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Storia dell’Arte e del Territorio per gli istituti superiori della provincia di Pistoia
Storia dell’Arte e del Territorio per gli istituti superiori della provincia di Pistoia
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Storia dell’Arte e del Territorio per gli istituti superiori della provincia di Pistoia

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Il manuale è espressamente rivolto agli alunni degli istituti superiori della provincia di Pistoia. Per rimarcare il rapporto col territorio, in una prospettiva di riappropriazione e di rilancio turistico, che non vuol essere campanilismo autoreferenziale, si presentano vari confronti tra la produzione artistica locale e quella nazionale e internazionale. Confronti che non sempre relegano la provincia in posizione di subalternità o marginalità, anzi talvolta rivelano la vitalità della provincia, in grado di offrire un contributo originale alla storia dell'arte, dialogando con i centri maggiori. La narrazione della storia dell'arte è strutturata per moduli, secondo una scansione logica e cronologica che tiene conto della programmazione didattica.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateJun 23, 2020
ISBN9788831678728
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    Storia dell’Arte e del Territorio per gli istituti superiori della provincia di Pistoia - Marco di Mauro

    Tavola dei Contenuti (TOC)

    L’ARTE PREISTORICA

    LE CIVILTÀ MESOPOTAMICHE

    LA COLLEZIONE MESOPOTAMICA DEL MUSEO ARCHEOLOGICO DI FIRENZE

    LA CIVILTÀ DEI FENICI

    LA CIVILTÀ EGIZIA

    Periodo proto-dinastico

    Antico Regno

    Medio Regno

    Nuovo Regno

    III periodo intermedio

    Periodo greco e tolemaico

    LA CIVILTÀ CICLADICA

    LA CIVILTÀ MINOICA O CRETESE

    LA CIVILTÀ MICENEA O ACHEA

    L’ARTE GRECA

    La pittura

    La scultura: dallo stile dedalico all’arcaismo

    Lo stile severo

    Il primo classicismo

    L’acropoli di Atene

    Il classicismo maturo

    Lo stile ellenistico

    Schema cronologico

    L’ARTE ETRUSCA

    ARTE ROMANA

    La scultura

    La pittura

    L’architettura e l’urbanistica

    Il ritratto

    Le tecniche costruttive

    L'ARTE TARDO-ROMANA

    CRONOLOGIA DELL'ARTE BIZANTINA A RAVENNA

    L’ARTE PALEOCRISTIANA E BIZANTINA

    Pittura, scultura e mosaico

    L’architettura

    L’ARTE BARBARICA

    LA RINASCENZA CAROLINGIA

    L’ARTE ROMANICA

    L'ARCHITETTURA ROMANICA IN EUROPA

    L’ARCHITETTURA GOTICA

    LE CATTEDRALI GOTICHE IN FRANCIA

    LE CATTEDRALI GOTICHE IN ITALIA

    LA SCULTURA GOTICA IN EUROPA

    LA SCULTURA GOTICA IN ITALIA

    LA PITTURA GOTICA IN EUROPA

    IL CANTIERE DI ASSISI E IL RINNOVAMENTO DELLA PITTURA

    LA SCUOLA ROMANA

    LA SCUOLA FIORENTINA

    GIOTTO DI BONDONE

    I GIOTTESCHI

    DUCCIO DI BUONINSEGNA

    SIMONE MARTINI

    PIETRO ED AMBROGIO LORENZETTI

    IL GOTICO CORTESE

    IL RINASCIMENTO

    IL CONCORSO PER LA PORTA NORD

    JACOPO DELLA QUERCIA

    FILIPPO BRUNELLESCHI

    DONATELLO

    MASACCIO E MASOLINO

    FILIPPO LIPPI

    L’ARTE BORGOGNONA E FIAMMINGA

    LEON BATTISTA ALBERTI

    BEATO ANGELICO

    PAOLO UCCELLO

    ANDREA DEL CASTAGNO

    LUCE DELLA ROBBIA

    DOMENICO VENEZIANO

    PIERO DELLA FRANCESCA

    ANDREA DEL VERROCCHIO

    ANTONIO DEL POLLAIOLO

    LUCA SIGNORELLI

    PERUGINO

    DOMENICO DEL GHIRLANDAIO

    SANDRO BOTTICELLI

    IL PALAZZO DUCALE DI URBINO

    GIULIANO DA SANGALLO

    IL RINASCIMENTO A PADOVA

    IL RINASCIMENTO A VENEZIA

    Giovanni Bellini

    Antonello da Messina

    Vittore Carpaccio

    Giorgione

    Tiziano

    Lorenzo Lotto

    Tintoretto

    El Greco

    IL RINASCIMENTO A MILANO

    IL RINASCIMENTO DA FERRARA A BOLOGNA

    BRAMANTE

    LEONARDO DA VINCI

    MICHELANGELO

    RAFFAELLO

    HIERONYMUS BOSCH

    ALBRECHT DÜRER

    IL MANIERISMO FIORENTINO

    IL MANIERISMO EMILIANO

    L’ARCHITETTURA MANIERISTA

    LA SCULTURA MANIERISTA

    L’ARTE DELLA CONTRORIFORMA

    ANDREA PALLADIO

    PAOLO VERONESE

    IL CLASSICISMO DEI CARRACCI

    IL NATURALISMO DI CARAVAGGIO

    LA PITTURA NATURALISTA A NAPOLI

    LAPITTURA CLASSICISTA A BOLOGNA

    IL BAROCCO

    IL BAROCCO IN PITTURA

    IL BAROCCO IN ARCHITETTURA

    IL BAROCCO IN SCULTURA

    GLI SVILUPPI DELL’ARCHITETTURA BAROCCA : GUARINI E JUVARRA

    LA PITTURA DEL ’600 IN EUROPA

    LA PITTURA DEL PRIMO ’700 : TARDO-BAROCCO, REALISMO E ROCOCÒ

    LA PITTURA NEOCLASSICA

    Jacques-Louis David

    Jean-Auguste-Dominique Ingres

    LA PITTURA NEOCLASSICA IN ITALIA

    LA SCULTURA NEOCLASSICA

    ARCHITETTI RIVOLUZIONARI E ARCHITETTI ILLUMINISTI

    L’ARCHITETTURA NEOCLASSICA IN ITALIA E IN EUROPA

    IL ROMANTICISMO

    Théodore Géricault

    Eugene Delacroix

    Francisco Goya

    Caspar David Friedrich

    Francesco Hayez

    La pittura di paesaggio

    NAZARENI, PURISTI E PRERAFFAELLITI

    ESPOSIZIONI UNIVERSALI ed ESPOSIZIONI NAZIONALI

    ARCHITETTI D’AVANGUARDIA DEL XIX SECOLO

    IL REALISMO IN FRANCIA

    I MACCHIAIOLI E LA SCUOLA DI RESINA

    LA SCAPIGLIATURA

    IL SIMBOLISMO

    L’IMPRESSIONISMO

    IL SINTETISMO

    IL PUNTINISMO

    IL DIVISIONISMO

    IL POST-IMPRESSIONISMO

    James Ensor

    Edvard Munch

    Vincent Van Gogh

    Henri de Toulouse-Lautrec

    L’ESPRESSIONISMO

    LO STILE LIBERTY O ART NOUVEAU

    GUSTAV KLIMT E LA SECESSIONE VIENNESE

    L'ART DÉCO

    IL MOVIMENTO MODERNO

    L’ARCHITETTURA RAZIONALISTA IN ITALIA

    IL CUBISMO

    PICASSO OLTRE IL CUBISMO

    IL CUBISMO ORFICO

    IL FUTURISMO

    LE AVANGUARDIE RUSSE

    IL DADAISMO

    IL NEOPLASTICISMO

    LA METAFISICA

    IL SURREALISMO

    LA NUOVA OGGETTIVITÀ

    CORRENTI REALISTE TRA LE DUE GUERRE

    L'ARTE ITALIANA TRA LE DUE GUERRE

    LE PRINCIPALI CORRENTI ARTISTICHE DEL SECONDO ’900

    L’Informale o action painting

    Color field painting

    I maestri della scultura moderna

    Lo Spazialismo

    La pop-art

    L’arte concettuale

    L'arte povera

    L’arte minimale

    Fluxus

    La land art

    La body art

    Dal gruppo BMPT alla Pittura analitica

    L’arte tedesca del secondo ’900

    Il Postmodernismo e la Transavanguardia

    La street art

    Young British Artists

    Appendice

    Note

    Marco di Mauro

    Storia dell’Arte e del Territorio

    per gli istituti superiori della provincia di Pistoia

    TITOLO | Storia dell’Arte e del Territorio per gli istituti superiori della provincia di Pistoia

    AUTORE | Marco di Mauro

    ISBN | 9788831678728

    Prima edizione digitale: 2020

    © Tutti i diritti riservati all'Autore.

    Questa opera è pubblicata direttamente dall'autore tramite la piattaforma di selfpublishing Youcanprint e l'autore detiene ogni diritto della stessa in maniera esclusiva. Nessuna parte di questo libro può essere pertanto riprodotta senza il preventivo assenso dell'autore.

    Youcanprint Self-Publishing

    Via Marco Biagi 6, 73100 Lecce

    www.youcanprint.it

    info@youcanprint.it

    Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata costituisce violazione dei diritti dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla legge 633/1941.

    Questo manuale nasce dalla personale esperienza d’insegnamento a Pistoia e in Valdinievole, dal 2014 al 2020, ed è espressamente rivolto agli alunni degli istituti superiori della provincia di Pistoia. Per rimarcare il rapporto col territorio, in una prospettiva di riappropriazione e di rilancio turistico, che non vuol essere campanilismo autoreferenziale, si presentano vari confronti tra la produzione artistica locale e quella nazionale e internazionale. Confronti che non sempre relegano la provincia in posizione di subalternità o marginalità, anzi talvolta rivelano la vitalità della provincia, in grado di offrire un contributo originale alla storia dell’arte, dialogando con i centri maggiori. Penso, in particolare, alle superbe ville barocche che costellano le province di Pistoia e Lucca, in cui si manifesta l’estro di architetti del calibro di Bernini, Ferri e Juvarra. Penso all’intensa attività dei Macchiaioli in Valdinievole e nella villa La Falconiera, alle porte di Pistoia. Penso ancora alle sculture pistoiesi di Andrea Lippi o alle xilografie pesciatine di Lorenzo Viani, che istituiscono un dialogo puntuale con l’Espressionismo tedesco; o alle limpide architetture di Giovanni Michelucci, che ha introdotto il verbo del Movimento Moderno nelle più remote province toscane.

    Marco di Mauro

    L’ARTE PREISTORICA

    La parola preistoria indica il periodo che precede l’invenzione della scrittura. Le opere d’arte preistorica, diffuse in ogni continente, non sono mai realizzate per fini decorativi, ma hanno una funzione magico – propiziatoria. Infatti tendono a rappresentare la realtà per modificarla, auspicando il bene e scongiurando il male. Le testimonianze preistoriche, tuttavia, si possono considerare opere d’arte perché manifestano una ricerca formale e una chiara intenzione comunicativa.

    cronologia_preistoriae

    Le pitture rupestri del Paleolitico hanno come tema dominante la raffigurazione degli animali. In un’era in cui il sostentamento dell’uomo è basato sulla caccia, la rappresentazione realistica dell’animale allude al suo possesso tramite la cattura. L’artista-mago esercita le sue facoltà propiziatorie per favorire la morte dell’animale cacciato. Gli animali più raffigurati, infatti, sono i più difficili da combattere, come il mammut o il bisonte, per i quali si riteneva necessaria una pratica magica. Invece un animale come la renna, che non aggredisce l’uomo ed è facile da catturare, compare di rado nelle pitture rupestri.

    Le più antiche pitture rupestri, risalenti ad oltre 50.000 anni fa, sono state scoperte nella grotta di Leang Tedongnge in Indonesia. L’artista-mago vi ha dipinto quattro cinghiali in ocra rossa, descrivendo con accuratezza il pelo ispido e le protuberanze sul volto.

    In Europa la pittura rupestre compare più tardi, nelle grotte dell’Ardèche, di Lascaux e di Altamira. Le pitture della grotta Chauvet, nella regione francese dell’Ardèche, si datano tra il 34.000 e il 30.000 a.C. Vi sono raffigurati bisonti, mammut e rinoceronti che si accalcano con eccezionale dinamismo. Gran parte degli animali sono incompleti, o solo abbozzati, ma sono descritti realisticamente e sono dotati di una notevole resa plastica. I colori sono applicati direttamente sulla pietra calcarea, che grazie all’umidità della grotta ha trattenuto i pigmenti. Tuttavia, per assenza o carenza di leganti, gran parte del colore è caduta, lasciando solo i contorni delle figure.

    Intorno al 17.000 a.C. si datano, invece, le pitture della grotta di Lascaux, nella Francia sud-occidentale, scoperte da uno studente durante la Seconda Guerra Mondiale. Vi sono raffigurati diversi animali, quali bisonti, tori e orsi, in cui si ravvisa un’eccezionale ricerca di plasticità e di naturalismo. Più rara è la figura umana, che si presenta in forme stilizzate. L’utilizzo di grassi animali come legante ha permesso la buona conservazione dei colori.

    I medesimi caratteri si riscontrano nelle pitture della grotta di Altamira, nella Spagna nord-orientale, scoperte nel 1879 da un archeologo dilettante. Le pitture della volta, che si datano intorno al 15.000 a.C., raffigurano un branco di bisonti nelle loro proporzioni reali: alcuni raspano il terreno, altri sono accovacciati, altri cadono abbattuti da lance. Le figure acquistano profondità e rilievo grazie al colore, al chiaroscuro e all’uso sapiente delle protuberanze della rupe. Nelle visioni di scorcio, si avverte persino una ricerca prospettica, attuata in modo intuitivo.

    Per eseguire queste pitture, fu necessario illuminare le pareti delle grotte, realizzando impalcature per le parti più alte. Il colore si stendeva sfregando la pietra sulla superficie, oppure macinando la pietra e applicandola con le dita o con rudimentali pennelli. Si usavano colori naturali: il bianco ricavato dalla pietra calcarea, il nero dal carbone, l’ocra dalla terra, altri colori da succhi d’erba.

    Un’altra tipologia di pittura rupestre è costituita dalle impronte di mani, stampate in positivo o in negativo, usando le proprie mani come matrice. Il significato di queste pitture, ritrovate in ogni continente, è simbolico: nel Paleolitico, la mano può indicare la cattura dell’animale, mentre nel Neolitico può indicare il possesso della caverna.

    Le più antiche impronte di mani, associate al tema della caccia, sono quelle ritrovate nella grotta di Leang Tedongnge e nella grotta Chauvet.

    Nel campo della scultura, le prime testimonianze sono le "veneri" paleolitiche, piccole statue che rappresentano la donna come generatrice di vita. L’esemplare più famoso è la Venere di Willendorf, custodita a Vienna nel Museo di Storia Naturale, che si data tra il 24.000 e il 22.000 a.C. In quanto simbolo di maternità e fecondità, la figura appare nuda con accentuazione degli attributi femminili (seno, ventre e glutei). Le veneri paleolitiche, che compaiono in Germania nel 40.000 a.C. e si diffondono in tutta Europa, erano indossate come amuleti o depositate presso i santuari, che spesso erano sorgenti d’acqua. Dopo l’invenzione dell’agricoltura, nasce l’uso di seppellire le veneri nei campi per propiziare un buon raccolto.

    Intorno al 10.000 a.C., a partire dalla Mesopotamia, l’uomo impara a coltivare la terra e addomesticare gli animali, sia per usi alimentari che per usi agricoli (aratura, semina etc.). Non più costretto a vagare in cerca del cibo, l’uomo da nomade diventa sedentario e sviluppa un nuovo stile di vita. Invece di rappresentare l’animale per propiziarne la cattura, tende a esprimere scene agricole, scene di guerra, o concetti astratti come il bene e il male. Superato il bisogno di simulare la realtà, l’arte del Mesolitico stilizza la natura, fino ad evolversi in una completa astrazione.

    Conseguente all’invenzione dell’agricoltura è la produzione di recipienti di terracotta, poiché la ricchezza, in una società agricola, è data non solo dalla prole, ma anche dai beni accumulati. Si modella l’argilla umida solo con le mani, senza l’uso del tornio. Alcuni recipienti in terracotta presentano decorazioni geometriche, che probabilmente hanno un valore simbolico.

    Al Mesolitico risale il più antico villaggio che si conosca: Çatal Hüyük in Turchia. Il villaggio è composto da case addossate le une alle altre, senza strade. L’accesso avveniva tramite una botola nel soffitto, in cui era inserita una scala a pioli. I muri delle case erano in mattoni d’argilla cruda, mentre i soffitti, verosimilmente, erano composti da travi di legno e canniccio, coperti da un intonaco a base di gesso. Il villaggio fu costruito dal popolo degli Hatti intorno al 7400 a.C.

    Durante il Neolitico, alle pitture rupestri subentrano i graffiti, sempre più stilizzati, di cui abbiamo numerosi esempi in Valcamonica nelle Alpi. I graffiti più antichi, i cosiddetti ‘oranti’, raffigurano uomini in preghiera a braccia alzate. I graffiti più recenti rappresentano scene di guerra e sono incisi sulla roccia con la ‘martellina’, nuovo strumento in ferro. Il ferro prese il sopravvento sul bronzo quando cessarono le importazioni di stagno dall’Inghilterra (il bronzo è una lega di stagno e rame).

    All’età del rame risalgono le prime costruzioni megalitiche (da mega, grande e lithos, pietra), diffuse specialmente in Europa. I megaliti si dividono in tre gruppi:

    1) i menhir, che in bretone significa pietra lunga, sono blocchi di pietra infissi nel terreno in posizione verticale; essi indicavano una sepoltura individuale e, probabilmente, avevano anche un significato religioso. A volte riproducevano le sembianze umane, come le statue-menhir di Pontevecchio in Lunigiana.

    2) i dolmen, che in bretone significa tavola di pietra, sono costituiti da due pietre verticali, su cui poggia una lastra orizzontale; essi indicavano una sepoltura collettiva. È la prima idea di architettura basata sul sistema trilitico, dove due elementi verticali (piedritti) ne sostengono uno orizzontale (architrave).

    3) i cromlech, che in bretone significa pietre in circolo, sono composti da file di menhir e dolmen disposti in circolo intorno a un altare. I cromlech erano luoghi di culto, ma anche calendari solari, che permettevano di individuare le stagioni e, quindi, i momenti delle colture e delle transumanze.

    Il cromlech più antico sorge a Nabta Playa, in Egitto, e si data al 4.000 a.C., ma il più famoso è quello di Stonehenge, in Inghilterra, che fu costruito in più fasi dal 3.000 al 1.600 a.C. Il cromlech si articola in 5 cerchi concentrici intorno a un altare: il cerchio più esterno, del diametro di 100 metri, è composto da un fossato e da un terrapieno. I 4 cerchi interni sono composti da pietre infisse nel terreno, allineate a distanza regolare. Di fronte all’altare, ma all’esterno del perimetro del santuario, è posto un altro megalito che indica il punto in cui sorge il sole nel giorno del solstizio d’estate. Probabilmente, il cromlech serviva per il culto del sole, considerato fonte di vita poiché regolava la vita dell’uomo e l’alternarsi delle stagioni.

    In Italia abbiamo un altro tipo di costruzioni megalitiche: i nuraghi sardi, case-fortezza di forma tronco-conica, che si datano tra il 1800 e il 1000 a.C. La forma è originata dalla tecnica di costruzione, che prevede solide fondazioni con massi squadrati e sovrapposti a secco, senza leganti, e tenuti insieme dal loro stesso peso. Man mano che il costruttore procedeva in altezza – forse utilizzando terrapieni inclinati, leve e tronchi sui quali far scivolare i massi – riduceva la dimensione dei massi.

    L’interno del nuraghe è composto da una o due camere circolari sovrapposte, dotate di copertura a tholos, ovvero di falsa cupola costituita da circoli di pietre sempre più aggettanti. Nello spessore delle mura è ricavata una scala elicoidale, che consente di accedere alle camere e alla terrazza sommitale, munita di parapetto. La scala è illuminata nel percorso ascendente da feritoie.

    Alla civiltà nuragica si devono, inoltre, le più antiche statue monumentali a tutto tondo ritrovate in Occidente: sono i Giganti di Mont’e Prama, statue di guerrieri in arenaria alte più di 2 metri e datate intorno al 1.000 a.C. Le statue, conservate nel Museo Archeologico di Cagliari, provengono da una necropoli nella penisola del Sinis, sede di commerci con i popoli orientali. Si ritiene che i Giganti abbiano ispirato la piccola statuaria in bronzo, i cosiddetti bronzetti nuragici, che sono stati ritrovati in numerosi siti della Sardegna.

    I bronzetti sono statue miniaturistiche con funzione di ex voto, che rappresentano i più vari soggetti: principi, guerrieri, divinità, animali domestici, oppure oggetti d’uso comune come i carri e le navi. La cospicua presenza di navi testimonia la dimestichezza degli antichi sardi con il mare, che può giustificare le relazioni culturali con i popoli del Mar Egeo.

    In Toscana, tra le testimonianze preistoriche più rilevanti abbiamo le incisioni delle Alpi Apuane, realizzate dai Liguri nella tarda età del bronzo. Le incisioni, che si concentrano nella Sella dell’Anguillara e sul Monte Gabberi, raffigurano uno strumento molto diffuso tra i Liguri: il cosiddetto 'pennato', costituito da una breve impugnatura e una lunga lama che si curva all’estremità. Il pennato, oltre ad essere un’arma e uno strumento di lavoro, è associato a Silvano, il dio delle selve e la sua rappresentazione può essere legata a riti sacri. Inoltre, dato che talvolta il pennato si affianca a simboli sessuali femminili, si pensa che fosse un simbolo fallico e che alludesse alla fecondità della terra.

    Sulle Alpi Apuane, precisamente sul Monte Freddone, abbiamo anche un esemplare di dolmen. È stato osservato che durante l’equinozio, ovvero quando il sole è allo zenit dell’equatore, la luce penetra esattamente all’interno del dolmen.

    Ai confini meridionali della Toscana, invece, abbiamo un cromlech composto da dieci megaliti in circolo. Il monumento, datato al 2500-2300 a.C., è ubicato a Poggio Rota nel comune di Pitigliano. Sembra che, in occasione di ogni solstizio e ogni equinozio, il sole al tramonto illuminasse la vetta di un determinato megalito.

    LE CIVILTÀ MESOPOTAMICHE

    Nella regione compresa tra i fiumi Tigri ed Eufrate – detta Mesopotomia dal greco mésos, ‘in mezzo’, e potamòs, ‘fiume’ – si sono avvicendate 4 civiltà: sumerica, accadica, babilonese e assira.

    I Sumeri, venuti probabilmente dall’India, sono l’unico popolo non semitico stanziatosi in Mesopotamia. Essi occuparono la foce del Tigri e dell’Eufrate (attuale Iraq meridionale), dove svilupparono una civiltà pacifica e fondarono, verso il 3500 a.C., le prime città-stato indipendenti.

    I sumeri trasmisero alle civiltà successive le loro conoscenze astronomiche, la loro mitologia e la loro scrittura, che fu inventata per esigenze commerciali e amministrative. Il primo alfabeto, documentato ad Uruk nel 3500 a.C., si presenta in pittogrammi e ideogrammi incisi su tavolette di argilla. Più tardi, verso il 3000 a.C., compare la scrittura cuneiforme, che si compone di fonogrammi. Poiché la scrittura sumerica viene incisa nella terracotta e non dipinta su papiro come quella egizia, i segni grafici sono molto più elementari.

    il pittogramma è un disegno semplice, che indica l’oggetto raffigurato;

    l’ideogramma è un disegno semplice, che esprime un concetto.

    il fonogramma è un disegno semplice, che corrisponde a un suono (come le nostre lettere).

    La città sumerica è molto più di un villaggio: è un insediamento organizzato con strade, templi, un palazzo reale e una scuola (edubba), dove insegnavano la scrittura, la matematica, le scienze naturali e la musica. Al centro della città sumerica si innalza il tempio a ziqqurat, una costruzione a tre, cinque o sette piani digradanti che simula il monte sacro, metafora del cosmo con i corpi celesti allora visibili. Per raggiungere la cella, situata al vertice, il fedele compiva un faticoso cammino di elevazione, che lo distanziava fisicamente e idealmente dal mondo terreno.

    A differenza delle piramidi egizie, le ziqqurat mesopotamiche non erano costruite in pietra, ma in mattoni di argilla. I mattoni impiegati all’interno della ziqqurat erano essiccati al sole, mentre quelli impiegati nelle superfici esterne venivano cotti nei forni.

    Frontalmente, la ziqqurat era dotata di tre gradinate, di cui la centrale era riservata ai sacerdoti. Alla base delle gradinate vi era un avancorpo con ambienti destinati a magazzini di derrate alimentari.

    La ziqqurat più famosa è quella di Ur (la città del profeta Abramo), dedicata al dio della luna Nannar. Al vertice della ziqqurat sorgeva la cella del tempio, ovvero la casa del dio.

    A breve distanza dalla ziqqurat sorge il tempio di Dublamakh, cinto da una poderosa muraglia che poggia su un alto basamento in mattoni. Il prospetto principale reca il più antico arco della storia umana, eretto intorno al 2400 a.C., ma ricomposto mille anni più tardi. La costruzione dell’arco presuppone l’invenzione della céntina, che serve a sostenere i conci durante la messa in opera.

    Nella stessa città di Ur sorge un’impressionante tomba reale, costituita da un pozzo di nove metri per otto. Al suo interno si rinvennero i corpi del re, della regina e di tutta la corte: 74 soldati, dame e ancelle senza tracce di violenza, ma accompagnati ciascuno da una ciotola. Si è supposto che la ciotola contenesse il veleno col quale, nel corso di un macabro rituale funebre, l’intera corte si dovette suicidare. Le dame esibiscono acconciature elaborate ed abiti da cerimonia, con suppellettili e gioielli preziosi. Il corredo più ricco è, ovviamente, quello della regina Puabi (oggi a Philadelphia, University Museum), che indossava un prezioso diadema con foglie d’oro e un collare da cui pendevano decine di catene con gemme.

    La scultura sumerica annovera due tipologie: le statue a tutto tondo e i rilievi a fasce. Le statue a tutto tondo riproducono l’immagine tipizzata del fedele in adorazione perpetua, in posizione rigida, frontale, ma ben caratterizzata nella descrizione del volto. Gli occhi sono spalancati perché non guardano un oggetto ma lo spazio infinito. L’esemplare più noto è la statua di Ebih-Il, proveniente dall’antica città di Mari, oggi al museo del Louvre. La statua, scolpita in alabastro con lapislazzuli nelle orbite, presenta un’iscrizione sul retro, che lo identifica come il sovrintendente Ebih-Il e riporta una dedica alla dea Ishtar.

    I rilievi a fasce, che narravano scene di guerra e di vita quotidiana, si realizzavano facendo rotolare un sigillo cilindrico sull’argilla fresca. Il carattere deperibile dell’argilla non ha permesso la conservazione di questi manufatti. Analoghe scene, però, decorano lo Stendardo di Ur, una cassa di legno del 2700-2500 a.C., custodita a Londra nel British Museum. I primi studiosi pensarono che fosse uno stendardo da portare in processione, ma oggi si ritiene che fosse la cassa di uno strumento musicale. I pannelli di legno sono rivestiti di bitume, in cui sono inserite schegge di lapislazzuli (per il fondo) e di calcare rosso (per le figure).

    La fronte anteriore della cassa raffigura – su tre fasce sovrapposte, leggibili dal basso verso l’alto – la cavalleria, la fanteria e i nemici sconfitti in presenza del re, che ha dimensioni maggiori.

    La fronte posteriore raffigura un banchetto con musici e danzatori, in presenza dello stesso re, e una processione di contadini, artigiani e mercanti che portano doni.

    Nel 2350 il re di Umma aveva sottomesso le altre città sumeriche, creando un regno unico ma molto debole. Così, tra il 2300 e il 2200 a.C. il regno dei Sumeri fu sottomesso agli Àccadi, un popolo di ceppo semitico proveniente dall’attuale Siria. L’arte accadica deriva da quella sumerica, ma se ne distingue per vitalità, realismo e libertà di rappresentazione. Capolavoro della scultura accadica è la Stele di Naram-Sin, oggi al Louvre, che rappresenta il re vittorioso sui Lullubiti, un popolo che abitava sui monti Zagros. Gli Accadi sono raffigurati in marcia con le armi alzate, mentre i Lullubiti precipitano al suolo. Tutte le figure sono riprese in movimento, per coinvolgere attivamente lo spettatore. La narrazione si svolge in diagonale, superando il rigido schema dei rilievi a fasce sumerici. Per la prima volta nell’arte mesopotamica, l’occhio è rappresentato perfettamente di profilo, mostrandone la curvatura in profondità: è questo un carattere peculiare dell’arte accadica.

    Anche la figura di Naram Sin scolpita nella roccia a Darband-i-Gawr, nel Kurdistan iracheno, mostra la puntuale rappresentazione dell’occhio di profilo.

    Verso il 2000 a.C. il regno dei Sumeri, già in decadenza, fu invaso dai Babilonesi. Il regno babilonese ebbe due epoche di splendore: la prima intorno al 1800 a.C., quando il re Hammurabi emanò il primo codice di leggi scritte, composto da 282 articoli; e la seconda intorno al 600 a.C., quando Nabucodònosor II ordinò la distruzione di Gerusalemme e la dispersione del popolo ebraico. Alla morte di Nabucodònosor II, suo figlio Evil Merodach avviò la crisi babilonese, che culminò con la conquista persiana del 538 a.C.

    Capolavoro della prima fase è la stele in basalto con il codice di Hammurabi, oggi al Louvre. Nella parte superiore è scolpito a rilievo il re che riceve le leggi da Shimosh, dio del sole, che siede in trono. Il dio è raffigurato alla maniera egizia con la testa e le gambe di profilo, ma il busto di prospetto, per rendere la figura nella sua totalità. La foggia dell’abito e del copricapo rinvia alla ziqqurat, per sottolineare la sacralità della figura, mentre le strisce ondulate che fuoriescono dalle spalle alludono ai raggi del sole.

    La stele proviene da Susa, ma frammenti di stele analoghe sono stati rinvenuti in diverse città babilonesi. Evidentemente, si tratta di un’opera seriale finalizzata a divulgare le leggi.

    Capolavoro della seconda fase, invece, è la doppia cinta muraria di Babilonia, una vera metropoli abitata da genti diverse per etnia, lingua e religione. Vi si apriva la magnifica Porta di Ishtar, fondata nel 575 a.C. da Nabucodonosor II. La porta, munita di due torri anteriori e due posteriori, si apriva con arco a tutto sesto sulla via strada processionale che conduceva all’Etemenanki, la ziqqurat di Babilonia. La fronte esterna della Porta, oggi ricostruita al Pergamon Museum di Berlino, è tutta rivestita di mattoni smaltati e ornata da bassorilievi raffiguranti tori (simbolo di Adad, dio della pioggia), draghi (simbolo di Marduk, dio della creazione), leoni e rosette (simboli di Ishtar, dea della guerra e dell’amore). Il fondo blu, usato ancor oggi nelle moschee mediorientali come simbolo del divino, è dato dal lapislazzuli macinato.

    All’interno di Babilonia sorgevano i giardini pensili della regina Semiramide, una delle sette meraviglie del mondo antico; e la ziqqurat di Etemenanki, rivestita di mattoni smaltati come la Porta di Ishtar. La ziqqurat, descritta dallo storico greco Erodoto, era composta da sette gradoni collegati da una scala frontale rettilinea, di cui gli archeologi hanno rinvenuto le tracce. Essa è identificata con la mitica Torre di Babele, la cui leggenda nasce dal carattere multietnico della città.

    Tra la prima e la seconda fase del regno babilonese si colloca la dominazione degli Assiri, che occuparono la Mesopotamia dall’ 800 al 600 a.C., trasferendo la capitale a Nord, presso l’attuale Mossul. Gli Assiri, popolo bellicoso e spietato, edificarono grandiosi palazzi e robuste fortificazioni. Lo stato assiro era retto da un’aristocrazia guerriera che deteneva gran parte delle terre. La restante popolazione si divideva in contadini e artigiani, che conducevano una vita miserabile. La cultura dell’oppressione si rifletteva anche in famiglia, dove la donna era schiava del marito.

    La società assira ruotava intorno alla figura del re, servo del dio Assur e capo assoluto che governava su tutte le terre mediante i suoi funzionari. L’aspirazione dei re assiri era la creazione di una monarchia universale sotto l’egida del dio Assur. La guerra assumeva, quindi, una connotazione religiosa e chiunque si ribellasse veniva punito severamente per sacrilegio.

    Nella capitale Khorsabad gli Assiri edificarono il Palazzo di Sargon II, cinto da possenti mura turrite. Una solenne gradinata precede il portale, affiancato da due lamassù, statue di tori alati con testa umana, posti a guardia del re. I tori hanno cinque zampe, perché una delle zampe anteriori compare in due posizioni diverse: ritta nel prospetto frontale, in cammino nel prospetto laterale. L’interno del palazzo era ornato da rilievi con il re in azioni di guerra o di caccia, a testimonianza di un popolo bellicoso. Al Pergamon Museum di Berlino è stata ricostruita una delle sale interne, con le pareti dipinte di rosso, illuminate da fiaccole perché non avevano finestre.

    Il figlio di Sargon II, Sennacherib, salito al trono nel 705 a.C., trasferì la capitale da Khorsabad a Ninive, dove realizzò un palazzo reale con imponenti opere idrauliche. Dal palazzo proviene il rilievo in alabastro con L’assedio di Lachish, custodito al British Museum di Londra. Con realismo e ricchezza di particolari, vi è rappresentato l’abbattimento delle mura con sofisticate macchine da guerra. La scena è scandita da linee diagonali per accentuare il dinamismo e la concitazione dell’assedio.

    Nella stessa Ninive sorge il Palazzo di Assurbanipal, da cui proviene la Leonessa morente del British Museum di Londra. Capolavoro del realismo assiro, la Leonessa rappresenta sia la preda che il predatore, che malgrado le ferite, trova il coraggio di rialzarsi. È la metafora del guerriero assiro, che combatte fino alla morte per il dio della guerra Assur.

    Il British Museum conserva anche il rilievo in alabastro con Assurbanipal a caccia di leoni(645-635 a.C.). Il sovrano, che indossa soltanto una tunica, tende l’arco per scagliare una freccia, mentre due uomini finiscono la preda con le lance. L’incolumità del re, infatti, era assicurata da uomini armati di lancia che gli coprivano le spalle. L’artista ha reso accuratamente i ricami della tunica indossata dal sovrano, i pesanti monili, la corona, la fascia di rosette sulla tiara e l’elsa decorata del pugnale. Pregevoli sono i gioielli: l’orecchino con sette pendenti a forma di germogli e i due bracciali spiraliformi che fermavano le corte maniche della tunica. Il tipo di arco impugnato da Assurbanipal, con le teste di leone alle estremità, era usato esclusivamente dal re in alternativa all’arco comune con la testa d’anatra.

    Il re che caccia il leone rappresenta la civiltà che tiene testa alle forze selvagge della natura, ma anche la ragione che frena l’istinto, l’autocontrollo che ci rende uomini e ci distingue dalle bestie.

    La civiltà dei Persiani iniziò la sua ascesa nel 538 a.C., quando Ciro il Grande fu accolto a Babilonia come un liberatore. Ciro costituì un vasto impero, che si estendeva dall’India fino alla Libia, e fu clemente con i popoli sottomessi, ai quali concesse libertà di culto e autonomia ammini-strativa (meno clemente fu il suo erede Cambise II). L’espansione persiana fu frenata dai Greci, che nel 490 a.C. sconfissero Dario nella battaglia di Maratona. Ma il colpo decisivo all’impero persiano fu dato nel 330 a.C. da Alessandro Magno, fondatore dell’impero macedone.

    I Persiani fondarono magnifiche città come Pasargade, la capitale di Ciro il Grande, e Persepoli, la capitale di Dario, ambedue nell’attuale Iran. A Pasargade abbiamo la presunta tomba di Ciro il Grande (m. 529 a.C.), costituita da una piramide tronca a gradoni, su cui sorge la cella funeraria. La particolare forma della tomba si ritiene derivata dalle ziqqurat sumeriche.

    A Persepoli sorge il grandioso Palazzo di Dario, ispirato ai palazzi assiri, che presenta un portale affiancato da imponenti statue di tori con testa umana. Il Palazzo sorge su un basamento scolpito a rilievo con i delegati delle 23 nazioni sottomesse alla Persia, che recano omaggi al re Dario. I rilievi si connotano per i lineamenti sinuosi e la ricerca di naturalismo. Ogni figura si distingue per le vesti e l’acconciatura, per dimostrare il rispetto delle differenze etniche sotto il regno di Dario.

    All’interno del palazzo è la grandiosa sala ipostila o Apadana, destinata alle udienze del re. Data alle fiamme dalle truppe di Alessandro Magno, l’Apadana aveva una copertura di legno sostenuta da 72 colonne, che reggevano capitelli ornati da doppie volute e coppie di grifi o tori.

    Una terrazza separava il Palazzo di Dario da quello di Serse (m. 465), figlio ed erede al trono di Dario. Il Palazzo di Serse era il doppio per dimensioni, ma fu raso al suolo dall’esercito di Alessandro Magno. Ne rimane la magnifica scalinata d’accesso con tre porte, una delle quali – la più integra – dava accesso all’harem. Il palazzo si sviluppa intorno ad una sala ipostila, collegata ad un vasto cortile con un portico lungo il lato meridionale.

    Oltre che in architettura e scultura, i Persiani furono maestri nell’oreficeria. A documentare questa produzione è l’eccezionale tesoro scoperto nel fiume Oxus, oggi al British Museum di Londra, che si compone di 180 oggetti databili tra il VI e il IV secolo a.C.

    Tra i pezzi più pregiati si annovera un bracciale ornato da una coppia di grifi, con diversi alveoli che contenevano smalti e pietre preziose. Pur essendo un animale fantastico, il grifo è rappresentato con eccellente naturalismo nella minuta descrizione del piumaggio e delle squame. Dallo scrittore greco Senofonte si apprende che i bracciali, alla corte persiana, erano considerati i doni più preziosi.

    Altro pezzo straordinario è un carro in miniatura, trainato da quattro cavalli con un giogo unico. Sulla fronte del carro, su cui viaggiano il guidatore e un dignitario, è rappresentato il dio egiziano Bes. A differenza del bracciale, il carro costituisce un’offerta votiva.

    LA COLLEZIONE MESOPOTAMICA DEL MUSEO ARCHEOLOGICO DI FIRENZE

    Al Museo Archeologico di Firenze abbiamo una notevole, seppure limitata, collezione d’arte mesopotamica.

    Per la civiltà dei Sumeri abbiamo due coni di fondazione, che venivano fissati nel terreno come chiodi nel sito in cui veniva innalzato un tempio. Il primo è quello di Entemera, re di Lagash nel 2404 al 2375 a.C., su cui è incisa un’iscrizione che commemora la fondazione di un tempio e si conclude con la frase «Quel giorno Entemera, signore di Lagash, e Lufalkineshdudu, signore di Uruk, hanno stretto [un patto di] alleanza».

    Il secondo cono è quello di Gudea, che fu re di Lagash dal 2141 al 2122 a.C., su cu iè incisa un’iscrizione che commemora la fondazione di un tempio al dio Nindara, da parte di Gudea.

    Per la civiltà degli Àccadi abbiamo un sigillo del 2300 a.C. con una scena sacra: all’estrema destra compare il dio Nannar in trono (riconoscibile dalla falce lunare). Al suo cospetto vi sono 4 figure: le due figure esterne sono un uomo e una donna che rendono omaggio al dio; le due figure interne sono due «angeli custodi», che portano doni e indossano il kaunakes (abito di lana a balze con cui sono rappresentati i re e le divinità).

    Per la civiltà dei Babilonesi abbiamo un sigillo del 500 a.C., con figura di offerente e falce lunare, e una perla votiva del 600 a.C., offerta da un guerriero (ritratto di profilo) al dio della creazione Marduk.

    Per la civiltà degli Assiri abbiamo un sigillo del 750 a.C., che raffigura un episodio del poema di Gilgamesh. Al centro è rappresentato il mitico re Gilgamesh, a sinistra la dea Ishtar che gli chiede di sposarla, a destra il Toro Celeste inviato da Ishtar per punire Gilgamesh che l’ha respinta. Alla scena assiste il dio della luna Nannar (padre di Ishtar), rappresentato dalla falce lunare.

    Un altro reperto assiro è un rilievo proveniente dal Palazzo Reale di Sennacherib a Ninive, datato intorno al 700 a.C. Vi sono raffigurati due uomini impegnati a trainare una statua monumentale.

    La perla votiva e i sigilli sono esposti stabilmente nel corridoio di Maria Maddalena, che ospita la collezione di glittica. Gli altri reperti mesopotamici sono in deposito e vengono presentati al pubblico solo in occasione di mostre.

    LA CIVILTÀ DEI FENICI

    La civiltà dei Fenici fiorì intorno al 1200 a.C. nell’attuale Libano, ormai liberato dal dominio egizio. Popolo di mercanti e navigatori, i fenici diffusero in tutto il Mediterraneo i loro prodotti e il loro semplice alfabeto di 22 caratteri, da cui deriva quello greco. Essi non fondarono una nazione, ma una federazione di città-stato indipendenti. Fu questa l’unica debolezza dei Fenici, che subirono l’assedio degli Assiri (850 a.C.), dei Babilonesi (572 a.C.) e infine di Alessandro Magno (330 a.C.). Con i loro dominatori, però, stabilirono rapporti commerciali e mantennero, così, un alto benessere economico. I prodotti fenici più apprezzati erano le stoffe colorate con la porpora, ricavata dalle secrezioni di un mollusco (il murice). Nessuna di quelle stoffe è sopravvissuta, ma l’Ermitage di San Pietroburgo conserva un tessuto persiano del V secolo a.C., che si ritiene derivato da modelli fenici. La decorazione prevalente è di tipo astratto-geometrico.

    Uno stabilimento fenicio in cui si tingevano i tessuti con la porpora, è stato ritrovato a Mozia, sulla costa occidentale della Sicilia.

    I Fenici assimilarono la cultura egizia, assiro-babilonese e micenea, e fondarono colonie in Africa (Cartagine), in Spagna (Cadice), in Sicilia (Palermo) e in Sardegna (Cagliari). Dagli Egizi trassero l’uso dei sarcofagi che riproducono le sembianze del defunto, come il sarcofago del re di Sidone Eshmunazar (Parigi, Louvre). Ancora dagli Egizi appresero l’arte dei vasi e dei gioielli in pasta vitrea colorata, che ebbero un notevole successo commerciale. Un esempio è la collana del Museo Archeologico di Cagliari, che mostra ciondoli a forma di testa barbuta con gli occhi spalancati, alla maniera delle statuine sumeriche.

    Dai Micenei, invece, trassero l’uso delle maschere funerarie d’oro, lavorate a sbalzo. Le maschere sono piuttosto realistiche, perché hanno la funzione di tramandare il volto del defunto.

    Dai Babilonesi, infine, mutuarono la struttura del tempio, che riproduce la ziqqurat in forma ridotta e semplificata. I templi fenici, però, si distinguono per l’altare in bronzo invece che in pietra.

    Un tempio fenicio è visibile a Tharros in Sardegna. Il tempio consiste in un dado tagliato nella roccia, con una gradinata che sale alla cella sovrastante. Anche il tempio di Melqart ad Amrit, in Siria, o quello di Eshmun a Sidone, in Libano, sono composti da un dado di pietra su cui poggia la cella, cui si accede da una gradinata frontale.

    Agli architetti fenici si devono alcune invenzioni che saranno accolte dalle civiltà posteriori, come il capitello eolico, composto da due volute contrapposte che nascono dal basso, da cui deriva il capitello ionico greco. I più antichi esempi di capitello eolico sono stati ritrovati a Hazor e a Ramat Rachel, nell’odierno Israele. Esempi più recenti sono stati ritrovati a Neandria in Asia Minore e a Trapeza nell’isola di Cipro.

    Una costruzione tipica dei Fenici è il tofet, un recinto murario che ospita le sepolture dei neonati insieme a un altare sacrificale. I neonati, non avendo ancora ricevuto il rito di purificazione, equivalente al battesimo dei cristiani, venivano purificati col fuoco prima della sepoltura. Generalmente, il tofet è ubicato fuori del centro abitato e in prossimità della necropoli. Molte stele funerarie sono scolpite a rilievo con l’immagine di una porta, che allude al passaggio nell’oltretomba. All’interno della porta vi può essere la sagoma di un fanciullo.

    Esempi di tofet sono visibili a Cagliari e a Cartagine.

    LA CIVILTÀ EGIZIA

    È una delle civiltà più longeve del mondo, poiché dura dal 4500 a.C. fino alla conquista romana nel I secolo a.C. La civiltà egizia viene suddivisa in nove grandi periodi:

    Periodo arcaico e predinastico (circa 4500-3100 a.C.)

    Periodo proto-dinastico (circa 3100-2700 a.C.)

    Antico Regno (circa 2700-2134 a.C.)

    I periodo intermedio (circa 2134-2040 a.C.)

    Medio Regno (circa 2040-1640 a.C.)

    II periodo intermedio (circa 1640-1550 a.C.)

    Nuovo Regno (circa 1550-1050 a.C.)

    III periodo intermedio (circa 1050-332 a.C.)

    Periodo greco e tolemaico (circa 332-31 a.C.)

    La civiltà egizia nasce sulle sponde del Nilo, un fiume di 7.000 km che, attraverso le sue annuali inondazioni, rende fertili le terre che bagna. Le inondazioni non sono causate dalle piogge, rarissime in Egitto, ma dallo scioglimento dei ghiacci etiopici nella stagione estiva. Dopo l’estate, il fiume si ritira lasciando il suolo ricoperto di limo, un fango ricco di sali minerali. Quindi gli Egizi coltivavano la terra dall’autunno alla primavera, mentre in estate lavoravano come operai nelle dighe, nei canali e nelle opere pubbliche. Tutte le terre erano proprietà dello Stato, al quale i contadini cedevano gran parte del raccolto.

    Periodo arcaico e predinastico

    Nel periodo arcaico (4.500-3.900 a.C.) l’Egitto è abitato da tribù nomadi, che incidono sulle rocce figure di animali e imbarcazioni nilotiche per propiziare la caccia e la pesca.

    Alcune tribù, però, praticavano l’agricoltura, come testimonia il cromlech di Nabta Playa, che serviva sia per individuare le stagioni, sia per il culto del sole. Al centro del cromlech vi sono due coppie di monoliti, una delle quali è perfettamente orientata al sorgere del sole nel solstizio d’estate.

    Il periodo predinastico (3.900-3.000) è noto come periodo Naqada, dal nome del sito archeologico che ha restituito più reperti. Tipiche del periodo Naqada sono le statue virili con smisurati attributi sessuali, che assumevano valore propiziatorio per l’agricoltura. L’atto dell’inseminazione, infatti, veniva associato alla semina dei campi.

    In questa fase, gli Egizi appresero dai Sumeri la scrittura, che assunse un ruolo fondamentale nella società, come testimonia il prestigio degli scribi, spesso raffigurati in posa solenne. Essi usavano in prevalenza due tipi di scrittura: il geroglifico, dipinto su legno o inciso su pietra; e lo ieratico, usato comunemente per scrivere sui papiri.

    Lo ieratico, adoperato in ambito laico, si compone solo di fonogrammi, spesso uniti da legamenti.

    Il geroglifico, riservato alle scritture sacre, si compone di pittogrammi, ideogrammi e fonogrammi non legati. Le prime testimonianze di scrittura geroglifica sono state scoperte nella tomba U-j della necropoli di Abydos, in Alto Egitto, e risalgono al 3.400 a.C.

    Nel periodo predinastico, sotto il Re Scorpione, l’Alto Egitto fu organizzato in una rigida gerarchia e l’arte figurativa egizia iniziò ad assumere i caratteri che conosciamo (alta idealizzazione, figure bidimensionali). A questa fase risale il pomello (3250 a.C.), proveniente dalla necropoli di Nekhen in Alto Egitto, raffigurante il Re Scorpione con il busto di prospetto, la testa e le gambe di profilo. Questo modo di rappresentare la figura umana rimane quasi invariato per tutto l’arco della civiltà egizia, poiché l’arte egizia si rivolge prevalentemente a dio e non all’uomo.

    Verso la fine del periodo predinastico gli Egizi inventarono il tornio, composto da un disco girevole, che permette di realizzare vasi simmetrici e omogenei.

    Periodo proto-dinastico

    Ha inizio nel 3100 a.C., quando il re Narmer, fondatore della prima dinastia, unifica il Basso e l’Alto Egitto con capitale Menfi. Da allora si susseguono 30 dinastie, che governano su tutto l’Egitto. L’unificazione del paese è testimoniata dalle scene scolpite su una tavoletta per cosmetici, ritrovata nella necropoli di Nekhen. Qui sono fissati i canoni tipici dell’arte figurativa egizia: il re appare molto più grande degli altri uomini, segno di autorità indiscussa di dio in terra. Le figure sono bidimensionali, ma tali da offrire una visione simultanea di tutte le parti: il busto di prospetto, le gambe e la testa di profilo, l’occhio di prospetto. Non vi è alcuna allusione alla profondità.

    Nella faccia anteriore della tavoletta, Narmer indossa il copricapo a cono dell’Alto Egitto e colpisce un uomo del Basso Egitto. A destra è presente il dio Horo, nelle sembianze di un falco, che domina il delta del Nilo appena sottomesso. Nella faccia posteriore, invece, Narmer indossa il copricapo con ricciolo del Basso Egitto. In basso figurano due ‘serpopardi’, creature della mitologia sumerica con il corpo di leopardo e il collo di serpente, che rappresentano i due regni unificati.

    I re e gli alti dignitari del periodo proto-dinastico sono sepolti nella mastaba (in arabo, tavola), una costruzione a tronco di piramide che contiene tre ambienti: una camera (serdab) che ospita la statua del defunto ovvero il suo ka, una cappella con offerte agli dei e, nel sottosuolo, la camera funeraria. L’accesso alla camera funeraria avveniva tramite un pozzo, che veniva occluso dopo la sepoltura.

    Antico Regno

    In questa fase si succedono quattro dinastie, dalla terza alla sesta, passate alla storia per le piramidi. Ne sono state ritrovate più di ottanta, tutte costruite ad ovest del Nilo, dove tramonta il sole. Le piramidi furono costruite non da schiavi, ma da lavoratori organizzati in squadre, trascinando macigni su enormi slitte, che avanzavano su rulli di legno. Ogni squadra era formata da circa mille persone, organizzata con criteri militari e guidata da un capomastro e da vari sottoposti. Ognuno di essi riceveva un regolare compenso, vitto e alloggio.

    A Saqqara, 20 km a sud di Giza, sorge la più antica piramide egizia: la piramide a gradoni voluta intorno al 2650 a.C. dal re Gioser, fondatore della terza dinastia. Saqqara e Giza, oggi separate dal deserto, erano parti dell’immensa necropoli di Menfi, la capitale dell’Antico Regno.

    La piramide di Gioser fu progettata da Imhotep, primo architetto di cui si conosca il nome. La sua forma a gradoni si deve al fatto che ebbe origine da una mastaba, alla quale, poi, furono sovrapposti cinque gradoni digradanti, per un’altezza di 60 metri. Una statua a grandezza naturale del re era conservata nel serdab, una camera chiusa posta sul lato nord della piramide. Da lì Gioser poteva, per l’eternità, scrutare il mondo esterno attraverso due fori praticati nella parete opposta. La statua, oggi custodita nel Museo del Cairo, fu mutilata per rubare le gemme incastonate nelle orbite. Oltre la statua di Gioser, il serdab doveva ospitare statuine di servitori e musicisti, che gli avrebbero procurato cibo, bevande e intrattenimento, secondo l’usanza dell’Antico Regno.

    L’area sacra della piramide di Gioser è cinta da un muro segnato da 14 porte di pietra, di cui solo una può essere varcata. Un viale costeggiato da 40 colonne a fascio, un tempo colorate, dà accesso all’area sacra, che ospita cortili, cappelle e santuari. Gran parte di essi sono riproduzioni di edifici reali, infatti hanno porte finte. Il viale termina nell’ampio cortile interno, in cui sorge la piramide.

    A sud di Saqqara sorge la piramide di Meidum (circa 2600 a.C.), il cui aspetto attuale è il risultato di un esperimento fallito. Essa venne fondata dal re Huni come piramide a gradoni, ma il re Snefru la fece ricoprire con lastre di calcare. L’inesperienza degli architetti, però, fece crollare il rivestimento, riscoprendo l’originaria struttura a gradoni.

    La prima piramide progettata, sin dall’inizio, con pareti lisce e inclinate fu quella di Dahshur, a sud di Saqqara, a cui lavorarono migliaia di operai al servizio del faraone Snefru. La piramide presenta un singolare profilo a doppia pendenza, perché, quando la costruzione giunse a circa metà dell’altezza prevista, l’inclinazione delle facciate fu bruscamente ridotta. Si ritiene che i progettisti, forti dell’esperienza precedente, abbiano temuto di sovraccaricare la piramide con una pendenza eccessiva. La piramide di Dahshur, comunque, è l’unica che conserva il suo rivestimento in calcare levigato. Le innovazioni tecniche degli architetti di Snefru furono accolte da quelli di suo figlio, il re Cheope, fondatore della piramide che si annovera tra le sette meraviglie del mondo.

    La piramide di Cheope, eretta nell’oasi di Giza (oggi deserto) intorno al 2500 a.C., misura 230 metri per lato, più del doppio di un campo di calcio. La base è livellata in maniera così perfetta, che il margine di errore non supera i 3 centimetri. Infatti gli egizi usavano le coordinate degli astri per misurare gli angoli, corde tese per tracciare le linee, e livelle ad acqua per misurare le pendenze.

    All’interno della piramide vi sono due camere funerarie: la prima, rimasta incompiuta, è scavata nel sottosuolo; la seconda, invece, è ubicata al centro della piramide ed ospita il sarcofago vuoto di Cheope. Essa, infatti, fu saccheggiata nel IX secolo dagli arabi, che scavarono il cunicolo da cui oggi accedono i turisti.

    La grandiosità di Cheope non fu gradita al popolo: la sua pessima fama è provata dal fatto che, ad oggi, si conosce una sola statua che lo rappresenta e misura pochi centimetri (Cairo, Museo Egizio).

    Il complesso funerario di Giza crebbe, in seguito, con la costruzione di altre due piramidi. Chefren, figlio di Cheope, edificò una piramide leggermente più bassa di quella del padre, ma la pose su un altopiano che la fa apparire più alta. La piramide di Chefren conserva, sulla sommità, l’originario rivestimento in calcare levigato. Infine Micerino, ultimo re della IV dinastia, si fece costruire una piramide minore, alta solo 66 metri.

    Ai piedi della piramide di Micerino fu costruito un tempio funerario, da cui provengono le famose statue in basalto del re con sua moglie Khamerer (Boston, Museum of Fine Arts). Entrambi sono raffigurati in posa eretta, frontale, con una gamba avanzata. Micerino ha le braccia rigidamente distese lungo i fianchi e stringe nelle mani due bastoncelli, simboli del potere. Nonostante la posa ieratica e il corpo idealizzato, la coppia reale manifesta cenni di naturalismo nella viva espressione dei volti dalle labbra carnose.

    La storia delle piramidi si lega al colosso della sfinge, scolpita nella viva roccia, che raffigura un leone seduto con testa umana, forse quella del re Chefren. Si ritiene che la statua – alta 20 metri e lunga 57, avesse il compito di sorvegliare le piramidi. Le tempeste di sabbia e l’inquinamento hanno deteriorato la sfinge, che in origine indossava il nemes, il copricapo reale col serpente sacro, ed era colorata di rosso nel viso, di giallo e blu nel nemes.

    Alla fine dell'Antico Regno, gli Egizi iniziarono a praticare la mummificazione. Essa garantiva la continuità della vita dopo la morte, poiché gli egizi credevano che l’anima fosse inscindibile dal corpo. Il procedimento di mummificazione richiedeva dai 20 ai 70 giorni, durante i quali venivano rimossi gli organi interni e si disidratava la salma. Il cuore restava al suo posto; i polmoni, lo stomaco, il fegato e l’intestino si custodivano nei vasi canopi, mentre il cervello si gettava poiché ritenuto un organo secondario. Poi si procedeva a imbalsamare la pelle per indurirla, preservando così le forme del corpo. Il cadavere era riempito di fango e segatura, poi avvolto in bende di lino e infine chiuso in un sarcofago di legno.

    Medio Regno

    Alla fine dell’Antico Regno si verifica una crisi politica, dovuta alla corruzione dei funzionari che amministrano i distretti come regni autonomi. Il potere centrale è ristabilito da Mentuhotep II, che trasferisce la capitale da Menfi a Tebe, 700 km più a sud. Mentuhotep II si fa rappresentare in statue possenti e vigorose, con lo sguardo severo, per testimoniare la rinnovata stabilità del suo regno.

    All’inizio del Medio Regno si abbandona la sepoltura a piramide: le tombe reali sono scavate nella roccia e precedute da templi funerari. Quella di Mentuhotep II è preceduta da un tempio che si sviluppa su due terrazze digradanti, collegate da una rampa centrale. Soltanto alcuni sovrani del Medio Regno, come Sesostri, scelgono la piramide come sepoltura reale.

    Il corredo funebre si arricchisce di 365 statuine dette ushabti, destinate a sostituire il defunto nei lavori sui campi dell’aldilà, agli ordini del dio Osiride. Gli ushabti, usualmente realizzati in terracotta o in pasta di vetro, venivano prodotti in serie mediante uno stampo.

    Nuovo Regno

    Alla fine del Medio Regno si verifica una nuova crisi politica, di cui approfittano

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