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Un milionario da domare: Harmony Destiny
Un milionario da domare: Harmony Destiny
Un milionario da domare: Harmony Destiny
Ebook182 pages1 hour

Un milionario da domare: Harmony Destiny

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About this ebook

Quando la professoressa Willow Harden si presenta sull'isola dove vive Tate Kingston, scopre che il milionario non è solo un suscettibile ed enigmatico autore che si è autoimposto un'esistenza in esilio nel proprio castello, ma anche un uomo attraente e sensuale. Ben presto, l'intento di scoprire il segreto che lo ha portato fino a lì viene meno, per lasciare il posto al desiderio che i due iniziano a condividere.
Quando però la ragione della presenza di Willow sull'isola viene svelata, la nascente passione si raffredda bruscamente e rischia di finire in rotta di collisione con il destino che li attende...
LanguageItaliano
Release dateJul 19, 2019
ISBN9788830500785
Un milionario da domare: Harmony Destiny

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    Un milionario da domare - Dani Wade

    successivo.

    1

    Sabatini House. Finalmente.

    Willow guardò attraverso il parabrezza dell'auto verso quell'imponente e maestosa residenza, simile a un castello. La furia del temporale le si confaceva. Una struttura unica e misteriosa come la Sabatini House meritava una presentazione suggestiva.

    Poiché quando Willow si era fermata al cancello l'interfono non funzionava adesso doveva trovare il modo di entrare. Dovette concentrarsi per rilassare la presa sul volante.

    La pioggia picchiava sul suo macinino e a tratti oscurava del tutto la visuale. Erano anni che la Sabatini House la affascinava, fin da quando aveva scoperto che nel diario della bisnonna erano menzionati i proprietari: la famiglia Kingston. La bisnonna, però, scriveva pochissimo sulla storia della residenza, cosa che l'aveva incuriosita ancora di più.

    Stando agli articoli che aveva trovato si diceva che la casa fosse stata costruita da un pirata spagnolo per la sua amata. Annoverava grotte sotterranee che permettevano all'oceano di creare un anfratto dove poter nuotare. Nel suo diario la bisnonna aveva descritto quell'anfratto come un magico legame tra terra e mare. Visto che anche lei discendeva dai pirati era una cosa che aveva apprezzato.

    Dall'esterno sembrava ancora uno splendido castello, con torrette e guglie e finestre ad arco. Tuttavia Willow moriva dalla voglia di dare un'occhiata all'interno. Non era riuscita a trovare foto o documenti nelle sue ricerche. L'attuale proprietario, un uomo schivo, non aveva permesso a nessuno di entrare tranne che al guardiano, Murdoch Evans, e a qualche operaio di fiducia.

    Fino a quel giorno.

    Inspirando a fondo Willow si strinse per bene nell'impermeabile. Non aveva senso farsi intimorire dalla pioggia. Doveva entrare. Così avrebbe potuto iniziare a cercare indizi. Per quanto la casa la affascinasse erano stati i segreti che custodiva ad attirarla lì. Segreti sui Kingston, e su una fatidica notte di molti anni prima, che avrebbe potuto cambiare la vita di Willow per sempre.

    L'ombrello sarebbe stato inutile contro il forte vento che soffiava dall'oceano. Contò fino a tre, scese dall'auto e corse verso la porta laterale da dove Murdoch le aveva detto di entrare.

    Dato che Murdoch era andato in Florida a trovare la figlia che aveva partorito da poco non c'era nessuno che cucinasse e facesse le pulizie per l'attuale residente della Sabatini House. Lei e Murdoch avevano stretto amicizia negli anni in cui l'aveva assillato per avere informazioni sulla casa. Quando gli aveva detto che a breve avrebbe avuto la pausa estiva dal suo lavoro d'insegnante al college locale, l'aveva assunta perché si occupasse della tenuta durante la sua assenza.

    Accettare un lavoro senza nemmeno aver incontrato il datore di lavoro non le era sembrato strano all'epoca. Ma adesso stava avendo dei ripensamenti.

    Avrebbe dovuto presentarsi a metà pomeriggio, ma il temporale si era scatenato in anticipo. Mettere le valigie in macchina e guidare non era stato semplice. Trasferirsi significava portare con sé un bel po' di cose. Caricare tutto in auto sotto la pioggia aveva inzuppato sia lei che le valigie.

    In condizioni normali l'isola distava circa quarantacinque minuti da dove abitava con le sorelle, a Savannah. Invece per un'ora e mezzo aveva dovuto vedersela con la scarsa visibilità e con il vento che scuoteva la macchina. Così era arrivata di sera senza avvisare il datore di lavoro del ritardo, visto che il maltempo aveva tolto l'elettricità e messo fuori uso le linee telefoniche dell'isola.

    Mentre correva la pioggia la bombardava con gocce rabbiose. La torcia che teneva in mano era l'unica guida che aveva. Raggiungere il piccolo portico fu un sollievo. Rovistò in cerca della chiave che le aveva dato Murdoch.

    Era emozionata, anche se lo sforzo l'aveva sfinita. Stava per entrare nella Sabatini House e forse scoprire tutti i misteri che custodiva.

    Bussò con forza mentre inseriva la chiave, impaziente di mettersi al riparo dalla pioggia che scrosciava fin sotto il portico. Non aveva intenzione di far venire un infarto al nuovo capo, tuttavia i lampi che squarciavano il cielo non la incoraggiavano a temporeggiare. Armeggiò con le chiavi, la torcia e la maniglia della porta e alla fine riuscì a entrare.

    Il tastierino per l'allarme non era illuminato così si concesse di appoggiarsi alla porta chiusa per un attimo. Aveva il cuore in gola.

    «Salve? Signor Kingston?» gridò.

    Considerati i ripetuti tuoni e la pioggia incessante le possibilità che la sentisse erano minime, a meno che non fosse stato lì vicino. Odiava presentarsi così, però che altra scelta aveva? Non c'era campo quando aveva provato a telefonargli, nel pomeriggio, e non c'era un ripetitore abbastanza vicino che facesse funzionare i cellulari. Murdoch l'aveva avvertita. Tuttavia la brutta sensazione alla bocca dello stomaco le diceva di trovare il proprietario alla svelta, dirgli che era arrivata e assicurarsi che stesse bene. Il fatto che se ne stesse laggiù tutto solo la incuriosiva. Mentre attraversava in punta di piedi la stanza vuota si chiese dove fosse la sua famiglia e perché fosso solo, anche se non erano affari suoi.

    «Signor Kingston? Sono Willow, la nuova governante.»

    La voce sembrò venire risucchiata dall'oscurità e dalla pioggia, anche se il rumore del temporale non si sentiva in quella parte della casa. La torcia illuminava il percorso oltre l'ingresso dove si trovava. Meno male che ne aveva presa una bella grande prima di salire in macchina.

    Il profumo dell'oceano permeava l'aria anche all'interno dell'abitazione. Si mischiava a quello della pioggia, salato e umido e con una leggerissima fragranza di fiori.

    Willow gocciolò sul pavimento mentre attraversava una cucina moderna, stretta e lunga come un'enorme cambusa dotata di ogni comfort. Murdoch le aveva detto che la cucina era stata rimodernata circa cinque anni prima.

    All'esterno i lampi si scatenavano, illuminando l'intera stanza attraverso la lunga fila di finestre ad arco disposte su una parete. Willow fece una smorfia, cercando di concentrarsi su quello che le stava attorno per non farsi spaventare. Puntò la torcia in varie direzioni e notò altri archi e porte e finestre. Alcune erano incorniciate da mattoni. Altre da intonaco. Sperava che pulire le finestre non fosse un suo compito, perché erano parecchie.

    Una volta stabilito che quella stanza era vuota attraversò la cucina e sul lato opposto trovò un ampio corridoio. Continuò a chiamare il signor Kingston. Il buio, oltre al pensiero che lui non aveva idea che fosse entrata in casa, la rendeva nervosa. Ed era sempre più a disagio nel non sapere se stava bene o no.

    Sperava che le avrebbe perdonato l'intrusione. Murdoch non le aveva detto se fosse infermo, ma poteva succedere di tutto con un temporale come quello. Una caduta. Un brutto taglio. Una commozione cerebrale. Solo, poteva rimanere steso a terra ferito per ore senza aiuto. Poteva morire dissanguato. E non c'era modo di contattare il mondo esterno perché il telefono non funzionava.

    Percorse con cautela l'ampio corridoio. In quella casa ogni cosa era enorme. Mentre avanzava illuminò con la torcia le varie stanze, in cerca del signor Kingston.

    La maggior parte delle porte erano aperte, e davano su stanze vuote. In altre i mobili erano ricoperti da teli. Solo in un salotto c'erano dei mobili antichi disposti ad arte, ma sembrava comunque che non lo usasse nessuno.

    Se non fosse stata al corrente della situazione e non avesse visto una cucina dall'aria vissuta Willow avrebbe sospettato che la casa fosse disabitata. Priva di ogni segno di vita. Eppure sapeva che il signor Kingston doveva essere lì da qualche parte.

    Era sempre più a disagio. Sì, la casa era enorme. Sapeva che c'erano tre piani, anche se le torri suggerivano ce ne fossero altri. Cos'altro poteva fare per farsi sentire? Il temporale sembrava assorbire le sue grida e i suoi passi.

    Alla fine l'atrio si aprì su una grande stanza circolare, al cui centro si trovava un'impressionante scala che portava al piano superiore. Il rumore del temporale adesso le rimbombava nelle orecchie. La scala le fece sollevare lo sguardo fin dove riusciva a vedere nel buio. Ai piani superiori non c'erano luci accese, quindi non aveva modo di sapere dove potesse essere il suo datore di lavoro.

    «Signor Kingston?» chiamò di nuovo, la voce che riecheggiava sui muri. Si sentì assalire dal senso di colpa. Anche se c'era bisogno che la sentisse per poterle rispondere le sembrava sbagliato gridare in casa d'altri.

    Attraverso la stanza sentì un lieve rumore, come se fosse caduto qualcosa di piccolo. «Salve? C'è qualcuno?»

    Nessuna risposta. Solo il rumore della pioggia che colpiva la casa.

    Willow fece piroettare la torcia, prestando attenzione alle numerose porte. Si sentì pervadere dall'incertezza. Non sapeva dove guardare, in che direzione andare. Con tutte quelle stanze poteva cercare per l'intera notte senza mai trovare il proprietario.

    Aveva sbagliato ad arrivare così tardi?

    L'emozione per essere finalmente riuscita a entrare in quella casa adesso aveva lasciato il posto all'incertezza, oltre a una paura crescente.

    Dal corridoio di fronte provenne un cigolio metallico, che le fece battere forte il cuore.

    Era normale un rumore così in casa? Non ne aveva idea. La luce della torcia si rifletteva sulle mattonelle blu oltremare che delineavano il fondo delle pareti intonacate. Fece un passo in avanti, incerta, sforzandosi di pensare razionalmente.

    Probabilmente le camere da letto si trovavano ai piani superiori. Avrebbe cominciato dal secondo. Forse il signor Kingston era lì. Se solo fosse riuscita a trovare un po' di luce. Di sicuro, visto quanto spesso mancava l'elettricità sulle isole, Kingston doveva avere un bel rifornimento di lanterne.

    O un generatore. Ma se era già andato a letto forse non si era premurato di accenderlo. Non ricordava se Murdoch le aveva parlato di un generatore.

    Le scarpe da ginnastica zuppe scricchiolavano sul pavimento mentre si avvicinava alla scala. Afferrò il corrimano in legno. Puntò la luce verso l'alto, illuminando le mattonelle delle scale di un azzurro brillante, smaltate di madreperla. La filigrana argentata nel corrimano di legno chiaro sembrava delicata ma era solida al tatto. Quando raggiunse il piano superiore con la coda dell'occhio vide un'ombra che si muoveva.

    Spaventata, Willow lasciò cadere la torcia. Il rumore rimbombò nell'imponente stanza.

    «Salve?» Cercò di farsi sentire, ma la paura le affievolì la voce. Era impercettibile anche alle proprie orecchie per la pioggia e il frastuono dei tuoni.

    Proprio mentre si piegava a raccogliere la torcia un braccio possente le si strinse attorno al collo, forzandola contro un muro di muscoli che capì appartenevano a un essere umano... un essere umano enorme.

    La stazza e la forza dell'assalitore le fecero capire che doveva trattarsi di un uomo, tuttavia era troppo spaventata per comprendere altro.

    Il braccio aumentò la presa, togliendole quasi il respiro. Poi sentì il viso dell'uomo accanto al suo, e uno stridulo sussurro nell'orecchio. «Vuoi spiegarmi che ci fai in casa mia?»

    Tate Kingston avvertì una scarica di adrenalina, come non gli capitava da anni.

    Aveva creduto che ci fosse un ladro. Quando aveva sentito quei rumori aveva capito che non appartenevano alla casa dove viveva da sempre. La mente gli aveva subito prospettato bui corridoi popolati da personaggi nefasti. Normale, per uno scrittore di horror.

    Tuttavia non aveva mai avuto a che fare con qualcuno che si fosse intrufolato in casa. Giusto per essere sicuro aveva percorso lentamente la scala sul retro. Aveva spiato quello che credeva fosse un ragazzo, seguendolo fino alla stanza ovale. Pensava fosse un adolescente che per scommessa si era intrufolato nella leggendaria Sabatini House.

    Invece si ritrovava a stringere una donna.

    Gli arrivava solo fino alla gola, anche se doveva essere più alta della media. Era paralizzata dal terrore. Non che la biasimasse. Anche lui avrebbe reagito così se si fosse appena introdotto in una casa che credeva fosse vuota.

    Solo che quella era abitata.

    Le premette il braccio contro la clavicola, facendo attenzione a evitare la parte più fragile del collo. Voleva solo metterle paura. Non ritrovarsi con una denuncia in mano.

    «Ti ho fatto una domanda» disse con voce ancora più profonda. Enfatizzò ogni parola. «Cosa ci fai in casa mia?»

    «Casa sua?» gracchiò lei, cercando di parlare anche se si capiva che le mancava il fiato.

    Per la paura? Bene. Una volta che se ne fosse andata non voleva che lei o i suoi amici pensassero di tornare.

    «Che cosa sta dicendo?» ansimò la donna.

    Lui allentò la presa, dando un'impressione di benevolenza, anche se non aveva alcuna intenzione di concederle quello che voleva. Tuttavia per ottenere delle risposte doveva farla parlare. «Che ne dici di rispondere alle domande?» chiese. «Chi sei?»

    Willow scattò in avanti, cogliendolo di sorpresa. La lasciò andare per non farle del

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