Agli ordini di un milionario: Harmony Collezione
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Cathy Williams
Autrice originaria di Trinidad, ha poi studiato in Inghilterra, dove ha conosciuto il marito.
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Agli ordini di un milionario - Cathy Williams
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
At The Greek Tycoon’s Bidding
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2006 Cathy Williams
Traduzione di Carla Ferrario
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2007 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3050-234-5
1
Theo stava leggendo la pagina finanziaria del giornale quando si udì uno schianto. Il frastuono si diffuse dai corridoi vuoti fino al suo ufficio con un’intensità insopportabile. Chiunque altro al suo posto sarebbe trasalito: era tardi e, nonostante la presenza della sicurezza, a Londra non esisteva edificio a prova di incursione.
Ma Theo Miquel restò imperturbabile.
Corrugò appena la fronte per quell’interruzione e, senza munirsi di un qualunque oggetto da usare come arma, lasciò l’ufficio. Fuori premette l’interruttore, dissipando l’oscurità del corridoio con una brillante luce fluorescente.
Theo Miquel non era uomo da avere paura, meno che mai di un eventuale intruso tanto impacciato da rendere clamorosamente evidente la sua presenza.
Non fu difficile rintracciare l’origine di quel frastuono. In corridoio trovò infatti un carrello delle pulizie rovesciato sul pavimento di marmo: detergenti, scopa, stracci sparsi ovunque, e un secchio dal quale fluiva l’acqua che stava per raggiungere la moquette degli uffici.
Aveva appena messo gli occhi sulla scena, quando udì uno scalpiccio di passi sulle scale e subito si trovò davanti l’incaricato della sicurezza del palazzo. L’uomo si profuse in scuse e insieme raggiunsero la scena del crimine, ma fu Theo a chinarsi sul corpo inanimato della donna stesa a terra.
«Mi dispiace, signore» ripeté l’addetto alla sicurezza, mentre Theo sentiva il polso della ragazza. «Sono salito più in fretta che ho potuto...»
«Quell’acqua va assorbita con degli stracci.»
«Certo, me ne occuperò subito. Mi dispiace davvero... La ragazza mi è sembrata un po’ pallida quando è arrivata stasera, ma non avrei mai immaginato che si...»
«La smetta di blaterare e cominci a pulire» ordinò Theo in tono brusco.
Senza badare all’uomo, che strizzava diligentemente lo straccio per poi riassorbire l’acqua versata, Theo pensò che la ragazza aveva avuto almeno il buon senso di non morire nei suoi uffici. Per quanto pallida, respirava ancora. Quello svenimento gli faceva sospettare una gravidanza tenuta nascosta, ipotesi che lo irritò enormemente.
Quando lui la sollevò tra le braccia, l’uomo della sicurezza si offrì di occuparsene personalmente. «Non voglio farle perdere altro tempo prezioso...»
«Lasci fare a me. Rimetta in ordine e torni pure al suo lavoro. La chiamerò se avrò bisogno di aiuto.»
Avrebbe fatto volentieri a meno di quell’interruzione: era venerdì, già le nove di sera, e doveva ancora controllare metà del report per inviarne copia al suo omologo all’altro capo del mondo, in tempo per la riunione del lunedì seguente.
Spalancò con un calcio la porta dell’ufficio e depositò la ragazza, che stava riprendendo i sensi, sul divano color borgogna che occupava per intero una delle pareti della stanza.
Non era stato lui ad ammobiliare l’ufficio. Se lo avesse fatto, avrebbe scelto un arredamento minimale. Del resto lo considerava solo un luogo di lavoro, non un ambiente in cui rilassarsi. Con il passare degli anni si era però reso conto, con sua stessa sorpresa, che l’opulenza della stanza stranamente conciliava la sua capacità di concentrazione.
I muri rivestiti con pannelli di quercia, più intonati al salone di un club, creavano un’atmosfera calda, così stipati di libri di finanza ed economia. La scrivania, costruita prima dell’era dei computer, mancava del giusto spazio per sistemare i vari apparecchi del Ventunesimo secolo, ma aveva un aspetto piacevole e serviva al suo scopo. Le portefinestre andavano da terra fino al soffitto e, per quanto non producessero l’effetto discreto dei vetri fumé degli edifici più moderni, erano spettacolari. Nei ritmi frenetici della città gli uffici di Theo, ospitati in una costruzione in stile vittoriano, rappresentavano il tocco di saggezza del mondo antico.
In quel momento però Theo non pensava niente del genere. Chino sulla ragazza, ne spiava il lento risveglio. Sotto la tuta da lavoro a righe bianche e blu, la donna portava abiti decisamente poco femminili: un cardigan pesante di un marrone indefinibile e un paio di jeans sfrangiati all’orlo, il cui unico merito era nascondere almeno in parte un paio di scarpe maschili.
Theo attese in piedi a braccia conserte, in un atteggiamento che faceva capire che la sua disponibilità aveva raggiunto il limite. In silenzio osservò il naso corto e dritto della donna, la bocca grande e le sopracciglia ben definite, in contrasto con i riccioli pallidi sfuggiti al nodo sulla nuca.
Quando lei finalmente aprì gli occhi, Theo ne restò sorpreso. Non avrebbe saputo spiegare l’improvvisa tensione che lo colse scoprendo due iridi stupende, di un azzurro carico.
La donna sbatté le palpebre, disorientata, e Theo si riscosse, ricordando di essere stato interrotto nel bel mezzo di un lavoro urgente.
«Buonasera. È appena svenuta» la informò, mentre lei cercava di mettersi a sedere.
Quando Heather sollevò lo sguardo verso di lui, provò un nodo alla gola. Lavorava per quell’uomo da sei mesi, dalle sei e mezza di sera in poi, quando ormai gli uffici si erano svuotati. In tutto quel tempo lo aveva guardato lavorare alla scrivania, la porta della stanza spalancata perché nessuno si sarebbe mai avventurato all’interno senza essere invitato.
La voce profonda di Theo le aveva dato i brividi e, nonostante conoscesse la sua fama di uomo inflessibile e prepotente, per lei era molto interessante. I suoi lineamenti duri rimandavano a una virilità che suscitava in lei una forte attrazione.
Aveva subito notato i capelli scurissimi pettinati all’indietro, che si arricciavano appena sul collo e, benché non avesse mai avuto il coraggio di guardarlo direttamente in faccia, aveva visto abbastanza per sapere che gli occhi erano scuri e impenetrabili, frangiati da ciglia tanto lunghe e folte da poter fare invidia a qualunque donna.
Se avesse lavorato per lui probabilmente lo avrebbe considerato minaccioso come tutti gli altri, ma Theo Miquel non aveva alcuna influenza sulla sua vita, perciò poteva apprezzarlo senza nessuna paura.
Del resto, Heather non era il genere di donna che cede al timore. Aveva una natura solare e si era sempre sentita pari a chiunque, nonostante le precarie condizioni finanziarie, convinta che il vero valore di ciascuno risieda all’interno e non all’esterno.
Mentre Heather seguiva quei ragionamenti, Theo aveva aperto il mobile bar ed era tornato da lei con un bicchiere colmo di un liquido scuro. «Beva.»
Lei sbatté le palpebre, cercando di non lasciarsi cogliere a fissarlo. «Che cos’è?»
«Brandy.»
«Non posso bere quando sono in servizio, è uno degli obblighi imposti dalla compagnia. Potrebbero licenziarmi, e invece ho bisogno di denaro.»
Dal punto di vista di Theo, quelle parole gli avevano già fornito troppe informazioni. Non desiderava altro se non che lei ingurgitasse quel brandy, si alzasse in piedi e uscisse dalla stanza, lasciandogli abbastanza tempo per finire il suo lavoro, in modo da evitare un litigio con la sua ultima fiamma, la cui pazienza era già stata messa a dura prova dal numero crescente di appuntamenti cancellati.
«Beva» ordinò, avvicinandole il bicchiere alle labbra.
Heather obbedì, limitandosi a un piccolo sorso.
«Oh, accidenti!» sbottò Theo. «È appena svenuta, non sarà un goccio di brandy a farla finire all’inferno!» l’apostrofò.
«Non sono mai svenuta» precisò Heather. «Mia madre diceva sempre che non sono tipo da svenimenti, cose da ragazze denutrite, non in carne come me. Claire sveniva spesso durante l’adolescenza... be’, non proprio spesso, però capitava.»
Theo provò la sensazione per lui nuova di essere bombardato su tutti i fronti. Per pochi secondi perse letteralmente la capacità di replicare.
«Forse mi sto ammalando» continuò Heather, corrugando la fronte. Sperava di no, perché non poteva permettersi di non lavorare. Il lavoro notturno con l’impresa di pulizie era temporaneo, perciò la malattia non era riconosciuta. E il lavoro diurno come assistente di scuola materna non bastava per sbarcare il lunario. Preoccupata, si sentì impallidire.
Theo la osservava, affascinato dalla trasparenza delle sue emozioni. Poi le premette il bicchiere tra le labbra. L’ultima cosa di cui aveva bisogno era un altro svenimento... «Le serve più di un sorso. Le darà un po’ di energia.»
Heather ne bevve un altro po’ e sentì che l’alcol le scaldava piacevolmente lo stomaco. «Non mi riconosce, vero?»
«Riconoscerla? Dovrei? Guardi» cominciò Theo in tono deciso, «ho parecchio da fare prima di lasciare l’ufficio. Può restare sdraiata finché non si sentirà abbastanza in forze da andarsene, ma io devo rimettermi a lavorare. Se vuole posso chiedere all’uomo della sicurezza di venire a prenderla e accompagnarla di sotto.»
«Sid.»
«Come?»
«Si chiama Sid. L’uomo della sicurezza!» esclamò lei, di fronte all’espressione smarrita di Theo. «Lavora per lei da più di tre anni, possibile che non conosca il suo nome?» Ma, proprio com’era capitato con lei, certamente Theo l’aveva guardato senza vederlo. Per un uomo come lui, Sid era invisibile.
Irritato dal tono accusatorio della sua voce, per un attimo Theo dimenticò il rapporto finanziario che si trovava sulla sua scrivania. «Mi sfugge il motivo per cui dovrei conoscere il suo nome...»
«È un suo dipendente!»
«Come molti altri. Comunque questa conversazione è ridicola. Ho molto lavoro da fare e...»
«... io le sto facendo perdere tempo. Mi dispiace.» Heather sospirò. Gli occhi le si riempirono di lacrime al pensiero che, se stava per ammalarsi, sarebbe rimasta senza lavoro. Era solo metà gennaio, mese favorevole alla diffusione dei virus.
«Adesso non si metterà a piangere, spero» intervenne Theo irritato. Cercò nella tasca e le porse un fazzoletto, maledicendosi per averla condotta nel proprio ufficio. Una perfetta sconosciuta, che in quel momento pareva avere intenzione di chiacchierare, come se lui non avesse altro da fare!
«Le chiedo scusa.» Heather prese il fazzoletto e si soffiò il naso. «Forse ho solo fame» commentò, esprimendo il pensiero ad alta voce.
Theo si passò una mano tra i capelli, lanciando un’occhiata disperata al rapporto che giaceva sulla scrivania. «Fame?»
«Non potrebbe essere una spiegazione del mio svenimento?» domandò lei, rivolgendogli uno sguardo interrogativo.
«Non sono ancora arrivato a quel capitolo del corso sulla nutrizione» commentò lui sarcastico, strappandole un sorriso che le illuminò il viso.
Per quanto lo riguardava, sarebbe stato sufficiente a illuminare l’intera stanza... Soffocando un sospiro rassegnato, decise di rimandare la lettura del rapporto ancora di qualche minuto.
«Devo fare una telefonata» la informò,