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Oh, piccola!
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Oh, piccola!

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About this ebook

Lena Shapiro, chirurgo di successo, figlia devota. Ha sacrificato la propria vita personale per costruirsi una carriera e occuparsi di sua madre e sua sorella. Adesso a trentanove anni, single, guarda i suoi coetanei che trovano un partner e fanno figli e si chiede se non abbia perso la sua occasione di essere felice.

Le viene chiesto di fare da mentore a un collega in visita, ma Lena si innamora di lui. Ma Adam Sterling non va affatto bene per lei: è troppo giovane, troppo arrogante e troppo deciso a spostare i limiti personali e professionali. E ben presto lascerà Los Angeles per lavorare sulla costa opposta.

Man mano che la data della partenza di Adam si avvicina, che farà Lena, si ritirerà nella sicurezza della sua solita vita solitaria oppure decider per un futuro incerto con l’uomo che potrebbe far avverare i suoi sogni?

(Nota: è un romanzo contemporaneo bollente che contiene tematiche mature e contenuti espliciti, quindi destinato ai maggiori di 18 anni. È un romanzo autoconclusivo, senza tensione e un lieto fine garantito.)

LanguageItaliano
PublisherBadPress
Release dateJul 24, 2020
ISBN9781071557242
Oh, piccola!
Author

Jill Blake

Jill Blake loves chocolate, leisurely walks where she doesn't break a sweat, and books with a guaranteed happy ending. A native of Philadelphia, Jill now lives in southern California with her husband and three children. During the day, she works as a physician in a busy medical practice. At night, she pens steamy romances.

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    Oh, piccola! - Jill Blake

    CAPITOLO UNO

    Lena Shapiro cliccò l’icona Home sullo schermo del suo iPhone. Nessuna chiamata e nessun messaggio da quando aveva controllato cinque minuti prima e la barra in cima allo schermo era ancora lì.

    Qualche passo a sinistra o a destra e si sarebbe ritrovata Nessun segnale sullo schermo, il messaggio che temeva. Aveva passato i primi dieci minuti alla festa a controllarlo, tenendo il telefono come una bacchetta da rabdomante in cerca di un punto dove c’era una buona ricezione.

    Aveva trovato un angolino, in fondo alla proprietà di Rachel ed Erik. Quindi aveva afferrato una bottiglietta di acqua fredda per tenere il calore sotto controllo e si era piazzata lì a un tavolo sotto un ombrellone fisso.

    In lontananza le acque grigio azzurre dell’oceano Pacifico scintillavano sotto il sole di mezzogiorno. Adesso che la foschia del mattino era svanita, riusciva a vedere la costa che si estendeva fino al molo di Santa Monica. C’erano dei posti peggiori dove trovarsi, soprattutto se stavi per cominciare il turno ed era il quattro luglio.

    «Lena, tesoro, che cosa ci fai qui da sola?»

    Lena sollevò lo sguardo e sorrise a Rachel, la sua migliore amica dai tempi del college. «Sto presidiando il telefono. Ho un paio di pazienti nel post-operatorio che mi preoccupano».

    Rachel si sedette sulla sedia vuota accanto a lei. «Te l’ho detto, avresti dovuto studiare medicina di emergenza. Io faccio il mio lavoro e poi torno a casa: nessuna chiamata e nessun mal di testa da turni stressanti».

    «Certo» disse Lena. «Ma in quel caso avrei a che fare con ubriaconi, tossici e residui fecali...»

    «Hai vinto tu» disse Rachel ridendo. «Hai mangiato?»

    «Sì, grazie. Erik prepara degli ottimi hamburger».

    Rachel sorrise e guardò dall’altra parte del prato verso la cucina esterna, dove Erik stava ancora girando hamburger e salsicce mentre intratteneva i loro ospiti. «Ho una novità».

    «Okay...»

    Rachel si avvicinò e abbassò la voce. «Sono incinta».

    «Oh, Rach!» Lena abbracciò l’amica, deglutendo un misto di gioia e invidia. «Congratulazioni. Di quante settimane sei?»

    «Dodici. Sono gemelli, riesci a crederci?»

    Considerando che Rachel ed Erik avevano provato la fecondazione assistita negli ultimi sei mesi, Lena non era sorpresa. «È meraviglioso, Rach. Come ti senti?»

    Mentre Rachel si lanciava in una dettagliata descrizione della nausea, delle tette gonfie e del bisogno di fare pipì ogni cinque minuti, Lena si concentrò sul mantenere un sorriso ben stampato sulle labbra. Se qualcuno meritava di avere una famiglia, quella era Rachel. Lena era elettrizzata per lei.

    E anche se quel desiderio che l’attanagliava era un vero e proprio dolore fisico, Lena era abbastanza forte da ignorarlo. Aveva fatto una scelta tempo prima, la carriera era più importante.

    Quello che non aveva immaginato era quanto tempo ci sarebbe voluto per affermare la sua carriera. E quanto avrebbe dovuto sacrificare lungo il percorso. Non sapeva ancora se ne sarebbe valsa la pena.

    Certo, era socia di uno studio molto affermato di chirurgia, vicepresidente del Dipartimento di Chirurgia dell’ospedale St. Mary e una borsista al College dei chirurghi americani. Aveva più referenze di pazienti di quante potesse contarne e così tante responsabilità amministrative che Rachel spesso le suggeriva di mettersi davanti allo specchio per esercitarsi a dire No.

    Quello che Rachel non capiva era che Lena aveva grosse difficoltà a dire No, almeno quando si trattava della sua vita personale. E forse era quello il motivo per il quale era ancora single e senza figli all’età di trentanove anni.

    «Oh, mio Dio...» Rachel s’interruppe e afferrò il braccio di Lena. «Non guardare!»

    «Che cosa?» Lena la guardò perplessa e poi seguì istintivamente lo sguardo di Rachel verso le porte scorrevoli di vetro in fondo alla casa. «Oh. Che cosa ci fa lui qui?»

    «Ti avevo detto di non guardare». Rachel guardò accigliata il nuovo arrivato, che si stava facendo largo tra i loro ospiti verso la griglia. O non aveva visto Lena oppure aveva deciso di ignorarla. «Mi dispiace, deve essere stato Erik a invitarlo. Stai bene?»

    «Benissimo». Lena si costrinse a distogliere lo sguardo.

    «Te la passi meglio senza di lui» disse Rachel. «Quell’uomo è un vero e proprio cazzone. Anzi, da oggi in poi lo chiameremo così: Dottor Cazzone».

    «Giusto» disse Lena con un leggero sorriso. Il dottor Cazzone, l’urologo. «Molto divertente».

    Il suo telefono squillò, proprio al momento giusto: non se la sentiva di rievocare un’altra relazione fallita, soprattutto in presenza della sua amica dalle buone intenzioni ma disgustosamente e felicemente sposata e incinta.

    A cosa sarebbe servito, comunque? La storia degli appuntamenti di Lena era sempre la stessa, anche se variavano le facce. Gli uomini la vedevano come una sfida, ma a un certo punto si stancavano di competere con la sua carriera per ottenere la sua attenzione. Quando Lena dava buca all’ennesimo appuntamento a causa del suo lavoro, la loro irritazione diventava frustrazione, che portava inevitabilmente a un ultimatum.

    Parliamoci seriamente, che cosa esattamente faceva credere a un maschio che lei lo avrebbe preferito alle sue responsabilità da chirurgo? E in ogni caso perché avrebbe dovuto scegliere, in una società illuminata come quella moderna?

    Era uscita con il dottor Cazzone negli ultimi tre mesi. Visitava i pazienti, faceva interventi chirurgici, rispondeva alle telefonate, proprio come Lena. Come minimo avrebbe dovuto essere più comprensivo...

    Rachel articolò Ci vediamo dopo con la bocca e si alzò, lasciando Lena a occuparsi della sua telefonata. Era il pronto soccorso, che l’aveva cercata per un nuovo consulto.

    Tre minuti dopo, Lena stava consultando i test di laboratorio preliminari del paziente sul suo cellulare e stava andando a casa.

    Era a metà strada verso la porta d’ingresso quando la voce di Erik la fermò.

    «Lena, aspetta!»

    Si voltò a guardarlo. La pelle di Erik era più rossa del solito. Un velo di sudore gli ricopriva il viso e gli appiccicava ciocche di capelli rossi al viso.

    Infilò il telefono in una tasca laterale della borsa e aspettò che lui la raggiungesse. «Mi dispiace se me la sto squagliando» gli disse. «Il pronto soccorso mi ha chiamato per una probabile appendicectomia».

    «Non ti trattengo, allora» le disse. «Ho solo un favore da chiederti. C’è uno studente del secondo anno di chirurgia oncologica che comincerà con noi domani. Vorrei che te ne occupassi tu».

    Lena strinse la presa sulla borsa. «Che cosa intendi con occuparsene?»

    «Coordinare i suoi turni al St. Mary. Sei un’insegnante all’IRC, giusto?»

    L’IRC, cioè l’Istituto per le Ricerche sul Cancro, era vagamente affiliato al St. Mary e la maggior parte dei membri della facoltà faceva parte del personale dell’ospedale.

    Lena annuì.

    «Hai già lavorato con alcuni di quegli studenti» disse Erik. «Quindi conosci la procedura. Devi assegnare al ragazzo delle ore in sala operatoria e nella clinica e supervisionare il suo lavoro. Assicurati che veda tanti casi diversi nei prossimi quattro mesi».

    Lena si accigliò. Non aveva tempo né la pazienza per fare da babysitter a un tirocinante. Okay, forse uno studente del secondo anno non l’avrebbe rallentata quanto uno studente di medicina o uno specializzando. Ma se avesse avuto una scelta, avrebbe preferito fare il turno di notte per i quattro mesi successivi, se avesse potuto evitare di fare da mentore a un altro uomo che pensava di camminare sull’acqua. Alcuni degli studenti che erano passati dal St. Mary avevano degli ego più smisurati di quelli degli uomini con i quali era uscita.

    «Ti manderò il suo curriculum tramite e-mail stasera» disse Erik «E un file con i requisiti del programma. Dovresti dargli un’occhiata prima di conoscerlo domani».

    Lena deglutì. «Domani?»

    «È un problema?»

    Sì, avrebbe voluto dire. Un grosso problema. Ma le parole le rimasero bloccate in gola.

    Perché anche se Rachel aveva ragione e Lena aveva bisogno di staccare invece di aggiungere altro lavoro al suo programma già fin troppo pieno, non poteva farlo, soprattutto non con Erik, che era comunque il suo socio anziano e mentore, e anche il responsabile di chirurgia dell’ospedale. Poteva anche essere carica di lavoro e sopraffatta, ma non era stupida.

    Quindi fece un respiro profondo e mormorò «Nessun problema».

    «Bene». Erik si voltò per tornare alla festa. «Si chiama Adam Sterling» disse al di sopra della spalla. «Si farà trovare nel tuo ufficio domani mattina alle otto».

    CAPITOLO DUE

    La mattina seguente, la prima cosa che sentì Lena appena entrata in ufficio erano delle voci: una era una voce rombante maschile, seguita da una risatina che apparteneva a Debbie, la loro receptionist. La sala d’attesa era vuota.

    Lena strinse le labbra e seguì quel rumore lungo il corridoio, fino alla saletta per le pause del personale. Aprì la porta e si fermò, studiando la scena.

    Debbie era poggiata al bancone accanto alla macchina del caffè, con le dita che attorcigliavano una ciocca di lunghi capelli biondi mentre guardava l’uomo che era poggiato a un muro vicino.

    Lena si schiarì la voce. «Buongiorno, Debbie».

    «Dottoressa Shapiro!» La receptionist le rivolse la sua attenzione. «Il suo primo appuntamento è stato cancellato. Stavo facendo vedere ad Adam... il dottor Sterling... l’ufficio».

    «Grazie» disse Lena. «Da qui in poi ci penso io».

    Debbie annuì. Rivolse un sorriso al visitatore e poi li lasciò soli.

    L’uomo si erse in tutta la sua statura. «Dottoressa Shapiro».

    Lena trattenne il respiro. Era alto, almeno trenta centimetri in più del suo metro e sessantacinque. E non si trattava solo della sua altezza, era tutto: il collo, le spalle, i bicipiti che tendevano le maniche della sua camicia button-down. E quelle mani! Esistevano delle pinze emostatiche abbastanza grandi da adattarsi alle sue mani?

    Arrossì e lo vide avvicinarsi, reprimendo l’istinto di fare un passo indietro.

    Adam si fermò a circa mezzo metro da lei e i suoi occhi nocciola, più verdi che marroni con una sfumatura di grigio, si incollarono ai suoi.

    «Adam Sterling» le disse tendendole la mano. Quando lei non fece altrettanto, sollevò un sopracciglio color sabbia, molto più scuro dei suoi capelli. «Mi stava aspettando, vero?»

    Fu la risata nei suoi occhi, che rispecchiava lo stesso sentimento della sua voce, che la strappò al suo sconcerto e la fece muovere di nuovo. Gli diede una stretta di mano brevissima.

    «Se vuoi seguirmi» gli disse «ho qualche minuto per spiegarti come funzionano le cose qui».

    Lena si voltò e andò verso il suo ufficio sul retro, fin troppo consapevole della sua presenza alle sue spalle.

    «Siediti pure». Gli indicò una delle sedie per i visitatori e tirò fuori il telefono, poi mise la borsa nel solito cassetto. «Non so quanto ti abbia detto il dottor Harding...»

    Lena sollevò lo sguardo e per un attimo perse il filo del discorso. Adam si era seduto come gli aveva detto, ma la sua posa rilassata concentrava la sua attenzione sul resto di lui, le parti che non aveva notato nella saletta relax. Le sue cosce possenti erano allargate e perfettamente allineate nei suoi pantaloni di cotone. Il rigonfiamento evidente nel mezzo attirò il suo sguardo e per un attimo le fece dimenticare che non era educato guardare.

    La voce di Adam spezzò la sua trance. «Il dottor Harding mi ha detto che lei mi avrebbe insegnato le basi».

    Lo sguardo di Lena volò per incrociare il suo. Maledizione, l’aveva beccata a guardare. Le labbra di Adam si contorsero, come se cercasse di trattenere un sorriso.

    Lena fece un respiro profondo e si concentrò sul sistemarsi dietro la sua grande scrivania. Ci vollero diversi tentativi prima di riuscire ad avere accesso al suo computer e dava la colpa di questo a lui. Lo sguardo di Adam era ancora fisso su di lei. Riusciva a sentirlo, come la scarica di un cauterizzatore. Le sembrava quasi strano non sentire l’odore di carne bruciata.

    Aprì l’e-mail di Erik. Non ne aveva bisogno come riferimento, ma le dava qualcosa su cui concentrarsi che non fosse fonte di distrazione e intimidazione come il suo visitatore.

    «Ho letto il tuo curriculum» gli disse. «Non sono sicura che qui al St. Mary possiamo offrirti qualcosa che non hai già visto al Kaiser o alla clinica Angeles».

    «Ho bisogno di avere quante più presenze possibili» le disse. «È dura quando devi competere con gli specializzandi con più esperienza per i casi più interessanti. Tutti vogliono lavorare ai casi epatobiliari e un turno con il robot Da Vinci, sa cosa voglio dire? Qui avrò il diritto di prelazione su tutte queste cose».

    Lena riuscì a evitare di alzare gli occhi al cielo. L’ospedale di una piccola comunità come il St. Mary non attirava sicuramente molti casi complessi di chirurgia oncologica. Quelli erano riservati a istituzioni accademiche più grandi come la UCLA e il Cedars.

    «Vedrò cosa posso fare» gli disse. «Hai già conosciuto i chirurghi?»

    «Sì». Nominò diversi dei colleghi di Lena. «In effetti entrerò in sala operatoria per una nodulectomia più tardi con il dottor Harding e un osteosarcoma domani mattina presto con il dottor Hunter».

    «Oh». Lo guardò perplessa. «Okay, allora. Va bene».

    «Si è presentata l’opportunità. Non le dispiace, vero?»

    «Certo che no. Perché dovrebbe dispiacermi?» Lena guardò l’orologio. Merda. Era già quell’ora?

    «Lavoreremo insieme per i prossimi quattro mesi» disse Adam. «Voglio essere sicuro di non pestare i piedi a nessuno».

    Eccolo di nuovo quel mezzo sorriso, quello che le faceva accelerare i battiti  e le mozzava il respiro.

    «Non lo stai facendo» gli disse evitando il suo sguardo. Entrò nel suo programma della giornata e scorse la lista degli appuntamenti del mattino. «Ma sarebbe di aiuto sapere cos’altro hai in programma, così possiamo coordinare i tuoi orari in sala operatoria.  Immagino che seguirai i pazienti nel post-operatorio».

    «Certo». Prese il telefono che era agganciato alla cintura. E anche prima degli interventi, per le valutazioni iniziali e per stabilire le cure, per la continuità dei trattamenti».

    «Posso organizzare i pazienti in questo ufficio, ma non posso garantirti lo stesso accesso ad altri pazienti in uscita dalla clinica». Già solo pensare alla sistemazione degli orari le aveva fatto venire mal di testa. Perché Erik non l’aveva assegnato a qualcun altro nel reparto?

    «Va bene». Adam studiò il telefono. «Ho una conferenza mattutina il martedì. E ho bisogno di un paio di giorni per le ricerche, ma posso incastrarle con gli orari della clinica».

    Lena annuì. «Il dottor Harding ed io ci alterniamo in sala operatoria e in ufficio. Io opero il martedì e il

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