spero di imparare il più possibile. Questo è il viaggio della mia vita.» I suoi occhi si illuminarono. «Non vedo l'ora.»

    Philippe si rilassò contro lo schienale del sedile quando si accese la spia Allacciare le cinture. Harry faticò un poco con la sua, che chiuse con un lieve imbarazzo. «Allora» disse, «dove eravamo rimasti? Ah, sì... Le racconto degli effetti dell'unguento che hanno messo a punto per la cura della fascite necrotizzante.»

    Philippe continuò a sorridere mentre l'aereo iniziava a rollare sulla pista e la possibilità di riuscire a dormire un po' svaniva pian piano.

    «Harry, si sente bene?»

    Tre ore più tardi, Harry si massaggiava il petto. Non aveva toccato cibo e aveva bevuto acqua per tutto il volo. Era in un bagno di sudore e aveva il viso arrossato.

    «Passerà, credo di non aver digerito» rispose l'uomo.

    Philippe scosse la testa. «Mi faccia dare un'occhiata.» Prese lo zaino da sotto il sedile e tirò fuori lo stetoscopio e un piccolo monitor portatile. Il kit di emergenza di ogni medico. Prima che Harry potesse aggiungere altro, Philippe gli aveva già infilato la piccola sonda sul dito.

    «Soffre di qualche disturbo in particolare?»

    Harry scosse la testa. «Solo un po' di ipertensione, ma è sotto controllo da qualche anno.»

    Philippe si allungò per visitarlo. La pelle del petto era fredda e appiccicaticcia. Posizionò lo stetoscopio sapendo che sarebbe servito a poco. I polmoni di Harry funzionavano. Era il cuore a preoccuparlo.

    «Non posso stare male» mormorò Harry. «Ho appuntamento con la dottoressa Arissa Cotter del centro medico. Mi aspetta. Hanno bisogno di un dottore in questo momento, quindi il tempismo è stato perfetto.» Annaspò e si portò una mano al petto. «Ha bisogno di me.»

    Per la prima volta Philippe riconobbe la paura negli occhi di Harry. Fece un cenno a uno degli assistenti di volo. «Quanto manca all'atterraggio?»

    Questi diede un'occhiata preoccupata a Harry prima di rispondere: «Circa un'ora».

    «E non possiamo atterrare prima?»

    Scosse la testa. «Non per un aereo di queste dimensioni. Temur Sapora è l'aeroporto più vicino, siamo nel mezzo del Mar Cinese Meridionale.»

    Philippe fece una smorfia. Per la prima volta rimpianse di non aver preso il jet privato della sua famiglia. Ma aveva preferito non farsi notare, voleva avere la possibilità di trascorrere una vera vacanza prima di tornare a casa a Corinez per assumere il proprio ruolo al comando della riforma del sistema sanitario. Il re aveva preparato bene i propri figli. Uno era entrato nell'esercito per poter diventare il prossimo sovrano; un altro era diventato medico per acquisire le competenze necessarie ad approntare la riforma sanitaria; l'ultimo era diventato un contabile, in grado di inserirsi nel ministero delle finanze.

    Ma usare il jet reale per andare a Temur Sapora avrebbe di certo attirato l'attenzione dei giornali di tutto il mondo. E non era il tipo di vacanza di cui aveva bisogno in quel momento.

    «Dia un voto al suo dolore, Harry. Da uno a dieci.» Non poteva farne a meno, si era già calato nella veste del medico, cosa che gli veniva sempre così naturale.

    Il rossore iniziò a svanire dalle guance di Harry, rimpiazzato da un pallore orribile. Harry non rispose.

    A Philippe si contorse lo stomaco. Aveva già seguito molte emergenze di quel tipo, ma non a diecimila metri da terra e non senza gli strumenti a disposizione. Aveva l'impressione che l'unica cosa utile in quel momento poteva essere una buona dose di anticoagulanti, per ridurre al minimo i danni sul cuore di Harry. Stava avendo un infarto, e quel tipo di medicinali non erano disponibili in aereo.

    In pochi secondi Harry crollò.

    Lo steward si spaventò e corse a prendere il kit di emergenza e il defibrillatore. Philippe fece sdraiare il paziente sul pavimento, mentre i passeggeri vicini si spostavano per dare spazio di manovra al medico.

    Dieci minuti più tardi Philippe si passò una mano nei folti capelli scuri e lasciò andare un sospiro di rabbia. Niente da fare. Il defibrillatore non riusciva neanche lontanamente a cogliere il ritmo. La rianimazione manuale non stava avendo alcun effetto ed erano troppo lontani dall'aeroporto per poter continuare.

    Philippe abbassò gli occhi su Harry e allungò le mani un'ultima volta per controllare il battito, prima di dichiarare: «Ora del decesso: due e cinquantasei». Scosse la testa. «Mi dispiace tanto, Harry» disse sottovoce. «Il viaggio della tua vita è finito.»

    2

    Arissa guardò l'orologio e inarcò un sopracciglio. Che strano. Il volo di Harry Reacher era atterrato da ore e l'uomo avrebbe dovuto essere lì da un pezzo.

    Provò una stretta allo stomaco, augurandosi che non avesse cambiato idea all'ultimo momento. Trovare dei medici era già abbastanza complicato. In genere impiegava le proprie vacanze per ricoprire il posto che rimaneva scoperto per cinque settimane l'anno.

    Finì di lavarsi le mani e si voltò verso il piccolo carrello degli strumenti che aveva allestito. «Okay, Adilah, diamo un'occhiata a questo dito.»

    Si infilò un paio di guanti e toccò l'indice di Adilah per assicurarsi che l'anestetico avesse fatto effetto. Sua madre la prese in braccio. «Quanti punti pensa che ci vorranno?»

    Arissa sorrise. «Credo che quattro possano bastare. Ti sei procurata un brutto taglio, Adilah. Ma lo ricuciremo in un attimo e non sentirai niente.»

    Arissa si piegò sulla bambina e incominciò a suturare canticchiando una filastrocca che sua madre le aveva insegnato da bambina. Adilah sorrise e si unì a lei. In pochi minuti ebbe finito, controllò un'ultima volta la ferita e la ricoprì con un piccolo cerotto. Poi prese il blocchetto delle ricette. «Le do un antibiotico, perché la ferita era piuttosto sporca quando è arrivata qui. Così cerchiamo di scongiurare il rischio di infezione.»

    La madre della piccola annuì con gratitudine. Arissa notò le occhiaie che le circondavano gli occhi. Avere una bambina di cinque anni con la leucemia non era cosa da poco. «La riporti subito qui se le viene la febbre o se la ferita dovesse iniziare a perdere del pus. Altrimenti cerchi di tenerla asciutta per i prossimi giorni. Dovrebbe guarire senza problemi.»

    Ci fu un rumore alla porta e Arissa alzò lo sguardo. Dannazione. Un altro turista che sicuramente stava cercando il resort di lusso dal nome simile a quello della clinica.

    «Solo un minuto» disse gesticolando all'uomo mentre ridisponeva gli strumenti sul carrello e si lavava le mani di nuovo.

    Anziché aspettare alla porta, il curioso turista entrò, salutando con un cenno Adilah e sua madre che uscivano. Poi si guardò intorno, osservando l'ambulatorio.

    Ad Arissa si rizzarono i capelli. Era ovvio che stesse cercando le lussuose lenzuola di lino egiziano, ombrelloni, cocktail e camerieri personali del resort. Quella piccola clinica doveva essere la cosa più lontana dal suo ambiente abituale.

    Sospirò spazientita e si voltò, cercando di fare del proprio meglio per sorridergli. «Si è perso?» Ebbe un tuffo al cuore. Wow. Accidenti. Il Signor Turista avrebbe tranquillamente potuto spodestare Hugh Jackman dal suo cuore.

    Occhi e capelli scuri, combinati a una corporatura muscolosa e possente. Aveva una specie di zaino, ma non il genere di bagaglio di lusso che si sarebbe aspettata.

    Aveva in mano un berretto da baseball. Inclinò la testa di lato. «Arissa Cotter?»

    Lei strabuzzò gli occhi. Non poteva essere. Il dottor Reacher era sulla sessantina. Trattenne il fiato per un secondo. «Chi la cerca?»

    Il cuore iniziò a martellarle nel petto e dovette cercare di controllare la respirazione. Era un giornalista? Un investigatore privato? Che il segreto che aveva cercato di nascondere negli ultimi anni fosse alla fine venuto allo scoperto?

    L'uomo attraversò la stanza e allungò un braccio verso di lei. «Philippe...» Fece una pausa, poi le strinse brevemente la mano. «Mi dispiace doverle dare una brutta notizia.»

    Non le piaceva affatto quel tipo. Istintivamente fece un passo indietro, con espressione sorpresa.

    Poco importava se i suoi occhi fossero i più profondi che avesse mai visto. Le mancava l'aria, in attesa che il mondo le crollasse sotto i piedi.

    Non rispose. Le parole le morirono da qualche parte fra il petto e la gola.

    Lui fece un respiro profondo. «Mi dispiace molto. Ero sullo stesso volo del dottor Harry Reacher. Ha avuto un attacco di cuore.»

    Le ci volle qualche secondo per assimilare la notizia. «Che... che cosa?»

    All'improvviso la paura l'abbandonò, facendola sentire un mostro di egoismo. Pensava riguardasse lei. «È in ospedale?»

    Un lampo attraversò gli occhi di quel tizio che si era presentato come Philippe e capì immediatamente come stessero le cose. Provò uno strano formicolio sulla pelle.

    «Oh, no...» furono le uniche parole che riuscì a formulare. Sospirò. Non aveva mai incontrato Harry Reacher, ma leggere le sue email negli ultimi mesi aveva rischiarato un po' le sue giornate. L'entusiasmo e la passione per la professione di medico trapelavano in modo evidente dalle parole di quell'uomo.

    Lo sconosciuto era lì, davanti a lei, e la guardava dall'alto con quei suoi occhi castani. Si riscosse e provò a sorridergli. «Mi dispiace molto. Non vedevo l'ora di lavorare con Harry.» Le si strinse il cuore quando si rese conto che avrebbe dovuto portare avanti il lavoro da sola per le successive due settimane.

    Anche lui annuì e si passò una mano fra i capelli. «Mi dispiace, ho fatto quello che potevo. Lassù...» sospirò. «Non avevo niente. Medicinali, strumenti... Sono sicuro di quale sarà l'esito dell'autopsia e odio pensare che se fossimo stati a terra vicino a un ospedale avrei potuto salvargli la vita.»

    Fu il modo in cui disse quelle parole. Come se si sentisse responsabile di quello che era appena accaduto.

    «Non avevi un defibrillatore?» non poté fare a meno di chiedere Arissa.

    Lui annuì. «Sì, ma niente ritmo.»

    Arissa strinse le labbra. Sapeva esattamente cosa volesse dire. L'attacco di cuore era stato improvviso e la vicinanza a un ospedale non avrebbe, con buone probabilità, potuto salvare Harry.

    Ma chi poteva sapere che quel ritmo non era da defibrillare? Aprì la bocca per chiederlo, ma poi la parte razionale del suo cervello si mise in moto. «Dovrei contattare l'ospedale. Vedere cosa c'è da fare... parlare con il consolato per contattare i parenti di Harry.»

    «Me ne sono occupato io» disse l'altro con tono quasi premuroso.

    Arissa corrugò le sopracciglia. «Davvero?»

    Le parve strano. La burocrazia e le regole di Temur Sapora erano impossibili. Chi diavolo era quell'uomo? Lo guardò di nuovo. C'era qualcosa di vagamente familiare in lui, ma non riusciva a collocarlo. Aveva anche uno strano accento, un mix di francese, italiano e spagnolo. Era sicuramente europeo, ma non riusciva a identificarne la provenienza dalla voce. Chiunque fosse, doveva essere ricco. I resort di lusso erano di alto livello, per gente molto, molto danarosa.

    Troppo cari ed esclusivi per chiunque non fosse un milionario. A un certo punto Temur Sapora sarebbe stata scoperta anche dalle masse, ma per fortuna non era ancora successo. Odiava ogni volta che un uomo d'affari milionario dichiarava in un'intervista di essere stato nella lussuosa isola malesiana, puntando i riflettori sul posto

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