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Pretty girls (eLit): eLit
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Pretty girls (eLit): eLit

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About this ebook

Taylor Jackson 1

Quando l'ennesima ragazza finisce nella trappola di un serial killer, l'agente di polizia Taylor Jackson e il suo amante, il profiler dell'FBI John Baldwin, si ritrovano a indagare su un caso complesso. Un killer sta insanguinando i dintorni di Nashville, lasciando una firma macabra e inconfondibile: le mani tagliate della vittima precedente. L'ambiziosa giornalista Whitney Connolly vuole usare il caso per andarsene da Nashville, città priva di prospettive. E, per farlo, è disposta a sfruttare una notizia che potrebbe rivelarsi esplosiva. Ma non si scherza col fuoco senza rimanerne scottati, e quando la spirale del terrore diventa incontrollabile, tutti devono fare i conti con una tremenda verità: il male più puro nasce dai segreti più intimi.
LanguageItaliano
Release dateApr 30, 2015
ISBN9788858935132
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    Pretty girls (eLit) - J. T. Ellison

    Credit foto: aradaphotography / iStock / Getty Images Plus

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    All the Pretty Girls

    Mira Books

    © 2007 J.T. Ellison

    Traduzione di Barbara Piccioli

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    © 2011 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5893-513-2

    www.harpercollins.it/

    Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche.

    Questo ebook non potrà in alcun modo essere oggetto di scambio, commercio, prestito, rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffuso senza il preventivo consenso scritto dell’editore. In caso di consenso, tale ebook non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui l’opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno essere imposte anche al fruitore successivo.

    1

    «No, per favore, no.» Lei bisbigliò appena quelle parole. «No, per favore, no.» Eccole di nuovo, le bolle che si formavano sulle sue labbra, le sillabe smozzicate.

    Perfino nella morte, Jessica Ann Porter era educata. Non lottava, non urlava, si limitava a supplicare con quei suoi luminosi occhi color cioccolato da cucciolo. Lui cercò di scacciare quel pensiero. Aveva un cucciolo, un tempo. Gli leccava le mani, e gli si insinuava fra le gambe, chiedendogli di giocare. Non era colpa sua se il cagnolino aveva ossa troppo fragili per i giochi rudi di un ragazzo, e una scheggia di costola gli era penetrata nel cuore. La luce si era spenta nei suoi occhi mentre moriva fra l’erba del cortile sul retro. La stessa luce che ora si andava spegnendo negli occhi di Jessica, a mano a mano che la vita la abbandonava.

    Con distacco, prese nota dei segni di quella morte, dell’emorragia che si diffondeva nelle cornee. Il corpo parve raffreddarsi immediatamente, e di colpo la vivace diciottenne non fu altro che un pezzo di carne da consegnare alla terra. Polvere alla polvere. Mosconi della carne e larve. Il ciclo di vita e di morte di nuovo completo.

    Si riscosse. Era ora di mettersi al lavoro. Si guardò intorno, alla ricerca della sua borsa degli attrezzi. Non ricordava di averla allontanata con un calcio; la memoria gli stava forse venendo meno? La ragazza, alla fine, aveva lottato? Non gli sembrava, ma in certi momenti subentrava la confusione. Ci avrebbe riflettuto più tardi; ora riusciva a pensare soltanto alla radiosità degli occhi di lei un istante prima che si spegnessero. Prese la sega e sollevò la mano inerte della morta.

    No, per favore, no. Poche parole innocue. Nessuna grandiosa allegoria, nessun dilemma etico. Quelle parole gli echeggiavano nel cervello, infondendogli energia mentre lavorava.

    No, per favore, no. Ancora e ancora.

    No, per favore, no. Ascolta queste parole, e sogna l’inferno.

    2

    In quella calda serata estiva, Nashville tratteneva il suo respiro collettivo. Dopo quattro rinvii, l’esecuzione era prossima. Il tenente della Omicidi Taylor Jackson ascoltò il giornalista annunciare che il governatore non avrebbe concesso un’altra sospensione, quindi spense il televisore e alzatasi andò alla finestra del suo minuscolo ufficio nel Criminal Justice Center. Il profilo dei tetti della città baluginava di luci. Il suo spettacolo pirotecnico del Quattro Luglio era uno dei più spettacolari del paese. Quattro Luglio; la quintessenza delle feste americane. Orde di persone si erano assiepate in Riverfront Park per ascoltare la Nashville Symphony Orchestra durante i fuochi d’artificio.

    Taylor riusciva a sentire le note dell’Overture 1812 di Tchaikovsky, un brano russo per celebrare l’indipendenza americana. Le grida festose che accompagnarono le salve di cannone ebbero il potere di deprimerla. La festa stessa la deprimeva. Da bambina l’aveva amata moltissimo, aveva amato la spensieratezza di quella giornata. Ora, adulta, piangeva la scomparsa di quella bambina, di cui tentava disperatamente quanto inutilmente di ricatturare l’innocenza.

    Il cielo adesso era buio. Vedeva le persone dirigersi verso le auto parcheggiate, i bambini che saltellavano accanto ai genitori stanchi, esibendo braccialetti fluorescenti. Quella sera, gli adulti sarebbero andati a dormire con la serena consapevolezza di aver soddisfatto i propri piccoli, almeno per un momento. Taylor non poteva contare su altrettanta fortuna. La telefonata sarebbe arrivata da un momento all’altro. Da qualche parte, lo sapeva, qualcuno che aveva sparato stava fuggendo nella notte. Quale copertura migliore per uno sparo dei fuochi d’artificio? Ma c’era un’altra ragione per cui, in quella sera di festa, era rimasta in ufficio. Proteggere la città in cui viveva era soprattutto uno stratagemma mentale. Stava aspettando.

    Un ricordo si affacciò indesiderato alla sua mente. Un’affermazione per certi versi trita, ma profondamente vera. Quando ero bambino, parlavo da bambino, capivo da bambino, pensavo da bambino; ma quando sono diventato uomo, ho messo da parte le cose da bambino. Anche per lei, i giorni della purezza erano passati.

    Abbassò la veneziana e si lasciò cadere sulla sedia. Sospirò. Si passò una mano fra i lunghi capelli biondi. Si chiese perché indugiasse lì invece di godersi la festa. E perché si sentisse ancora tanto coinvolta da quel lavoro. Con uno scatto improvviso, tornò ad accendere il televisore.

    La folla dei manifestanti era una massa pulsante davanti al carcere di massima sicurezza di Riverbend. La polizia aveva transennato due aree del cortile della prigione, una per gli attivisti a favore della pena di morte, una per gli abolizionisti. Bandiere dell’ACLU, la Lega Cristiana per l’abolizione della pena di morte, sembravano gridare all’ingiustizia, e i due gruppi si scambiavano insulti e oscenità. Il corredo consueto di un’esecuzione. Nessuno veniva messo a morte senza quell’accompagnamento urlato di opinioni contrastanti.

    Il giovane reporter di Channel Two aveva il fiato corto, gli occhi brillanti di eccitazione. Due ore prima, il governatore aveva respinto l’ultima richiesta di sospensione. Quella sera, Richard Curtis avrebbe pagato il prezzo supremo per i suoi crimini.

    Gli occhi di Taylor si posarono sull’orologio a parete. Le undici e cinquantanove. Un silenzio quasi soprannaturale calò sulla folla. Il momento era arrivato.

    Taylor si accorse di stare trattenendo il respiro mentre la lancetta dei minuti si spostava sulle dodici. Se ne rese conto solo un minuto più tardi. Era finita, dunque. I farmaci erano stati somministrati, e Richard Curtis era scivolato in un sonno pacifico da cui non si sarebbe più destato. Una morte troppo gentile, secondo lei. Avrebbe dovuto essere squartato vivo, e le viscere bruciate nel suo stesso ventre. Allora, forse, ci sarebbe stata giustizia. L’annuncio giunse sei minuti dopo la mezzanotte del cinque luglio. Curtis era stato giustiziato.

    Taylor spense il televisore. Mentre aspettava l’inevitabile telefonata, posò la testa sulla scrivania e pensò a una bambina solare di nome Martha, sequestrata, stuprata e uccisa a soli sette anni. Era stato il suo primo caso come detective della Omicidi. Martha era stata ritrovata ventiquattro ore dopo la sparizione, in un lotto vuoto nella zona nord di Nashville. Richard Curtis era stato catturato parecchie ore più tardi. La bambola di Martha era sul sedile posteriore del suo furgone e su uno dei suoi stivali era rimasta appiccicata una ciocca dei capelli biondo miele. Un caso aperto e chiuso. Per Taylor, il primo assaggio del successo, la prima opportunità per dare prova di se stessa. E, a causa del suo duro lavoro, adesso Curtis era morto. Si sentiva appagata.

    Aveva atteso quel momento per sette anni. Nella sua mente, Martha era rimasta la bambina settenne che era al momento della morte. Ora di anni ne avrebbe avuti quattordici.

    In segno di deferenza per la morte di uno di loro, quella notte i criminali di Nashville tacevano, scegliendo di fare cose migliori che spararsi l’un l’altro a beneficio di Taylor. Che scivolò in uno stato fra la veglia e il sonno, da cui emerse con sollievo quando finalmente il telefono squillò, all’una.

    Una voce profonda la salutò. «Ci vediamo?» chiese lui.

    «Dammi un’ora» rispose Taylor, guardando l’orologio. Poi riappese e, per la prima volta in tutta la sera, sorrise.

    3

    «Sono felice che non viviamo in California.»

    I detective Pete Fitzgerald, Lincoln Ross e Marcus Wade stavano ammazzando il tempo. La criminalità di Nashville sembrava essersi presa una vacanza. Da quasi due settimane non si era verificato un solo omicidio, la città era stranamente tranquilla, e neppure il Quattro Luglio aveva portato morti con sé.

    Nessuno di loro era atteso in tribunale, e i casi aperti erano stati risolti oppure se ne stava occupando il laboratorio della Scientifica. Non avevano niente da fare.

    I tre uomini erano strizzati nell’ufficio del loro capo, a guardare la televisione. Un passatempo perfettamente accettabile, dato che, in teoria, gli apparecchi sarebbero dovuti restare sintonizzati ventiquattrore su ventiquattro sui canali che trasmettevano solo notiziari, ma non succedeva mai, e di solito finivano per trasmettere la telenovela da cui molti dei detective erano dipendenti.

    Quel giorno, tuttavia, un inseguimento in auto fra le strade di Los Angeles aveva catturato l’attenzione dei tre uomini. Un sequestratore, un’arma semiautomatica, perfino una Jaguar rossa rubata. L’auto era sfrecciata lungo le varie superstrade, di rado procedendo a meno di cento chilometri all’ora, monopolizzando il tempo dei cronisti che si chiedevano emozionati se l’ostaggio fosse ancora a bordo.

    Fitz alzò un braccio muscoloso per controllare l’orologio. L’inseguimento durava ormai da quasi due ore. «È passato sulla striscia chiodata cinque minuti fa. Gli pneumatici dovrebbero cominciare a sgonfiarsi da un momento all’altro.»

    «Ecco.» Marcus indicò lo schermo. Un grosso pezzo di copertone si era staccato dalla ruota posteriore della Jaguar, mancando per un soffio l’auto inseguitrice. Gli splendevano gli occhi per l’eccitazione, e guardandolo, Fitz non poté trattenere un sorriso. Il ragazzo era semplicemente troppo giovane.

    «Mai partecipato a un inseguimento, Marcus?» chiese, incrociando le braccia sul ventre prominente.

    «No, ma ho partecipato all’addestramento. So guidare, amico, eccome se so guidare.»

    «Ricordami di non darti mai le chiavi. Be’, è quasi finita.» Lincoln Ross si alzò e si stirò, eliminando pieghe invisibili sul suo completo Armani grigio carbone. «Ormai procede sui cerchioni, possono cominciare a bloccarlo. Vedete? Ci siamo.»

    L’auto inseguitrice raggiunse la Jaguar rossa, quindi la tamponò quasi con delicatezza. Con una reazione da manuale, il fuggitivo perse il controllo dell’auto, che effettuò un testacoda, sbatté contro un guardrail e si ritrovò con il muso rivolto verso il traffico in arrivo. In un istante, parecchi veicoli circondarono l’auto sportiva, e ne scesero molti agenti con le armi spianate. Nessuna via di fuga.

    Gli annunciatori televisivi si congratularono con se stessi per la buona copertura offerta e promisero di seguire la vicenda fino alla sua completa soluzione, quindi invitarono a parlare gli esperti, un ex agente e un negoziatore, per le inevitabili speculazioni sul passato del criminale in quel momento sotto la luce dei riflettori. Da qualche parte a New York, un producer televisivo fece riprendere la diretta un momento troppo presto, e i tre detective videro aprirsi la portiera della Jaguar e il sospetto scendere, trascinando per i capelli una donna.

    Seguirono brevi istanti di attività frenetica, mentre il cordone di uomini si stringeva intorno al sequestratore. Questi alzò un momento gli occhi al cielo, come per assicurarsi che a bordo dell’elicottero che sorvolava la scena avessero il tempo di mettere a fuoco gli obiettivi, e inquadrare il suo viso sorridente. Costrinse la donna a stare eretta, alzò la pistola e le sparò alla testa. Fu abbattuto prima che lei toccasse terra e scoppiò il caos. Lo schermo si oscurò per un istante, quindi comparve il viso attonito del cronista. Era verde.

    «Come ho detto, è una dannata fortuna che non viviamo in California» borbottò Fitz.

    Il telefono squillò e lui rispose, ascoltando con attenzione mentre prendeva qualche appunto. «Arrivo.»

    «Cosa succede?» chiese Marcus.

    «Un cadavere al Bellevue. Vado io. Avvertirò Taylor dall’auto.»

    Lincoln e Marcus erano già in piedi. «Veniamo anche noi» disse il secondo. «Non mi va più di restare seduto qui. E tu, Lincoln?»

    «Che diavolo, no.»

    Marciarono fuori dell’ufficio, indugiando solo per prendere giacche e chiavi. Lincoln sogghignò, felice alla prospettiva di un po’ di attività. «Almeno non sarà un inseguimento in macchina.»

    La giornata era afosa, con un tasso di umidità del novanta per cento, e all’orizzonte una minaccia di pioggia. Una densa foschia nascondeva il sole e da azzurro il cielo andava facendosi grigio. Nashville in estate.

    La scena del crimine era affollata di uomini e donne sudati. Si muovevano con gesti esperti, ma senza fretta. Parecchi portavano mascherine per proteggersi dall’odore. Con quel caldo, un cadavere in decomposizione poteva avere ragione anche sul professionista più stagionato.

    Erano tutti riuniti in un campo all’altezza della biforcazione fra la superstrada 70 e la 70 sud, nei pressi del confine più occidentale della contea di Davidson. L’area era nota come Bellevue, e distava solo un quarto d’ora di auto dal centro. Tre o quattro chilometri più in là, e il caso sarebbe stato di pertinenza della contea di Cheatham. Invece, a ricevere la chiamata era stata la Omicidi metropolitana. Taylor, che non si era sentita meno annoiata dei suoi detective, era lieta della distrazione.

    In piedi accanto al corpo, si sforzava di assorbire ogni dettaglio. Aveva frettolosamente raccolto i capelli in una coda di cavallo, e il suo corpo proiettava ombre grottesche sull’erba alta. Non portava la mascherina e respirava con la bocca, per non dover inalare il tanfo di morte. La vittima era una ragazza giovane. Capelli castani ammassati sotto il corpo gonfio, occhi castani, spenti dietro le palpebre socchiuse. Gli insetti avevano fatto il loro dovere, e dalla bocca della ragazza sporgeva una larva bianca.

    Immaginando il verme nella propria bocca, Taylor vacillò un istante e per errore inspirò col naso. Trasalì e si volse a osservare l’attività che le ferveva intorno. Dopo una rapida occhiata al cadavere, Fitz si era coperto la bocca e si era allontanato borbottando una scusa. Poco più in là, Marcus e Lincoln stavano parlando. I tecnici erano impegnati a portare sacchi marroni ai loro veicoli, gli agenti di pattuglia davano le spalle alla morta. Il caldo rendeva tutti indolenti.

    Fatta eccezione per l’uomo che ora avanzava con scioltezza verso di lei. Era alto e robusto, bruno, dai movimenti aggraziati. Non era uno dei suoi.

    Il nuovo arrivato si fermò davanti a uno degli agenti di pattuglia, e aprì una bustina di pelle che conteneva il distintivo, presentandosi a voce abbastanza alta da farsi sentire da Taylor. «Agente speciale John Baldwin. FBI.»

    Il poliziotto si fece da parte mentre Baldwin proseguiva verso Taylor. Le tese la mano, e ammiccò quando lei la prese. Fu un contatto breve, ma sufficiente perché lei percepisse il calore del suo palmo, un calore che le pervase tutto il corpo. Raddrizzò le spalle. Alta uno e ottanta, di solito torreggiava sugli uomini. Baldwin, però, la superava di dieci centimetri buoni, e fu costretta ad alzare la testa per guardarlo negli occhi. Avevano un’insolita sfumatura verde, più scura della giada, più chiara dello smeraldo. Occhi da gatto, pensò lei.

    Ora il cuore le batteva un po’ più in fretta. Inconsciamente, si portò una mano al collo. La cicatrice, lunga otto centimetri, era ancora fresca. Una coltellata, con gli omaggi di un folle. Un souvenir permanente dell’ultimo caso di cui si era occupata. Si riprese, e rivolse a Baldwin un sorriso breve ma pieno di calore.

    «Cosa ci fai qui? Non ho chiesto l’aiuto dell’FBI.» Si interruppe, preoccupata dall’espressione comparsa sul viso angoloso di lui. «Ti prego, dimmi che è soltanto un omicidio.»

    «Vorrei poterlo fare.»

    «Perché tanta formalità?» domandò ancora. Pochi fra i presenti sulla scena del delitto ignoravano chi fosse John Baldwin. La sua squadra – Fitz, Marcus e Lincoln – aveva già lavorato con lui in precedenza.

    «Questa dev’essere una consultazione ufficiale. Credo di conoscere l’identità della vittima.» Agitò vagamente la mano, indicando il cadavere.

    «Ah. Da un altro stato, immagino. Noi non abbiamo ricevuto denuncia di scomparsa in un arco di tempo che giustifichi lo stato del corpo.»

    «Un altro stato, sì. Mississippi.» Baldwin parlò in tono quasi distratto mentre girava intorno alla morta, prendendo nota di tutti i particolari. I lividi sul collo della ragazza erano visibili a dispetto del processo di decomposizione. Taylor lo vide sorridere quasi con aria di trionfo. Il cadavere non aveva mani.

    «Credo che possa trattarsi del nostro uomo.»

    «Il vostro uomo?» Taylor lo guardò inarcando le sopracciglia. «Sai chi ha fatto questo?»

    Per il momento lui ignorò la domanda. «Posso toccarla?»

    «Sì. Per il momento i tecnici hanno finito, e stiamo aspettando il medico legale per portarla via. Stavo semplicemente dando un’ultima occhiata.»

    Baldwin estrasse di tasca un paio di guanti di lattice, poi si accovacciò accanto al corpo e sollevò il moncherino destro. Qualche larva cadde a terra.

    «Il vostro uomo, hai detto?» insistette Taylor.

    «Mmh. Ovviamente non so come si chiami, ma riconosco il suo stile.»

    Lei si inginocchiò al suo fianco. «Lo ha già fatto in precedenza?» Parlò a bassa voce. Non c’era nessuno nelle immediate vicinanze, ma era preferibile non rischiare fughe di notizie prima di aver compreso cosa stesse succedendo. Abitudine.

    «Due volte, che io sappia. Anche se non ha colpito per un mese intero. Lo abbiamo soprannominato lo Strangolatore del Sud, in mancanza di una definizione migliore. Lo sai, noi federali non siamo famosi per l’originalità.»

    «Perché non ho sentito parlare di questo... strangolatore?»

    «Ma ne hai sentito parlare. Ricordi quel caso in Alabama, in aprile? La ragazza graziosa che studiava per diventare infermiera, scomparsa dal campus dell’Università dell’Alabama? L’abbiamo trovata...»

    «In Louisiana. Rammento.»

    «Giusto. La seconda risale al mese scorso. Scomparsa da Baton Rouge. Ritrovata in Mississippi.»

    Taylor frugò nella memoria alla ricerca dei particolari del caso. Ne avevano parlato tutti i canali nazionali, con corrispondenti che trasmettevano in diretta da Baton Rouge. Ma, per quanto ne sapeva, nessuno aveva pensato di collegare i due omicidi. Lo fece notare a Baldwin.

    «L’intervallo di tempo intercorso era abbastanza lungo perché i media non si avventassero su una possibile connessione. E abbiamo tenuto nascosti alcuni dettagli. Le mani, per esempio.»

    «Ma perché, Dio santo? Voi non dovreste diffondere le informazioni in modo che anche noi provinciali sappiamo che c’è un assassino all’opera?»

    «E il lubrificante. Pensiamo che ci sia stato un rapporto sessuale consensuale, lui utilizza profilattici lubrificati. Il medico legale dovrebbe cercarne eventuali tracce.»

    Taylor scosse la testa. Un serial killer era passato per il suo territorio. Fantastico. Non esattamente una notizia che fosse disposta a tenere segreta.

    «Ho già chiamato Sam; si prenderà buona cura di lei.» La dottoressa Samantha Owens Loughley era l’anatomopatologo capo dell’area centrale del Tennessee, e un’amica. «Hai detto di sapere chi è la vittima» disse Taylor in tono vagamente accusatorio.

    «Si chiama Jessica. Jessica Ann Porter. Di Jackson, Mississippi. Scomparsa da soli tre giorni.»

    Taylor tornò ad abbassare gli occhi sul cadavere. Tre giorni? Lo stato di decomposizione era molto più avanzato. Baldwin sembrò leggerle nella mente.

    «Sai come funziona. Il caldo accelera il processo. Due settimane qui basterebbero a ridurla a un mucchio d’ossa. Siamo stati fortunati a trovarla così in fretta. Un’altra settimana, e identificarla sarebbe stato maledettamente difficile.»

    «Dimmi di più.»

    «Non c’è molto. Gli piacciono le brune. Le giovani brune. Tutte e tre le vittime hanno gli occhi castani, sono sui diciassette, diciotto anni o hanno appena superato la ventina. In realtà abbiamo ben poco in mano. Nessuna di loro indulgeva in comportamenti a rischio, nessuna è stata vista in compagnia di sconosciuti, niente. Un giorno vivevano normalmente la loro vita, e quello successivo erano semplicemente scomparse. Sto lavorando in margine al caso. Sono stato tenuto informato, ma non ho seguito le indagini di persona. Ora però, che potremmo avere tre vittime, con ogni probabilità dovrò occuparmene a tempo pieno.»

    Taylor sentì uno scricchiolio di ruote sul ciglio della strada. Il cadavere, il cadavere di Jessica, si corresse, distava una decina di metri dal bordo stradale. I media ne avrebbero avuto una buona visuale. Troppo buona. A gesti, indicò a Marcus, fermo accanto alla sua auto, il furgone dell’emittente televisiva. Non ebbe bisogno di parlare. Il ragazzo si attivò immediatamente per allontanare la troupe dalla scena. Lo vide pilotarla verso un punto da cui non avrebbero potuto vedere il cadavere e sorrise, soddisfatta. Al diavolo i cronisti.

    Baldwin, intanto, aveva estratto di tasca un taccuino e stava annotando ogni cosa con rapidità.

    «Avete trovato...?» Non concluse la frase. Un agente in uniforme stava gesticolando freneticamente verso Taylor.

    Lei guardò Baldwin, e si rese conto che lui aveva capito esattamente di cosa si trattasse. Lo vide stringersi nelle spalle e fare un gesto con la mano, come a dire: prima tu. Dopo un istante di esitazione, Taylor si affrettò verso l’agente. L’espressione di orrore sul viso di questi era evidente perfino da quella distanza.

    «Ha trovato qualcosa, agente?» Taylor non lo riconobbe; doveva essere appena uscito dall’accademia.

    «Sì, tenente.» Il pomo d’Adamo del giovane ballonzolava convulso. Lei guardò nella direzione che il dito di lui indicava. Fra l’erba c’era una mano.

    D’istinto, Taylor indietreggiò, ma Baldwin si chinò sul reperto pieno di interesse. Lei cercò di scherzare.

    «Be’, agente speciale, dato che alla vittima mancavano entrambe le mani, direi che dovremmo trovarne un’altra nei paraggi, no?» Ma la sensazione di vuoto allo stomaco che l’aveva assalita non accennava a sparire. Aveva la netta sensazione che ci fosse molto più di quanto lui le aveva detto. Ne ebbe la conferma un istante dopo. L’espressione di Baldwin mentre osservava la mano diceva che c’era ben più di quanto fosse visibile. Con un gesto, Taylor congedò l’agente di pattuglia, che si affrettò ad allontanarsi, visibilmente sollevato.

    «No, non la troveremo» disse infine Baldwin. Nei suoi occhi verdi c’era un’espressione preoccupata. «Puoi cercare, se vuoi, ma l’altra mano non è qui.»

    «Ma che diavolo...? Taglia le mani alla ragazza, ne lascia una e si porta via l’altra? Cosa sarebbe? Una sorta di trofeo?»

    Baldwin annuì. «C’è solo un problema.»

    Per una frazione di secondo, si affacciò alla mente di Taylor il pensiero di quello che uno psicopatico avrebbe potuto fare con una mano recisa. Lo scacciò. «E sarebbe?»

    «Questa mano non è di Jessica.»

    4

    Baldwin si allontanò per chiamare Quantico, e Taylor fece cenno a Fitz di raggiungerla. Lui avanzò attraverso il campo come un generale alla testa delle sue truppe, il ventre che precedeva i piedi.

    «Cosa ci fa qui il federale?» chiese con voce neutra. Taylor lo guardò, cercando significati nascosti nella domanda, ma l’espressione dell’altro era chiusa, guardinga. Decise che non sottintendeva niente.

    «Indovina.» Si schermò gli occhi con la mano, per osservare Baldwin che si aggirava sulla scena del crimine, simile a un puma troppo cresciuto che abbia fiutato il sangue.

    «È qui per fare il profiling dell’assassino» fu la risposta del detective, seguendo la direzione del suo sguardo. C’era solo un motivo perché un federale operasse nel loro territorio.

    «Due prima di questa. Ma almeno abbiamo una probabile identificazione. Jessica Ann Porter, dal Mississippi. Dov’è Lincoln?»

    «È tornato all’auto con Marcus.»

    «Ho bisogno che operi la sua solita magia al computer. Digli che voglio tutte le informazioni in possesso dei federali su quegli omicidi. La prima vittima era dell’Alabama, la studentessa scomparsa e ritrovata in Louisiana ad aprile. La seconda è stata rapita a Baton Rouge in giugno e scaricata in Mississippi. Voglio che trovi tutti i dettagli. I federali hanno tenuto nascoste alcune informazioni, fra cui la circostanza che l’assassino lascia sul luogo del ritrovamento una mano della vittima precedente. Sono sicura che Baldwin ci metterà al corrente di tutto quello che sa, ma voglio che apriamo un dossier nostro sull’omicida.»

    «Sei sicura che ci dirà tutto?»

    Taylor gli indirizzò un sorriso a tremila watt. «Sicurissima.»

    Taylor stava dando gli ultimi tocchi al sugo alla bolognese. Assaggiò, aggiunse un altro po’ di sale, assaggiò di nuovo. Mmh... perfetto. Rimise il coperchio, soddisfatta.

    Fuori, la luce andava sbiadendo, lasciando il posto all’oscurità. Affettò una baguette e la mise a scaldare nel forno, avvolta nella carta stagnola. Bevve un sorso di vino, un delizioso Chianti di Montepulciano che aveva scoperto grazie al proprietario dell’enoteca locale. Lei lo chiamava Geppetto per la sua somiglianza con la versione animata del padre di Pinocchio. Era un uomo gentile, con cascanti baffi grigi e un palato eccellente. Adorava quel soprannome, ma permetteva solo a lei di usarlo. Sorridendo, Taylor bevve un altro sorso.

    Senza altro da fare, sedette al tavolo di cucina a sorseggiare il vino mentre osservava le lucciole sulla terrazza. La sua era una casa semplice, un cottage di legno che aveva comperato anni addietro, annidato fra le colline ondulate del bacino centrale del Tennessee. C’erano cervi e conigli, e qualche mese prima aveva visto perfino una volpe con i suoi piccoli. Intimità, quiete; esattamente quello di cui aveva bisogno un detective della Omicidi oberato di lavoro.

    Inevitabilmente, i suoi pensieri si spostarono sul caso che stava seguendo.

    Sam aveva fatto preparare per il trasporto il corpo di Jessica. Caldo e disidratato, il cadavere si era rivelato difficile da maneggiare. Uno dei portantini aveva perso la presa della barella, scatenando un nugolo di mosche. Taylor si era scoperta a maledire il clima. La morte non era più piacevole col freddo, ma di certo era più sopportabile.

    Con che genere di assassino avevano a che fare? Sesso consensuale, poi strangolamento e mutilazione, come un appuntamento finito terribilmente male. Ma sapeva che il profilo di Baldwin avrebbe fornito almeno alcune delle risposte.

    L’autopsia di Jessica Ann Porter sarebbe stata effettuata la mattina seguente. Taylor avrebbe assistito, per rispetto nei confronti della vittima, ma anche nella speranza di scoprire qualcosa di utile. C’erano sempre indizi – perfino l’omicida più meticoloso si lasciava dietro qualcosa. E che questo fosse il suo terzo omicidio era a dir poco inquietante.

    A preoccuparla erano soprattutto le mani mancanti. Tagliare le mani della vittima era un palese tentativo di renderne difficile l’identificazione. Lasciarla in un campo solitario in una giornata particolarmente umida avrebbe fatto il resto. Ma perché lasciare una mano della vittima precedente sulla nuova scena del crimine?

    Taylor era stata colta di sorpresa quando Baldwin le aveva spiegato la firma del killer. Lei aveva fatto la domanda più ovvia. Dov’era l’altra mano?

    La risposta di lui era stata una risata senza allegria. «Questa è la domanda a cui tutti vorremmo dare una risposta.»

    Sarebbe stato facile non trovare la ragazza. Diavolo, erano stati fortunati. L’agente immobiliare incaricato di stilare la lista dei terreni in vendita era passato di lì. Lo aveva accolto il fetore della carne putrefatta, e quando aveva trovato il corpo si era affrettato a chiamare la polizia. Quel giorno la sorte era stata dalla loro parte. Se così non fosse stato, Jessica Porter sarebbe rimasta in quel campo per settimane o perfino più a lungo, quanto bastava perché il caldo e gli insetti ne rendessero estremamente difficile l’identificazione. L’assassino non era uno stupido.

    Ma avevano trovato Jessica, e Taylor si stava nuovamente interrogando sul collegamento fra Jackson, Mississippi, e Nashville, quando sentì aprirsi la porta d’ingresso.

    «Come sta la mia debuttante preferita?»

    L’occhiata cupa che lei gli lanciò fece sorridere Baldwin. Coprendo in pochi passi la distanza che li separava, la

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