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Segreti sulle labbra: Harmony Destiny
Segreti sulle labbra: Harmony Destiny
Segreti sulle labbra: Harmony Destiny
Ebook151 pages2 hours

Segreti sulle labbra: Harmony Destiny

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About this ebook

Anche i segreti più scottanti possono rappresentare un nuovo, bollente inizio.

Kiera: "Tutto quello che voglio è scoprire la verità."

Sam: "Non mi sento libero di amarla."

Kiera: "Come posso rivelargli la mia vera identità?"

Sam: "Riesco a leggere nelle profondità dei suoi occhi e sono sicuro che nasconde qualcosa."

Kiera: "E se scoprisse che gli ho mentito su tutto?"

Kiera Blackhawk non aveva previsto che si sarebbe innamorata del suo nuovo capo. Sensuale e carismatico, Sam Prescott riesce con un solo tocco a incendiarle i sensi. Ma quel gioco è troppo pericoloso e lei deve assolutamente tirarsi indietro prima di perdere ogni cosa.
LanguageItaliano
Release dateMay 10, 2016
ISBN9788858948392
Segreti sulle labbra: Harmony Destiny
Author

Barbara Mccauley

Coltiva molti interessi, fra cui la scrittura. E proprio la passione che ha per i romanzi d'amore l'ha portata a diventare un'autrice di successo.

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    Segreti sulle labbra - Barbara Mccauley

    successivo.

    1

    Avrebbe dovuto essere a Parigi.

    Sospirando, Kiera lanciò un'occhiata al quadrante luminoso dell'orologio digitale sistemato sul cruscotto della macchina presa a noleggio. Le nove e trentadue, fuso orario del Texas. Se quella mattina lei avesse preso il suo aereo, due ore prima sarebbe atterrata all'aeroporto Charles de Gaulle. In quello stesso, preciso momento, a Parigi starebbe probabilmente ordinando il servizio in camera, dopo essersi registrata all'albergo Chateau Frontenac. Dopodiché avrebbe bevuto un espresso mentre mordicchiava una navette. E infine avrebbe adagiato il corpo esausto sul morbido materasso di un letto a baldacchino Luigi XIV.

    Invece, era seduta nella zona parcheggio dall'asfalto screpolato davanti al Sadie's Shangri-La Motel and Motor Lodge.

    Benvenuti. Parcheggiate la vostra auto davanti, i cavalli sul retro informava la lampeggiante insegna al neon color rosa squillante.

    Kiera non sapeva se ridere o piangere, così si prese il viso tra le mani e fece entrambe le cose.

    «Accidenti a te, Trey» borbottò a denti stretti. «Accidenti, accidenti, accidenti.»

    Respirò a fondo per qualche secondo, poi si asciugò le lacrime e inclinò lo specchietto retrovisore per osservare il viso alla luce di cortesia. Terrificante, fu il suo primo pensiero. Puoi sistemare questo disastro, fu il secondo. Bofonchiando ancora qualche imprecazione, frugò con la mano nella borsa ed estrasse l'astuccio del trucco con il fondotinta compatto. Poi, con cautela, lo distribuì sul livido che ormai stava scomparendo sotto l'occhio sinistro. Il risultato non fu perfetto, ma era il meglio che potesse ottenere senza essere costretta a infilare un paio di occhiali da sole. Considerando il fatto che ormai era calato un buio pesto, una simile iniziativa avrebbe sicuramente attirato l'attenzione su di lei...

    E questo sicuramente non era all'apice dei desideri di Kiera. Sistemò i capelli di lato per coprire il più possibile il livido, poi scese dall'auto e si stiracchiò per allentare la tensione dei muscoli indolenziti. Era troppo stanca per preoccuparsi del fatto che la sua gonna, impeccabilmente stirata dieci ore prima, avesse adesso l'aspetto spiegazzato di carta da impacco usata. E neppure le interessava che la camicetta, senza maniche, quella mattina di un fresco color verde, adesso sembrasse una foglia di lattuga parecchio pesta.

    È così, punto e basta.

    Un grosso camion con rimorchio passò ruggendo davanti al motel, strappandola ai suoi sogni a occhi aperti. Kiera sistemò la borsa a tracolla, trasse un profondo respiro, poi si diresse verso gli uffici del motel. Nell'aria si poteva ancora respirare il calore di quella giornata torrida e l'umidità sembrava appiccicarsi addosso come un foglio di plastica bagnata. Una doccia, pensò, mentre l'aria calda e pesante le riempiva i polmoni. Aveva disperatamente bisogno di una doccia. Una lunga seduta sotto un getto di acqua che lavasse via la polvere e il sudore di quella giornata di viaggio.

    Quando aprì la porta a vetri, sentì il suono di un cicalino e riuscì ad annusare il profumo di caffè appena fatto. L'impiegata al banco, una biondina ben piazzata, se ne stava in piedi, le mani poggiate ai fianchi generosi, lo sguardo incollato allo schermo di un piccolo televisore.

    «Sono da voi tra un momento» disse la bionda senza nemmeno sollevare lo sguardo.

    Kiera represse un gemito. Nata e cresciuta in Texas, sapeva bene che cosa significasse tra un momento: lo spazio temporale che intercorre tra un futuro immediato e il prossimo Natale.

    Avendo vissuto a New York in quegli ultimi tre anni era diventata meno paziente, si rese conto. Si era abituata a un ritmo frenetico di persone sempre in movimento, al traffico cittadino, ai grattacieli e agli spazi chiusi. E ai negozi di leccornie a ogni angolo.

    Il pensiero del cibo le rammentò che quel giorno non aveva mangiato niente. Sarebbe stata disposta a uccidere per uno di quei panini succulenti. Prosciutto, formaggio, lattuga, pomodoro e...

    «No!»

    Udendo quel grido, Kiera fece un salto indietro stringendo la borsa tra le mani. L'impiegata sollevò disgustata le braccia al cielo, con tanta foga che i cerchi d'argento che portava alle orecchie dondolarono animatamente.

    «Sapevo di non potermi fidare di quei due» esclamò la donna, indicando con gesto rabbioso lo schermo. «Quella poveretta sopporta da otto settimane quei due disgraziati di Brett e Randy e che cosa ne ottiene?»

    Kiera non era sicura che la donna, il cui nome era Mattie, come testimoniava la targhetta di riconoscimento attaccata alla polo, volesse veramente una risposta, ma non avrebbe potuto metterci la mano sul fuoco.

    «Un calcio nel sedere, ecco che cosa. Quei due sono dei fetenti, ecco che cosa sono. Due mascalzoni.» Scuotendo la testa, Mattie afferrò il telecomando e abbassò il volume, poi si voltò verso di lei, un sorriso radioso sulle labbra rosse. «Vuole una stanza, dolcezza?»

    Kiera esitò, mentre prendeva in considerazione le possibilità di trovare una stanza in un albergo in città. Un posto un po' meno isolato. Un posto più... sicuro. Poi ricordò l'ammontare del denaro che aveva con sé e si affrettò a liberarsi dalle sue apprensioni. «L'insegna diceva che avete posto.»

    «Ma certo.» Mattie si spostò verso il monitor di un computer appoggiato sul banco. «Singola o doppia?»

    «Singola.»

    Le lunghe unghie smaltate di Mattie tamburellarono sulla tastiera. «Con angolo cottura?»

    Kiera non aveva pensato di dover cucinare, tuttavia non aveva nemmeno programmato di approdare in quel posto. «Sì.»

    «Per quanto tempo desidera soggiornare?» chiese Mattie.

    «Non... non ne sono certa.» Accidenti, quella non era una grande idea, si disse. Una pessima idea. «Magari per una settimana.»

    «Nome? »

    Kiera si agitò, a disagio. Non osava usare il suo vero nome. O se non altro il suo cognome. «Kiera Daniels.»

    L'impiegata inserì il nome nel computer, stampò un modulo e lo fece scivolare sul bancone. «Carta di credito?»

    Lei pensò al nome che era segnato sulla carta di credito, al fatto che avrebbe potuto essere facilmente rintracciata se l'avesse usata, per non menzionare i sospetti che avrebbe suscitato nell'impiegata. «Io... preferirei usare del contante.»

    Inarcando un sopracciglio, Mattie sollevò lo sguardo. «Mi deve dare una cauzione di due notti.»

    «Subito.» Kiera prese il portafogli e lo aprì. Un secondo dopo si sentì mancare al pensiero che quasi tutto il suo denaro contante era in franchi e quindi di scarsa utilità nelle attuali contingenze. Contò tutti i dollari che aveva e li posò con aria interrogativa sul bancone.

    Mattie fissò le banconote che Kiera aveva contato con tanta riluttante cautela, poi sollevò di nuovo lo sguardo. A disagio, Kiera spostò il peso da un piede all'altro mentre la bionda la osservava.

    «Il marito o l'amico?»

    «Mi scusi?»

    «Tesoro, so bene che non sono affaracci miei» dichiarò piatta Mattie. «Ma è difficile non notare quel regalino che le hanno fatto sotto l'occhio.»

    Istintivamente, Kiera sollevò una mano per portare avanti i capelli. Alla faccia del mio trucco, pensò. «No... non è come sembra... sono caduta da cavallo.»

    Un'espressione di simpatia addolcì gli occhi di Mattie. «Come ho detto, non sono fatti miei. Ma una donna che arriva da sola nel mio motel, a notte tarda, con l'aria di essere stata masticata e poi risputata... be', non posso evitarlo, ritengo un dovere da buona cristiana informarmi.»

    Ma ho un aspetto così terribile?, si chiese Kiera, mordendosi le labbra: abbassò lo sguardo sui vestiti stazzonati, si rese conto di avere ancora gli occhi rossi di pianto e comprese che sì, doveva avere un aspetto veramente pietoso.

    «Se ha bisogno di qualcuno che l'ascolti o di una spalla su cui piangere...» proseguì Mattie. «... io conosco parecchie cosette sul conto degli uomini. Si dice che ce ne sia in giro qualcuno di decente, ma, dolcezza, in base alla mia esperienza sono una massa di lazzaroni.»

    In quel momento Kiera era più che propensa a essere d'accordo con l'asserzione, però decise di tagliare corto. «Se potessi avere la chiave della stanza...»

    «Ma certo» rispose Mattie, scrollando le spalle. Sistemò le banconote in un cassetto, poi le tese la chiave. «Stanza 107.»

    «Grazie.»

    «Sa» aggiunse l'impiegata quando Kiera si voltò. «Se lei decidesse di fermarsi per un po' da queste parti, mi hanno detto che stanno assumendo personale nell'albergo in città.»

    «Grazie, ma...»

    «Mia sorella è capo del personale. Sono certa che riuscirebbe a trovarle un posticino.»

    «Ma io non...»

    «Non è nemmeno necessario che abbia esperienza nel settore» proseguì imperterrita Mattie. «Da quando hanno allargato l'impresa, stanno assumendo a qualsiasi livello. Tra convenzioni, conferenze e ricevimenti per matrimoni, l'albergo è sempre pieno come un uovo. Ho saputo che è fantastico lavorare per la nuova proprietaria, Clair Blackhawk.»

    Quel nome lasciò senza fiato Kiera. Guardò la bionda impiegata sgranando gli occhi e dovette deglutire a vuoto per un paio di volte prima di riuscire a parlare. «Blackhawk?»

    «Be', sì... quello era il suo nome. Ma si è sposata qualche settimana fa, quindi non so quale sia il suo cognome attuale. Oh, aspetti...» Fece schioccare le dita. «... è Carver. Clair Carver.»

    Il cuore le batteva così forte che Kiera trovò difficile concentrarsi. Il cognome Carver le diceva poco. Ma Blackhawk... Mio Dio, era possibile? Dovette fare forza su se stessa per non aggrapparsi al braccio di Mattie con entrambe le mani e chiederle se lei sapesse se...

    «Va tutto bene, tesoro?»

    Kiera sbatté le palpebre e a fatica tornò a mettere a fuoco il viso di Mattie. «Che cosa?»

    «Mi sembra un po' pallida. È sicura di stare bene?»

    «È solo stata una lunga giornata. La più lunga della mia vita, pensò, costringendosi a sorridere. «Apprezzo molto la sua premura, ma, davvero, sto bene.»

    Mattie annuì. «La sua stanza è l'ultima sulla sinistra. Subito dopo la macchinetta per il ghiaccio e per il caffè. Se ha bisogno di qualcosa, mi chiami.»

    «Grazie.»

    Con le ginocchia che tremavano, Kiera si voltò e tornò verso la sua auto. Rimase seduta per qualche minuto, stordita, fissando le ombre profonde che avvolgevano il motel. Da bambina era terrorizzata dal buio che sapeva popolato da orrendi mostri capaci di inghiottire un bambino in un boccone.

    Adesso, a venticinque anni, forse aveva ancora un po' di paura del buio, si rese conto.

    Quando rientrò nell'atrio del motel, Mattie sollevò lo sguardo dal televisore.

    Kiera si chiuse la porta alle spalle. «A proposito di quel lavoro...»

    Quando Sam Prescott compiva i suoi giri quotidiani di ispezione nell'atrio del Four Winds Hotel, i fattorini raddrizzavano la schiena, le impiegate al banco sorridevano con maggior calore e i camerieri allungavano il passo. L'intero staff del più grande e lussuoso albergo della Contea di Wolf River sapeva benissimo che nulla sfuggiva allo sguardo attento del suo direttore generale. Molto meglio che i candidi pavimenti di

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