Il grande libro delle proteine vegetali: Proprietà, virtù e ricette
Di Anne Dufour
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Anteprima del libro
Il grande libro delle proteine vegetali - Anne Dufour
più!
Capitolo 1.
Le proteine sono la vita!
Essere in buona salute, rallentare l’invecchiamento, sentirsi bene, costruirsi e ricostruirsi ogni giorno, pensare, amare, correre, rotolarsi sull’erba... Tutto questo è possibile grazie ai nostri pasti quotidiani. Dobbiamo mangiare per rimanere in vita, ma anche per goderci appieno la nostra esistenza. Senza cibo non saremmo nulla. È facile quindi capire lo straordinario impatto di ogni nostro pasto, ogni nostro boccone. Se scelti male, se non in equilibrio, gli alimenti possono trasformarsi in sostanze malefiche in grado di farci invecchiare più in fretta, ostruire le arterie, far scricchiolare le articolazioni, annebbiare i pensieri.
Contrariamente alle apparenze, non è così complicato nutrirsi in maniera sana, quantunque quest’azione semplicissima, vitale e istintiva sia diventata sempre più complessa nel corso degli ultimi decenni. Da millenni i nostri bisogni non cambiano, come non cambia ciò che può fornirci la terra.
A essere diventata oltremodo complessa è l’offerta, gonfiata da un marketing talvolta a oltranza. Di punto in bianco, ognuno prende la parola per fornire la propria
versione di alimentazione. Bisognerebbe mangiare esattamente nel tal modo, basare i propri pasti sull’apporto di omega-3, fibre o flavonoidi antiossidanti... Bisognerebbe tenere sotto controllo l’indice glicemico, quello di acidificazione alimentare, il carico calorico ecc. Dovremmo mangiare esclusivamente biologico, senza glutine o senza lattosio. Ma le mode passano e le domande rimangono. Lungi dallo scomparire, l’incertezza cresce senza posa.
Una questione centrale si fa sempre più pressante: cosa possiamo mangiare oggi? La risposta però è chiara e semplice: bisogna mangiare con moderazione, fare pasti variati, seduti a tavola (niente snack in velocità), con alimenti meno industriali possibile e menù a forte prevalenza vegetale. La stragrande maggioranza dei ricercatori in ambito nutrizionale consiglia di limitare i prodotti di origine animale: una o due volte la settimana per la carne rossa, due o tre volte per la carne bianca, il pollame, le uova o il pesce. In media ciò equivale al massimo a un pasto al giorno, se prendiamo in considerazione tutti gli alimenti di origine animale messi assieme. Pertanto, gli altri pasti (ossia quattordici alla settimana se consideriamo anche la colazione) divengono di fatto vegetariani. Perché? Lo vedremo più avanti nel capitolo. Per il momento, cerchiamo di capire come si è svolta l’evoluzione dell’alimentazione umana sin dalle origini.
ONNIVORO: SÌ, MA...
L’essere umano è onnivoro: l’organismo è in grado di ricavare le sostanze nutritive contenute in tutti i tipi di alimenti. Tutti o quasi! Non siamo come le termiti, che riescono a nutrirsi della cellulosa ricavata dal legno delle travi, che rodono con energia quando vi si insinuano dentro. Non siamo nemmeno simili ai ruminanti, il cui apparato digerente, assai diverso dal nostro, sembra concepito per riuscire a trarre il massimo da un’alimentazione esclusivamente vegetale.
Facciamo parte della classe degli onnivori, proprio come il riccio o l’opossum, il canguro o il maiale, l’orso o lo scoiattolo. Siamo dotati di un apparato digerente e metabolico che riesce a nutrirsi di alimenti animali e vegetali. Ma attenzione: è una possibilità, non un obbligo. Non dobbiamo
consumare prodotti animali, possiamo
farlo. Una sfumatura che cambia tutto! Ha dato ai nostri antenati, nel corso dei millenni, la possibilità di adattare il regime alimentare all’ambiente. Una gran bella fortuna rispetto alle altre specie, che ha contribuito all’evoluzione degli uomini nei tempi remoti, nei quali la ricerca di cibo poneva numerose difficoltà. Ma oggi sta a noi scegliere il tipo di alimenti che ci è congeniale.
Come mangiavano i nostri antenati?
Numerosi paleontologi hanno tentato di decifrare il modo in cui i primi uomini si alimentavano. Dovevano accontentarsi di ciò che avevano a disposizione: foglie, semi, radici, bacche, frutta secca e persino fiori, così come qualche animale facile da catturare, per esempio lucertole, larve d’insetto, vermi, rane, pesci, crostacei e piccoli mammiferi. L’osservazione della loro dentatura ha permesso ai ricercatori di affermare che in quell’epoca i primi ominidi avevano un’alimentazione per la maggior parte vegetale. D’altro canto, consumavano l’intestino delle loro prede, perché conteneva vegetali già parzialmente digeriti.
Le cose sono cambiate allorché, 500.000 anni prima dell’era moderna, gli uomini hanno scoperto il fuoco. La cottura ha profondamente modificato il modo di mangiare. Grazie al calore è stato possibile eliminare certi parassiti, ampliando così la gamma di alimenti commestibili. Gli uomini hanno potuto conservare la carne più a lungo, cosa che li ha spinti a cacciare animali assai più grandi. Anche le tecniche di caccia si sono evolute. L’uomo è diventato cacciatoreraccoglitore. I pasti variavano notevolmente, a seconda della stagione. Vi erano periodi di restrizione alimentare o addirittura di digiuno imposti dalle condizioni climatiche, compensati mangiando di più quando vegetali e animali ricomparivano. L’alimentazione tuttavia rimaneva in linea di massima alquanto vegetale, a esclusione dei periodi di caccia grossa, dove era necessario consumare rapidamente gli animali. La proporzione tra alimenti di origine animale e vegetale era quindi variabile e dipendeva dalle condizioni.
Le prime coltivazioni sono comparse soltanto 10.000 anni or sono (ossia all’incirca nell’8000 a.C.). Coltivando cereali e legumi l’uomo ha modificato in maniera profonda e duratura le proprie abitudini alimentari. Ha prodotto il pane, munto il latte degli animali domestici, fabbricato formaggi. Infine, è riuscito a organizzare il proprio approvvigionamento di cibo e a rendere stabile il regime alimentare.
Per un lungo e oscuro periodo, quindi, i primi uomini si sono adattati all’ambiente. A partire da questo cambiamento radicale, al contrario, hanno adattato l’ambiente ai loro bisogni. Questi bisogni sono sempre stati gli stessi: i nostri lontani antenati dovevano comunque assorbire glucidi per fornire energia alle cellule, acidi grassi per far funzionare il cervello e il sistema nervoso, proteine per garantire innumerevoli funzioni. Anziché ricavare tali macronutrienti in modo disorganizzato in ciò che reperivano, sono riusciti a ottenerli in maniera stabile e regolare dagli animali che allevavano e soprattutto dai vegetali che coltivavano. Abbinavano quindi fonti alimentari animali e vegetali a seconda non dei loro bisogni (che ancora non conoscevano con precisione), bensì degli alimenti di cui disponevano più facilmente e in quantità maggiori. E ad avere la preferenza sembra proprio che fossero i vegetali.
NELL’ANTICHITÀ
In questo periodo l’alimentazione era già più strutturata. Tuttavia, ciascuna epoca ha prodotto abitudini nutrizionali specifiche.
•In Egitto. Gli antichi Egizi attribuivano una grande importanza agli alimenti, che immagazzinavano nelle tombe affinché i defunti non avessero fame nell’aldilà. Nella quotidianità consumavano frutta, verdura e legumi (meloni, uva, fichi, fave, ceci, cipolle, porri ecc.) in quantità, come pure pane d’orzo, pesce d’acqua dolce e un po’ di carne (oche, anatre, montone). Un regime ancor oggi ritenuto ben equilibrato, che integrava la carne senza eccessi.
•In Grecia. I cereali rappresentavano quasi l’80% della razione alimentare quotidiana. Si trattava principalmente di orzo, sotto forma di focacce consumate con legumi (ceci, lenticchie ecc.). I Greci apprezzavano i semi oleaginosi, come quelli di lino o di sesamo, di cui oggi riscopriamo i benefici. A questo aggiungete un po’ di verdure, qualche pesce, formaggio fresco e un po’ di vino: vi potrete così fare un’idea di ciò che mangiavano i Greci nell’antichità. La carne non era molto diffusa, perché si consumavano soltanto gli animali sottoposti a sacrifici rituali (assai apprezzate erano le frattaglie). Un regime un po’ meno equilibrato di quello degli Egizi, ma comunque compatibile con i loro bisogni.
•A Roma. Qui tutto va a rotoli, in particolare tra le classi più agiate. Nella Roma antica il popolo adorava i cavoli e gli ortaggi a radice, che consumava con focacce di cereali, olio d’oliva e un po’ di maiale sotto sale, accompagnando con del vino. I più ricchi però si concedevano pietanze molto elaborate: lingue di fenicottero rosa, creste di uccello, mammelle di scrofa... il tutto fatto sobbollire a lungo e gustato in grandi quantità. Di che dar vita a una prima epidemia di obesità e di malattie metaboliche, fino ad allora pressoché sconosciute.
E per i più ricchi, la carne
Poco a poco, nei paesi occidentali l’alimentazione si è stabilizzata secondo il modello imposto a Roma, un modo di nutrirsi a due velocità: ricco e grasso per gli uni, più frugale e naturale per gli altri. Al centro di questa disparità, la carne.
Se l’accesso ai cereali rimaneva equivalente in tutti gli strati della società, la possibilità di procurarsi prodotti animali è stata a lungo appannaggio dei più abbienti. Prima dell’avvento degli allevamenti industriali, chiunque poteva possedere qualche pollo, capra o maiale e addirittura una mucca da latte, a patto che vivesse in campagna. Questo serviva a integrare un po’ di carne nei menù settimanali, ma non di più. Inoltre, una parte dei suddetti animali era riservata alla vendita ai ceti più benestanti. In città era ancora più difficile procurarsi prodotti animali se non si disponeva di mezzi a sufficienza. L’equilibrio vegetale/ animale era regolato da dati economici.
Tutto è cambiato all’inizio degli anni Cinquanta. La società ha vissuto un brusco cambiamento, caratterizzato da un accesso assai più facile ai beni di consumo, a partire dalla carne, la cui produzione si è gradualmente industrializzata: grandi allevamenti, macelli regionali, supermercati. I medici sostenevano la causa, attribuendo alla carne numerose proprietà stimolanti, tonificanti e rigeneranti. Per esempio, la carne rossa era in prima linea durante il recupero e la convalescenza.
Questo si è tradotto in un regolare aumento del consumo in famiglia. Tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta ha infatti avuto una crescita pari all’1,5% annuo.² Nel 1998 è stato raggiunto un picco in Francia, con un consumo di 94 kg di carne per abitante.³ Da allora la tendenza si è invertita, giacché nel 2014 il consumo è sceso a 86 kg per abitante. Tuttavia, il costo della carne ha continuato a salire e la parte di budget medio dedicata ai prodotti animali incide tuttora parecchio, nonostante il calo dei consumi.
Questi dati (un filino aridi, è vero!) dimostrano che nella nostra alimentazione quotidiana l’ago della bilancia tra i vegetali e i prodotti animali pian piano ha perso l’equilibrio. In parallelo, lo sviluppo dell’agricoltura ha portato a limitare sempre di più la varietà di vegetali disponibili. Per motivi di resa, sugli scaffali si trovano soltanto quattro o cinque varietà di mele o di pomodori (per fare solo un paio di esempi), mentre ne esistono a centinaia. La moda delle diete dimagranti ha classificato i legumi (piselli, fagioli, lenticchie ecc.) nella categoria degli alimenti da evitare
, perché troppo calorici. Lo stesso dicasi per i prodotti a base di cereali (pane, pasta), che si ritiene facciano ingrassare.
Nello stesso tempo, le maggiori conoscenze in ambito nutrizionale hanno permesso di puntare il dito sui problemi legati al consumo eccessivo di prodotti animali: aumento del rischio di certi tumori, esplosione delle patologie cardiovascolari (legate soprattutto all’eccesso di colesterolo), disturbi del transito e della glicemia (per carenza di fibre) e così via. Il pesce non è sfuggito del tutto alle critiche. A lungo ritenuto un ottimo alimento sul piano nutrizionale, nella fattispecie per il tenore di proteine e di grassi insaturi che non ostruiscono le arterie, la sua immagine è cambiata quando ci si è resi conto che i pesci più grandi concentravano le sostanze inquinanti del mare (in particolare i metalli pesanti), al punto che la loro carne ne conteneva quantità allarmanti. A ciò aggiungete i problemi posti dalla pesca industriale (impoverimento della fauna marina), la creazione di allevamenti in cui i pesci vengono nutriti in maniera talvolta aberrante, il costo sempre più elevato dei prodotti ittici e capirete perché il pesce non è più una vera alternativa alla