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Sinfonia d'amore
Sinfonia d'amore
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Sinfonia d'amore

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About this ebook

La semplice musica di un violino a fare da contorno al loro amore complicato...
Lia D'Angeli, violinista con una promettente carriera davanti a sé, sa che il facoltoso Seth Talbot potrebbe essere un serio ostacolo alla sua luminosa ascesa. Nonostante si siano appena conosciuti a una festa in maschera, Lia soccombe al suo fascino. Trascorre con lui un'appassionante notte d'amore, dileguandosi però all'alba lasciando Seth solo fra le lenzuola, a ripensare a quella meravigliosa e sconosciuta creatura che non ha nemmeno voluto togliersi la maschera che le celava il viso. Otto anni dopo, i due si incontrano di nuovo, per caso. Lei, ormai famosa, lo riconosce all'istante, mentre lui non può sapere che quella donna che lo attrae così tanto è la sua, mai dimenticata, amante mascherata.
LanguageItaliano
Release dateJun 10, 2020
ISBN9788830515710
Sinfonia d'amore
Author

Sandra Field

Prolifica autrice inglese, cura con particolare amore la sua piccola collezione di bonsai.

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    Sinfonia d'amore - Sandra Field

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    His One-Night Mistress

    Harlequin Mills & Boon Modern Romance

    © 2005 Sandra Field

    Traduzione di Maria Elena Vaccarini

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2007 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3051-571-0

    1

    Sfolgorante. Splendido. Magnifique!

    Lia D’Angeli si avvicinò alla parete del vasto foyer dell’albergo i cui specchi, alti fino al soffitto, riflettevano una scena degna di una festa di Luigi XIV. In mano stringeva l’invito datole da Mathieu, il suo amico parigino. «Un ballo in maschera», le aveva spiegato con il suo sorriso affascinante. «Malheureusement, io non ci posso andare. Quindi, porta con te un bel giovanotto, mangia, bevi e balla. Magari potresti finire la serata nel suo letto. Sei troppo bella per avere la reputazione di una monaca, chérie» aveva concluso con una punta d’ironia.

    Lia era decisa a seguire il suo consiglio... almeno per quanto riguardava la prima parte. Mangiare, bere e ballare. Questo l’avrebbe fatto volentieri. Ma era venuta al ballo da sola, e da sola intendeva andarsene.

    Sola e anonima, pensò con un sospiro. Quella sera non era Lia D’Angeli, la giovane e brillante violinista impostasi all’improvviso sulla scena internazionale vincendo due prestigiosi concorsi in meno di sei mesi. No, pensò guardandosi nello specchio e sorridendo. Era una farfalla misteriosa e civettuola, che avrebbe svolazzato da un compagno all’altro senza lasciarsi catturare da nessuno.

    Il suo costume consisteva in una lucente tuta aderente color turchese che evidenziava le curve del suo corpo, con sfolgoranti ali di delicato chiffon verde e turchese. La maschera le copriva come un elmo gli zigomi, rivelando solo la profondità dei suoi occhi scuri e nascondendo i lunghi capelli neri in un luccichio di paillette e penne di pavone. Si era truccata il viso di turchese, mentre le labbra erano di un oro luminoso.

    Un costume sfacciato, pensò soddisfatta. Che le avrebbe consentito di essere chi avesse voluto.

    Nessuno la conosceva e contava di approfittarne, ballando senza sosta e andandosene a mezzanotte. Proprio come Cenerentola.

    Osservò la folla. Maria Antonietta, il Gobbo di Notre-Dame, un cardinale che pareva uscito da un ritratto di El Greco, una ballerina del Moulin Rouge. Tutti mascherati. Tutti estranei fra loro.

    Scacciando un improvviso senso di disagio, Lia si avvicinò al portiere e gli porse l’invito. Un ufficiale in uniforme gli stava sussurrando qualcosa all’orecchio e l’uomo le fece distrattamente cenno di entrare. Un buon segno, pensò Lia, passandogli accanto. Aveva temuto che il portiere trovasse da obiettare perché l’invito era a nome di Mathieu e non suo.

    Nella sala da ballo l’orchestra suonava un valzer. Altri specchi adornavano le pareti blu zaffiro e sfavillanti lampadari dorati erano appesi al soffitto affrescato. In fondo alla sala c’erano lunghi tavoli riccamente addobbati e camerieri in giacca bianca circolavano fra la folla, reggendo vassoi d’argento con sopra calici di vino e di champagne.

    Fu allora che lo vide.

    Come lei, l’uomo dava le spalle alla parete e osservava la folla. Un brigante, con mantello e stivali, una maschera nera e un cappello nero a larga tesa che gli lasciava in ombra il viso.

    Ma nessun costume avrebbe potuto dissimularne la statura, le ampie spalle o l’aria di potere e di assoluta padronanza di sé. Un uomo che prendeva ciò che voleva. Un autentico brigante.

    Anche lui era solo.

    Quando lo sguardo dell’uomo si posò su di lei, un brivido le corse lungo la schiena. Anche attraverso l’enorme sala, Lia ne avvertì l’improvvisa concentrazione. Come un bandito che avvista la sua preda.

    Lia non riusciva a muoversi. Come una farfalla appuntata alla parete, pensò con il cuore in gola. Conosceva la paura. Faceva parte della tensione per raggiungere la perfezione che l’aveva accompagnata in tutta la sua vita. Ma il nervosismo che precedeva un concerto, perlomeno, era accompagnato dalla consapevolezza del proprio talento e dalla certezza che sarebbe riuscita a superarlo.

    Questa paura era diversa. Si sentiva nuda, smascherata. E tutto perché un estraneo l’aveva guardata. Un uomo che non aveva mai visto prima di allora e che sicuramente non avrebbe rivisto mai più.

    Ridicolo!, pensò. Cedendo a un improvviso slancio di spavalderia, chiamò con un cenno un cameriere e prese un calice di vino rosso, poi sollevò il bicchiere in un beffardo brindisi allo sconosciuto.

    L’uomo si tolse il cappello e si esibì in un profondo inchino prima di dirigersi verso di lei.

    In preda al panico, Lia sentì una voce maschile chiederle in un francese impacciato: «Voulez-vous danser avec moi, madame?».

    Un soldato britannico delle guerre napoleoniche si era frapposto fra lei e il bandito. Lia posò rapidamente il bicchiere sul tavolo più vicino. «Sì, grazie» rispose.

    «Splendido... parla inglese» commentò il soldato, cingendole la vita e guidandola agilmente fra le altre coppie danzanti. L’uomo era un ottimo ballerino e, con enorme sollievo di Lia, non sembrava interessato a fare conversazione. Con la coda dell’occhio, Lia vide il bandito liberarsi da un gruppetto di formose ballerine di fila con un’osservazione che le fece ridacchiare. «Possiamo avvicinarci all’orchestra?» domandò al proprio cavaliere.

    Il soldato la guidò ubbidientemente verso il lato opposto della sala. Il valzer fu seguito da una rumba e un clown dalla vistosa bocca rossa prese il posto del soldato, rimpiazzato a sua volta da un dignitoso gentiluomo del Settecento.

    Quando la rumba terminò, un altro cavaliere comparve alle spalle del gentiluomo: il brigante con il mantello nero. «Credo che sia arrivato il mio turno» mormorò cortesemente.

    Lia sorrise al proprio cavaliere, lo ringraziò e si girò verso l’ultimo arrivato. Si sarebbe potuta rifiutare di parlargli, ma l’orgoglio era sempre stato uno dei suoi difetti. E, poi, le sfide non andavano forse affrontate?

    «Fa molto caldo qui, vero?» commentò. «Gradirei una coppa di champagne.»

    «Come si chiama?»

    «Lei non va per il sottile, eh?»

    «A che scopo perdere tempo?»

    «Il suo o il mio?»

    «Il mio.»

    «Allora forse dovrebbe trovarsi un’altra compagna.»

    «Oh, non credo» ribatté l’uomo.

    «Perché non incomincia a dirmi il suo di nome?»

    «Seth Talbot. Di Manhattan. Americano come lei.»

    Lia viveva in un minuscolo appartamento al Greenwich Village. «Sono nata in Svizzera, signor Talbot» rispose con disinvoltura, chiamando con un gesto un cameriere che le porse un calice di champagne.

    «Vedo che lei prende ciò che vuole» commentò pacatamente Seth Talbot.

    «Conosce forse un modo migliore di agire?»

    «Non nel mio mondo. Sono lieto che ci capiamo.»

    «Non credo che lei possa capirmi, dato che non sa quello che voglio» replicò lei.

    «Dal primo momento che ci siamo visti... abbiamo voluto la stessa cosa.»

    Fermati, Lia, prima che sia troppo tardi. Sii ragionevole. «Visto che non so leggere il pensiero, perché non mi spiega che cosa sarebbe?»

    L’uomo le serrò il polso con le lunghe dita sottili.

    «Mi molli» protestò Lia.

    Lui la lasciò andare bruscamente mentre la musica ricominciava a suonare. «Siamo d’intralcio» dichiarò, cingendole le spalle con il braccio e allontanandola dalla pista da ballo.

    Lia si ritrovò avvolta nelle pieghe scure del suo mantello. Il braccio dell’uomo era pesante, e intimo come una carezza. Avrebbe potuto protestare, perfino gridare. In una sala piena di gente, lui non avrebbe potuto farle niente senza il suo consenso.

    Aveva mai provato niente di simile in vita sua? Il cuore le martellava nel petto e il calore di quel braccio si era diffuso in tutto il suo corpo. Quasi fosse preda di un incantesimo, Lia lo guardò gettare il cappello su un tavolo. Poi lui le prese la mano libera e se la portò alle labbra, baciandole il palmo in modo incredibilmente sensuale.

    Lia provò l’impulso di lasciar cadere la coppa di champagne e infilare le dita nei suoi capelli castani. Un desiderio improvviso la travolse, lasciandola debole e tremante. Con uno sforzo enorme, strinse il bicchiere come fosse un’ancora di salvezza.

    Smettila, Lia! Ti stai lasciando sedurre da un uomo che vive nella tua stessa città.

    Lia tirò indietro bruscamente la mano, rovesciando qualche goccia di champagne. «Deve smetterla!»

    L’uomo sollevò la testa. «Tu non vuoi che smetta... sii sincera.»

    «Non so niente di lei, eppure...»

    «Abbiamo saltato i preliminari, tutto qui» continuò l’uomo con voce roca.

    «Provi lo stesso anche tu» mormorò lei con il cuore in gola.

    «L’ho provato dal primo istante in cui ti ho vista.»

    Non l’aveva forse capito anche lei? Proprio per questo si era precipitata a ballare con il primo uomo disponibile. «Un brigante è un ladro, signor Talbot.»

    «L’unico fine di una farfalla è accoppiarsi.»

    «Un ladro prende ciò che vuole senza curarsi delle conseguenze» ribatté Lia.

    «Se sei disposta a farti prendere, non posso essere definito un ladro.»

    «Oh, smettila» protestò lei. «Mi stai raggirando.»

    «Bene.» Seth le sorrise.

    Era un sorriso che trasudava pura energia virile. Lia si fece forza. «Non cerco un compagno. Un costume è solo un costume, non un’affermazione della mia personalità» dichiarò seccamente.

    Seth la scrutò lentamente. «Eppure hai un aspetto molto provocante.»

    Lia decise di stare al gioco. L’osservò, notando gli alti stivali scuri, i pantaloni neri aderenti che evidenziavano le cosce muscolose, l’elegante camicia bianca aperta sul collo abbronzato, le spalle ampie sotto il mantello. Un’ondata di desiderio la travolse, così intensa da spaventarla. «Affrontiamo la realtà. Tu non hai deciso di vestirti da clown, come quello con cui ho ballato poco fa. Anche il tuo costume è sexy. E allora?» riuscì a mormorare con sorprendente freddezza.

    «Finalmente ammetti di trovarmi sexy. È un passo avanti...»

    «Non fare il modesto. Ho anch’io gli occhi per vedere. Qualunque donna ti troverebbe sexy.»

    «È tutto molto divertente, ma non è questo il punto. Fra noi c’è qualcosa che non ho mai sperimentato prima... non così, almeno. In vita mia, non mi era mai capitato di vedere una donna in una sala affollata e di sentire così intensamente che dovevo averla. Ti giuro che è la verità.»

    La cosa folle fu che Lia gli credette all’istante. «Non era mai capitato nemmeno a me» ammise con voce incerta.

    Con una dolcezza che la disarmò, Seth le sfiorò la guancia con un dito. «Grazie... di essere così sincera.»

    «Allora continuiamo a essere sinceri. Non è mia abitudine andare a letto con degli estranei.»

    «La cosa vale anche per me. Quindi, per cominciare, perché non mi dici il tuo nome?»

    Lia era venuta al ballo decisa a mantenere l’anonimato e l’istinto le suggeriva di non venir meno a quel proposito. Gettò indietro la testa. «Posso darti un nome falso, o non darti nessun nome. A te la scelta.»

    Seth le prese di mano il bicchiere e lo posò sul tavolo. «Perché tutto questo mistero?»

    «Perché mi sta bene così.»

    Lui socchiuse gli occhi.

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