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Il Lago
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Il Lago

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PREMIO UNIONE EUROPEA PER LA LETTERATURA 2017
PREMIO MAGNESIA LITERA (Rep. Ceca) LIBRO DELL’ANNO 2017
Tradotto in 22 paesi


Nami, un ragazzino che non ha più nulla, e nessuno, compie il suo viaggio solitario, brutale, quasi animale, sulle sponde di un grande lago che si prosciuga catastroficamente, dove le persone sono esse stesse resti di se stesse, malate e perse. 
Un romanzo duro e ruvido: un ragazzo diventa uomo in un corpo a corpo con un ambiente apocalittico e allucinato.
Parte perché deve cercare, e torna a casa per poter trovare.
Perché la vita alla fine del mondo può finire subito dopo che sia incominciata, ma non è detto.
«Il lago è un romanzo di ferite e cicatrizzazioni, perdite e riscatti, brutalità e tenerezza.
La storia del cammino attraverso cui, nelle varie fasi di crescita e consapevolezza, il bambino Nami diventa uomo.» (Laura Angeloni)
LanguageItaliano
Release dateMay 21, 2018
ISBN9788899815691
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    Il Lago - Bianca Bellová

    Table of Contents

    I – Uovo

    II – Larva

    III – Crisalide

    IV – Imago

    © 2016 Bianca Bellová

    © 2017 Miraggi edizioni

    via Mazzini 46 – 10123 Torino

    www.miraggiedizioni.it

    Titolo originale dell’edizione ceca:

    Jezero (Host, Brno 2016).

    Translation of this book was realized with the support of the Ministry of Culture of the Czech Republic

    Ringraziamo il Ministero della Cultura

    della Repubblica Ceca per il sostegno

    alla traduzione e alla pubblicazione

    Progetto grafico Miraggi 

    Finito di stampare a Città di Castello

    nel mese di maggio 2018

    da CDC Artigrafiche

    per conto di Miraggi edizioni

    su Carta da Edizioni Avorio – Book Cream 80 gr

    e Carta Fedrigoni Woodstok Materica Chalk 180 gr

    Prima edizione cartacea: maggio 2018

    isbn 978-88-99815-77-6

    Edizione digitale: maggio 2018

    isbn 978-88-99815-69-1

    NováVlna

    ( 2 )

    bianca bellová

    Traduzione dal ceco di Laura Angeloni

    Dedicato a chi è in viaggio

    I – Uovo

    Nami suda. Si aggrappa alla mano grassoccia della nonna. Le onde del lago sbattono a ritmo regolare contro il molo di cemento. Dalla spiaggia del paese arriva un grido, uno strillo piuttosto. Dev’essere domenica, se sta lì sulla coperta col nonno e la nonna. C’è anche qualcun altro, Nami ricorda le tre macchie rosse di un costume, i tre triangoli di un bikini, e sopra, un fascio di capelli neri ben pettinati, una coda di cavallo, e due ciuffi di peli neri sotto le ascelle. I tre triangoli si muovono lenti, girandosi e rigirandosi sotto il sole finché non ne resta uno solo. Non lontano dalla riva un pesce gatto fa guizzare pigramente la coda.

    « Mi sembra che l’acqua si sia abbassata » dice la nonna cacciando una mosca che le si è posata sulla pancia. Mastica i semi di girasole tostati comprati al chiosco sulla spiaggia e sputa le bucce davanti a sé, sopra il cemento.

    « Che vai blaterando? » la prende in giro il nonno. « Le perle di saggezza delle donne, non c’è niente di peggio, a parte le sbronze! »

    Il nonno ride dondolandosi avanti e indietro, ha le mani poggiate sulle cosce, tra due dita impregnate di sporcizia tiene una sigaretta senza filtro.

    I tre triangoli prendono il thermos, si chinano su Nami e gli porgono un po’ di tè alla menta.

    « Bevi, tesoro. » Ma guarda, i tre triangoli hanno una voce. È piacevolmente profonda, come il vecchio pozzo dietro casa. Nami beve, il tè è addolcito col miele ed è delizioso, gli scivola in gola senza alcuna resistenza.

    « Vieni passerotto, dai » dice il nonno conciliante. « Che non si dica che sei un cacasotto. A tre anni ormai tutti i bambini sanno nuotare. »

    Il nonno si accarezza la pancia con la mano. Getta il mozzicone, che a contatto con l’acqua emette uno sfrigolio. Nami non ha nessuna voglia di entrare in acqua. Vuole restare sdraiato sulla coperta, con la testa poggiata sulla morbida pancia della nonna, a guardare i tre triangoli. Prova a sollevare la mano, ma gli ricade pigramente sul grembo.

    « Vai Nami », lo incoraggia la nonna. « Poi ti compro un lecca lecca. »

    I lecca lecca si appiccicano al cellofan, non riesce mai a scartarli. Non gli capita spesso di riceverne, solo il Giorno della Pace o quando vengono i tre triangoli. I lecca lecca sanno di zucchero bruciato e violetta. Nami non ne va matto, ma li mangia così di rado che non può fare a meno di desiderarli, e di fare in cambio tutto ciò che gli viene richiesto.

    Nami si accinge lentamente ad alzarsi, ma non si è ancora tirato su del tutto che si ritrova a planare nell’aria.

    « Nuota dai, storione! » grida il nonno scoppiando a ridere. I tre triangoli urlano, la nonna anche. Sbattendo dolorosamente su un fianco Nami attraversa la superficie e affonda nell’acqua nera. Vede sopra di sé il riverbero del sole, attraverso lo sciame di bolle che si lascia dietro. È a corto di fiato, gli fanno male i polmoni. Man mano che scende l’acqua si fa sempre più fredda. Sprofonda rigido, le braccia tese ai lati del corpo. Pensa che presto vedrà lo Spirito del lago che vive sul fondo. La pressione sui polmoni aumenta, le orecchie gli rimbombano. D’istinto prova a prendere aria e beve. Non vede più nulla. Comincia a sbattere freneticamente braccia e gambe, sospingendosi verso la superficie. Tutto è nero e scintillante.

    « Brutta canaglia! » sbotta la nonna quando finalmente Nami riprende aria e comincia a tossire in modo convulso, sputando acqua sporca. « Vecchio cretino, nemmeno una scatoletta di lombrichi mi fiderei a lasciarti! »

    « Che c’è?! È bravo, ha nuotato, hai visto? » risponde il nonno. Gli trema un po’ la voce. « È un guerriero! »

    « Vieni qui, tesoro » dicono i tre triangoli dalla profondità della terra, stringendolo tra le braccia. Un petto che batte sull’altro. Nami si calma e smette di tossire. Sotto i triangoli c’è una calda pelle color bronzo, e profuma. I tre triangoli lo stringono, lo baciano sui capelli e sussurrano qualcosa. Nami è tranquillo, i capelli della donna gli solleticano il viso e lei inizia a cantare.

    « Smettila di cantare » la rimbrotta la nonna. Nami sobbalza, ma poi rimane lì calmo sdraiato. Sta immobile, finge di essere morto, di non esserci proprio. Il canto si quieta, ma ogni respiro produce ancora un suono denso, come le vibrazioni di una campana quando il batacchio si ferma. Nami vorrebbe rimanere così per sempre. Guarda di soppiatto il viso della donna, ma vede solo la punta del naso e gli zigomi sporgenti. Mentre tornano a casa Nami sviene e il nonno deve portarlo in braccio.

    Non passano per la piazza con il monumento allo Statista e per la fossa scavata dai Russi per i rifiuti, ma dietro, oltre il complesso residenziale.

    « Certo che pesi, ragazzino » borbotta il nonno e si blocca per un attimo perché gli scivola un piede e sta per perdere l’equilibrio. A casa Nami riceve il lecca lecca. Mentre lo ciuccia, quasi per cortesia, osserva con la coda dell’occhio i tre triangoli, che nel frattempo si sono trasformati in un vestito verdeazzurro a fiori. Lo tocca ogni volta che può e lo travolge subito un meraviglioso profumo.

    La sera Nami viene colto da un violento attacco di vomito. Il suo stomaco si contrae senza controllo, espellendo torrenti di acqua sporca, tè alla menta e pezzi di frittelle col formaggio di capra. Il vestito verdeazzurro a fiori lo accarezza sulla fronte, gli sorregge la testa mentre vomita, gli pulisce la bocca e lo tranquillizza. « Shhhh, vedrai che ora andrà meglio, tesoro » sussurra.

    Quando Nami si sveglia al mattino il vestito verdeazzurro è andato via. Beve un sorso di tè russo, quello nero, e lo vomita all’istante.

    Nami è cresciuto col puzzo di pesce, e quindi non ci fa nemmeno caso. Nel villaggio di Boros c’è un allevamento di storioni e subito accanto una fabbrica per la lavorazione del pesce. Alea, la vicina, nella fabbrica di pesce ci lavora, spesso viene a sedersi sulla soglia di casa e porta un secchio di caviale in cambio di un sacco di patate. Nami poi mangia caviale a colazione e a cena, si siede davanti al secchio e lo ingurgita a cucchiaiate, fino a sentirsi male.

    « L’hai finito? » chiede la nonna, e Nami abbassa gli occhi e guarda il pavimento.

    « Bene » dice la nonna, « il caviale è la cosa più salutare al mondo. Dopo il ginseng! »

    « E anche dopo una bella scopata » ride il nonno dal suo cantuccio, strofinandosi l’angolo dell’occhio col pollice, mentre tra l’indice e il medio deforme tiene una sigaretta senza filtro.

    « Vergogna, nonno! » lo rimprovera la nonna, ma intanto ride. Frigge le frittelle e ci spalma sopra il burro. « Mangi come un vip » sorride, porgendole a Nami. A Nami il caviale piace, ma sente che non può essere tutto lì. Spera che ci sia in serbo per lui qualcosa di importante, ma a quattro anni non trova ancora le parole per esprimerlo. Schiaccia le palline nere tra i denti e sovrappensiero si stacca una crosta dal ginocchio.

    Sua nonna ha un grosso bozzo sul coccige, degli ampi fianchi ossuti e una pancia morbida, su cui Nami adora addormentarsi. Col suo palmo secco, duro, gli accarezza i capelli raccontandogli le favole sullo Spirito del lago e sui guerrieri dell’Orda d’Oro, che dormono sulla rupe di Kolos e aspettano che il grande guerriero venga a svegliarli.

    « Sono io il grande guerriero? » domanda Nami.

    « Sì, piccolo » sorride la nonna.

    « Come farò a trovarli? »

    « Sarà la provvidenza a mostrarti la strada, tesoro » gli risponde lei, e lui si addormenta tranquillo.

    È il Giorno della Pesca, la festa più importante dell’anno. Sulla piazza, intorno al monumento allo Statista, si raduna il paese intero, tutti i bambini indossano camicie bianchissime, i maschi con delle cravatte colorate, le femmine coi nastri sui capelli. Akel, il negoziante del chiosco che di solito vende aringhe e semi di girasole, per l’occasione ha anche lo zucchero filato e succulenti krapfen imbevuti di olio bruciato. In quel giorno nessun pescatore esce sul lago, festeggiano tutti. Alle undici di mattina sono pochi a reggersi ancora sulle gambe, si sono immolati allo Spirito del lago con troppa foga.

    Il presidente della fabbrica del pesce tiene un lungo discorso, con lo sguardo che spazia tra il lago e il cielo santifica il progresso e la collettivizzazione. Un uomo col copricapo da sciamano – sebbene nessuno parli di lui, come se non ci fosse – danza intorno al monumento allo Statista. Gli ingegneri russi e le loro mogli in prima fila sono vestiti come in città, le donne hanno scarpe coi tacchi, borse di pelle al braccio e i capelli raccolti in uno chignon, le paesane parlano di loro con sdegno, sputando a terra. Un ragazzino russo, nonostante la sua espressione ottusa, è oggetto di grande ammirazione, perché durante il discorso attraversa la piazza in lungo e in largo con una cigolante macchinina a pedali. Nami, appeso alla mano sudata della nonna, non riesce a staccargli lo sguardo di dosso, le gambe incrociate perché già da un po’ gli scappa tanto la pipì. In mano ha una bandierina a forma di pesce. Sull’altro lato sta in piedi il nonno. Barcolla con la testa accasciata, ogni tanto fa schioccare sonoramente le labbra. Arriva il rombo di un tuono, o forse è uno sparo dalla caserma russa. Gli ingegneri russi e le loro mogli si guardano intorno disgustati e scuotono la testa. Il discorso non lo ascolta ormai più nessuno, le donne chiacchierano ad alta voce, ma per rispetto nessuno se ne va. Tutti pensano già al rinfresco allestito nell’edificio della fabbrica del pesce: frittelle col caviale, aringhe in salsa di maionese, tortini di cipolla, vino di more per le donne e liquori a profusione per i mariti. Nami osserva ancora la macchinina a pedali verde che passa sui dossi e le buche come un carrarmato, si sforza di distogliere lo sguardo ma non ci riesce, continua a vedere la macchinina anche se chiude gli occhi. Ha le viscere dolorosamente contratte per l’invidia.

    « Andiamo, nonna? »

    « Aspetta, fra un po’ »

    « Quanto ancora? »

    « Un attimo. »

    Un attimo, per un bambino di cinque anni, è un tempo che tende a infinito.

    « Nonna. »

    « Che c’è ancora? »

    Nami sta zitto.

    « Ti sei fatto la pipì sotto! »

    Il nonno si desta dal suo sonnellino e guarda intorno confuso.

    « Il ragazzino se l’è fatta sotto » bisbiglia la nonna, dando una gomitata al vecchio.

    « Scemo » borbotta il nonno.

    Sulla patta dei calzoncini di Nami c’è una macchia che si espande e un rivolo di pipì gli scorre su entrambe le cosce. Si sente un altro tuono e stavolta è accompagnato da un fulmine. Il presidente della fabbrica ha ancora parecchie pagine da declamare, il vento le scuote. Di colpo, senza alcun avvertimento, il cielo si squarcia, l’acqua viene giù come quando la nonna svuota le tinozze. Gli chignon delle russe si disfano, l’ombretto blu cola sulle guance disegnando delle mappe idrologiche, i tacchi alti sprofondano nel fango che all’improvviso ha invaso la piazza; nel frattempo il presidente della fabbrica di pesce non la smette col suo discorso. La statua dello Statista solleva silenziosa un braccio al cielo. In quattro e quattr’otto Nami è bagnato dalla testa ai piedi, della sua bandierina rossa resta ormai solo l’asticella e qualche rigagnolo rosso sul braccio. La piazza si è trasformata in un campo arato, la gente affonda nella melma fino alle caviglie, perde le scarpe. Il ragazzino con la macchinina a pedali si è impantanato nel fango e piange. Il nonno piega la testa all’indietro e si lascia cadere la pioggia sul viso. La piazza si trova in leggero pendio, e i ragazzi non ci mettono molto a capire che nel fango si scivola che è una meraviglia. Akel cerca disperatamente di fermare la sua bancarella che sdrucciola sempre più in basso. I krapfen rotolano sul banco inclinato e cadono nella melma.

    « L’apocalisse » mormora il nonno, tornando pian piano sobrio.

    Dal cielo l’acqua continua a riversarsi, riempiendo la macchinina a pedali. Il microfono finisce di funzionare del tutto, ma il presidente non la smette di parlare. È come una comica muta, a parte lo scroscio della pioggia e dei tuoni che scoppiano di tanto in tanto, così vicini che la nonna sussulta e guarda spaventata il lago. Lo sciamano si allontana lentamente, reggendosi il copricapo sulla testa. Solo a quel punto la massa di gente si avvia piano dietro di lui, come ipnotizzata. Il presidente della fabbrica abbassa la mano che tiene il microfono, l’acqua gli scorre lungo il bavero della giacca, sulla camicia. Guarda il cielo come se volesse rimproverarlo. Nami all’improvviso non riesce a controllarsi, è scosso da un’ilarità sfrenata, ride come un pazzo, la nonna lo guarda in cagnesco, ma lui si sbellica ancora di più, una risata isterica che non si quieta neanche mentre la nonna lo trascina a casa.

    Nami smette di ridere solo appena varcata la soglia, la nonna gli dà uno sculaccione sulla coscia bagnata e lui finalmente si azzittisce, anche se il singhiozzo continua a scuoterlo per gran parte della notte.

    Quello fu un anno molto ricco per la pesca.

    Ogni tanto al mattino Nami si sveglia col sole che gli batte sul letto. È sicuramente un giorno di vacanza, perché di solito è sempre la nonna a svegliarlo. Fuori fa forse più caldo che dentro, Nami sente provenire dalla cucina la tosse da fumatore del nonno e in lontananza la sirena di un rimorchiatore. Divarica braccia e gambe sul letto e guarda fisso il soffitto, dove stanno seccando mazzi di timo e alchemilla. Gli sembra che potrebbe trascorrere così il resto della sua vita. Se si siede sul letto, può vedere il lago. Si stira, poi si veste. Sul tavolo della cucina trova pronto un piatto pieno di krapfen che la nonna ha fritto per la colazione, ormai sono tiepidi. Corre fuori, determinato a costruirsi un rifugio

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