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Ragione e sentimento: I Romanzi Storici
Azioni libro
Inizia a leggere- Editore:
- HarperCollins Italia
- Pubblicato:
- Feb 11, 2013
- ISBN:
- 9788858908457
- Formato:
- Libro
Descrizione
Inghilterra, XIX secolo - Rimasta orfana Mary, la giovane e bella figlia del vicario di Carlisle, deve lasciare la casa in cui è cresciuta per cercarsi un posto di lavoro come domestica e si trova a vivere i giorni più bui della sua vita. Ma l'incontro con Ian Sinclair, affascinante libertino, sembra realizzare tutti i suoi sogni: alto, bello e attraente, il giovane gentiluomo la turba, l'attrae, la conquista. Lei però è la semplice figlia di un vicario di campagna: sarà in grado di conquistare l'amore di uno degli scapoli più corteggiati della buona società?
Informazioni sul libro
Ragione e sentimento: I Romanzi Storici
Descrizione
Inghilterra, XIX secolo - Rimasta orfana Mary, la giovane e bella figlia del vicario di Carlisle, deve lasciare la casa in cui è cresciuta per cercarsi un posto di lavoro come domestica e si trova a vivere i giorni più bui della sua vita. Ma l'incontro con Ian Sinclair, affascinante libertino, sembra realizzare tutti i suoi sogni: alto, bello e attraente, il giovane gentiluomo la turba, l'attrae, la conquista. Lei però è la semplice figlia di un vicario di campagna: sarà in grado di conquistare l'amore di uno degli scapoli più corteggiati della buona società?
- Editore:
- HarperCollins Italia
- Pubblicato:
- Feb 11, 2013
- ISBN:
- 9788858908457
- Formato:
- Libro
Informazioni sull'autore
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Anteprima del libro
Ragione e sentimento - Catherine Archer
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Lord Sin
Harlequin Historical
© 1997 Catherine J. Archibald
Traduzione di Pier Paolo Rinaldi
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
© 2000 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5890-845-7
www.eHarmony.it
Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche.
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1
Il vento sciolse una ciocca di capelli dalla crocchia di Mary Fulton che camminava, pallida e assorta, nella brughiera. Mary non si preoccupò di scostarli dagli occhi e continuò a stringersi al petto il cappellino di paglia, come se con quel gesto potesse contenere il dolore che provava, impedendogli di sopraffarla.
Non notò che il vento faceva svolazzare il lungo fiocco azzurro del cappellino, né i fiori selvatici che punteggiavano la corta erba della brughiera, illuminata a tratti dal sole che sbucava dalle nubi.
Nulla poteva superare il doloroso senso di vuoto che aveva nel cuore.
Le due settimane che erano trascorse dal funerale del padre non erano riuscite a lenire il suo dolore. Nell’ultimo anno di malattia dell’amato genitore Mary aveva sempre saputo che la fine sarebbe presto giunta e che per il pover’uomo sarebbe stata una liberazione. Ma questo non aveva mitigato il senso di devastazione provocato dalla sua perdita.
Dal giorno della morte di sua madre, Mary, che allora aveva solo cinque anni, era sempre stata accanto al suo brillante ma sbadato genitore. Non che Robert Fulton avesse trascurato del tutto la sua unica figlia: il vicario aveva dato tutto se stesso nel provvedere alla sua educazione. L’unico problema era che, nonostante ciò, non badava con la stessa attenzione a banalità come la regolarità dei pasti e la pulizia degli abiti, o a consolare la bambina quando cadeva.
Era toccato a Mary aiutare le varie governanti che si erano succedute nella conduzione della casa, e aveva dovuto consolarsi da sé delle ginocchia sbucciate.
Robert Fulton aveva dedicato la vita allo studio e alla conoscenza, e il legame fra padre e figlia si era formato proprio in quell’ambito. Il reverendo Fulton si era accorto dell’intelligenza vivace della figlia, ed era stato contento d’insegnarle ogni nozione che suscitasse il suo interesse. Era stato un uomo dalla mentalità aperta, colto e paziente, e questo l’aveva reso un ottimo insegnante.
Le capacità di suo padre avevano portato Mary a conoscere Victoria Thorn, la cui offerta di ospitarla nella propria casa l’aveva messa nell’indecisione in cui si trovava in quel momento. L’inquietudine l’aveva spinta ad andare nella brughiera, una passeggiata che aveva sempre avuto un effetto calmante su di lei. Tranne quel giorno.
Victoria era la sua migliore amica. Il padre di Mary aveva assunto l’incarico di ministro del culto presso la chiesa locale e poco dopo il padre di Victoria, il Duca di Carlisle, gli aveva chiesto di occuparsi dell’istruzione della figlia.
Victoria aveva preso posto accanto a Mary nello studio del vicariato, dagli scaffali ricolmi di libri, e i loro sguardi si erano incontrati. Gli occhi grigi di Victoria l’avevano osservata con attenzione e curiosità, senza la superbia che Mary si era aspettata di trovare nella figlia di un duca. Mary si era scoperta a sorridere, e da quel giorno le due ragazze erano rimaste legate da una grande amicizia.
Mary sospirò e fissò il cielo grigio sopra di sé. Qualcosa la tratteneva dall’accettare l’invito di Victoria. Conosceva la situazione in cui si trovava l’amica e i problemi che aveva superato.
Nonostante la sua ricchezza e la sua posizione sociale, la vita non era stata facile per Victoria. I suoi genitori erano morti diversi anni prima e tutte le responsabilità, insieme alla ricchezza, erano finite sulle sue giovani spalle. Mary aveva fatto del suo meglio per aiutarla in quel momento difficile, e ora Victoria e suo marito stavano cercando di fare altrettanto con lei.
L’avevano invitata ad andare ad abitare a Briarwood, nella loro enorme dimora. Un’offerta fatta con le migliori intenzioni, ma Mary era indecisa sul da farsi.
Victoria e Jedidiah erano sposati da nove mesi soltanto e stavano già aspettando il loro primo bambino. Mary non voleva intromettersi in un momento così speciale per loro.
Quando i due amici erano venuti al vicariato, il giorno precedente, per invitarla ad andare a vivere a Briarwood, lei aveva notato il modo in cui i loro sguardi s’intrecciavano a ogni occasione, la passione che non riuscivano a nascondere.
Non voleva mettersi in mezzo, si disse. E l’intimità fra i due sposi le avrebbe anche fatto sentire in modo più doloroso la sua solitudine.
Ma cosa avrebbe potuto fare? Il nuovo vicario e la sua famiglia di sei persone abitavano in una casa d’affitto dal loro arrivo a Carlisle, più d’un anno prima. Avevano il diritto di traslocare nella confortevole casa a due piani accanto alla chiesa, ma grazie al cielo, per delicatezza, il reverendo Diller aveva lasciato che Robert Fulton vi restasse per tutto il decorso della sua malattia.
Mary sapeva che doveva assolutamente lasciar libero il vicariato il più in fretta possibile e tornò a chiedersi, per la centesima volta, cosa avrebbe fatto se non avesse accettato l’offerta di Victoria. Si passò una mano tremante sulla fronte.
Come avrebbe potuto risolvere quel dilemma col cuore così pesante? Riprese a camminare sul terreno irregolare, sforzandosi di non guardarsi indietro. Ma non riusciva a riflettere, a liberarsi da quel senso di confusione.
Alzò gli occhi al cielo. «Ti prego, Signore, dammi un segno» sussurrò. «Aiutami a capire ciò che devo fare.»
Lo scalpitio di un cavallo al galoppo interruppe i suoi pensieri. Mary si guardò intorno e vide uno stallone nero avvicinarsi nella brughiera a rotta di collo, con la criniera agitata dal vento. Lo montava un uomo vestito di scuro, piegato sul collo dell’animale.
Mary s’immobilizzò, incantata da quello spettacolo di forza e bellezza. Ma cavallo e cavaliere continuavano ad avanzare rapidamente verso di lei e Mary, spaventata, sentì il cuore balzarle in gola.
Si sentiva di pietra, incapace di muoversi.
Qualcosa, forse l’eccesso di emozioni provate nelle settimane precedenti, la paralizzava. Rimase lì, ferma, a guardarli arrivare con gli occhi sgranati. Solo all’ultimo momento l’uomo tirò le redini, fermando il cavallo e facendolo impennare a pochi passi da lei. Mary riuscì a fare un passo indietro, senza fiato.
Il cavallo si voltò e al cavaliere sfuggì una risata roca e irriverente, che la sorprese. Mary si erse in tutto il suo metro e sessanta d’altezza e si mise le mani sui fianchi: che genere di pazzo era quell’uomo, che rideva dopo aver quasi travolto una donna indifesa? Stava per protestare quando il cavaliere voltò di nuovo l’animale e la guardò.
Tutte le parole che stava per pronunciare volarono via come foglie nel vento. Un paio d’occhi scuri la fissavano ammirati. Il cuore le si fermò, poi riprese a battere quando un ampio sorriso si disegnò sul volto abbronzato dello sconosciuto.
«Buongiorno a voi, signorina...» salutò l’uomo, scostandosi una ciocca ribelle di capelli neri dal volto. E Mary non poté non udire la punta di seduzione che il tono di quella voce non si era preoccupato di nascondere.
Continuò a fissarlo, muta, chiedendosi da dove fosse sbucato quell’uomo così terribilmente attraente. Era forse un parto della sua immaginazione? In fondo aveva proprio l’aspetto dell’uomo dei suoi sogni...
«Signorina...» insistette lo sconosciuto.
Mary si sforzò di mostrarsi dignitosa e sollevò il mento, dicendosi che in fondo la bellezza in un uomo non era tutto, e tuttavia il suo polso accelerato non accennava a calmarsi. «E perché mai, signore, dovrei dirvi il mio nome? Avete dimostrato di essere una persona poco raccomandabile, dal modo in cui mi avete quasi travolto.»
Un’espressione addolorata si disegnò su quel bel volto. «Io? Cara signorina, lasciate che vi dica che non dovete pensare di me una cosa del genere.» Carezzò il collo dell’animale con mano sicura. «Balthazar è il cavallo più docile del mondo e risponde al minimo tocco delle redini. Non vi avrebbe neppure sfiorato.» Inarcò un sopracciglio, dispiaciuto. «Ma devo chiedervi di perdonarmi, se per un attimo vi ho fatto dubitare della vostra sicurezza. Vi prego, dite che mi perdonate...»
Il potere del suo sorriso smagliante le tolse il fiato.
Qualcosa le diceva che lo sconosciuto la stava prendendo in giro, ma cercò d’accantonare quel pensiero. «Bene, signore. Accetto le vostre scuse. Spero che starete più attento, in futuro.»
Con sua grande sorpresa lo sconosciuto si chinò verso di lei, sorridendo. «Non mi avete detto come vi chiamate.»
Mary inghiottì a fatica. «Io... Mary Fulton.» Sollevò il mento, irritata con se stessa per quell’esitazione. «Anche se, a dire la verità, non vi dovrei questa cortesia, visto che non mi avete detto il vostro nome. Gradirei che mi diceste con chi sto parlando, signore.»
Lo sconosciuto rise e quel suono le fece correre un brivido lungo la schiena. «Mi chiamo Ian Sinclair, cara la mia irascibile fanciulla, e sono diretto a Briarwood Manor.»
Quel nome la colpì. «Lord Ian Sinclair.» Doveva essere quel Lord Sinclair. L’uomo di cui Victoria le aveva parlato qualche mese prima. Quello che chiamavano Lord Peccato... L’uomo che aveva chiesto a Victoria di sposarlo... Victoria era quasi arrivata a farlo, perché credeva che Jedidiah non la volesse, poi si era accorta che il giovane l’amava e aveva rifiutato la proposta di Sinclair.
E allora cosa stava andando a fare a Carlisle?
Sembrò averle letto nel pensiero. «Sembrate avere un vantaggio su di me, signorina Fulton. Devo dedurre dalla vostra reazione che mi conoscete?» le chiese, facendosi scuro in volto.
Mary annuì, chiedendosi perché quel momento di vulnerabilità glielo facesse sembrare ancora più attraente. «Conosco Lady Victoria» gli disse cauta. Qualcosa le diceva che era meglio tenere alla larga quell’uomo.
Lo vide annuire. «Allora questa settimana a Briarwood ci vedremo spesso» le rispose raddrizzandosi, e ancora una volta a Mary sembrò di notare nella voce di Sinclair una strana inflessione. E nei suoi occhi scuri le sembrò di vedere una scintilla.
«Forse» gli rispose, facendo un passo indietro. «Ma non voglio trattenervi, sono certa che vi stanno attendendo.»
Ian Sinclair la fissò ammirato, e il suo sguardo la percorse da capo a piedi. Le indicò lo spazio libero sulla sua sella. «Non ho poi così fretta, e sarei felice di accompagnarvi ovunque vogliate.»
Mary non se la sentì di sostenere il suo sguardo, visto che non era abituata a quel genere di attenzioni. «No, grazie. Non ho ancora finito la mia passeggiata» gli disse, indicando con un gesto vago la brughiera che si stendeva davanti a lei.
«Ne siete sicura?» le chiese. «Non avrete problemi, con me. Di nessun genere» aggiunse, e a Mary sembrò di notare di nuovo quel qualcosa nella sua voce. Qualcosa che induceva a pensare alle notti d’estate in cui fa troppo caldo per stare sotto le coperte.
Per un breve istante i loro sguardi s’incontrarono e il mondo tutt’intorno vacillò. Alla visione di una notte calda si aggiunse quella di quel volto sopra il suo, di quegli occhi che le scrutavano nell’anima, e Mary trattenne il fiato.
Sinclair sorrise facendola arrossire, turbata dai suoi stessi pensieri. «Allora?» insistette.
«Sono sicura di non aver bisogno del vostro aiuto. Sto bene da sola.»
Sinclair inarcò un sopracciglio. «Davvero? Ma provate a immaginare come potrebbe essere stare con qualcun altro...»
Mary non voleva neppure cercare di pensare a quello che le stava proponendo, ma ne aveva avuto abbastanza. «Davvero, signore, non è bello prendersi gioco di me.»
Lo vide farsi improvvisamente serio e posarsi una mano sul cuore mentre le mormorava: «Vi assicuro, Mary, che non ho intenzione di prendermi gioco di voi. Non a parole, almeno».
Lei si sorprese ad aggrottare la fronte, a disagio, ma cercò di fare del suo meglio per congedarlo con tutta la freddezza di cui era capace.
«Signorina Fulton, vorrete dire. Ora buon giorno, milord.»
Ian Sinclair sorrise ancora, senza lasciarsi smontare dalla sua freddezza.
«Come preferite, signorina Mary Fulton. Arrivederci» aggiunse, poi fece voltare il cavallo e si allontanò al galoppo.
Mary rimase a guardarlo e scosse la testa. Non si sarebbero più incontrati, avrebbe fatto del suo meglio perché fosse così. Non avrebbe sopportato i suoi sguardi e tutte quelle allusioni a chissà che cosa. Uomini come Ian Sinclair, che Mary sapeva essere erede di un titolo, non erano certo la compagnia migliore per una ragazza come lei, senza dote e senza alcuna prospettiva di matrimonio.
Non che avesse intenzione d’avere a che fare con quell’impertinente. Non era certo il genere di uomo su cui si potesse fare affidamento, con tutte le sue arti da seduttore. E nessuno poteva negare che fosse persino troppo bello.
Ma forse i miracoli potevano accadere. Forse avrebbe potuto trovare l’uomo giusto e innamorarsi di lui. Sarebbe stato, però, un gentiluomo su cui poter fare affidamento. Un compagno, l’anima gemella. Certo non uno che illuminava del suo fascino tutte le donne che incontrava.
Raddrizzando le spalle, Mary tornò a incamminarsi nella brughiera. Ma dopo i primi passi si accorse che, in quei pochi momenti in cui era stato accanto a lei, Ian Sinclair era riuscito a farle dimenticare tutti i suoi problemi. Sospirò e lanciò un’ultima occhiata nella direzione in cui lo aveva visto sparire.
Ian non badò al vento tra i capelli, mentre si allontanava al galoppo da quella piccola bellezza di campagna. Con i suoi capelli d’oro e con quegli occhi che sembravano scrutargli l’anima sarebbe riuscita a scaldare il sangue di qualsiasi uomo. Non c’era stata alcuna traccia di gioco o di schermaglia, nel suo comportamento, e questo aveva aumentato il suo interesse.
Non lo aveva stupito sapere che conosceva Victoria Thorn. Victoria non era il genere di donna che sbattesse le ciglia come una scolaretta. Lady Victoria affrontava un uomo a faccia a faccia, come aveva fatto la signorina Fulton... anzi, Mary. Tornò a ridere, ricordando quanto avesse insistito per non farsi chiamare con il nome di battesimo.
Mary. Quel nome le andava a pennello, dolce e forte al tempo stesso. Per qualche ragione Ian si sentiva sempre più incuriosito dalla fanciulla che aveva appena lasciato. Non vestiva per niente alla moda e girava spettinata. Il cappellino che teneva in mano non sarebbe comunque riuscito a proteggere il suo incarnato pallido dai raggi del sole e il vento aveva fatto aderire il vestito alla sua figura snella e piacevolmente tornita.
Forse Victoria avrebbe soddisfatto la sua curiosità a proposito della signorina Fulton, si disse spronando la sua cavalcatura.
Poco dopo Ian si trovò a percorrere un viale alberato ben tenuto. In lontananza, attraverso il fogliame, poteva intravedere l’enorme dimora dove abitavano i suoi ospiti, Victoria e Jedidiah Thorn McBride.
Era passato poco più di un anno dal giorno in cui aveva chiesto a Victoria di sposarlo, e per un breve periodo gli era sembrata sul punto di accettare.
La fanciulla, in realtà, amava Jedidiah McBride. Jedidiah aveva finto, a quel tempo, di essere un lontano cugino di Victoria giunto dall’America, ma Ian aveva sospettato che fra i due ci fosse anche dell’altro, a giudicare dall’affetto che si dimostravano. Al matrimonio Victoria aveva ammesso che non c’era alcun vincolo familiare tra loro, e che avevano cominciato con quella finzione solo per farsi un favore reciproco, finendo poi per innamorarsi. Il suo cuore non era stato certo spezzato dal rifiuto, però Ian doveva ammettere di essere stato deluso: lui e Victoria si sarebbero trovati bene, insieme.
L’amicizia si era rinsaldata a Londra, mentre Jedidiah aspettava di partire per l’America, e Ian era sempre più contento di come erano andate le cose. Era più che evidente che i due sposi novelli si adorassero: come avrebbe potuto tenere loro il broncio, vedendoli così felici?
Avvicinandosi alla dimora, Ian non poté fare a meno di paragonarla alla tenuta della sua famiglia, cui non tornava da un paio d’anni.
Briarwood era chiara e luminosa, mentre Sinclair Hall, al confronto, sembrava scura e severa. Era come se l’esterno della dimora riflettesse la rigidezza e la spietatezza che
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