Tutta un'altra storia - Le incredibili avventure televisive di Fulvio Pappetti
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Tutta un'altra storia - Le incredibili avventure televisive di Fulvio Pappetti - Pasqualino Pinna
Indice
PREMESSA
1 - ANTEPRIMA
2 - LO ZECCHINO D’ORO
3 - DI TUTTI I COLORI !
4 - IL SOGNO DI FULVIO
5 - AMICI
6 - UOMINI E DONNE
7 - CAMBIAMENTI DI PROGRAMMA
8 - LA CASA DEL GRANDE FRATELLO
9 - CHI L’HA VISTO?
10 - SPECIALE FORUM DI NATALE
11 - L’ISOLA DEI DEPRAVATI
12 - INTERVALLO CON PLATONE
13 - FINE DELLE TRASMISSIONI
Tutte le vicende narrate in questo racconto
sono esclusivamente frutto della fantasia dell’autore
e non hanno alcun riferimento a fatti realmente accaduti.
PREMESSA
Sì, è vero, ho scritto un racconto, ma non chiamatemi scrittore. Nei confronti dell’eccelsa categoria degli acrobati della penna, di cui ho sempre avuto reverenziale rispetto (e a dire il vero anche un po’ di soggezione), alla quale dubito di appartenere, preferisco definirmi un semplice raccontatore di storie o narratore. Il mio mestiere, quello che mi dà il pane ogni mese è un altro, faccio l’animatore sociale.
Eppure questo è il terzo libro che pubblichi, direte voi. Non fatevi trarre in inganno: il primo, La mia nonna suona il rock, fu un breve manuale di tecniche di animazione musicale per anziani; il secondo, Per filo e per segno, una raccolta di dodici racconti scritti in collaborazione con mia moglie e un caro amico (entrambi più bravi di me a scrivere e, soprattutto, a non farsi sopraffare dal desiderio di pubblicare libri a tutti i costi).
E quest’ultimo? Ma quale romanzo, quello che avete tra le mani è poco più che un fumettone!
Certo che non sono uno scrittore. Cinzia sì che lo era, la mia intelligentissima compagna delle Elementari. Ci lasciò sbalorditi quando una mattina, in classe, si mise a leggere una poesia di sua composizione, tutta in rima, lunga una chilometrica pagina di quaderno: per noi bambini di dieci anni fu come assistere a un miracolo. Se non ricordo male era il 1975. Mentre noi guardavamo Sandokan alla TV, lei, come Platone, ci avvertiva che un libro è molto meglio di una fiction. Aveva capito, in anticipo sulla nostra beata innocenza, che la televisione trasforma qualsiasi cosa in una pallida ombra di se stessa, proprio come spiega Platone nel mito della caverna.
Ma allora perché mi sono rimesso a scrivere? A litigare con verbi e aggettivi, a scendere a patti con frasi e parole? Ci sono altre forme più congeniali al mio carattere, per esempio la musica e il canto.
L’ho fatto perché una mattina di sette anni fa, mentre mettevo i panni in lavatrice, per puro divertimento mi venne l’idea di abbozzare una caricatura della televisione, quel benedetto elettrodomestico da cui tutti ci siamo lasciati incantare, più o meno inconsapevolmente, dagli anni Sessanta a oggi.
La storia di Fulvio Pappetti avrei potuto raccontarla in forma di canzone, ma con un non trascurabile inconveniente: sarebbe durata almeno tre ore. A parte il fatto che non si è mai vista una canzone lunga tre ore, chi, in questi tempi in cui tutti vogliono parlare e basta – bla – bla – bla – avrebbe avuto la pazienza di ascoltare qualsiasi cosa superi i tre minuti? Altro che tre ore. Che poi, ormai, quasi nessuno ascolta più la musica. Casomai la sente, ma questo è un altro discorso.
A conti fatti, meglio scrivere un libro.
Lo so che quest’avventura si sarebbe potuta raccontare diversamente, con un film, una fiction, un musical, eccetera eccetera. Ma voi avete idea di quanti soldi occorrono per realizzare un film o uno spettacolo?
Perciò, anche se in ritardo di vent’anni, ho deciso di seguire il consiglio che mi diede mio padre quand’ero ragazzo. Mi disse: se proprio vuoi fare l’artista, lascia perdere la musica e il cinema, troppo rischioso; comprati una biro, che al massimo ti costa mille lire e ci potrai scrivere tutto quello che vuoi
.
1
ANTEPRIMA
Dicono fosse una grande esperta di uomini, e chissà quante volte l’aveva fatto in vita sua, in tutte le salse. Pare che la sua attività amorosa cominciò molto presto, con lo spuntare dei primi peli in quel corpo debordante che nessun abito sembrava poter contenere. Da qui, probabilmente, l’origine del suo nome: Debora.
Il boschetto di robinie dietro casa, il sellino della Vespa, il cinemino di periferia, i primi ribaltabili delle Alfa Romeo… E poi, negli anni a venire, camere di motel, retro bottega, appartamenti al mare o in montagna, rifugi di amanti occasionali dislocati per tutto lo Stivale: queste erano solo alcune delle location in cui Debora aveva prestato il suo corpo al genere maschile, nell’arco dei primi trent’anni.
Eppure aveva la netta sensazione che quella sera sarebbe andata diversamente. Il suo istinto di donna la metteva in guardia, quasi volesse avvisarla che da quel momento, per lei, niente sarebbe stato come prima. Lo sentiva persino dal modo in cui l’Uomo Coi Baffi la spogliava lentamente, fissandola negli occhi come un incantatore di serpenti, con quel diabolico mix di fair play e di brutale dolcezza.
Debora accettava spesso di uscire coi colleghi di lavoro, anzi, di solito era proprio lei a prendere l’iniziativa se qualcuno le piaceva. Ma quella sera, l’invito a cena dell’Uomo Coi Baffi l’aveva mandata completamente in tilt. Al punto che, per la prima volta, si scoprì imbarazzata nel sentirsi le mani sudate e le gambe tremanti. Nella sua vita si era innamorata di molti uomini, ma alla fine era rimasta sempre sola, forse anche a causa del suo mestiere un po’ particolare. In fondo, se aveva scelto di intraprendere la carriera di attrice di film erotici, era anche per colmare quell’insopportabile senso di vuoto che la solitudine aveva creato in lei.
Quella sera si truccò con cura, infilò l’abitino leopardato da battaglia, chiamò un taxi e si precipitò in trattoria, dove la stava già aspettando l’affascinante collega.
Conclusa la cena a base di pesce fritto con cipolla e peperoni, l’Uomo Coi Baffi la invitò a salire in macchina. Dopo un breve tragitto, i due si appartarono in campagna. A Debora batteva il cuore all’impazzata, tutto le pareva un sogno: una persona che le piaceva e la faceva sentire importante, un’automobile invidiata da tutti, rosso fiammante coi sedili in pelle, sportiva e dal carattere deciso come il suo proprietario.
La mezzanotte era già passata da un pezzo, ma faceva ancora un caldo insopportabile. In quelle sere d’agosto l’afa avvolgeva la pianura come una specie di Domopak; mai una volta che si alzasse, anche per sbaglio, un filo di vento. Soltanto Debora e la miriade di zanzare lì intorno sembravano gioire come pasque, in quella specie di bagno turco, pensando alle incredibili opportunità che la notte avrebbe offerto loro.
Abbassando i finestrini della Lancia Fulvia, la donna sentì provenire da una balera le note di un’avvolgente melodia di sax.
«Senti che bella musichetta» le sussurrò l’uomo all’orecchio, facendole il solletico coi baffi «è Fausto Papetti, bimba mia… la dedico a te con