Papà a sorpresa: Harmony Bianca
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Nick: Conosco Whil fin da quando eravamo bambini ed è sempre stata un'ottima amica e compagna di giochi, fino a quando non me ne sono andato per seguire la mia strada nella grande città. Adesso che sono tornato,e che Whil è diventata una bellissima donna, il nostro rapporto è cambiato. In tutti i sensi.
Meredith Webber
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Book preview
Papà a sorpresa - Meredith Webber
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
One Baby Step at a Time
Harlequin Mills & Boon Medical Romance
© 2013 Meredith Webber
Traduzione di Nicoletta Ingravalle
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3050-257-4
1
Non pensava che entrare nel reparto di pronto soccorso dell’ospedale di Whiloby sarebbe stato così strano. In fondo, ci era stato molte volte da bambino: un braccio rotto, una caviglia slogata e, in un’occasione memorabile, ipotermia, dopo essere rimasto intrappolato in un pozzo. Era stata colpa di Whil, quella volta! Whil, in lacrime perché il suo gattino vi era caduto dentro, Whil, la femminuccia!
Whilelmina Florence de Groote: la sua amica Whil!
Finalmente, dopo sei figli maschi, la madre le aveva dato il nome delle sue due nonne, pensando che fosse un bel nome, femminile, ma da prima ancora che sapesse parlare, Whil aveva deciso di essere un maschio e aveva da sempre insistito per essere chiamata Whil.
E così era stato.
Perso nel passato, sussultò quando la donna che lo aveva accolto all’ingresso – Lesley? – parlò.
«Le farò conoscere il personale infermieristico più anziano, il resto lo incontrerà con calma.»
Ma ancora una volta venne distratto, perché lei era lì!
I suoi selvaggi capelli, di un rosso intenso, tenuti impietosamente insieme da un elastico, guizzavano come fiamme fuori dal berretto bianco, colorando quella stanza, altrimenti sterile.
«Whil!»
Il suo grido di gioia rimbombò nella calma della stanza, mentre avanzava a grandi passi verso di lei, con Lesley – era sicuro si chiamasse Lesley – che blaterava: «Oh, conosce Whil?» seguendolo.
Lui osservò le emozioni susseguirsi sul viso di Whil: sorpresa, incredulità, e infine gioia, dimostrata con un sorriso che sembrò rendere la stanza ancora più brillante di quanto già non fosse.
«Non me l’ha detto nessuno!» disse lei, abbandonando il paziente che stava accompagnando verso un cubicolo, per stringerlo in un abbraccio avvolgente. «Non mi hai detto che saresti venuto» aggiunse, colpendolo a una spalla. «Ma sono così felice! E lo sarà anche nonna. Ma che ci fai qui? Io sto lavorando. Sei venuto solo a salutare?»
Lui le sorrise, felice di vederla di nuovo, di ascoltare quel fiume di parole, tipico di Whil, che era capace di scaldargli il cuore.
«Anche io sto lavorando» disse, osservando la sua espressione turbata.
«Lavorando?»
Lui annuì.
«Qui?»
Lui annuì nuovamente, continuando a sorridere: non aveva mai visto Whil restare senza parole, eppure lo era.
«Hai una persona, ti spiego dopo» disse, felice di poterla tenere sulle spine ancora un po’.
Lei aggrottò le sopracciglia, ma tornò al suo paziente, nuovamente concentrata appieno sul lavoro, lasciandolo con una strana sensazione di... Be’, non era sicuro cosa fosse. Senso di appartenenza? Sicuramente no.
No, aveva troppa immaginazione. Probabilmente era solo felice di aver rivisto Whil.
«Conosce Whil?» chiese Lesley, che gli era stata alle costole tutto il tempo.
«Puoi dirlo forte» replicò, continuando a sorridere, perché in qualche modo rivedere Whil aveva reso la sua decisione di tornare a casa piacevole, quasi inevitabile, nonostante fosse stato buttato nel lavoro prima ancora che avesse avuto il tempo di ambientarsi, per qualche problema con i registri del pronto soccorso.
Quattro ore più tardi aveva avuto la possibilità di vedere la sua vecchia amica in azione più volte. La sua esperienza era evidente, nel modo in cui assegnava i compiti e gestiva i pazienti, sempre impegnata, eppure sempre calma e con il sorriso sulle labbra.
Catturava sempre la sua attenzione, ma questo era da attribuirsi alla sua gioia nel rivederla. Lei provava lo stesso, senza dubbio, perché gli sorrideva sempre, ogni volta che si incontravano.
Almeno fino ad allora, quando lei gli andò incontro a grandi falcate, sguardo determinato, l’espressione accigliata.
«Bar, ora, dottor Grant!» ordinò, e lui la seguì obbediente, consapevole del fatto che le doveva molte spiegazioni, ma felice di avere l’opportunità di parlare un po’ con lei.
Aveva forse ordinato a tutti di uscire? La sala era vuota. Non l’avrebbe creduta capace di tanto, ma in quel momento non gli importava. Quello che voleva fare era abbracciarla, era farle capire che adesso era davvero tornato.
La prese tra le braccia facendola girare, non molto facilmente, visto che era alta quasi quanto lui. Ma lei lo spinse via, guardandolo arrabbiata.
«Cos’è questa storia?» chiese. «Arrivi in città di soppiatto, senza dire nulla a nessuno? E non dirmi che nonna lo sapeva, perché sono stata da lei ieri, e sai che non sa mantenere i segreti.»
Lui sorrise a quell’arpia dalla testa rossa, che lo aveva comandato a bacchetta da quando erano piccoli.
«Neanche tu» le ricordò lui. «E volevo che fosse tutto sistemato prima di dirlo a nonna. Alla fine, mi hanno offerto questo lavoro prima di quanto immaginassi, quindi non c’è stato tempo per dirlo a nessuno.»
Gli occhi dorati di lei incontrarono i suoi, sospettosi.
«Cosa doveva essere sistemato?»
«Il contratto. Dodici mesi con opzione di allungamento.»
E ora Whil lo stava abbracciando!
«Oh, Nick. Nonna sarà così contenta. Non dice mai niente, ma da quando è caduta il mese scorso si sente così fragile, e credo che senta moltissimo la tua mancanza. Riesco a percepirlo nella sua voce, quando parla di te.»
E tu? Nick sentì l’impulso di farle quella domanda, anche se non sapeva il perché. Lui e Whil si erano tenuti in contatto durante gli anni, scambiandosi regolarmente e-mail, e alle volte dandosi un colpo di telefono, anche se erano riusciti a vedersi molto di rado, quando capitava a entrambi di essere nella stessa città nello stesso momento. Era quello che facevano gli amici, quindi sì, voleva che lei fosse felice del suo ritorno...
«Siediti, faccio il caffè» disse Whil, e lui accantonò quel pensiero e si sedette, felice di guardarla muoversi nella piccola sala, decisamente a suo agio, composta, bellissima in realtà, la sua Whil, anche se probabilmente le era sempre stato troppo vicino per accorgersene.
Whil scosse il capo, mettendo la caffettiera sul fornello, incredula. Nick era davvero lì, e la cosa la infastidiva. Quando l’aveva visto, all’inizio, si era sentita il cuore balzarle in petto, un forte e pesante sussulto alla vista di quell’uomo alto e slanciato, con qualche ciocca grigia nei soffici boccoli castani, che erano stati il tormento della sua giovinezza. Gli occhiali dalla montatura nera nascondevano i suoi occhi, che lei sapeva essere grigio blu. Gli lanciò un’occhiata seria.
Il suo Nick, così cresciuto e dannatamente bello, pensò, guardandolo non come amico, ma come uomo.
Si erano conosciuti all’asilo, e la loro amicizia era iniziata quando lei aveva dato un pugno al bambino che lo aveva chiamato Quattrocchi. Lo aveva portato a casa con sé, quel pomeriggio, gli aveva fatto chiamare la nonna per dirle dove si trovava, e poi aveva ordinato a due dei suoi fratelli di insegnargli a combattere.
Il loro legame era nato così, e aveva superato anni di lontananza, anche se si erano sempre tenuti in contatto e raccontati tutto delle reciproche vite.
Esisteva forse un legame più forte dell’amicizia?
Trovò il barattolo dei biscotti e lo posò sul tavolo, poi servì il caffè e si lasciò cadere nella sedia di fronte a lui, senza riuscire a smettere di guardarlo, e leggermente imbarazzata dal fatto che anche lui sembrava altrettanto concentrato su di lei.
«Allora?» chiese infine, soprattutto per rompere quel silenzio che stava diventando scomodo.
«È passato troppo tempo da quando ci siamo visti l’ultima volta» disse lui. «Sei cambiata.»
«Sono passati cinque anni, e siamo stati insieme solo per un’ora, all’aeroporto di Sydney. Comunque, io non cambio mai, dovresti saperlo» lo stuzzicò lei. «Ero una ragazzina magra dai selvaggi capelli rossi, e sono diventata una donna magra dai selvaggi capelli rossi. Ma tu, chi si sarebbe immaginato che saresti diventato così bello?»
Era una conversazione strana, quasi forzata. Anche se avevano preso strade diverse dopo il liceo – lui era andato a Sydney per studiare medicina, mentre lei aveva scelto di seguire il corso da infermiera a Townsville – nelle occasioni in cui erano riusciti a vedersi, se pure per poco tempo, avevano sempre ripreso il loro normale rapporto d’amicizia come se non si fossero mai separati.
Eppure quella sera era diverso.
«Stai da nonna?»
In realtà era la nonna di Nick, non la sua, ma Whil aveva l’abitudine di chiamarla un paio di volte alla settimana, portarla a fare spese o prenderle dei libri.
Con Nick lì, non le sarebbe più servito il suo aiuto...
«No, ho parlato con Bob quando è venuta fuori l’idea di lavorare qui. Mi ha offerto uno degli attici al nuovo residence al porto che ha appena finito di costruire.»
«Quel bastardo!» mormorò Whil, pensando a suo fratello maggiore, il costruttore della famiglia. «Quindi lui sapeva che saresti venuto, e non mi ha detto nulla! Per di più, tutto quello che ho ottenuto io è stato un monolocale al sesto piano, e scommetto che ti ha fatto anche un prezzo di favore.»
Nick sorrise.
«Ma sono uno di famiglia, no?» ribatté lui. «Sono il tuo settimo fratello. Non l’hai forse sempre detto?»
Certamente, ma non era il loro rapporto che la stava infastidendo in quel momento, anche se non riusciva a capire cosa fosse in realtà.
«Sarà strano lavorare con te» disse esitante, perché non era vero neanche quello.
Nick sorrise, e il cuore di Whil sobbalzò.
«Lo pensi solo perché sei sempre stata tu a comandarmi a bacchetta, e invece nel pronto soccorso sono i medici a comandare sulle infermiere.»
Lei colse la sfida.
«Ah sì? E chi lo dice?»
Lui non rispose, si limitò a prendere il caffè, con l’ombra di un sorriso ancora sulle labbra, piccole rughe d’espressione attorno alla bocca e agli occhi.
Era perché non l’aveva visto per tanto tempo che restava lì a fissarlo, si disse tra sé e sé, quando il sorriso di lui si trasformò in una smorfia.
«Aaargh! E lo chiami caffè? Non hai mai sentito parlare di macchinette automatiche? Quanto è arretrato questo posto?»
Whil rise.
«Non troppo, ma i tagli sono ovunque. Se vuoi un buon caffè devi comprare macchinetta e chicchi, e tutti useranno entrambe le cose, e una notte qualcuno ruberà la