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La relazione distruttiva: Manipolazione, violenza, femminicidio
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Ebook275 pages3 hours

La relazione distruttiva: Manipolazione, violenza, femminicidio

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La violenza non rappresenta soltanto l'esplosione di un conflitto, ma spesso è lo sfogo di insoddisfazioni, tensioni, rabbie, frustrazioni. La spiegazione stessa del reato di violenza di genere deve essere supportata da una visione interdisciplinare con approcci di tipo psico-sociologico, criminologico e giuridico. E’ fondamentale lo studio e la misurazione del fenomeno così come la ricerca di strumenti efficaci a contrastarlo, perché la violenza di genere non è solo un concetto teorico e culturale tipico di un determinato contesto sociale ma purtroppo è un problema reale, con vittime reali ed autori che non sono “ mostri” ma persone con le quali condividiamo, il più delle volte, parte della nostra vita.
LanguageItaliano
Release dateJun 8, 2020
ISBN9788835842569
La relazione distruttiva: Manipolazione, violenza, femminicidio

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    La relazione distruttiva - Barbara Zanoni

    autrici

    Introduzione

    Presso le Procure vengono iscritti ogni anno molti processi per violenza sessuale, per stalking, per maltrattamenti e la maggior parte di questi contenziosi vede come vittima una donna. A questi reati poi si associano quelli trasversali, quali le lesioni volontarie, le ingiurie, le minacce, la violenza privata, che costituiscono sempre i prodromi della violenza distruttiva, perché la violenza non si esaurisce in un singolo atto ma si sostanzia in una escalation di comportamenti sempre più devastanti.

    Eppure, quando si parla di violenza la maggior parte delle persone associa questa parola all’ immagine mentale della violenza fisica. Gli stessi media, la televisione in particolare, veicolano immagini e notizie legati esclusivamente al maltrattamento fisico, alle botte, alle lesioni, all’ omicidio (e sui media si parla di questo, al massimo di tentato omicidio, perché le altre forme di violenza quotidiana subita da milioni di donne, quando non ha esito mortale, non fanno notizia ). Non solo, ma viene data particolare rilevanza al comportamento dell’aggressore: la vittima resta e deve rimanere tale, relegata nel suo ruolo di mera destinataria dell’azione fisica, materiale dell’abusante. Che cosa si riporta della vittima? Qualche cenno della sua vita e nove volte su dieci il fatto che la stessa aveva già denunciato il suo aggressore ma a nulla è servito. Il risultato è quello di fornire l’ immagine di un aggressore colpito da un momentaneo discontrollo emotivo o psicologico (il pazzo, il mostro) e la veicolazione di un messaggio di sfiducia nelle istituzioni e nelle forze dell’ordine.

    D’altronde nell’ordinamento italiano non vi è menzione del termine vittima: nel codice penale e nel codice di procedura penale troviamo altre espressioni quali l’offeso e la persona offesa dal reato. E’ nella Risoluzione n. 40/34 del 29/11/1985 dell’ONU che troviamo descritto il termine di vittima, come vedremo più oltre.

    E’ anche opportuno ricordare la definizione utilizzata nella Convenzione di Istanbul, firmata nel 2011 e ratificata dall’Italia con la legge 77/2013, la quale all’ articolo 3 così recita: " a. per violenza nei confronti delle donne, si intende indicare la violazione dei diritti umani e la discriminazione contro le donne comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata; b. per violenza domestica si intendono tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’ interno della famiglia, del nucleo familiare, tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima; c. per genere ci si riferisce a ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini; d. per violenza contro le donne basata sul genere si intende qualsiasi violenza diretta contro una donna in quanto tale, o che colpisce le donne in modo sproporzionato; e. per vittima si intende qualsiasi persona fisica che subisce gli atti o i comportamenti di cui ai precedenti commi a e b; f. con il termine donne sono da intendersi anche le ragazze di meno di 18 anni."

    Quando si parla di atti di violenza agiti da un uomo verso una donna, se ne parla sempre in modo parziale e ricorrente. Ma non è così. Per comprendere il problema dobbiamo innanzitutto renderci conto che la violenza è costituita da molti aspetti, è determinata da molti fattori e solamente un approccio generale ed al tempo stesso sistematico verso questo fenomeno ci dà la possibilità di iniziare a comprenderlo e a valutarlo nella sua interezza. Un atto di violenza non va visto come un evento a sé stante ma va inserito in un contesto in cui rivestono una grandissima importanza tanti aspetti: l’ aggressore sì, ma anche i rapporti pregressi tra questo e la vittima, la vittima stessa e la sua vita (perché, non dimentichiamolo, la vittima non diventa tale al primo ceffone ma spesso ha cominciato ad esserlo molto prima, a volte anche prima di conoscere l’ aggressore stesso), l’ accettazione sociale della violenza contro le donne come un normale aspetto della condizione di subordinazione femminile , la continua veicolazione dell’immagine della donna come oggetto, continuamente propostaci dai media e dalla pubblicità.

    La lettura di un agito violento non può prescindere dall’esame minuzioso di vari elementi, esame che ci permette di valutare con la dovuta oggettività (necessaria per comprendere e per intervenire) ogni singolo caso in ispecie: il grado di pericolosità del soggetto che compie l’ atto, il dolo generico o specifico nell’atto, le forme occulte di violenza, il grado di consapevolezza e di convolgimento dell’aggressore e della vittima, le modalità di esecuzione, la compromissione familiare e sociale, l’ abuso di alcool e sostanze stupefacenti, i pregressi agiti violenti, le circostanze slatentizzanti un’aggressività esistente e così via….

    La violenza è un fenomeno complesso dai confini indefinibili e può essere agita in diverse forme: violenza psicologica, violenza fisica, violenza economica, violenza sessuale, stalking. In un rapporto disadattivo, comunque sia, l’ esordio si ha sempre con la violenza psicologica che è quella più distruttiva, quella che lascia tracce indelebili, più di un braccio rotto, più di un timpano sfondato.

    Ma che cosa si intende per violenza?

    Iniziamo col dire che violenza non è sinonimo di aggressività. L’aggressività nasce a difesa e protezione della propria vita; è una forza, un istinto posseduto da ogni essere vivente e messo in azione quando ci si trova di fronte a minacce esterne che attentano alla nostra incolumità. La violenza è invece un utilizzo distorto e strumentale dell’aggressività a fini distruttivi. I diversi contesti o situazioni in cui ci troviamo possono scatenare in noi quell’aggressività intesa come istinto di autoprotezione che, se ben incanalata, può anche portare a fini utili e condivisi. Viceversa quando ciò non è possibile, per ragioni situazionali, sociali/ relazionali o di disequilibrio psicologico o per patologie psichiche, l’aggressività si declina in forma distruttiva ed ecco scaturire l’atto o il comportamento violento che può essere auto od eterodiretto.

    La definizione di violenza che viene data dall’Organizzazione Mondiale della Sanità è " l’ uso intenzionale della forza fisica o del potere, effettivo o solamente minacciato, contro se stessi, una persona, un gruppo o una comunità, che risulta o ha un’alta probabilità di risultare in ferite, morte, danno psicologico, problemi allo sviluppo o deprivazione " (World report on violence and health, OMS, 2002) .

    Nella definizione dell’OMS è importante sottolineare l’espressione " l’uso intenzionale " della forza fisica o del potere, minacciata o attuata.

    Cominciamo quindi con lo sfatare un mito: contrariamente a quanto si crede, in un rapporto disfunzionale la violenza non è la conseguenza di una perdita di controllo da parte dell’aggressore. Anzi è tutto il contrario: è la chiara volontà, lucidamente perpetrata di controllare e dominare l’ altro arrivando addirittura alla sua distruzione se questa dominanza non viene riconosciuta od accettata. C’è un insieme di strategie, che piano piano vengono messe in atto al fine di arrivare al dominio ed al potere su una persona. Ciò che eccita un uomo abusante è l’ esercitare un dominio che determini la paura e la sottomissione della donna: lo eccita e lo rassicura. Non parliamo d’ amore, non parliamo di affettività, di mutue scelte e consensi: la donna di un uomo abusante serve allo stesso per placare problemi e disagi , spesso patologici, nella sfera dell’individualità , nella sfera della maturità, nella sfera affettiva, nella sfera relazionale.

    La differenza fra conflitto e violenza, sta sostanzialmente nella asimmetria di equilibrio: " la violenza contro le donne è una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi, che hanno portato alla dominazione sulle donne e alla discriminazione nei loro confronti da parte degli uomini e impedito la loro piena emancipazione la violenza contro le donne è uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini ". (Convenzione di Instanbul).

    Quando si parla di violenza si è nell’ambito della psicologia del disagio, sia esistenziale (l’essere nel mondo) sia relazionale (apertura al mondo). Si assiste nei maltrattanti ad una sorta di disimpegno morale, che li porta a giustificare un’ azione violenta sostenendo che la si fa a scopi rieducativi o punitivi e sempre a favore del maltrattato, o che si è agito a seguito di provocazioni o ancora che non si viola alcuna norma o addirittura che tutti fanno così . Infatti gli autori di violenza tendono sovente a sminuire le conseguenze della loro azione, tendono a deresponsabilizzarsi, tendono a giustificare il loro comportamento svalutando la persona bersaglio delle loro prevaricazioni.

    Allo stato attuale, l’ apparato legislativo e giudiziario, la formazione e la sensibilizzazione delle forze dell’ordine e delle strutture sanitarie sulla violenza di genere, l’ assenza o le carenze (tra le quali, importantissima la scarsità di risorse economiche) dei servizi preposti, sono tutti potenziali fattori di rischio, oltre a quelli di diverso genere, che vanno ad incrementare il numero oscuro del fenomeno in questione, inibendo per esempio la volontà della vittima a denunciare la violenza.

    La violenza non rappresenta soltanto l'esplosione di un conflitto, ma spesso è lo sfogo di insoddisfazioni, tensioni, rabbie, frustrazioni. La spiegazione stessa del reato di violenza di genere deve essere supportata da una visione interdisciplinare con approcci di tipo psico-sociologico, criminologico e giuridico. E’ fondamentale lo studio e la misurazione del fenomeno così come la ricerca di strumenti efficaci a contrastarlo, perché la violenza di genere non è solo un concetto teorico e culturale tipico di un determinato contesto sociale ma purtroppo è un problema reale, con vittime reali ed autori che non sono mostri ma persone con le quali condividiamo, il più delle volte, parte della nostra vita.

    Capitolo 1 - Società e famiglia

    La violenza maschile contro le donne è un crimine di dimensioni globali, storicamente basato sulla discriminazione tra sessi e si inquadra come fenomeno riscontrabile in diverse culture, società ed etnie, esteso ad ogni classe sociale e ad ogni età.

    Il primo documento che si occupa esplicitamente della violenza alle donne è stato emanato nel 1993 dall’ONU ed è la Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro la donna.

    Nell’art. 1 si legge che l’espressione violenza contro le donne include ogni atto di violenza fondata sul genere che abbia come risultato un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, che avvenga nella vita pubblica o privata. L’ art. 4 afferma che gli Stati dovrebbero condannare la violenza contro le donne e non dovrebbero appellarsi ad alcuna consuetudine, tradizione o considerazione religiosa al fine di non ottemperare alle loro obbligazioni quanto alla sua eliminazione e dovrebbero perseguire con tutti i mezzi appropriati e senza indugio una politica di eliminazione della violenza contro le donne.

    Per l’ Organizzazione Mondiale della Sanità la violenza di genere (Gender-based violence, GBV) e specificamente la violenza contro le donne (Violence Against Women, VAW), è in tutto il mondo il più grande problema di salute pubblica e di diritti umani violati, eppure solamente negli ultimi anni questo fenomeno ha iniziato a ricevere tutela giuridica. Si dice che la violenza contro le donne sia in costante aumento ma in realtà non è possibile sapere il numero esatto delle donne che hanno subito queste terribili esperienze, perché i dati ISTAT sono relativi soltanto al numero esiguo di donne che hanno denunciato il fatto alle autorità.

    Dal sito ISTAT (https://www.istat.it/violenza-sulle-donne/il-fenomeno/violenza-dentro-e- fuori-la-famiglia/consapevolezza-e-uscita-dalla-violenza)

    La violenza di genere è un fenomeno ancora sommerso, è elevata, infatti, la quota di donne che non parlano con nessuno della violenza subita (il 28,1% nel caso di violenze da partner, il 25,5% per quelle da non partner), di chi non denuncia (i tassi di denuncia riguardano il 12,2% delle violenza da partner e il 6% di quelle da non partner), di chi non cerca aiuto; ancora poche sono, infatti, le donne che si rivolgono ad un centro antiviolenza o in generale un servizio specializzato (rispettivamente il 3,7% nel caso di violenza nella coppia e l’1% per quelle al di fuori). Ma la cosa più preoccupante è che queste azioni sarebbero davvero essenziali per aiutare la donna ad uscire dalla violenza.

    Per questo motivo le politiche di sensibilizzazione sono essenziali per trasmettere il messaggio che parlare della violenza subita ed entrare in contatto con le istituzioni e i servizi dedicati costituiscono una preziosa fonte di aiuto. Tant’è vero che le donne che provano ad uscire dalla violenza e lasciano il partner violento, spesso tornano con lui proprio perché non hanno cercato aiuto in risorse esterne all’ambiente familiare.

    Inoltre dai dati emerge che le vittime spesso non sanno dove cercare aiuto, basti pensare che il 12,8% di queste non sapeva dell’esistenza dei centri antiviolenza o dei servizi o sportelli di supporto per le vittime, percentuale che è pari al 10,3% per le donne che hanno subito violenza fuori dalla coppia.

    Molte donne non considerano la violenza subita un reato, solo il 35,4% delle donne che hanno subìto violenza fisica o sessuale dal partner ritiene di essere stata vittima di un reato, il 44% sostiene che si è trattato di qualcosa di sbagliato ma non di un reato, mentre il 19,4% considera la violenza solo qualcosa che è accaduto. Similmente sono giudicate un reato il 33,3% delle violenze commesse da altri uomini, qualcosa di sbagliato il 47,9% e solo qualcosa che è accaduto il 17,3%. È importante quindi in tal senso far crescere la consapevolezza femminile rispetto a quanto subito.

    Un caso particolare è rappresentato dalle donne straniere che sono caratterizzate da un comportamento di richiesta di aiuto maggiore (hanno denunciato le violenze dai partner nel 17,1% dei casi e si rivolgono con più frequenza a centri specializzati, 6,4%), sebbene la consapevolezza della violenza in quanto reato sia la stessa delle italiane (35%). Una chiave interpretativa riguarda la differenza delle reti informali a disposizione delle straniere, che essendo più sole, si trovano a cercare maggiormente supporto presso le istituzioni e i servizi.

    Tutti questi comportamenti sono inoltre diversificati a seconda del tipo di violenza subita, più la violenza è grave più essa è considerata un reato e più viene denunciata, fatta eccezione per le violenze sessuali commesse da autori non partner che sono denunciate in misura minore, e dal tipo di autore che l’ha agita. Ad esempio il comportamento di denuncia delle italiane cambia notevolmente se l’autore della violenza è straniero (il 15% degli stupri subiti dalle donne italiane al di fuori della coppia sono commessi da stranieri), basti pensare che la quota di vittime di stupro da un autore straniero che dichiara di aver denunciato è oltre 6 volte più alta rispetto al caso in cui l’autore è italiano. Per il tentato stupro la differenza è ancora più marcata: la quota di donne che denunciano nel caso di un autore straniero è 10 volte più alta rispetto al caso in cui l’autore sia un italiano.

    Le donne non denunciano perché hanno imparato a gestire la situazione da sole (39,6% per le violenze da partner e 39,5% da non partner) o perché il fatto non era grave (rispettivamente 31,6% e 42,4%), ma anche per paura (10,1% e 5,0%), per il timore di non essere credute, la vergogna e l’imbarazzo (7,1% e 7,0%), per sfiducia nelle forze dell’ordine (5,9 e 8,0%) e nel caso della violenza nella coppia perché amavano il partner e non volevano che venisse arrestato (13,8%).

    Nel caso in cui invece la donna abbia denunciato, alla denuncia hanno fatto seguito imputazioni nel 29,7% dei casi delle violenze perpetrate da autori diversi dai partner e sono state adottate misure cautelari nel 19,8% dei casi, che sono state poi violate per il 31,5% delle volte.

    Al contrario, per le violenze da partner, il dato delle imputazioni è notevolmente più basso (2,3%), mentre sono maggiori le percentuali inerenti alle misure cautelari adottate (34,5%), che sono state violate anche in misura minore (9,1%).

    Cosa è accaduto negli ultimi 5 anni?

    Considerando gli ultimi 5 anni precedenti il 2006 e il 2014, emerge una maggiore consapevolezza della violenza subìta (Tavola 1). Considerando le violenze da parte dei partner o degli ex partner negli ultimi 5 anni, è evidente che le donne denunciano di più (11,8% contro 6,7%), ne parlano di più (la percentuale di chi non ne parla con alcuno è diminuita dal 32% del 2006 al 22,9% del 2014), si rivolgono di più ai centri antiviolenza, agli sportelli o ai servizi per la violenza contro le donne (dal 2,4% al 4,9%). Inoltre, più vittime la considerano un reato (dal 14,3% al 29,6%) e meno come qualcosa che è solo accaduto (in calo dal 35,2% al 20%). Un andamento simile si riscontra per le violenze subìte da uomini diversi dai partner, sebbene negli ultimi 5 anni sia rimasta stabile la percentuale di donne che non ne parlano con alcuno (21%).

    Le persone con cui le donne parlano di più della violenza subita sono sempre i familiari, gli amici e i parenti, ma nel 2014 è aumentato il ruolo di figure professionali specifiche come gli avvocati, i magistrati e le forze dell’ordine, coerentemente con l’aumento delle denunce.

    Tra le donne che hanno subìto violenza dai partner e che hanno denunciato il reato negli ultimi 5 anni, il 28,5% è molto soddisfatta di come le forze dell’ordine hanno gestito il caso e il 25,1% è soddisfatta. Il giudizio è negativo per il 45,8%. Rispetto agli ultimi 5 anni precedenti il 2006, diminuisce la quota di donne soddisfatte dell’operato delle forze dell’ordine a favore delle molto soddisfatte e sono complessivamente in calo i giudizi negativi.

    Un dato simile è riscontrabile per

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