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La Casa sulla Spiaggia
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La Casa sulla Spiaggia

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About this ebook

Reduce da una delusione d’amore, Anna MacDonald decide di abbandonare Edimburgo e di trasferirsi sulle sponde di un fiordo scozzese.

Lontana da tutto e da tutti, nel tranquillo cottage della sua defunta nonna, può finalmente guarire le sue ferite e gettarsi a capofitto nella stesura del romanzo che, per anni, aveva lasciato in un cassetto. La pace non durerà a lungo. Quando a bordo del suo yacht Luke Tallantyre, un artista di fama, rimane bloccato nel loch, va in cerca di aiuto e bussa alla porta della prima abitazione che incontra: quella di Anna. Lei è infastidita da quella presenza. Lui, sin da subito, trova quell’eremita uno schianto, ma eccessivamente irritabile. 

Nel frattempo, al villaggio, affiorano tracce inconfutabili sulla presenza di un assassino. Sarà Anna la prossima vittima? E cosa nasconde Luke per mettere ancora di più a repentaglio la sua vita? Controvoglia, uniranno le loro forze e si imbarcheranno in un’avventura incredibile che consentirà loro di trovare… il vero amore.

LanguageItaliano
PublisherBadPress
Release dateApr 1, 2021
ISBN9781071554845
La Casa sulla Spiaggia
Author

Victoria Howard

Born and raised in the Pittsburgh area, Howard trained horses at The Meadows in the late ‘70s and Pompano Park in the early ‘80s. With her husband, Pennsylvania auto magnate John Howard, she not only owned and campaigned super stars like Efishnc and Neutrality (trained by Bruce Nickells), but at one time was a guest commentator on The Meadows Racing Network, besides appearing in numerous commercials with her longtime friend, legend Roger Huston. Later, in her second career as a published author, Victoria not only wrote The Voice: The Story of Roger Huston, but she also penned The Kentucky Horse Park: Paradise Found and Gunner: An Enchanting Tale Of A Racehorse---the inspiring story of a Standardbred rescued from obscurity who became a decorated police horse. Victoria also co-wrote Roosevelt Raceway: Where It All Began, Meadow Skipper: The Untold Story and several children’s books on Standardbred horses and horseracing. Howard knows what she writes about, having lived through and personally been acquainted with many of the horses, horsemen, and families you’ll be reading about in Harness Racing in the Keystone State. Today, Howard lives in Florida with her dog, Max, and is the proud “Mom” to many racehorses.

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    Book preview

    La Casa sulla Spiaggia - Victoria Howard

    Ringraziamenti

    A Julian Carradice e Richard Warren, operatori del Soccorso Alpino del Wasdale (Wasdale Mountain Rescue Team), e ad Andy Simpson, l’addetto stampa del Soccorso Alpino per Galles e Inghilterra, per il supporto tecnico. Uomini e donne che, con coraggio, salvano ogni anno (a titolo gratuito!) centinaia di vite dai pericoli ad alta quota e che portano avanti il loro prezioso lavoro grazie a donazioni provenienti da privati.

    Vorrei ringraziare, altresì, Chris Dalton del South Ayrshire Stalking, per avermi fornito le informazioni sulle armi da fuoco utilizzate per la caccia al cervo.

    Qualsiasi inesattezza è da imputare a me e non a loro.

    Alle colleghe Brenda Hill e Daphne Rose, oltre che alla mia cara amica Dorothy Roughley, va il mio sentito ringraziamento per il loro sostegno e incoraggiamento.

    Un ultimo ringraziamento va al mio compagno Stephen, per il suo continuo supporto e per il tempo dedicato al nostro cane!

    Capitolo Uno

    Anna MacDonald non si era mai sentita così.

    Mark, il capo del Dipartimento di Inglese, aveva dato il posto ad un’altra e per di più non aveva nemmeno avuto la decenza di dirglielo in faccia. Era tipico di Mark. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di evitare il confronto.

    Al lavoro tutti sapevano della loro storia e, ben presto, avrebbero saputo della sua mancata promozione. Come poteva sopportare quell’umiliazione e quegli occhi puntati addosso? Come poteva lavorare al fianco dell’uomo che l’aveva ingannata?

    Anna appoggiò la schiena sulla spalliera della sedia e valutò il da farsi. Poteva ancora lavorare con un traditore? La risposta doveva essere un no. In Scozia, i posti da docente erano un miraggio, soprattutto per la scrittura creativa, la sua materia. E che dire del loro rapporto? Mark si era giocato la sua fiducia sia come collega che come compagno. Ma davvero voleva stare ancora con una persona di cui non si poteva fidare?

    Più ci rifletteva su, più si rendeva conto di non avere altra scelta. Accartocciò la lettera e la lanciò nel cestino dei rifiuti.

    A schiena dritta attraversò l’ampio corridoio dell’università fino ad arrivare davanti all’ufficio di Mark. Fece un bel respiro e aprì la porta. Lui era seduto alla sua scrivania, sovrastato da pile di carte. Doveva aver fiutato la sua presenza perché quando la vide alzò lo sguardo e sbiancò.

    Anna—

    "Una lettera, Mark? Dopo avermi garantito che il posto era praticamente mio, mi fai recapitare una lettera per dirmi che l’hai dato ad un’altra? Avresti dovuto dirmelo guardandomi negli occhi. Io non sono solo una collega. Sono la tua fidanzata. O, per caso, ti era sfuggito di mente?"

    Mark allungò la mano in segno di scuse. Stavo solo seguendo la procedura. Una ciocca di capelli biondi gli coprì gli agli occhi azzurri e, con incuranza, la riportò indietro con un gesto della mano.

    Capisco. Disse Anna smorzando i toni. Non le piaceva l’idea che si lasciassero male.

    In tal caso non avrai nulla in contrario se rassegno le dimissioni, no? Ti conviene accettarle, o dovrò consegnarle direttamente al vicerettore.

    Anna, tesoro, pensavo ti piacesse il tuo lavoro. Siediti, così ne possiamo parlare.

    Non ho voglia di sedermi, grazie. E sì, adoro il mio lavoro.

    Non capisco allora perché te ne vuoi andare. Non pensi di essere un tantino impulsiva? Dovresti rifletterci ancora un po’su.

    "Credo di essere più che ragionevole, viste le circostanze. Ma cosa ti aspetti? Che continui a lavorare in facoltà mentre… mentre la tua biondina nuova di zecca occupa quello che avrebbe dovuto essere il mio ufficio e fa il lavoro che io avrei dovuto fare!" Anna sentì la pressione salire. Inspirò profondamente.

    Siamo solo andati a cena. Disse Mark mettendo in ordine le carte sparpagliate sulla scrivania.

    Non mentire, Mark.

    Non sto mentendo.

    Sì che lo stai facendo. E farai meglio a cercare chi mi sostituisca perché io, alla fine del semestre, me ne vado. Che ti piaccia o no!

    Ma il semestre termina giovedì—

    Per l’appunto. Il che ti dà tre giorni, nonché tutte le vacanze estive, per trovare qualcun altro. Ho già corretto e riconsegnato i compiti di fine semestre ai miei studenti. Non ho altre lezioni in programma, dunque oggi è il mio ultimo giorno di servizio.

    Ho un sacco di lavoro da sbrigare. Possiamo parlarne stasera? Prima di andare a casa passo dal supermercato e prendo una bottiglia di vino rosso, il tuo preferito, e del cibo cinese.

    Rimase a fissarlo per un attimo prima di rispondere. Non ti aspetterai che la nostra relazione vada avanti.

    Mark si alzò e andò verso di lei. Le appoggiò le mani sulle spalle, il suo viso mancava di una qualsivoglia espressione. Anna, ti prego, si tratta di lavoro. Solo perché non hai ottenuto una promozione non significa che non possiamo stare insieme. Tu mi ami.

    Anna era lì che lo osservava incredula, cercando di capire come aveva potuto solo pensare che sarebbe stato un bravo marito.

    No, Mark, non ti credo.

    Capisco, disse lui mettendosi le mani in tasca. Hai già un altro lavoro?

    No.

    Fammi indovinare. Scrivi un libro. I docenti che abbandonano la carriera universitaria prendono spesso questa direzione perché adorano i libri, ma non hanno il talento per scriverli.

    Colpita e affondata, ma non avrebbe permesso ai suoi commenti sarcastici di farla tornare sui suoi passi. Ho già deciso. Non c’è altro da aggiungere.

    E, così, non posso che accettarlo. In tal caso, che ne dici se, di tanto in tanto, ti passo a trovare in nome dei vecchi tempi?

    Dubito che i nuovi inquilini gradiranno.

    Inquilini? Non starai mica lasciando anche il tuo appartamento?

    Anna ignorò la domanda. Addio, Mark. E senza aggiungere una parola si voltò e andò via.

    Nei giorni successivi, mentre imballava la sua roba, iniziò a chiedersi se quella fosse la cosa giusta da fare.

    A farla tentennare era stata una foto.

    Era stata scattata all’università, durante un picnic. Lei e Mark erano seduti sotto una gigantesca quercia, fianco a fianco, con le teste appoggiate l’una su quella dell’altro, stretti in un abbraccio, palesemente e disgustosamente innamorati. Quando l’avevano scattata? Un anno fa? Due? Stavano insieme da così tanto? Reagì allo sconforto estraendo la foto dalla cornice d’argento. La cornice l’avrebbe tenuta. La foto… cercò di ridurla in mille pezzettini, ma aveva le lacrime agli occhi che le offuscavano la vista. La accartocciò e la lasciò cadere per terra.

    Mark si era rivelato un vero bastardo. Grazie a Dio non gli aveva mai chiesto di andare a vivere da lei. Lui, ovviamente, non aveva alcuna intenzione di sposarla. Lui, indomabile com’era, non si sarebbe mai lasciato andare a simili smancerie d’altri tempi. Per qualche periodo le aveva fatto comodo. Dopotutto, il matrimonio non è forse un contratto che lega due persone ma che spesso finisce per strangolarle?

    Accidenti. Sarebbe stata un’ottima moglie. Faceva la cosa giusta mollando tutto? Non sarebbe mai riuscita a perdonare quel tradimento, ma, nonostante ciò, le sarebbero mancati il suo lavoro e i suoi amici.

    Ormai era troppo tardi per cambiare idea, pensò mentre infilava un paio di jeans in valigia. Aveva già disdetto il contratto del suo meraviglioso appartamento di Morningside. L’affitto, a malapena sostenibile con il suo stipendio, aveva dato fondo ai suoi risparmi più in fretta di una iena che divora una carogna.

    È stato meglio così, disse alle sue Border Collie che, in segno di risposta, scodinzolarono come se avessero compreso. Dopotutto, non potevo tenervi qui. Niente animali, ricordate? La più giovane delle due, dallo sguardo vispo e le zampe pezzate, le si avvicinò e le diede una leccatina sulla mano. Anna la accarezzò arruffandole il pelo sulla testa bicolore. Brave ragazze, sappiate che sto facendo un favore a tutte noi. Si va in campagna. Pace, tranquillità, e chissà cos’altro.

    Anna chiuse la valigia e la lasciò accanto alla porta, insieme ad altre cose da riporre all’interno della sua vecchia Land Rover. Diede un’ultima controllata in giro. Ormai vuoto, l’appartamento sembrava enorme. I mobili non poteva portarli e, così, li aveva stipati in magazzino. Dei suoi ultimi sette anni di vita in quella casa rimanevano solo un tappeto da ripulire e chiazze chiare sui muri che indicavano i punti dove prima erano appesi i suoi quadri.

    Prese la borsa. Stava per voltare pagina e aveva un libro da scrivere. Fatta eccezione per i vestiti, il portatile, la stampante e pochi libri a cui teneva, voleva lasciarsi tutto alle spalle, soprattutto le ferite ancora aperte inferte al suo cuore infranto.

    Stava mentendo a sé stessa consapevolmente.

    Cinque ore dopo, era riuscita a far arrivare la sua vecchia auto alla strada sterrata che portava a Tigh na Cladach, il croft della sua anziana nonna sulle rive del Loch Hourn, tra gli impervi promontori delle Highlands nordoccidentali. Non poteva permettersi di mollare proprio adesso che era così vicina alla mèta. Per più di una volta aveva pensato che non sarebbe riuscita ad oltrepassare Edimburgo, ma, nonostante la carrozzeria di un verde sbiadito e l’aspetto malconcio, il motore sembrava reggere.

    Con un sospiro di sollievo, tirò il freno a mano, scese giù dal veicolo e si fermò qualche istante ad assaporare il silenzio. Si era lasciata alle spalle le luci abbaglianti e i rumori della città e, ritrovarsi così distante da essi, le procurava una strana sensazione. Guardò l’orologio. Erano le dieci di una sera d’estate e riusciva ancora a distinguere chiaramente ogni singolo sasso ed ogni cespuglio. Lì, nel profondo Nord, non faceva mai buio del tutto, e la notte non era che un tardo crepuscolo.

    Ensay e Rhona, le due Border Collie bianche e nere, balzarono fuori dai sedili posteriori inseguendosi per il prato antistante al piccolo cottage di pietra.

    Era una vecchia casetta isolata ad un piano e mezzo, che si estendeva per una quindicina di metri in lunghezza. Ad ognuna delle due estremità della casa, vi era un camino e i muri erano spessi, in granito bianco. Era stata costruita a neanche trenta metri dalla riva, circondata dai promontori che sembravano volerla proteggere da chissà quale forza invisibile. Chiunque l’avesse realizzata, aveva scelto accuratamente quella posizione. Si sposava alla perfezione con l’ambiente circostante e i vecchi muri in granito erano riusciti ad avere la meglio sul passare del tempo e sulle intemperie.

    Saldamente incastonate nei muri in pietra, due piccole finestre all’inglese incorniciavano la porta d’ingresso verde chiaro. Una dava luce alla cucina, l’altra illuminava il soggiorno. Non era una reggia, ma era appartenuta ai suoi nonni. Certo, era lontana chilometri dal mondo civilizzato, ma non doveva pagare l’affitto e, adesso, era sua.

    Prese la borsa, il portatile e le buste della spesa dal sedile anteriore, chiuse lo sportello e si incamminò per il selciato che attraversava il podere. Tutto ciò di cui aveva bisogno era bere qualcosa di caldo e un buon sonno. Il resto poteva aspettare fino al giorno successivo.

    Inserì la chiave nella serratura, aprì la porta, accese la luce d’ingresso e andò in cucina. Il profumo di lavanda inebriava l’aria. La sua migliore amica, Morag McInnes, in vista del suo arrivo aveva spolverato e fatto arieggiare la casa e, per di più, aveva lasciato sul mobile dell’ingresso il suo pot-pourri preferito.

    Riempì il bollitore con dell’acquea, nell’attesa che si scaldasse, controllò la posta che Morag le aveva lasciato sul tavolo. Erano due buste. Una risultò essere un’imposta locale da pagare. L’altra era una busta in filigrana spessa. In alto a sinistra c’era il nome e l’indirizzo di uno studio legale di Glasgow. Impaziente di sapere cosa potessero volere da lei, aprì il bordo della busta facendovi scorrere una delle sue unghie perfettamente curate. Conteneva un’offerta più che generosa per l’acquisto di Tigh na Cladach, da parte di alcuni loro clienti rimasti nell’anonimato,

    Ma con che coraggio, disse mettendosi a sedere. Per sicurezza la rilesse. Potevano andare al diavolo, loro e i loro clienti. Ripiegò la lettera e la ripose all’interno della busta appoggiandola contro la pepiera. Era troppo stanca per pensarci in quel momento. Avrebbe aspettato il giorno seguente per rispondere che la proprietà non era in vendita né mai lo sarebbe stata.

    Si stirò per allentare la tensione accumulata sui muscoli della schiena e del collo, si versò una tazza di tè e la poggiò sul tavolo. Fece mangiare i cani, mise dell’acqua fresca nella ciotola e salì su per la scaletta di legno che conduceva alla stanza in cui aveva dormito sin dai tempi in cui era una bambina.

    Situata proprio al di sopra della cucina, la camera era parte del sottotetto. Luminosa, arieggiata e riscaldata dal calore proveniente dalla stanza sottostante, aveva le pareti tinte in una delicata tonalità di rosa. Tende spesse di panno a fantasia, nei toni del rosa antico incorniciavano la finestra che si affacciava sul loch. Un grande letto a baldacchino in ottone, su cui era stesa una coperta patchwork fatta a mano con i colori del rosso, rosa, fucsia e del verde, stava proprio di fronte alla porta. Il carillon della nonna, da tempo privo della sua chiave, era appoggiato sulla cassettiera posta all’angolo.

    Stanca, fece un lungo sospiro, si tolse velocemente i vestiti e sprofondò nel letto. Aveva preso sonno da un paio d’ore quando qualcosa la svegliò. L’orologio digitale sul comodino segnava le due e un quarto. Attorcigliò nervosamente le mani tra le lenzuola, come per silenziare il respiro e rimase ad ascoltare anche il più piccolo rumore. A parte il delicato ronfare dei cani, accucciati sullo scendiletto, regnava il silenzio. Era inquieta, ma disse a sé stessa che era da stupidi avere paura. Nonostante ciò, le tremava la mano mentre cercava l’interruttore dell’abat-jour sul comodino. Il fascio di luce che illuminò il cuscino le fece socchiudere gli occhi, ma lasciò il resto della stanza nell’oscurità più inquietante.

    Si tirò su, inspirò profondamente fino ad avere un brivido e, con le mani, si sfregò le braccia. Era fredda, appiccicaticcia ed aveva la pelle d’oca. Le si drizzarono i peli sul collo come se una mano invisibile l’avesse toccata.

    Non si udiva nessun rumore, non si sentiva nemmeno lo zampettare dei topolini che popolavano le intercapedini tra le travi e il tetto. Eppure, qualcosa l’aveva svegliata. Aveva i brividi e, mordendosi il labbro inferiore, lanciò uno sguardo ad Ensay e Rhona. Che strano, erano le prime ad allertarsi al minimo rumore, ma sembravano tranquille.

    Sbuffò, e con fare stanco si strofinò la fronte. Era stato un sogno, forse? Non ne era per nulla convinta e aveva lo strano presentimento che qualcosa stesse per accadere.

    Non riuscendo a riprendere sonno, si tolse la coperta di dosso. Si portò sul bordo del letto e si avvicinò alla finestra. Spostò leggermente la tenda e scrutò nella penombra. Una figura spettrale si aggirava per il cortile. Richiuse immediatamente la tenda mentre veniva assalita da una paura folle. Per una volta, avrebbe voluto che la casa non fosse così isolata e che i suoi nonni avessero fatto installare un telefono. Ma così non era e, anche se ne avesse avuto uno, la polizia avrebbe impiegato quasi un’ora per arrivare da lei.

    Tentò di ignorare gli scricchiolii e i rumori di assestamento della vecchia abitazione, ma quegli strani rumori riuscivano solo ad innervosirla ancora di più. Scrollò il capo nel tentativo di riattivare il cervello ancora annebbiato dal sonno e cercò una spiegazione plausibile.

    Era la sagoma di qualcuno o era l’ombra creata dalle nuvole che passavano davanti alla luna? Si armò di coraggio e riaprì di nuovo la tenda. Si sentì sollevata nel non vedere nessuno. Con il cuore che continuava a batterle all’impazzata, indossò una vestaglia di ciniglia verde e si strinse la cintura alla vita, per poi scendere di soppiatto giù per le scale.

    La porta era chiusa a chiave e col chiavistello.

    Ancora turbata, si diresse con passo felpato verso la cucina, sussultando ad ogni cigolio proveniente dalle assi del pavimento. Si fece una cioccolata e, mentre procedeva a piccoli passi verso la vecchia sedia a dondolo di rovere accanto all’Aga, si accorse che le tremava la mano. Incrociò le gambe per riscaldarsi i piedi, lasciò che il vapore proveniente dalla tazza le scaldasse il viso e ripensò a quello che aveva visto.

    Era stato il frutto della sua fervida immaginazione? Vivere in città l’aveva resa così fragile da farla sobbalzare ad ogni minimo rumore? Aveva paura persino del pavimento, santo cielo. In città, la notte si sentiva solo il rumore del traffico e le sirene delle ambulanze, mentre nel glen a rompere il silenzio erano unicamente il guaire occasionale delle volpi e il bubbolio dei gufi.

    Poche persone si spingevano fin là di giorno, e le possibilità che qualcuno vi andasse durante le prime luci dell’alba erano scarse. Ne dedusse che non poteva essersi trattato di un uomo. Piuttosto, doveva essere stato un cervo che aveva attraversato il prato. La notte, capitava spesso che scendessero dalle colline per andare a bere nelle acque del loch.

    Anna mandò giù l’ultimo sorso di cioccolata, sciacquò la tazza e la mise a scolare. Cercando di trattenere uno sbadiglio, aprì le tendine di cotone e guardò fuori dalla finestra. Non si muoveva una foglia, neanche quelle dei rododendri che circondavano la proprietà. Si sistemò dietro l’orecchio una ciocca di capelli rossi finita fuori posto e, dopo aver dato una pacca affettuosa alle sue fedeli amiche, tornò a letto. Le ci volle del tempo per assopirsi e, quando finalmente crollò, sprofondò in un sonno agitato ed irrequieto.

    Si svegliò il mattino seguente poco dopo le otto. Indossati i soliti jeans consumati, camicia a quadri e golfino di Aran color noce moscata, scese giù per la stretta scala di legno ed andò in cucina.

    Dopo aver fatto colazione, lasciò i cani a giocare sul prato e andò a recuperare la prima delle due valigie dal sedile posteriore della Land Rover. Per metà del tragitto la portò a mano, poi la trascinò fin dentro casa.

    Mentre stava per prendere la seconda valigia, si accorse di una barca ormeggiata nella baia. Strano, era ancora presto per la stagione turistica. Strizzò gli occhi per cercare di capire di che dimensioni fosse. Non era solo una barca, era uno yacht. Era forse una bandiera americana quella che sventolava nella brezza?

    Pochi intrepidi decidevano di avventurarsi all’interno del loch. Il canale era stretto, insidioso e costeggiato da pareti rocciose a strapiombo con scarse possibilità di attracco. Se a bordo stavano cercando una doccia calda e del cibo, erano fuori rotta. Piuttosto avrebbero dovuto dirigersi ad ovest, verso l’isola di Skye.

    Due ore dopo, stanca, ansimante e con una gran sete, finì di spacchettare la sua roba e si concesse una soda fresca. Si sedette al tavolo e riprese la lettera dello studio legale che era rimasta lì dove l’aveva lasciata. Sebbene fosse piuttosto normale ricevere offerte d’acquisto dopo la morte dei proprietari, non riusciva a capire come mai qualcuno volesse acquistare un piccolo e scomodo podere come quello.

    L’offerta per Tigh na Cladach superava il reale valore di mercato. Di certo sarebbe bastata per un deposito per un appartamentino ad Edimburgo, ma non riusciva a comprendere il motivo per cui qualcuno volesse spendere così tanto per uno sterile pezzo di terra e un cottage fatiscente.

    Il croft apparteneva alla sua famiglia da generazioni e lei non aveva nessuna intenzione di venderlo. Accese il portatile e abbozzò una risposta che potesse essere consona. La sua concentrazione venne meno quando i due Collie iniziarono ad abbaiare con insistenza. Distolse lo sguardo dallo schermo e guardò fuori. Scorse un uomo alto dai capelli scuri che, dalla spiaggia, si avvicinava tenendo un braccio sollevato e, con l’altro, tentava di domare le due scatenate ed esuberanti bestiole.

    Cielo, esclamò Anna. Spalancò la porta e chiamò. Ensay! Rhona! Qui!

    All’istante, i due animali abbandonarono le caviglie dello sconosciuto e si fiondarono verso la padrona. Anna si fermò sull’uscio di casa mentre quella sagoma avanzava con passo spedito attraverso il prato. Fisicamente era ben messo e procedeva sul selciato a passi lunghi e decisi. I capelli nero corvino mettevano in risalto delle tempie brizzolate; per i suoi gusti, aveva i capelli un po’ lunghi per un uomo che doveva essere sulla quarantina, ma gli donavano.

    Si fermò a meno di mezzo metro dalla porta, abbastanza vicino da poterne sentire la fragranza agrumata della sua acqua di colonia. Ora che poteva guardarlo da vicino, notò le rughe d’espressione attorno agli occhi e alla bocca che ne mitigavano l’espressione. Indossava una maglietta che metteva in risalto un fisico asciutto. Una vecchia cicatrice gli segnava la guancia destra ed Anna pensò che gli desse una gradevole aria da duro. Lui la guardò, con i suoi occhi scuri, le fece un sorriso ammaliante e, per qualche strana ragione, il cuore le iniziò a battere all’impazzata.

    Era bastato uno sguardo per capire che si era messa nei guai.

    Hey. So di essere un intruso, ma potresti dire ai tuoi cani di non ridurmi la gamba in brandelli?

    Anna si irrigidì. Sono cani da guardia. Fanno solo il loro dovere, disse stizzita. Ensay e Rhona si sedettero al suo segnale ma rimasero a fissare lo sconosciuto.

    Mi spiace di essermi introdotto così. Ho un guasto al motore e non c’è segnale, disse lui mostrandole il cellulare.

    Il motivo è che non ci sono ripetitori.

    Posso usare il telefono? Devo chiamare la rimessa più vicina per chiedere aiuto.

    Non ho un telefono.

    Lui si portò una mano alla nuca. Non dormo da ventiquattro ore e sono distrutto. Sandpiper, il mio yacht, ha avuto un problema subito dopo essere salpato da Stornaway. Quando si rese conto di ciò che gli aveva detto un istante prima, si bloccò. Ho capito bene? Non hai un telefono?

    No, purtroppo non posso aiutarla. Le consiglio di issare l’ancora, tornare indietro e puntare verso ovest, una volta fuori dal loch.

    Forse avrei dovuto presentarmi. Mi chiamo Luke Tallantyre, sono di Cape Cod, Massachusetts. Gli porse la mano. Lei non ricambiò.

    Anna, Anna MacDonald. Approdano spesso yacht in questo periodo. A quanto pare questo posto viene scambiato per una sorta di ostello. Non lo è, ed io non ho un telefono.

    E quindi dove posso prendere una navetta che mi porti in città? disse continuando a fissarla. Oh, no. Adesso mi dirai anche che non ci sono neanche autobus?

    Anna annuì e la luce del sole le illuminò i capelli rossi. Esatto. Benvenuto a Loch Hourn, conosciuto anche come loch infernale.

    Il nome calza a pennello, mormorò Luke. Che razza di posto è un luogo senza telefono né mezzi di trasporto?

    E se le dicessi che ci troviamo in una delle vallate più remote delle Highlands? Quassù, anche un uomo con un cane è considerato un assembramento. Prima che lei me lo chieda, non esistono nemmeno negozi, a parte la signora McCloud in paese che, però, apre solo a giorni alterni. Il furgone del macellaio passa ogni giovedì pomeriggio e il servizio di biblioteca è fruibile una volta al mese. Credo che sia abbastanza da queste parti. Ah, dimenticavo. C’è anche la filiale della banca itinerante, ma passa ogni quindici giorni. La scuola ha chiuso l’anno scorso. Ma è fortunato…c’è un hotel e, lì, può trovare un telefono.

    Dio esiste, dopotutto.

    Per sua sfortuna, si trova ad una ventina di chilometri, in quella direzione. Rispose puntando il dito verso un luogo imprecisato.

    Luke contrasse l’espressione del volto. Come ci arrivo? A piedi?

    "Beh, potrebbe, ma potrebbe piovere, o magari no. Non si può mai sapere. Il glen ha il suo ecosistema per via delle montagne e delle strettoie che si formano a valle o qualcosa del genere. Non mi è ben chiaro il meccanismo —" Le parole iniziarono a soffocarsi lentamente. Sentì che stava arrossendo. Cosa diamine stava dicendo? Quel tipo non aveva bisogno di una lezione di scienze, tantomeno da lei, ma era così attraente che, ogni volta che la guardava con quegli occhi scuri da paura, perdeva l’uso della parola.

    Di distrazioni come questa poteva farne a meno, soprattutto dopo aver visto finire in maniera disastrosa la sua storia precedente. Tuttavia, il modo in cui la guardava la faceva sentire piacevolmente a disagio.

    Suppongo di doverle offrire un passaggio.

    Non è necessario. Sei stata abbastanza gentile. Andrò a piedi.

    Potrebbe seguire il mio suggerimento ed andare a Skye o Fort William, dove troverà rimesse e tutto il necessario per le barche oltre che per l’equipaggio.

    Rimesse che avrei potuto contattare se avessi avuto un telefono. Ancora grazie. Disse voltandosi per andar via.

    Anna si poggiò prima su un piede e poi sull’altro. Solitamente era una persona disponibile, ma c’era qualcosa nei suoi modi che la induceva a restare sulla difensiva.

    Aspetti!

    Lui si fermò a metà strada e si voltò. I cani erano lì che osservavano, prima lui e poi la loro padrona, come se aspettassero di sapere cosa fare con quello sconosciuto che aveva invaso il loro territorio.

    Capitolo Due

    Le do un passaggio, propose, con uno slancio improvviso. Mentre fa la chiamata, io passo da un’amica. Serve altro dalla barca? In tal caso, potrebbe essere di ritorno nell’arco di venti minuti?

    Sul volto di Luke si impresse una smorfia. Sì signora.

    Prima che lei potesse dire qualcos’altro, lui era già di spalle che camminava verso il tender gonfiabile. Mentre lui si allontanava da riva, lei rimase ad osservarlo, quasi certa di non aver preso la decisione giusta. Ma qualcosa le diceva che Luke era abituato ad ottenere ciò che voleva. Tirò un sospiro. L’e-mail di risposta allo studio legale avrebbe dovuto aspettare, pensò mentre spegneva il portatile.

    Si sistemò velocemente i capelli e prese le chiavi dell’auto dal tavolo dell’ingresso. Dovette fare diversi tentativi prima che la sua vecchia ed asmatica Land Rover si mettesse in moto, e molti di più prima di riuscire ad ingranare la retromarcia. Il tempo di fare manovra e Luke era già lì con uno zainetto di tela lasciato a terra che la stava aspettando appoggiato al muro. Nell’aprirgli lo sportello, le cerniere arrugginite cigolarono in segno di protesta.

    Prima che Luke potesse poggiare le natiche sulla pelle logora del sedile, i due cani lo strattonarono e balzarono in macchina. Lei aspettò che si agganciasse la cintura di sicurezza prima di togliere il freno a mano e partire. Né lei né i cani sembravano notare la quasi totale assenza di sospensioni mentre la vettura sobbalzava ad ogni buca. Imboccarono una stradina ripida a senso unico dove a stento vi passava una macchina.

    Luke si schiarì la voce con un colpetto di tosse. La compagnia telefonica ha deciso di chiudere bottega? È per questo che stiamo provando a battere il record di velocità?

    Anna si girò di scatto. Chiudere? No, perché dovrebbe? È un telefono pubblico. E comunque, non mi guardi in quel modo. Non superiamo i cinquanta all’ora, questo non è correre.

    Cinquanta, eh? rispose sgranando gli occhi alla vista di un muretto che per poco non carteggiava la

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