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Viaggio nei ricordi
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Viaggio nei ricordi

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Stirpe di uomini. Così fragili come la delicata materia del loro - essere -. Così superbi da non considerarla tale.

Così intelligenti con la loro capacità di crescere ed espandersi. Così vulnerabili e indifesi alla mercè di una natura feroce e spesso ostile.

Così arroganti con il loro delirio di potere.Così incoscienti ed inconsapevoli di vivere in compagnia della loro nemica più spietata.

Convivere con questa nera eminenza e giocarci a rimpiattino dal primo respiro all’ultimo. E non sapere dove, come e quando ella, la morte, dirà:

“Ora basta , vieni via”.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateJun 18, 2020
ISBN9788831676403
Viaggio nei ricordi

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    Viaggio nei ricordi - Luana Zaami

    Pa­sco­li

    IO E LAURA

    Quan­do co­nob­bi Lau­ra ave­va se­di­ci an­ni, io ne ave­vo di­ciot­to.

    Lau­ra era di una bel­lez­za fol­go­ran­te. L’oc­chio era col­pi­to dall’ap­pa­ren­za ma an­che da un alo­ne di mi­ste­rio­so po­te­re che el­la in­con­sa­pe­vol­men­te ema­na­va.

    Quel po­te­re che, suc­ces­si­va­men­te, im­pa­rò ad eser­ci­ta­re in ogni at­ti­mo del­la sua esi­sten­za. Su tut­ti.

    Im­pa­rò l’im­po­sta­zio­ne del­la vo­ce, mai fuo­ri to­no, mai so­pra le ri­ghe. An­che quan­do do­ve­va fa­re le sue ra­gio­ni, non la sen­ti­vi mai al­za­re la vo­ce, il suo to­no lo de­fi­ni­rei …sua­den­te. Il suo sguar­do era sem­pre dol­ce, lo de­fi­ni­rei… ca­rez­ze­vo­le.

    Sul suo vi­so dai li­nea­men­ti de­li­ca­ti e per­fet­ti un po’ orien­ta­li nel ta­glio de­gli oc­chi obli­qui, aleg­gia­va sem­pre un’espres­sio­ne di com­pren­sio­ne ed ac­cet­ta­zio­ne.

    Co­me di chi, es­sen­do de­po­si­ta­rio di un se­gre­to si sen­te in­toc­ca­bi­le for­se inac­ces­si­bi­le ai pic­co­li in­con­ve­nien­ti dei co­mu­ni mor­ta­li. Inac­ces­si­bi­le fi­no a quan­do el­la aves­se de­ci­so il con­tra­rio.

    Que­sta re­go­la non det­ta era pre­sen­te nel­la ge­stua­li­tà e nel­le pa­ro­le che com­po­ne­va­no il suo mi­su­ra­to in­ter­lo­qui­re. Sal­vo poi ac­cor­ger­si che era lei a de­ci­de­re, qua­lun­que fos­se la de­ci­sio­ne da pren­de­re, ma ciò fu chia­ro mol­ti an­ni do­po, quan­do ogni co­sa era ac­ca­du­ta.

    Lau­ra sa­pe­va con­qui­sta­re chiun­que, si muo­ve­va in un cer­chio ma­gi­co dai con­fi­ni eva­ne­scen­ti in cui tut­ti aspi­ra­va­no d’es­se­re as­sor­bi­ti. El­la pos­se­de­va una na­tu­ra­le mo­de­stia e sem­bra­va non do­ves­se lot­ta­re per con­qui­star­si quel­lo spa­zio in cui far con­ver­ge­re l’at­ten­zio­ne de­gli al­tri. I sot­ter­fu­gi, spes­so in­con­sa­pe­vo­li, che tut­ti usia­mo per su­sci­ta­re l’in­te­res­se e ren­der­ci at­traen­ti, non le era­no con­ge­nia­li. Nul­la of­fu­sca­va la sua spon­ta­nea ve­na di em­pa­tia.

    Per co­lo­ro che la co­no­sce­va­no sem­bra­va ciò che ap­pa­ri­va una bel­la ra­gaz­za con un ca­rat­te­re ap­pa­ren­te­men­te dol­ce. Nul­la la­scia­va pre­sa­gi­re gli svi­lup­pi dram­ma­ti­ca­men­te im­pe­gna­ti­vi che la vi­ta le avreb­be ri­ser­va­to.

    For­se nell’in­ti­mo in­ti­mo più pro­fon­do di chi la fre­quen­ta­va, c’era una for­ma di col­pe­vo­le in­vi­dia per quel­la bel­lez­za qua­si per­fet­ta che le do­na­va la cer­tez­za d’es­se­re sem­pre al cen­tro dell’at­ten­zio­ne.  A chi non pia­ce­reb­be? E tut­ti aspi­ra­va­mo ad es­se­re ami­ci suoi. Io per pri­ma, vo­le­vo ve­ra­men­te es­se­re la sua mi­glio­re ami­ca, l’ami­ca del cuo­re.

    Col tem­po im­pa­rai che l’ami­ci­zia co­me l’amo­re so­no so­lo bel­le pa­ro­le.

    Co­mun­que, era e ri­ma­se a lun­go una fi­gu­ra ca­ri­sma­ti­ca al­la qua­le ispi­rar­si.

    La sua ag­gra­zia­ta fi­gu­ra ed il gu­sto si­cu­ro e spes­so in­no­va­ti­vo e mai ba­na­le che pos­se­de­va per la mo­da, le do­na­va­no un fa­sci­no ini­mi­ta­bi­le.

    Mol­ti uo­mi­ni ne fu­ro­no at­trat­ti, al­cu­ni fu­ro­no ir­ri­me­dia­bil­men­te coin­vol­ti in sto­rie più o me­no rea­li che col­ma­ro­no spes­so le vuo­te chiac­chie­re che fio­ri­ro­no tra le con­fi­den­ze del­le si­gno­re del pri­vi­le­gia­to ce­to bor­ghe­se del­la son­no­len­ta pro­vin­cia.

    1960-70

    In que­gli an­ni l’Ita­lia cre­sce­va. Le don­ne si af­fac­cia­va­no pre­po­ten­te­men­te sul­la sce­na pub­bli­ca ma non ave­va­no an­co­ra ma­tu­ra­to la co­scien­za e la di­gni­tà del lo­ro sta­tus.

    Era­no e si sen­ti­va­no su­bal­ter­ne ri­spet­to agli uo­mi­ni.

    Era­no an­co­ra l’og­get­to del de­si­de­rio ma­schi­le de­cli­na­to in ter­mi­ni scio­vi­ni­sti, e spes­so se ne inor­go­gli­va­no Era­no an­co­ra il tro­feo da esi­bi­re e non ne sen­ti­va­no il li­mi­te of­fen­si­vo ed af­fat­to edi­fi­can­te.

    Ma… le avan­guar­die co­min­cia­va­no ad avan­za­re pro­po­ste di ri­ven­di­ca­zio­ni, qua­si osce­ne, nel­le fa­mi­glie più con­ser­va­tri­ci. Do­po­tut­to, le bra­ve ra­gaz­ze si spo­sa­va­no e fa­ce­va­no fi­gli.

    Fu co­sì che an­che noi ci spo­sam­mo. E nac­que­ro i no­stri fi­gli.

    Si com­pi­va co­sì il de­sti­no an­nun­cia­to di un nu­me­ro in­fi­ni­to di gio­va­ni don­ne in­tel­li­gen­ti ma im­ma­tu­re e non an­co­ra con­sa­pe­vo­li di quan­to il lo­ro ruo­lo po­tes­se es­se­re in­ci­si­vo e de­ter­mi­nan­te nel­le di­na­mi­che del­la so­cie­tà che da agri­co­la si sta­va ve­lo­ce­men­te tra­sfor­man­do in in­du­stria­le, ma che an­co­ra ri­spec­chia­va i va­lo­ri che ave­va­no pla­sma­to noi stes­se, con cri­te­ri me­no or­to­dos­si ma su­scet­ti­bi­li di evo­lu­zio­ni.

    Sal­ta­re al vo­lo sul tre­no del pro­gres­so che im­pe­tuo­sa­men­te ir­rom­pe­va sui bi­na­ri mor­ti di sta­zio­ni ob­so­le­te non era da tut­te, tut­ta­via mol­te, spin­te dall’am­bi­zio­ne, dal bi­so­gno, da for­ze estre­me dif­fi­cil­men­te leg­gi­bi­li sal­ta­ro­no su quel tre­no per ri­tro­var­si nel lo­ro più pros­si­mo fu­tu­ro, a fa­re le se­gre­ta­rie sot­to­pa­ga­te, le gri­gie emi­nen­ze di uo­mi­ni di po­te­re, le mag­gio­ra­te fi­si­che di quell’in­du­stria ci­ne­ma­to­gra­fi­ca na­scen­te con pu­re vel­lei­tà d’ar­te no­stra­na, un po’ pac­chia­na e ben po­co ar­ti­sti­ca, tran­ne ra­re ec­ce­zio­ni.

    Il Neo­rea­li­smo che ri­flet­te­va ap­pun­to le real­tà di una so­cie­tà av­via­ta ver­so una eman­ci­pa­zio­ne a cui aspi­ra­va e con cui avreb­be do­vu­to fa­re i con­ti. Col sen­no del poi si po­treb­be di­re che la mo­der­ni­tà ov­ve­ro il pro­gres­so por­ta sem­pre un la­to oscu­ro a cui la ge­ne­ra­zio­ne di tur­no de­ve ade­guar­si spes­so con con­se­guen­ze de­va­stan­ti.

    Quan­do Lau­ra si spo­sò mi dis­se:Sai, non par­ti­re­mo og­gi per il viag­gio di noz­ze, par­ti­re­mo tra qual­che gior­no

    Chie­si : C’è un mo­ti­vo? Mi ri­spo­se : Si, non vo­glio che gli ami­ci o i co­no­scen­ti pen­si­no a me che sto fa­cen­do l’amo­re con Adria­no. Ri­ma­si sen­za pa­ro­le.

    Non co­no­sce­vo quel la­to ego­cen­tri­co ed un pò mor­bo­so del­la mia ami­ca. Ero già spo­sa­ta da un an­no e una ta­le ri­fles­sio­ne mi da­va da pen­sa­re. Per­ché mai qual­cu­no avreb­be do­vu­to fan­ta­sti­ca­re sul­la vi­ta pri­va­ta di una ami­ca?

    Il ven­to del­la mo­der­ni­tà in­co­min­cia­va a sof­fia­re tra­vol­gen­do co­stu­mi ra­di­ca­ti da se­co­li. Si po­treb­be di­re che era­no i pro­dro­mi di quel­la to­ta­le con­di­vi­sio­ne che og­gi con l’uso smo­da­to di ap­pa­rec­chia­tu­re elet­tro­ni­che di va­rio ti­po, in­ve­ste co­me un’on­da che ar­ri­va da un al­tro pia­ne­ta la no­stra pri­va­cy.

    Quan­ti o quan­to ne sen­tis­si­mo l’esi­gen­za è da ca­pi­re.

    La vi­ta in pro­vin­cia era ed è co­me un vi­co­lo cie­co tut­ti san­no tut­to di tut­ti. Le nar­ra­zio­ni si ar­ric­chi­sco­no di par­ti­co­la­ri ad ogni nar­ra­zio­ne. Ed il gu­sto che pro­cu­ra­no è un pia­ce­re qua­si or­ga­smi­co a cui nes­su­no si sot­trae.

    Mar­cia­va­mo su bi­na­ri pa­ral­le­li. Stes­se aspi­ra­zio­ni, la ca­sa ar­re­da­ta in un cer­to mo­do, abi­ti e gio­iel­li di un cer­to ti­po. Stes­se am­bi­zio­ni. Stes­si tra­guar­di, la pro­prie­tà so­prat­tut­to. Ed era­no ste­reo­ti­pi as­sai co­mu­ni. Con ca­den­ze di po­co di­sco­ste, nac­que­ro i no­stri bim­bi, i fi­gli del me­to­do Mon­tes­so­ri e del dr. Spock che eb­be­ro una edu­ca­zio­ne prag­ma­ti­ca ed opi­na­bi­le.

    Noi mam­me, con i no­stri 25 o 30 an­ni d’età ci sen­ti­va­mo ma­tu­re e as­so­lu­ta­men­te con­sa­pe­vo­li di es­se­re in pro­cin­to di per­de­re la no­stra gio­ven­tù tra pap­pe e pan­no­li­ni.

    Ciò men­tre al­tre ven­ti­cin­quen­ni e tren­ten­ni che non ave­va­no ac­cet­ta­to l’omo­lo­ga­zio­ne si bat­te­va­no per con­qui­sta­re un fu­tu­ro sen­za lac­ci.

    Il fer­men­to si in­si­nuò ne­gli ani­mi ed il­lu­mi­nò il la­to oscu­ro che ci fa­ce­va vit­ti­me del si­ste­ma. Ma dov’era l’anel­lo de­bo­le che avreb­be fat­to sal­ta­re le ca­te­ne che ci an­co­ra­va­no al­la boa esi­sten­zia­le ?

    3

    Ven­ne il gior­no in cui Lau­ra mi dis­se: Io pen­so che le don­ne che ri­nun­cia­no a vi­ve­re una re­la­zio­ne ex­tra­co­niu­ga­le non so­no ab­ba­stan­za co­rag­gio­se per af­fron­ta­re gli in­con­ve­nien­ti che ne de­ri­va­no

    Per­ché di­ci que­sto, vuoi tra­di­re Adria­no?

    Io amo Adria­no, ma …mi ac­cor­go di aver spo­sa­to un uo­mo me­dio­cre, la sua bel­lez­za nel sen­so più ba­na­le del ter­mi­ne mi ha fat­to in­na­mo­ra­re ma… amo an­che tut­to ciò che di nuo­vo il de­sti­no po­ne sul­la mia stra­da, per­ché ri­nun­cia­re? Gli uo­mi­ni non so­no for­se da sem­pre de­di­ti ad av­ven­tu­re d’ogni ge­ne­re? Per­ché noi dob­bia­mo ne­gar­ce­le?

    Non ave­vo mai pen­sa­to al tra­di­men­to in que­sti ter­mi­ni e sta­vo vi­ven­do un mo­men­to par­ti­co­la­re del­la mia vi­ta di cop­pia, un mo­men­to che sfo­ciò in una gros­sa cri­si esi­sten­zia­le, una cre­sci­ta ine­vi­ta­bi­le ed ab­ba­stan­za do­lo­ro­sa.

    Lau­ra mi rac­con­tò co­sì la sto­ria im­por­tan­te che sta­va vi­ven­do.

    Non mi stu­pì co­no­sce­re i det­ta­gli di una re­la­zio­ne na­ta, cre­sciu­ta e sof­fer­ta non per il me­ro gu­sto del non le­ci­to ma co­me un sen­ti­men­to dif­fi­ci­le da igno­ra­re ed an­che da ge­sti­re.

    Il sen­ti­men­to di Lau­ra, sia pu­re non pie­na­men­te con­si­de­ra­to, for­se a cau­sa del­la gio­va­ne età di Lau­ra, era un pre­zio­so fio­re cre­sciu­to nell’om­bra. Di­fe­so dai so­spet­ti. Cu­sto­di­to e col­ti­va­to con me­ti­co­lo­sa at­ten­zio­ne af­fin­chè i sen­si di col­pa non lo fa­go­ci­tas­se­ro.

    Io co­no­sce­vo quel –Lui- co­sì im­por­tan­te per Lau­ra e per il qua­le tut­to di­ven­ta­va …fat­ti­bi­le.

    E co­no­scen­do­lo po­te­vo in­tui­re la de­li­ca­ta emer­gen­za di quel­la clan­de­sti­ni­tà.

    Il Dr. Ma­rio era sen­za dub­bio un uo­mo non de­di­to a scap­pa­tel­le. Ave­va mo­glie e due fi­gli. La sua fa­mi­glia era la sua di­men­sio­ne pri­va­ta la sua pro­fes­sio­ne quel­la pub­bli­ca e nes­su­na mac­chia ca­rat­te­ria­le sul suo sta­tus so­cia­le. Non esi­bi­va la bel­lez­za fi­si­ca di Adria­no ma tut­to di lui, dal por­ta­men­to ai mo­di, par­la­va di un uo­mo di qua­li­tà e ri­go­re, di uma­ni­tà e de­li­ca­tez­za fuo­ri dall’or­di­na­rio.

    Po­te­vo dun­que im­ma­gi­na­re il ter­re­mo­to psi­co­lo­gi­co ed emo­ti­vo che coin­vol­ge­va en­tram­bi ma non po­te­vo im­ma­gi­na­re la svol­ta che i fat­ti avreb­be­ro pre­so in mo­do del tut­to ar­bi­tra­rio.

    1970-

    Era­no an­ni di gran­de cam­bia­men­to. Tut­to ciò che ie­ri –ERA –fra­na­va sot­to i col­pi di un di­la­gan­te mo­der­ni­smo.

    Le tra­di­zio­ni tra­vol­te da un de­si­de­rio di cam­bia­men­to che si ma­ni­fe­sta­va in mil­le mo­di.

    Il Sud d’Ita­lia in­va­de­va il Nord e ne as­si­mi­la­va gli aspet­ti più pe­cu­lia­ri.

    Il Nord sco­pri­va il Sud tol­le­ran­do­ne i la­ti ne­ga­ti­vi, co­me si fa con un ma­le in­cu­ra­bi­le.

    Cam­bia­va­no le re­go­le ed ir­rom­pe­va­no nuo­ve leg­gi. L’abor­to le­ga­le che de­bel­la­va la pia­ga del­la clan­de­sti­ni­tà. Il di­vor­zio che san­ci­va l’au­spi­ca­bi­le ri­so­lu­zio­ne di vi­te spre­ca­te in rap­por­ti esau­ri­ti di si­gni­fi­ca­ti e sen­ti­men­ti.

    Ed inol­tre, nel mon­do, fat­ti me­mo­ra­bi­li che rac­con­ta­va­no co­me cam­bia­va la so­cie­tà.

    I cor­tei riem­pi­va­no le stra­de e le piaz­ze era­no un tri­pu­dio di ban­die­re ros­se, poi­ché i la­vo­ra­to­ri di ogni or­di­ne e gra­do le­va­va­no al­te le lo­ro pro­te­ste men­tre gli stu­den­ti pro­cla­ma­va­no il lo­ro mal­con­ten­to per quel­la scuo­la eli­ta­ria che an­co­ra mie­te­va le vit­ti­me di un si­ste­ma che non ave­va al­cun ri­spet­to per i fi­gli de­gli ope­rai che si ac­cin­ge­va­no al­la sca­la­ta al­la Cul­tu­ra con la C ma­iu­sco­la.

    Vo­le­va­no fa­re la ri­vo­lu­zio­ne cul­tu­ra­le guar­dan­do al­la Ci­na e rin­ne­gan­do la pro­pria Sto­ria. Si mi­tiz­za­va­no im­ma­gi­ni e ideo­lo­gie uti­liz­zan­do i sim­bo­li : Cu­ba col suo ca­ri­sma­ti­co Che, Viet­nam con la sua mar­ti­riz­za­ta Cam­bo­gia, Ci­na con i suoi li­bret­ti ros­si bran­di­ti con or­go­glio in no­me di una con­qui­sta­ta giu­sti­zia ed equi­tà. Ma si sa­pe­va po­co o nul­la del­la Sto­ria di quei pae­si e di quei po­po­li.

    Il con­su­mi­smo edo­ni­sti­co di­la­gan­te crea­va con­for­mi­smo co­me sti­le di vi­ta.

    Quel­lo stes­so con­for­mi­smo, ma­ga­ri con pa­ra­me­tri di­ver­si, dal qua­le si de­si­de­ra­va usci­re. Il fer­men­to era tan­gi­bi­le in tut­ti gli stra­ti so­cia­li ed i co­mu­ni­sti pu­ri sta­va­no a guar­da­re.

    Le don­ne in­ve­ce cre­de­va­no che la pro­te­sta sa­nas­se mol­ti ma­li. Non sba­glia­va­no, ma l’ap­proc­cio di­sin­vol­to al­le nuo­ve teo­rie crea­va equi­vo­ci e nes­su­no po­te­va im­ma­gi­na­re che ci sa­reb­be­ro vo­lu­ti de­cen­ni per rag­giun­ge­re quel­la pa­ri­tà tan­to per­se­gui­ta.

    Il cam­bia­men­to len­to ed ine­so­ra­bi­le fa­ce­va il suo cor­so sto­ri­co e il gap ge­ne­ra­zio­na­le si pro­dus­se in ma­nie­ra ine­qui­vo­ca­bi­le. I fi­gli or­mai ac­cul­tu­ra­ti im­ba­va­glia­va­no i ge­ni­to­ri igno­ran­ti e re­tro­gra­di ed i ge­ni­to­ri pa­ra­dos­sal­men­te si inor­go­gli­va­no dei pro­pri fi­gli evo­lu­ti. I ma­ri­ti era­no la boa, la bol­la esi­sten­zia­le ma nell’in­ti­mo, si so­gna­va quel­la li­ber­tà di azio­ne e di pen­sie­ro di cui si bla­te­ra­va.

    Le nuo­ve re­go­le com­por­ta­men­ta­li di li­ber­tà ses­sua­le si in­fil­tra­ro­no nel tes­su­to so­cia­le. Le don­ne che nei se­co­li pas­sa­ti era­no sta­te og­get­to di so­pru­si se ne fe­ce­ro uno scu­do:-L’ute­ro è mio e lo ge­sti­sco io- di­ven­ne un man­tra.

    I sen­ti­men­ti che co­mun­que so­no pre­sen­ti co­me un co­di­ce nel DNA fem­mi­ni­le, pas­sa­ro­no in se­cond’or­di­ne in que­sta ubria­ca­tu­ra di li­ber­tà. Da un’ana­li­si ac­cu­ra­ta si può de­dur­re che si in­co­min­cia­ro­no a pro­dur­re, già dall’ini­zio, le spac­ca­tu­re di pen­sie­ro che re­se­ro in­fe­li­ci le pro­gres­si­ste e le in­de­ci­se.

    Lau­ra non era cer­ta d’es­se­re ve­ra­men­te in­na­mo­ra­ta ma non vo­le­va e non po­te­va ri­nun­cia­re al­la sua sto­ria. Io ero fol­le­men­te in­na­mo­ra­ta ma l’og­get­to del mio in­na­mo­ra­men­to era quan­to di più am­bi­guo si po­tes­se im­ma­gi­na­re. Lau­ra vis­se in­ten­sa­men­te la sua sto­ria pro­gres­si­sta, io mi fer­mai sull’uscio bloc­ca­ta da quei sen­si di col­pa che la fi­lo­so­fia del mo­men­to ri­get­ta­va. E la li­ber­tà in­te­rio­re ri­ma­se una chi­me­ra, un so­gno im­ma­gi­na­to e non esplo­ra­to, ma di cui si dis­ser­ta­va nel­le chiac­chie­re fem­mi­ni­li e non. Il rin­no­va­men­to per la mag­gior par­te del­le don­ne ri­ma­se un so­gno nel cas­set­to da ti­ra­re fuo­ri all’oc­cor­ren­za, an­che se era or­mai chia­ro, i mo­del­li ed i va­lo­ri con es­so vei­co­la­ti (scuo­la, re­li­gio­ne, fa­mi­glia) ave­va­no per­so smal­to e cre­di­bi­li­tà.

    La po­li­ti­ca ini­ziò a pro­dur­re un sub­stra­to di con­ni­ven­ze ed oscu­re ma­no­vre di po­te­re che suc­ces­si­va­men­te scop­pia­ro­no co­me bub­bo­ni in­fet­ti. So­no di que­gli an­ni le pri­me stra­gi che in­san­gui­na­ro­no l’Ita­lia e di cui an­co­ra og­gi si dis­ser­ta su man­dan­ti ed ese­cu­to­ri.

    E fu­ro­no an­ni bui quel­li che se­gui­ro­no, il gol­pe Bor­ghe­se, le stra­gi de­gli uo­mi­ni chia­ve del si­ste­ma so­cio­po­li­ti­co ita­lia­no:Fal­co­ne e Bor­sel­li­no, l’on. Mo­ro e le eroi­che scor­te che per­se­ro la vi­ta te­sti­mo­nia­no una pas­sag­gio dif­fi­ci­le da cui non uscim­mo mi­glio­ri.

    So­lo più con­sa­pe­vo­li e me­no sprov­ve­du­ti, più ci­ni­ci, più in­tral­laz­zo­ni, più di­so­ne­sti, più cor­rot­ti, più cor­rut­ti­bi­li, più bu­giar­di e ipo­cri­ti, av­via­ti a gran­di pas­si ver­so un fu­tu­ro in cui la tec­no­lo­gia ci pro­iet­ta­va con vi­sio­ni di inim­ma­gi­na­te ri­so­lu­zio­ni.

    L’ini­bi­zio­ne de­gli im­pul­si uma­ni mi­glio­ri sta­va pro­du­cen­do quel­lo scol­la­men­to dal­la real­tà di cui og­gi ab­bia­mo vi­sio­ne e che ci avreb­be a lun­go con­trad­di­stin­ti, co­strin­gen­do­ci ad una re­vi­sio­ne ne­gli an­ni av­ve­ni­re con quell’ope­ra di sen­si­bi­liz­za­zio­ne da par­te di ogni or­ga­ni­smo pre­po­sto. La scuo­la in pri­mis, la fa­mi­glia a se­gui­re, con ri­sul­ta­ti non sem­pre ap­prez­za­bi­li.

    Era­no gior­ni in cui mi di­bat­te­vo nel dub­bio. La mia mo­ra­le, quel­la in cui mi ero for­ma­ta con­dan­na­va il tra­di­men­to tout-court.

    Ma la mo­ra­le cor­ren­te an­da­va in tutt’al­tra di­re­zio­ne. Lau­ra non ave­va dub­bi. La ca­du­ta del­le ini­bi­zio­ni ses­sua­li rap­pre­sen­ta­va una ri­vo­lu­zio­ne dei co­stu­mi da non sot­to­va­lu­ta­re, un’av­ven­tu­ra per lei, non era un tra­di­men­to. Cer­ca­re la fe­li­ci­tà o l’ap­pa­ga­men­to ses­sua­le? Due mo­di di­ver­si di in­ten­de­re il tra­di­men­to. Sta­va esplo­ran­do l’amo­re o que­sto cre­de­va. Era un suo di­rit­to ac­qui­si­to.

    Col tem­po im­pa­rai che c’era an­che un’al­tra chia­ve di let­tu­ra: la ri­cer­ca di un’al­tra iden­ti­tà.

    Col tem­po ca­pii che io(e for­se an­che lei) mi ri­flet­te­vo nell’uo­mo di cui mi ero in­na­mo­ra­ta, io ama­vo quel­la me stes­sa che non esi­ste­va e che avrei vo­lu­to o po­tu­to es­se­re ac­can­to ad un uo­mo di­ver­so o da sin­gle.

    Lau­ra in­ve­ce, di­ce­va di ama­re Adria­no, suo ma­ri­to, ma sco­pri­va di ama­re an­che Ma­rio. Un sen­ti­men­to for­te e ri­cam­bia­to con in­ten­si­tà che pe­rò nul­la to­glie­va ad en­tram­bi i nu­clei fa­mi­lia­ri.

    Vi­ve­va­no in sim­bio­si traen­do da­gli uni la for­za per tra­di­re gli al­tri.

    Ascol­ta­vo ed os­ser­va­vo quel­la com­ples­sa real­tà che nul­la to­glie­va a nes­su­no ed an­zi ap­pa­ri­va co­me fon­te di equi­li­bri. Se Lau­ra aves­se de­ci­so di rom­pe­re uno dei due rap­por­ti ne sa­reb­be sca­tu­ri­to un dram­ma dal­le con­se­guen­ze im­pre­ve­di­bi­li.

    A me era toc­ca­ta la par­te me­no ap­pa­gan­te. An­zi, io ave­vo scel­to la par­te me­no ap­pa­gan­te.

    E fu l’ini­zio del­le de­lu­sio­ni più co­cen­ti.

    Del re­sto era nel mio ca­rat­te­re va­lu­ta­re le si­tua­zio­ni, ri­va­lu­ta­re le si­tua­zio­ni. Eser­ci­tan­do un ri­gi­da sor­ve­glian­za af­fin­chè tut­to fos­se sot­to con­trol­lo e que­sto al­la lun­ga to­glie spon­ta­nei­tà.

    L’idea

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