Opere e Grandi Musicisti in pillole
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Opere e Grandi Musicisti in pillole - Massimo Carpegna e Kateryna Makhnyk
Massimo Carpegna e Kateryna Makhnyk
Opere e
Grandi Musicisti
in pillole
Raccolta degli articoli
pubblicati dalla Gazzetta di Modena
per la rubrica
Classica e Dintorni
Massimo Carpegna e Kateryna Makhnyk
Opere e Grandi Musicisti in pillole
Editrice GDS
Via Pozzo 34
20069 Vaprio d'Adda-Mi
www.gdsedizioni.it
Tutti i diritti sono riservati
Prefazione
La responsabilità è tutta di Giovanni Gualmini. Amico, Capo Redattore alla Gazzetta di Modena e ideatore della rubrica settimanale Classica & Dintorni.
Gli articoli per l’inserto Il menù stavano per esaurirsi e mi era sempre più difficile scoprire i piatti preferiti dai grandi musicisti, per poi indicarne la ricetta. Se fossero stati tutti come Gioacchino Rossini, il problema non si sarebbe posto; purtroppo, nessuno dei Maestri più apprezzati ha mai eguagliato il palato fino del pesarese e neppure si è avvicinato alla sua attenzione gastronomica.
E così, Gualmini mi propone questa rubrica che, nelle sue intenzioni, doveva presentare la biografia in pillole di compositori e solisti, con un ampio spazio dedicato all’aspetto umano, alle debolezze e vicissitudini di questi geni, così da renderli più vicini a noi, comuni mortali. Una lettura veloce e divertente, che potesse appassionare i non esperti, avvicinare i giovani alla musica classica, con un dintorni collegato ad altri aspetti come la genesi di opere liriche, collegamenti all’attualità e altri.
Davanti a me si è spalancata una prateria immensa, poiché tutti i Maestri offrono aspetti inconsueti, vizi e debolezze, raccontati in tanti aneddoti e ciò mi avrebbe permesso di scrivere per anni. La struttura era già stabilita: 2660 battute, spazi compresi, con uscita tutti i sabati.
Mi metto al lavoro e s’inserisce mia moglie: «Perché non facciamo questa cosa insieme?; – mi dice – ti aiuto nelle ricerche e costruiamo una sorta di Viaggio nella musica, che possa piacere e interessare anche ai miei studenti. Potrebbe essere un’idea!»
Lei ne è entusiasta, rientra negli intendimenti di Gualmini e io valuto che una mano può servirmi per scoprire il lato quotidiano dei grandi della musica. Ci mettiamo subito al lavoro e, quella che vi presentiamo, è la raccolta dei diversi articoli pubblicati nel primo anno di Classica & Dintorni.
Noi ci siamo divertiti a scriverli. Speriamo sia altrettanto per voi, leggerli.
Massimo Carpegna
Musicisti si nasce o si diventa?
Musicisti si nasce o si diventa? Certamente l’ereditarietà di alcuni talenti (nel caso della musica è la memoria ritmica e melodica) è un fatto assodato nello schema iniziale del cervello. Le generazioni di musicisti, o persone sensibili nell’ambito familiare alla musica, non sono una rarità: pensate al Concerto di Capodanno viennese con tutta la famiglia Strauss impegnata.
Ma la scienza ci dice anche che ogni individuo è unico, dal momento che il suo codice genetico è diverso, irripetibile. L’ambiente ha una grande importanza per stimolare le qualità innate attraverso l’educazione e le vicende personali affettive.
Possiamo quindi affermare che artisti si nasce e si diventa. Alcuni individui hanno una predisposizione per alcune aree della conoscenza ed emergono senza aver ricevuto un’educazione accademica particolarmente brillante (pensate alla carriera scolastica di Einstein) e forse proprio la loro esigenza ad andare oltre spinge queste persone a percorrere un cammino solitario, ad auto-educarsi; è altrettanto evidente che anche Arturo Benedetti Michelangeli, tra i più grandi pianisti di tutti i tempi, non sarebbe diventato un concertista se non avesse imparato la tecnica esecutiva ed incontrato vari maestri sul suo cammino.
Se consideriamo l’apprendimento come un impulso che viaggia attraverso la rete di connessioni cerebrali, ogni volta che un bambino siede al pianoforte e impara ad eseguire una composizione che non conosceva, i suoi impulsi nervosi prendono una strada che prima non avevano percorso, attivando nuovi collegamenti o potenziando quelli già esistenti.
Quando un bimbo intona una melodia con i suoi compagni, oltre a ricevere uno stimolo culturale ed evolvere la sua capacità di ascolto, sviluppa la socialità e si avvicina alla musica nel modo più semplice e naturale.
L’ambiente ha un ruolo fondamentale, ma attenzione: i genitori che non dedicano tempo ai figli, la scuola disorganizzata con strutture insufficienti ed educatori non all’altezza del compito, la mancanza di fiducia nel futuro, di stimoli a progredire, sono tutte condizioni negative che possono gravemente incidere sullo sviluppo dell’uomo.
La considerazione a carattere generale potrebbe essere: quando un individuo comunica qualcosa agli altri, modifica fisicamente il loro cervello, che non sarà più esattamente come prima.
Questo è tutto il problema dell’educazione e anche del condizionamento. Il politico, l’insegnante, il sacerdote, il giornalista, i genitori… utilizzano tutti la stessa biochimica cerebrale. La sola e importante differenza è che il condizionamento è a vantaggio di chi lo opera; l’educazione è, o dovrebbe essere, a vantaggio di chi la riceve.
Il linguaggio della musicale
Parliamo del linguaggio e della sua espressione più raffinata: il canto. Nei vecchi libri di Teoria e Solfeggio alla domanda: Che cos’è la musica? la risposta molto semplificata era Il linguaggio dei suoni. Il canto può quindi considerarsi come l’unione di due linguaggi: quello parlato e quello musicale. Ma che cosa c’è alla base della capacità di articolare dei suoni, sia che essi siano usati per comunicare un pensiero o intonare una melodia?
Confrontiamo l’uomo con uno scimpanzé. La parte più semplice da studiare è senz’altro l’apparato vocale dove, senza entrare nei dettagli, possiamo trovare nell’uomo un sistema più raffinato, che consente di modulare in vari modi la tensione delle corde vocali e intervenire sul suono da esse prodotto.
Tutto questo è la parte terminale di un sistema complesso, che ha il suo centro operativo nel cervello. L’uomo ha sviluppato la sua zona cerebrale (area di Broca) che presiede al linguaggio; la scimmia sfrutta ancora i centri di vocalizzazione, che si trovano nella parte arcaica del medesimo.
Possiamo quindi affermare che l’apparato vocale della scimmia equivale a quello che esiste nell’uomo quando esprime emozioni quali il pianto, il riso, il dolore… È interessante mettere in risalto che le vocalizzazioni dello scimpanzé sono presenti già alla nascita. Anche l’uomo ha il suo repertorio innato e quando i centri superiori sono lesi, torna a vocalizzare in modo pre-umano, come se fosse nuovamente una scimmia.
In caso di lesioni gravi, questi suoni arcaici (un urlo di dolore, ad esempio) non possono essere prodotti volontariamente e il malato, perfettamente cosciente, riesce a gridare solo se è sottoposto ad uno stimolo doloroso. Sono stati soppressi in modo traumatico i collegamenti con la corteccia e rimangono solo i circuiti automatici. Non solo, negli uomini che hanno subito delle lesioni nell’emisfero destro – l’area di Broca è in quello sinistro – il linguaggio rimane, ma privo d’intonazione: si parla come una macchinetta ed è quindi impossibile cantare.
L’apparato che presiede al linguaggio è quindi un insieme di parti diverse che si sono sviluppate in successivi momenti evolutivi. Quello che esce per mezzo della voce, riassume tutto ciò e nel passaggio dall’animale all’uomo, questi sistemi sono stati allacciati da una fitta rete di neuroni, che hanno spostato i centri di comando dalla parte arcaica del cervello alla corteccia.
Non è azzardato affermare che la nascita del linguaggio, in senso lato, rappresenta forse il fatto centrale dell’evoluzione della specie