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Dove gatto metto i soldi?
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Dove gatto metto i soldi?

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Lo scenario economico e finanziario attuale, radicalmente diverso perfino rispetto a quello di appena 10 anni fa, rende impossibile raggiungere il benessere finanziario applicando iprincipi obsoleti e i consigli controproducenti di una volta (es. il mattone non tradisce mai, compra i BOT (o i Buoni Postali), metti i tuoi risparmi in una Polizza vita) e dunque impone, a chi vuol risparmiare ed investire, di acquisire consapevolezze, competenze ed abilità del tutto nuove.“Dove gatto metto i soldi ?”, al di là del titolo ironico, è un manuale di 334 pagine che tratta in modo completo ed esaustivo l’educazione finanziaria ed il mondo degli investimenti: dall’abc del risparmio, al master del trading, passando per il fondamentale perno dell’investimento di lungo periodo.Il libro demolisce i miti (ad esempio quello secondo cui i fondi a gestione attiva battono il mercato) che hanno indotto molti risparmiatori a perdere soldi, analizza gli strumenti finanziari tradizionali (azioni, obbligazioni ecc.) e quelli innovativi (acqua, bitcoin e criptovalute), dedicando ampio spazio al regime fiscale degli investimenti.IMPORTANTE: tutti gli aggiornamenti futuri sui mercati che gli autori riterranno importanti, saranno inviati al lettore tramite mail dedicata !
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateMay 28, 2020
ISBN9788831675321
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    Dove gatto metto i soldi? - Benedetto Neroni

    633/1941.

    INTRODUZIONE

    La conoscenza è sopravvivenza (l’educazione finanziaria è indispensabile)

    C’ERA UNA VOLTA..

    In una pe­ni­so­la ba­cia­ta dal so­le al cen­tro del me­di­ter­ra­neo, me­glio co­no­sciu­ta co­me Ita­lia, nei de­cen­ni che van­no dal mi­ra­co­lo eco­no­mi­co al crol­lo del mu­ro di Ber­li­no, l’eco­no­mia era so­li­da, la pro­du­zio­ne in­du­stria­le for­te e la di­soc­cu­pa­zio­ne bas­sa¹.

    L’uni­ca va­ria­bi­le eco­no­mi­ca ne­ga­ti­va era l’in­fla­zio­ne (al­la fi­ne de­gli an­ni 70 rag­giun­se il 21% su ba­se an­nua, per poi scen­de­re ed as­se­star­si su una me­dia del 9% an­nuo nel cor­so del de­cen­nio suc­ces­si­vo): par­le­re­mo dell’in­fla­zio­ne e dei suoi ef­fet­ti più avan­ti, ma chia­ria­mo su­bi­to che es­sa nell’im­ma­gi­na­rio col­let­ti­vo ri­ve­ste un ruo­lo ec­ces­si­va­men­te ne­ga­ti­vo ri­spet­to a quel­lo che é in real­tà. 

    Ad ogni mo­do, tro­va­re un’oc­cu­pa­zio­ne non era un’im­pre­sa dif­fi­ci­le co­me al gior­no d’og­gi² e so­prat­tut­to, qual­sia­si im­pie­go (an­che il più umi­le) era re­mu­ne­ra­to ade­gua­ta­men­te: il la­vo­ra­to­re, con il sa­la­rio per­ce­pi­to³, nel­la peg­gio­re del­le ipo­te­si era in gra­do di sfa­ma­re una fa­mi­glia e di ac­can­to­na­re un po’ di de­na­ro sul con­to cor­ren­te. A pro­po­si­to, un con­to cor­ren­te ne­gli an­ni ot­tan­ta ren­de­va (in me­dia) il 6% lor­do su ba­se an­nua, un con­to di de­po­si­to po­te­va ar­ri­va­re ad­di­rit­tu­ra ad un ren­di­men­to del 10% lor­do an­nuo ! Non ma­le ve­ro ?

    In quei de­cen­ni chiun­que avreb­be po­tu­to nell’or­di­ne (e a se­con­da del li­vel­lo del­le pro­prie ca­pa­ci­tà fi­si­che e men­ta­li):

    1) Lavorare

    2) Risparmiare

    3) Investire

    4) Avviare un’azienda

    La­scian­do da par­te (per il mo­men­to) i pun­ti 3) e 4) – pri­ma di par­la­re de­gli in­ve­sti­men­ti e del­la ca­pa­ci­tà di crea­re ric­chez­za at­tra­ver­so un’azien­da, bi­so­gna af­fron­ta­re l’ar­go­men­to ri­spar­mio: non si può cor­re­re se non si è im­pa­ra­to a cam­mi­na­re – c’è da evi­den­zia­re un al­tro, im­por­tan­tis­si­mo, aspet­to: si po­te­va per­fi­no evi­ta­re di ri­spar­mia­re (per quan­to ciò co­sti­tui­sca un’at­ti­tu­di­ne men­ta­le er­ra­ta) sia per le ne­ces­si­tà pre­sen­ti, sia per quel­le fu­tu­re.

    Per­ché ? Per­ché tan­to, in ca­so di ne­ces­si­tà, lo Sta­to avreb­be prov­ve­du­to al­le une (es. in ca­so di ri­co­ve­ro ospe­da­lie­ro, ma­lat­tia, in­for­tu­ni ecc. al re­la­ti­vo co­sto avreb­be prov­ve­du­to il Ser­vi­zio Sa­ni­ta­rio Na­zio­na­le, all’epo­ca uno dei mi­glio­ri al mon­do) e so­prat­tut­to (per quel­lo che qui ci in­te­res­sa) al­le al­tre, ero­gan­do del­le pen­sio­ni ge­ne­ro­se, in al­cu­ni ca­si già al rag­giun­gi­men­to dei 49 an­ni di vi­ta (per la pen­sio­ne di vec­chia­ia) e a 45 an­ni con il ver­sa­men­to di 20 an­ni di con­tri­bu­ti (per la pen­sio­ne di an­zia­ni­tà).

    Chi de­ci­de­va di ri­spar­mia­re, os­sia la mag­gior par­te del­la po­po­la­zio­ne – gli ita­lia­ni era­no ed in par­te, so­no tut­to­ra un po­po­lo di ri­spar­mia­to­ri (mal­gra­do la cri­si del 2011 ab­bia ri­dot­to dra­sti­ca­men­te la lo­ro pro­pen­sio­ne al ri­spar­mio, co­me ve­dre­mo be­ne nel 2° ca­pi­to­lo) – non ave­va bi­so­gno di pos­se­de­re par­ti­co­la­ri com­pe­ten­ze fi­nan­zia­re per in­ve­sti­re e far frut­ta­re il pro­prio te­so­ret­to..

    An­zi, di­cia­mo­la tut­ta: il ri­spar­mia­to­re me­dio po­te­va per­met­ter­si il lus­so di es­se­re igno­ran­te co­me una ca­pra, di non co­no­sce­re nean­che l’abc dell’edu­ca­zio­ne fi­nan­zia­ria (ad es. la dif­fe­ren­za fra in­te­res­se lor­do ed in­te­res­se net­to o quel­la fra azio­ni ed ob­bli­ga­zio­ni), tan­to i suoi ri­spar­mi avreb­be­ro ge­ne­ra­to co­mun­que de­gli in­te­res­si già sol­tan­to te­nen­do­li sul con­to cor­ren­te (co­me ab­bia­mo ap­pe­na det­to).

    Chi ave­va un mi­ni­mo di men­ta­li­tà fi­nan­zia­ria in­ve­sti­va i ri­spar­mi in ti­to­li di Sta­to (Bot, CCT ecc.) ed in Buo­ni po­sta­li frut­ti­fe­ri: i ren­di­men­ti dei pri­mi fi­no al 1990 po­te­va­no ar­ri­va­re al 20% lor­do su ba­se an­nua, quel­li dei se­con­di va­ria­va­no (a se­con­da del­la du­ra­ta e del pe­rio­do di emis­sio­ne) fra il 12% ed il 20%  su ba­se an­nua !

    Lo sap­pia­mo, a leg­ger­lo ades­so non ci si cre­de, in­ve­ce è tut­to ve­ro: se non ci cre­di, puoi ve­ri­fi­ca­re per­so­nal­men­te col­le­gan­do­ti ai si­ti in­ter­net ri­por­ta­ti a fi­ne ca­pi­to­lo.

    In­fi­ne, i be­ne­stan­ti e  quel­li fi­nan­zia­ria­men­te spe­ri­co­la­ti (si fa per di­re) in­ve­sti­va­no par­te dei gua­da­gni in be­ni im­mo­bi­li, che met­te­va­no a red­di­to o lo­can­do­li ad al­tre per­so­ne (lo­ca­zio­ne ad uso abi­ta­ti­vo) o de­sti­nan­do­li ad azien­de (lo­ca­zio­ne ad uso com­mer­cia­le). Op­pu­re de­ci­de­va­no di av­via­re lo­ro stes­si un azien­da, uti­liz­zan­do l’im­mo­bi­le a ta­le sco­po. Que­sto era tut­to. Fi­ne del­la sto­ria.

    Co­me pro­ba­bil­men­te avrai in­tui­to, stia­mo af­fer­man­do una ve­ri­tà tan­to sem­pli­ce ed in­con­tro­ver­ti­bi­le quan­to de­va­stan­te: nel pe­rio­do do­ra­to che va, gros­so mo­do, dal­la fi­ne de­gli an­ni ‘60 al crol­lo del mu­ro di Ber­li­no (ot­to­bre 1989) l’uni­ca abi­li­tà ri­chie­sta per vi­ve­re di­gni­to­sa­men­te era sa­per/vo­ler la­vo­ra­re; se poi si era an­che ca­pa­ci di gua­da­gna­re sol­di ex­tra si di­ven­ta­va be­ne­stan­ti ed in­fi­ne, co­lo­ro che sa­pe­va­no ri­spar­mia­re di­ven­ta­va­no più o me­no ric­chi per il so­lo fat­to di aver te­nu­to i sol­di sul con­to cor­ren­te o aver­li in­ve­sti­ti nei buo­ni po­sta­li.

    Be­ne, cre­dia­mo che chiun­que, an­che la per­so­na più sprov­ve­du­ta (in ma­te­ria fi­nan­zia­ria ed eco­no­mi­ca) e del tut­to in­con­sa­pe­vo­le del­la real­tà, si ren­da con­to che ades­so la si­tua­zio­ne è cam­bia­ta com­ple­ta­men­te.

    Ma, al tem­po stes­so, ri­te­nia­mo che po­chis­si­mi co­no­sca­no dav­ve­ro le pro­fon­de im­pli­ca­zio­ni e il de­va­stan­te im­pat­to che ha pro­dot­to, pro­du­ce e pro­dur­rà sul­le no­stre ta­sche il nuo­vo sce­na­rio eco­no­mi­co. E al­lo­ra, per com­pren­de­re be­ne l’evo­lu­zio­ne del tes­su­to eco­no­mi­co e so­cia­le del qua­le stia­mo par­lan­do, riav­vol­gia­mo il na­stro in­die­tro di qua­si 40 an­ni e tor­nia­mo agli an­ni ‘80.

    QUANDO, COME E PERCHE’ CAMBIO’ TUTTO

    Po­co fa ab­bia­mo det­to che l’uni­ca im­por­tan­te va­ria­bi­le ma­croe­co­no­mi­ca ne­ga­ti­va ne­gli an­ni 70/80 è sta­to l’al­to tas­so di in­fla­zio­ne. Il te­ma in­fla­zio­ne ri­cor­re­rà più vol­te nel li­bro, ma fin da ades­so vo­glia­mo chia­ri­re una co­sa: con­tra­ria­men­te a quan­to so­stie­ne una cer­ta let­te­ra­tu­ra eco­no­mi­ca di estra­zio­ne ul­tra­li­be­ri­sta, un tas­so di in­fla­zio­ne me­dio/al­to (per in­ten­der­ci: NON quel­lo dell’Ar­gen­ti­na e del Ve­ne­zue­la)⁵ è un be­ne per l’eco­no­mia rea­le. Na­tu­ral­men­te a pat­to che lo Sta­to pos­sa emet­te­re mo­ne­ta, os­sia de­ten­ga la c.d. so­vra­ni­tà mo­ne­ta­ria ⁶. In que­sto ca­so – e sot­to­li­neia­mo, esclu­si­va­men­te in que­sto ca­so – l’in­fla­zio­ne pre­ce­de la cre­sci­ta: cre­sci­ta che, in buo­na par­te, è pro­dot­ta pro­prio dal­le po­li­ti­che eco­no­mi­che che van­no nel sen­so di un au­men­to del Pro­dot­to in­ter­no lor­do. È quel­lo è ac­ca­du­to fi­no a po­chi an­ni fa in Giap­po­ne, Sta­to pro­ta­go­ni­sta di una po­li­ti­ca eco­no­mi­ca su­per espan­si­va co­me non se ne ve­de­va­no da de­cen­ni: so­no pio­vu­ti sull’eco­no­mia rea­le nip­po­ni­ca qual­co­sa co­me 60 mi­la mi­liar­di di yen, equi­va­len­ti a cir­ca 445 mi­liar­di di eu­ro.

    Al con­tra­rio, un’in­fla­zio­ne mol­to bas­sa in­di­ca che l’eco­no­mia si sta in­de­bo­len­do o, co­me at­tual­men­te in Eu­ro­pa, che l’eco­no­mia è sta­gnan­te. Una bas­sa in­fla­zio­ne può con­dur­re a tas­si d’in­te­res­se più bas­si, ad una ca­pa­ci­tà di ri­spar­mio in­de­bo­li­ta e de­sta­bi­liz­za­re il si­ste­ma fi­nan­zia­rio.

    Se la ca­du­ta dei prez­zi con­ti­nua, al­lo­ra il de­bi­to, fis­sa­to in ter­mi­ni no­mi­na­li, di­ven­ta più dif­fi­ci­le da es­se­re rim­bor­sa­to e un in­di­ce di prez­zi al con­su­mo in con­ti­nua di­sce­sa com­pro­met­te la pro­du­zio­ne in­du­stria­le, vi­sto che le azien­de ve­do­no i lo­ro pro­dot­ti per­de­re di va­lo­re.

    Un’in­fla­zio­ne mo­de­ra­ta­men­te al­ta, in ul­ti­ma istan­za, è un dan­no sol­tan­to per le ban­che: ad esem­pio, sup­po­nia­mo che una ban­ca ci con­ce­da un mu­tuo a 30 an­ni per com­pra­re una ca­sa con un tas­so FIS­SO del 5% l’an­no, per una ra­ta di €1.000 al me­se. Con l’au­men­to dell’in­fla­zio­ne, il va­lo­re di que­sti €1.000 al me­se di­mi­nui­sce, il che va a fa­vo­re del pro­prie­ta­rio del­la ca­sa, so­prat­tut­to se il tas­so di in­fla­zio­ne su­pe­ra il tas­so di in­te­res­se sul pre­sti­to. Esem­pli­fi­can­do il con­cet­to, una buo­na in­fla­zio­ne (co­me ve­dre­mo c’è an­che un’in­fla­zio­ne cat­ti­va) ac­com­pa­gna­ta dal­la so­vra­ni­tà mo­ne­ta­ria, fa­vo­ri­sce i ri­spar­mia­to­ri e gli in­ve­sti­to­ri, di­mi­nuen­do il po­te­re del­le Ban­che. Tan­to ciò è ve­ro che le po­li­ti­che di au­ste­ri­tà e ri­go­re di re­cen­te me­mo­ria so­no sta­te so­ste­nu­te e for­te­men­te vo­lu­te dal­le Ban­che con lo sco­po di te­ne­re l’in­fla­zio­ne bas­sa, di­strug­gen­do co­sì la do­man­da in­ter­na ed il PIL: co­me, pe­ral­tro, ha di­chia­ra­to l’ex pre­si­den­te del Con­si­glio Ma­rio Mon­ti in una or­mai no­ta (ma non an­co­ra ab­ba­stan­za dif­fu­sa) in­ter­vi­sta al­la CNN nel 2013, del­la qua­le po­te­te ascol­ta­re un bre­ve estrat­to (un mi­nu­to cir­ca) col­le­gan­do­vi al se­guen­te link:

    https://www.you­tu­be.com/wat­ch?v=LyAc­SGu­C5­zc

    A ta­li po­li­ti­che mo­ne­ta­rie re­strit­ti­ve, tut­ta­via, non si è ar­ri­va­ti dall’og­gi al do­ma­ni: è sta­to un lun­go ma (ahi­noi) ine­so­ra­bi­le pro­ces­so, ini­zia­to nel lon­ta­no 1981 dall’al­lo­ra pre­si­den­te di Ban­ki­ta­lia, Car­lo Aze­lio Ciam­pi e da Be­nia­mi­no An­dreat­ta (mi­ni­stro del te­so­ro). Con quel­la ri­for­ma, cor­re­la­ta e coe­va all’ade­sio­ne del no­stro pae­se al­lo SME (si­ste­ma mo­ne­ta­rio eu­ro­peo: l’an­te­si­gna­no del­la mo­ne­ta uni­ca), l’Ita­lia per­se il pri­mo e for­se il più im­por­tan­te pez­zo del­la pro­pria so­vra­ni­tà, quel­la mo­ne­ta­ria, poi­ché lo Sta­to, da quel mo­men­to, non ha mai più con­trol­la­to l’isti­tu­to di emis­sio­ne del­la mo­ne­ta.

    Da al­lo­ra, in­fat­ti, leu­ro­pei­smo au­ste­ro (e fin trop­po idea­liz­za­to) è avan­za­to nel no­stro pae­se a rit­mi sem­pre più ser­ra­ti. So­no se­gui­te le ul­te­rio­ri tap­pe che han­no vi­sto l’ade­sio­ne dell’Ita­lia all’at­to Uni­co Eu­ro­peo (1986), al Trat­ta­to di Maa­stri­cht (1992), al Pat­to di sta­bi­li­tà (1997). E poi il fon­da­men­ta­le e de­le­te­rio in­gres­so del no­stro pae­se nell’Eu­ro (1999-2002), a cui è se­gui­ta l’ade­sio­ne al Mes - Mec­ca­ni­smo Eu­ro­peo di Sta­bi­li­tà (2011) e al Fi­scal Com­pact (2012).

    Tut­to, pe­rò, trae ori­gi­ne dal­la ri­mo­zio­ne dell’ob­bli­go vi­gen­te da par­te di Pa­laz­zo Ko­ch di ac­qui­sta­re i Ti­to­li di Sta­to emes­si sul mer­ca­to pri­ma­rio (cioè quel­li col­lo­ca­ti men­sil­men­te dal Te­so­ro), che ave­va con­sen­ti­to fi­no ad al­lo­ra al no­stro Pae­se di te­ne­re sot­to con­trol­lo il de­bi­to pub­bli­co.

    Per­so que­sto stru­men­to di so­vra­ni­tà mo­ne­ta­ria, an­ti­ci­pan­do quan­to sa­reb­be av­ve­nu­to suc­ces­si­va­men­te con l’in­gres­so nell’Unio­ne Mo­ne­ta­ria, l’Ita­lia per fi­nan­zia­re la pro­pria spe­sa do­vet­te ini­zia­re ad at­tin­ge­re ai mer­ca­ti fi­nan­zia­ri pri­va­ti, con tas­si d’in­te­res­se di tutt’al­tra en­ti­tà ri­spet­to a quel­li ga­ran­ti­ti in pre­ce­den­za.

    Gli ef­fet­ti fu­ro­no im­me­dia­ti: sem­pre ra­gio­nan­do in eu­ro, i 142 mi­liar­di di de­bi­to del 1981 (58% del Pil) do­po tre an­ni era­no rad­dop­pia­ti; do­po quat­tro, tri­pli­ca­ti (429 mi­liar­di), su­pe­ran­do quo­ta 1000 nel 1994, pa­ri al 121% del Pil.

    Ma co­sa spin­se An­dreat­ta a que­sta scel­le­ra­ta de­ci­sio­ne? Co­me rac­con­tò lui stes­so die­ci an­ni do­po in una let­te­ra pub­bli­ca­ta sul So­le 24 Ore, que­sto stra­vol­gi­men­to strut­tu­ra­le era ne­ces­sa­rio per sal­va­guar­da­re i rap­por­ti tra Unio­ne Eu­ro­pea e Ita­lia. Ad es­se­re in pe­ri­co­lo era in­fat­ti la par­te­ci­pa­zio­ne del no­stro Pae­se all’in­ter­no del­lo Sme, os­sia l’ac­cor­do pre­cur­so­re del si­ste­ma Eu­ro, ba­sa­to sul­la pa­ri­tà di cam­bio pre­fis­sa­ta tra i Pae­si eu­ro­pei ade­ren­ti, sep­pur con una pos­si­bi­li­tà di flut­tua­zio­ne mi­ni­ma: "L’im­pe­ra­ti­vo – spie­gò l’ex mi­ni­stro – era cam­bia­re il re­gi­me del­la po­li­ti­ca eco­no­mi­ca e lo do­ve­vo fa­re in una com­pa­gi­ne mi­ni­ste­ria­le in cui non ave­vo al­lea­ti, ma col­le­ghi os­ses­sio­na­ti dall’ ideo­lo­gia del­la cre­sci­ta a ogni co­sto, so­ste­nu­ta da bas­si tas­si di in­te­res­se rea­li e da un cam­bio de­bo­le".

    Pa­re dun­que evi­den­te che sia An­dreat­ta che Ciam­pi ab­bia­no agi­to non nel ri­spet­to dei prin­ci­pi fon­da­men­ta­li del no­stro or­di­na­men­to co­sti­tu­zio­na­le, ben­sì ese­guen­do or­di­ni so­vra­na­zio­na­li di in­ne­ga­bi­le ed in­di­ci­bi­le ma­tri­ce pri­va­ta (os­sia ban­ca­ria).

    Il ne­mi­co da ab­bat­te­re, nell’ot­ti­ca di An­dreat­ta, era quin­di l’in­fla­zio­ne e gli stes­si stru­men­ti eco­no­mi­ci adat­ti a con­te­ner­la: dal­la fles­si­bi­li­tà di cam­bio, che con gli ac­cor­di eu­ro­pei sa­reb­be sta­ta de­fi­ni­ti­va­men­te abo­li­ta, ai mec­ca­ni­smi di ade­gua­men­to sa­la­ria­le, co­me la sca­la mo­bi­le, il cui raf­for­za­men­to è de­fi­ni­to dal­lo stes­so An­dreat­ta co­me "de­men­zia­le". Pec­ca­to che il ti­to­la­re di via XX Set­tem­bre igno­ras­se i be­ne­fi­ci, evi­den­ti e ri­co­no­sciu­ti dal mon­do eco­no­mi­co, che un tas­so di in­fla­zio­ne ele­va­to ri­flet­te sul de­bi­to pub­bli­co, in quan­to ca­pa­ce di ri­dur­ne il va­lo­re in ter­mi­ni rea­li!

    Ad ag­gra­va­re la si­tua­zio­ne ci pen­sa­ro­no i no­stri po­li­ti­ci nel 1992 quan­do de­ci­se­ro di ade­ri­re al Trat­ta­to di Maa­stri­cht, che im­po­ne­va al­la no­stra eco­no­mia il ri­spet­to di pa­ra­me­tri ca­pe­stro, tra i qua­li pro­prio la con­tra­zio­ne del de­bi­to pub­bli­co.

    Que­sto di­ver­rà lo spau­rac­chio in gra­do di giu­sti­fi­ca­re le po­li­ti­che dis­sen­na­te di pri­va­tiz­za­zio­ni e sven­di­ta a ca­pi­ta­li pri­va­ti e stra­nie­ri di as­set pub­bli­ci stra­te­gi­ci, av­ve­nu­ta pro­prio in quei de­cen­ni: tut­to ciò rap­pre­sen­ta – oc­cor­re sot­to­li­near­lo – un tra­di­men­to del­la Co­sti­tu­zio­ne, co­me da qua­si un de­cen­nio so­sten­go­no gli av­vo­ca­ti co­sti­tu­zio­na­li­sti Mar­co Mo­ri e Giu­sep­pe Pal­ma

    Il col­po di gra­zia sa­rà l’in­tro­du­zio­ne dell’Eu­ro: sen­za una ban­ca cen­tra­le che fun­ga da pre­sta­tri­ce il­li­mi­ta­ta di ul­ti­ma istan­za – la BCE per suo sta­tu­to, non lo è - l’Ita­lia si sot­to­mi­se ai dik­tat di Bru­xel­les, che im­pon­go­no au­ti­sti­ca­men­te una fol­le po­li­ti­ca di au­ste­ri­ty fat­ta di ta­gli al­le vo­ci di spe­sa pub­bli­ca più sen­si­bi­li (sa­ni­tà, istru­zio­ne e pen­sio­ni), au­men­to del­la tas­sa­zio­ne e ina­spri­men­to dei si­ste­mi di ac­cer­ta­men­to fi­sca­le.

    Se­con­do mol­ti eco­no­mi­sti l’eu­ro fu co­strui­to sul­la ba­se di due prin­ci­pi: la sta­bi­li­tà dei prez­zi che as­sie­me all’equi­li­brio di bi­lan­cio avreb­be do­vu­to fa­vo­ri­re la cre­sci­ta eco­no­mi­ca e l’ idea che l’ado­zio­ne di una mo­ne­ta uni­ca avreb­be con­tri­bui­to al­la con­ver­gen­za del­la cre­sci­ta nei di­ver­si Pae­si che l’ aves­se­ro adot­ta­ta e del red­di­to pro ca­pi­te.

    Non vi è dub­bio che que­sti sia­no i prin­ci­pi li­be­ri­sti, per da­re lo­ro la ca­rat­te­riz­za­zio­ne ideo­lo­gi­ca che li con­trad­di­stin­gue, po­sti a fon­da­men­to del Trat­ta­to di Maa­stri­cht, ma so­no eco­no­mi­ca­men­te va­li­di? In­nan­zi­tut­to oc­cor­re sot­to­li­nea­re che non c’ è una cor­re­la­zio­ne po­si­ti­va tra equi­li­brio di bi­lan­cio e cre­sci­ta. I prin­ci­pi di Maa­stri­cht si fon­da­no su un pre­sup­po­sto che non tro­va ri­scon­tro nell’ana­li­si eco­no­mi­ca, ov­ve­ro che ri­dot­ti li­vel­li di de­fi­cit sul Pil aiu­ti­no la cre­sci­ta.

    Ba­sti pen­sa­re a co­me è sta­to in­di­vi­dua­to il cri­te­rio del li­mi­te del 3% sul Pil, de­ci­so in me­no di un’ ora e sen­za nes­su­na ba­se teo­ri­ca, co­me rac­con­ta il suo in­ven­to­re, il fran­ce­se Guy Abeil­le. Quel pa­ra­me­tro del 3% è sta­to del re­sto am­pia­men­te con­te­sta­to. In se­con­do luo­go va os­ser­va­to che con la li­ra il red­di­to pro­ca­pi­te dal 1968-1998 era cre­sciu­to del 104%. Dal 1999 (an­no in cui vie­ne fis­sa­to il cam­bio ir­re­ver­si­bi­le con l’ eu­ro di 1936,27 li­re), al 2016 è in­ve­ce ca­la­to del­lo 0,75%. Or­mai la mag­gio­ran­za de­gli eco­no­mi­sti am­met­te che nes­su­no di que­sti due prin­ci­pi si è rea­liz­za­to

    Tut­ta­via lo svuo­ta­men­to del­la so­vra­ni­tà na­zio­na­le ha pro­dot­to ef­fet­ti non sol­tan­to sul fron­te mo­ne­ta­rio, ma an­che su quel­li del de­bi­to, de­gli as­se­ts stra­te­gi­ci e del­la spe­sa pub­bli­ca. Per quan­to ri­guar­da il c.d. de­bi­to pub­bli­co, par­tia­mo da un pre­sup­po­sto in­con­tro­ver­ti­bi­le: lo Sta­to rac­co­glie de­na­ro dai pri­va­ti, cor­ri­spon­den­do lo­ro un in­te­res­se. Il tut­to, nor­mal­men­te, per mez­zo del­la mo­ne­ta na­zio­na­le.

    In uno Sta­to so­vra­no e in­di­pen­den­te, con mo­ne­ta so­vra­na, non esi­sto­no nor­mal­men­te tet­ti all’in­de­bi­ta­men­to e l’in­de­bi­ta­men­to nor­mal­men­te non in­ci­de ne­ga­ti­va­men­te sull’an­da­men­to dell’eco­no­mia na­zio­na­le. Il pro­ble­ma na­sce quan­do il de­bi­to è espres­so in una mo­ne­ta stra­nie­ra (l’eu­ro) ed è (pa­ri­men­ti) de­te­nu­to in tut­to o in par­te da sog­get­ti stra­nie­ri. In tal ca­so, lo Sta­to non può più in­fluen­za­re il tas­so di in­te­res­se sui ti­to­li emes­si (esem­pio, or­di­nan­do al­la Ban­ca Cen­tra­le di ac­qui­sta­re i ti­to­li per te­ne­re bas­so il tas­so).

    I ti­to­li del de­bi­to pub­bli­co flut­tua­no nel mer­ca­to li­be­ro, e i tas­si so­no de­ci­si dal mer­ca­to me­de­si­mo. E il mer­ca­to è co­sti­tui­to an­che (e so­prat­tut­to) da gros­si po­ten­ta­ti fi­nan­zia­ri (pri­va­ti) i qua­li, in que­sto mo­do, ten­go­no in ostag­gio lo Sta­to, li­mi­tan­do­ne o peg­gio orien­tan­do­ne for­te­men­te le po­li­ti­che in una di­re­zio­ne che non sem­pre (an­zi, or­mai qua­si mai), so­no in fa­vo­re del po­po­lo e del­la na­zio­ne. Ed è ciò che ac­ca­de og­gi all’Ita­lia.

    Pas­san­do ades­so al te­ma de­gli as­se­ts stra­te­gi­ci, nor­mal­men­te uno Sta­to pos­sie­de at­ti­vi­tà eco­no­mi­che nei set­to­ri stra­te­gi­ci dell’eco­no­mia na­zio­na­le: te­le­co­mu­ni­ca­zio­ni, ener­gia, tra­spor­ti e svi­lup­po tec­no­lo­gi­co, non­ché ope­ra un strin­gen­te con­trol­lo su­gli stes­si o su al­tri (es. il set­to­re ban­ca­rio). La rea­liz­za­zio­ne del­la so­vra­ni­tà e del­la de­mo­cra­zia pas­sa, dun­que, an­che at­tra­ver­so una pre­sen­za stra­te­gi­ca del­lo Sta­to in que­ste real­tà. Il ve­nir me­no del­la pre­sen­za del­lo Sta­to in de­ter­mi­na­ti set­to­ri, tra­mi­te un pro­ces­so di de­re­go­la­men­ta­zio­ne e pri­va­tiz­za­zio­ne (in­se­guen­do la lo­gi­ca neo­li­be­ri­sta del­lo Sta­to- Azien­da che de­ve in­cas­sa­re più di quan­to spen­de, non de­ve in­de­bi­tar­si e non de­ve in­ge­rir­si nell’eco­no­mia), non può che in­ci­de­re ne­ga­ti­va­men­te (co­me in ef­fet­ti ha in­ci­so) sul­la so­vra­ni­tà, so­prat­tut­to se il pia­no del­le pri­va­tiz­za­zio­ni de­ter­mi­na l’ac­qui­si­zio­ne di que­sti as­set a prez­zi strac­cia­ti da par­te di grup­pi e po­ten­ta­ti in­ter­ni e/o (so­prat­tut­to) stra­nie­ri.

    Non me­no im­por­tan­te è la po­li­ti­ca sul­la spe­sa pub­bli­ca. Uno Sta­to so­vra­no in­ve­sti­rà nel set­to­re pub­bli­co (so­prat­tut­to istru­zio­ne e sa­ni­tà) per of­fri­re mag­gio­ri ser­vi­zi ai cit­ta­di­ni e com­bat­te­re le di­se­gua­glian­ze. Ma in una lo­gi­ca de­so­vra­niz­za­ta, do­ve il de­bi­to flut­tua li­be­ra­men­te sul mer­ca­to, il wel­fa­re ri­sul­ta es­se­re fon­te di in­sta­bi­li­tà, poi­ché la re­la­ti­va spe­sa che non può es­se­re com­pres­sa den­tro i li­mi­ti del­le en­tra­te fi­sca­li (per ov­vie ra­gio­ni), de­ter­mi­na un in­cre­men­to dei tas­si di in­te­res­se e un de­prez­za­men­to dei ti­to­li del de­bi­to pub­bli­co, e dun­que in­ge­ne­ra scar­sa sfi­du­cia (co­sì vie­ne chia­ma­ta) de­gli in­ve­sti­to­ri, che ve­do­no il lo­ro in­ve­sti­men­to di­mi­nui­re di va­lo­re.

    Ec­co, dun­que la trap­po­la del­la de­so­vra­niz­za­zio­ne: per evi­ta­re l’in­cre­men­to del­la spe­sa (e ve­der­si dun­que me­no in­ve­sti­to­ri di­spo­sti a com­pra­re ti­to­li del de­bi­to pub­bli­co), e rag­giun­ge­re co­sì il pa­reg­gio di bi­lan­cio¹⁰lo Sta­to ini­zia a ta­glia­re il wel­fa­re, ri­du­cen­do le tu­te­le so­cia­li (so­prat­tut­to nei set­to­ri do­ve la spe­sa cor­ren­te è mag­gio­re: sa­ni­tà e istru­zio­ne). I ri­sul­ta­ti si ri­ver­be­ra­no ne­ga­ti­va­men­te sul­la so­cie­tà, am­plian­do la pla­tea dei po­ve­ri e di tut­ti co­lo­ro che ri­sul­ta­no pri­vi di tu­te­le so­cia­li.

    Rias­su­men­do, l’uso di una mo­ne­ta stra­nie­ra im­pe­di­sce a uno Sta­to di de­ter­mi­na­re le po­li­ti­che mo­ne­ta­rie ed eco­no­mi­che di in­te­res­se na­zio­na­le; que­sto li­mi­te in­ci­de (ne­ga­ti­va­men­te) sul­la pos­si­bi­li­tà per lo Sta­to di con­trol­la­re l’an­da­men­to del pro­prio de­bi­to pub­bli­co, di at­tua­re po­li­ti­che sui tas­si di in­te­res­se e di ope­ra­re con ef­fi­cien­za sul tes­su­to eco­no­mi­co per fa­vo­ri­re il rag­giun­gi­men­to del­la pie­na oc­cu­pa­zio­ne e uno svi­lup­po so­ste­ni­bi­le.

    GLI EFFETTI SULLA RICCHEZZA PRIVATA (LE NEFASTE CONSEGUENZE SUBITE DA RISPARMIATORI, INVESTITORI E PMI)

    Fin qui ab­bia­mo rias­sun­to, per quan­to pos­si­bi­le (da­ta la com­ples­si­tà dell’ar­go­men­to) gli even­ti po­li­ti­ci e le va­ria­bi­li ma­croe­co­no­mi­che che han­no cam­bia­to pro­gres­si­va­men­te – ma ine­so­ra­bil­men­te - lo sce­na­rio (qua­si) da fa­vo­la de­cen­ni 1960/1980 in quel­lo da in­cu­bo at­tua­le.

    Trat­tan­do­si di una sin­te­si, sia­mo sta­ti co­stret­ti all’ap­pros­si­ma­zio­ne, ad esem­pli­fi­ca­re al­cu­ni con­cet­ti e ad omet­ter­ne al­tri: que­sto, del re­sto, non è un sag­gio di po­li­ti­ca eco­no­mi­ca, né di ma­croe­co­no­mia. Noi non sia­mo po­li­to­lo­gi e non espri­mia­mo giu­di­zi po­li­ti­ci. E tut­ta la ti­ri­te­ra ma­croe­co­no­mi­ca che hai let­to fin qui, ca­ro let­to­re, la ab­bia­mo scrit­ta sol­tan­to per far­ti com­pren­de­re il se­guen­te, fon­da­men­ta­le, con­cet­to: i tem­pi so­no cam­bia­ti e se vuoi so­prav­vi­ve­re (fi­nan­zia­ria­men­te) è be­ne che ti ade­gui !

    Que­sta è la fi­na­li­tà del li­bro: tra­smet­ter­ti le co­no­scen­ze e le com­pe­ten­ze ne­ces­sa­rie per so­prav­vi­ve­re, pro­spe­ra­re ed ar­ric­chir­ti (obiet­ti­vi scrit­ti in ri­go­ro­so or­di­ne cau­sa­le, lo­gi­co e tem­po­ra­le) nell’Ita­lia del III mil­len­nio.

    Ar­ri­va­to a que­sto pun­to del­la let­tu­ra, pro­ba­bil­men­te avrai già com­pre­so che di­sin­te­res­sar­ti del­la ge­stio­ne del tuo de­na­ro, ri­fiu­tan­do­ti di ap­pren­de­re l’edu­ca­zio­ne fi­nan­zia­ria, è au­to­le­sio­ni­smo pu­ro.

    Tut­ta­via, nel ca­so co­sì non fos­se – cioè qua­lo­ra tu sia an­co­ra con­vin­to di po­ter de­le­ga­re la ge­stio­ne del­le fi­nan­ze al­lo Sta­to, al­la Ban­ca, al­le Po­ste o ad un con­su­len­te di fi­du­cia – sia­mo si­cu­ri che leg­gen­do le pros­si­me ri­ghe cam­bie­rai (fi­nal­men­te) idea.

    ***

    Quan­do Be­ne­det­to scri­ve sul blog ¹¹ o par­la (in uf­fi­cio, in pa­le­stra, con ami­ci e co­no­scen­ti ecc.) del­la ne­ces­si­tà di im­pa­ra­re a ge­sti­re e ad in­ve­sti­re il pro­prio de­na­ro, an­che e so­prat­tut­to in ot­ti­ca fu­tu­ra – os­sia in ot­ti­ca pen­sio­ne - il 90% del­le vol­te ri­ce­ve dei feed­backs sin­te­tiz­za­bi­li nel­la fra­se: Ah ma io ho un buo­no sti­pen­dio e quin­di avrò una buo­na pen­sio­ne. E mi guar­do be­ne dal fa­re in­ve­sti­men­ti in Bor­sa

    Se an­che tu, co­me cre­dia­mo, rien­tri nel sud­det­to cam­pio­ne sta­ti­sti­co, ti dia­mo una pes­si­ma no­ti­zia: an­che se nes­su­no lo di­ce, il si­ste­ma pen­sio­ni­sti­co ita­lia­no è già bel­lo che fal­li­to !

    Le cau­se so­no nu­me­ro­se quan­to pa­le­si: an­zi­tut­to l’au­men­to dell’età (e dell’aspet­ta­ti­va) me­dia di vi­ta – que­sto con­cet­to non è dif­fi­ci­le da com­pren­de­re: se le per­so­ne muo­io­no più tar­di, lo Sta­to im­pie­ga mag­gio­ri ri­sor­se fi­nan­zia­rie per pa­ga­re le lo­ro pen­sio­ni, a di­sca­pi­to di quel­le che pa­ghe­rà a co­lo­ro che smet­te­ran­no di la­vo­ra­re fra 10, 20, 30 an­ni – e l’emi­gra­zio­ne di mas­sa dei gio­va­ni ita­lia­ni (os­sia del­la for­za la­vo­ra­ti­va) con con­te­stua­le so­sti­tu­zio­ne del­la me­de­si­ma da par­te di un si­ste­ma pa­ra­schia­vi­sti­co di im­mi­gra­ti sot­to­pa­ga­ti (e spes­so pa­ga­ti in ne­ro): ciò pro­du­ce e pro­dur­rà sem­pre di più un’ine­vi­ta­bi­le ri­du­zio­ne dell’af­flus­so dei con­tri­bu­ti nel­le cas­se dell’INPS.

    A que­sti da­ti, già de­ci­si­vi, si ag­giun­ga il tas­so di di­soc­cu­pa­zio­ne  gio­va­ni­le - che da mol­ti an­ni è su­pe­rio­re al 30% (nel 2014 ha toc­ca­to il pic­co del 43% per poi scen­de­re al 31% del giu­gno 2019)¹² – e l’equa­zio­ne (pur­trop­po) è ri­sol­ta.

    Più in ge­ne­ra­le, co­me af­fer­ma­to e di­mo­stra­to –  con ab­bon­dan­za di da­ti e di sta­ti­sti­che – da Lu­ca Ri­col­fi¹³, la so­cie­tà ita­lia­na da de­cen­ni or­mai è ca­rat­te­riz­za­ta dal non la­vo­ro dei più. Ciò si­gni­fi­ca che la per­cen­tua­le del­la po­po­la­zio­ne che la­vo­ra è in­fe­rio­re al­la per­cen­tua­le del­la po­po­la­zio­ne che non la­vo­ra: fra le na­zio­ni del­la UE, l’Ita­lia e la Gre­cia han­no un tas­so di inoc­cu­pa­ti to­ta­li su­pe­rio­re al 50%.

    Che ta­le nu­me­ro sia l’esi­to di una scel­ta (di­soc­cu­pa­zio­ne vo­lon­ta­ria) o di una ne­ces­si­tà (man­can­za di po­sti di la­vo­ro) cam­bia po­co, il ri­sul­ta­to è co­mun­que lo stes­so: me­no di me­tà del­la po­po­la­zio­ne la­vo­ra, me­no del­la me­tà del­la po­po­la­zio­ne ver­sa i con­tri­bu­ti. Ed in­fi­ne – la­st but not lea­st – buo­na par­te del­la po­po­la­zio­ne che la­vo­ra per­ce­pi­sce de­gli sti­pen­di, se non da fa­me, net­ta­men­te in­fe­rio­ri agli sti­pen­di me­di cor­ri­spo­sti fi­no a 15, 10 o per­fi­no 5 an­ni or so­no, ol­tre che (na­tu­ral­men­te) a quel­li per­ce­pi­ti da te­de­schi, fran­ce­si ecc.¹⁴

    In­som­ma, sen­za ti­rar­la trop­po per le lun­ghe, cre­dia­mo che non oc­cor­ra un ma­ster in ma­te­ma­ti­ca com­pu­ta­zio­na­le per com­pren­de­re quan­to se­gue: per­si­sten­do l’at­tua­le con­giun­tu­ra eco­no­mi­ca e so­cia­le – e non si in­tra­ve­do­no nean­che lon­ta­na­men­te i pre­sup­po­sti per un’in­ver­sio­ne del trend in es­se­re, an­zi.. - un’am­pia fa­scia di la­vo­ra­to­ri, i qua­li al mo­men­to (an­no 2020) han­no un’età com­pre­sa fra i 20 ed i 55, non per­ce­pi­ran­no al­cu­na pen­sio­ne, men­tre co­lo­ro i qua­li han­no più di 55 an­ni sa­ran­no co­stret­ti a la­vo­ra­re al­me­no fi­no a 75 an­ni, do­po­di­ché ver­rà lo­ro cor­ri­spo­sto un mi­se­ro as­se­gno so­cia­le (800 € ? 1000 € ?).

    Sol­tan­to per com­ple­tez­za di in­for­ma­zio­ne ag­giun­gia­mo che, du­ran­te l’ul­ti­ma re­vi­sio­ne del li­bro, è sta­to rea­liz­za­to e dif­fu­so uno stu­dio dal qua­le è emer­so che l’at­tua­le de­bo­lez­za del si­ste­ma pen­sio­ni­sti­co è im­pu­ta­bi­le an­che al fat­to che la me­tà di co­lo­ro che per­ce­pi­sco­no già la pen­sio­ne non ha mai ver­sa­to con­tri­bu­ti o lo ha fat­to in mi­su­ra mi­ni­ma.

    Lo stu­dio è con­sul­ta­bi­le sul Cor­rie­re del­la Se­ra: 

    https://www.cor­rie­re.it/eco­no­mia/pen­sio­ni/cards/pen­sio­ni-ava­re-me­ta-chi-in­cas­sa-non-ha-mai-ver­sa­to-con­tri­bu­ti/pen­sio­ni-nu­me­ri.shtml

    ***

    Par­lia­mo ora del TFR. Se la­vo­ri nel set­to­re pri­va­to, il tuo TFr, con buo­na pro­ba­bi­li­tà si è già vo­la­ti­liz­za­to, co­me di­mo­stra­no i ri­sul­ta­ti di que­sta in­quie­tan­te ri­cer­ca:

    https://www.fi­sac­c­gi­laq.it/la­vo­ro-e-so­cie­ta/34-mi­liar­di-spa­ri­ti-il-tfr-espro­pria­to-dal­lo-sta­to.html

    E se ri­tie­ni che la pa­na­cea ai pro­ble­mi so­pra men­zio­na­ti, sia quel­la di la­scia­re i sol­di sot­to il ma­te­ras­so o sul con­to­cor­ren­te, ti stai il­lu­den­do.

    In­fat­ti, an­zi­tut­to te­ne­re sul con­to­cor­ren­te una som­ma pa­ri o su­pe­rio­re a 100.000 eu­ro ti espo­ne al ri­schio di es­se­re tra­vol­to dal­le con­se­guen­ze del fal­li­men­to del­la ban­ca (ne par­le­re­mo in mo­do ap­pro­fon­di­to nel se­con­do ca­pi­to­lo) o pro­ce­du­ra di bail in: 

    https://www.wall­stree­ti­ta­lia.com/trend/bail-in/

    In se­con­do luo­go, da un an­no l’Agen­zia del­le En­tra­te ha va­ra­to uno stru­men­to chia­ma­to ri­spar­mio­me­tro: se i ri­spar­mi che tie­ni sul con­to­cor­ren­te so­no su­pe­rio­ri al­le tue En­tra­te, può in­viar­ti un do­lo­ro­sis­si­mo ac­cer­ta­men­to tri­bu­ta­rio, leg­gi qui: 

    https://qui­fi­nan­za.it/fi­sco-tas­se/fi­sco-ri­spar­mio­me­tro-al-via-pri­mi-con­trol­li-sui-con­ti-cor­ren­ti/282224/

    Da ul­ti­mo, ma non per im­por­tan­za (an­zi), con­si­de­ra che la­scia­re i sol­di im­mo­bi­liz­za­ti (po­co im­por­ta se sul con­to cor­ren­te o sot­to il ma­te­ras­so) equi­va­le a di­mez­zar­ne il va­lo­re, co­me ri­por­ta­to da que­sto re­port del Il So­le 24 ore:

    https://www.il­so­le24o­re.com/art/sol­di-sot­to-ma­te­ras­so-pes­si­mo-af­fa­re-in-20-an­ni-mil­le-eu­ro-so­no-di­ven­ta­ti-588-AC­q37tt

    Ah..qua­si di­men­ti­ca­va­mo..

    Il mi­to del mat­to­ne, co­me in­ve­sti­men­to/be­ne ri­fu­gio ul­tra­si­cu­ro a pro­va di guer­ra ter­mo­nu­clea­re è du­ro, du­ris­si­mo, a mo­ri­re in Ita­lia, ter­ra di pa­laz­zi­na­ri¹⁵.

    Sfa­te­re­mo que­sto mi­to nel quar­to ca­pi­to­lo, per il mo­men­to ti in­vi­tia­mo sol­tan­to a leg­ge­re il se­guen­te ar­ti­co­lo:

    https://it.bu­si­nes­sin­si­der.com/la-ro­vi­na-del­le-eco­no­mie-oc­ci­den­ta­li-los­ses­sio­ne-per-il-com­pra­re-ca­sa/

    Inol­tre, se stai pen­san­do di com­pra­re e/o ven­de­re ca­sa, ti sug­ge­ria­mo di evi­ta­re le sti­me al­la car­lo­na dei non­ni (o dei ge­ni­to­ri) e quel­le ar­te­fat­te (per non di­re frau­do­len­te) del­le agen­zie im­mo­bi­lia­ri. Col­le­gan­do­ti al se­guen­te link dell’agen­zia del­le En­tra­te, in­fat­ti, avrai del­le quo­ta­zio­ni senz’al­tro più obiet­ti­ve e di­sin­te­res­sa­te:

    https://ww­wt.agen­ziaen­tra­te.gov.it/ser­vi­zi/Con­sul­ta­zio­ne/ri­cer­ca.htm

    LA MORALE DELLA FAVOLA E LA LEZIONE DEL GATTO

    La mo­ra­le del­la fa­vo­la – e la prin­ci­pa­le ra­gio­ne per la qua­le ab­bia­mo scrit­to que­sto li­bro -  è che cia­scu­no (si, an­che tu !) ha il di­rit­to/do­ve­re di oc­cu­par­si dei pro­pri sol­di con in­tel­li­gen­za, com­pe­ten­za e co­gni­zio­ne di cau­sa, per­ché nes­sun al­tro lo fa­rà al po­sto suo/tuo !

    Fic­ca­re la te­sta sot­to ter­ra è inu­ti­le e dan­no­so !

    Co­me scri­ve So­fia Ma­cias – Pic­co­lo por­co ca­pi­ta­li­sta (Val­lar­di edi­to­re) – Se non lo fai tu, qual­cun al­tro gru­fo­le­rà nel tuo de­na­ro.

    E a pro­po­si­to di ani­ma­li..se ti stai chie­den­do i mo­ti­vi per i qua­li que­sto li­bro si in­ti­to­la Do­ve gat­to met­to i sol­di ? e co­me mai, a dif­fe­ren­za del­la Ma­cias, il no­stro ani­ma­le sim­bo­lo sia pro­prio il gat­to e non piut­to­sto il ma­ia­le (ma il di­scor­so va­le an­che per il ca­ne, il ca­val­lo, il bue, l’asi­nel­lo e com­pa­gnia bel­la) ec­co la ri­spo­sta:

    Anzitutto perché noi siamo originali (se avessimo utilizzato il maiale avremmo copiato spudoratamente un’idea altrui);

    In secondo luogo – non ce ne vogliano la Macias e i suoi fan – il gatto è molto più simpatico del porcellino;

    Ma soprattutto..mentre il maiale è ingordo – e l’ingordigia (detta anche avidità) è uno dei peggiori atteggiamenti che si possono avere nei confronti del denaro (si tratti di investimenti o di trading): il non sapersi accontentare di un profitto, il voler tutto e subito…come vedrai, questi atteggiamenti sono spesso la radice di esiti finanziari rovinosi - il gatto è prudente, scaltro, furbo, sornione, equilibrato, consapevole..il gatto non si ingozza di cibo, il gatto nel corso della giornata fa solo piccoli spuntini…e ad alla fine è più che sazio, soddisfatto, felice !

    Infine..avete mai osservato un gatto h24? La maggior parte del tempo dorme (in realtà a volte finge di dormire) …poi all’improvviso si sveglia, corre, tira zampate e graffi a mobili, tappeti, divani (anche a noi umani se gli gira...bastardo !).

    Il gat­to è mol­to ter­ri­to­ria­le, pro­teg­ge la sua cuc­cia ed (in na­tu­ra) mar­ca il ter­ri­to­rio esat­ta­men­te co­me i gran­di fe­li­ni. Be­ne: i sud­det­ti at­teg­gia­men­ti – es­se­re cal­mi, ri­las­sa­ti, qua­si dor­mien­ti e pro­teg­ge­re il ter­ri­to­rio, os­sia il de­na­ro, poi im­prov­vi­sa­men­te sfer­ra­re le zam­pa­te de­ci­si­ve per au­men­tar­lo (non im­por­ta se si trat­ti di un in­ve­sti­men­to long term o di un tra­ding mul­ti­day..l’im­por­tan­te è af­fer­ra­re l’oc­ca­sio­ne !) – so­no in­di­spen­sa­bi­li per ave­re una ge­stio­ne del­le fi­nan­ze po­si­ti­va e fe­li­ce. 

    Ac­qui­si­re gli at­teg­gia­men­ti del gat­to in­ve­sti­to­re (o, a se­con­da del­le cir­co­stan­ze, del gat­to tra­der) si­gni­fi­ca trat­ta­re il de­na­ro con con­sa­pe­vo­lez­za, com­pe­ten­za e co­gni­zio­ne di cau­sa: tut­to que­sto non è un azio­ne im­me­dia­ta ed istan­ta­nea, ben­sì un pro­ces­so len­to e gra­dua­le, che ini­zia dal­la ca­pa­ci­tà di ri­spar­mia­re, pro­se­gue con quel­la di in­ve­sti­re ed in­fi­ne evol­ve nell’abi­li­tà di spe­cu­la­re (os­sia nel tra­ding).

    Que­ste so­no le tre gran­di tap­pe (o ma­croa­ree) dell’edu­ca­zio­ne fi­nan­zia­ria e nei pros­si­mi ca­pi­to­li le esa­mi­ne­re­mo det­ta­glia­ta­men­te, una per una.

    FONTI E LINKS DI APPROFONDIMENTO

    https://www.il­po­st.it/2019/10/31/istat-di­soc­cu­pa­zio­ne-set­tem­bre/

    https://tg24.sky.it/eco­no­mia/2018/10/01/di­soc­cu­pa­zio­ne-ita­lia-ul­ti­mi-die­ci-an­ni.html

    https://www.unirc.it/do­cu­men­ta­zio­ne/ma­te­ria­le_­di­dat­ti­co/600_2012_325_14834.pdf

    https://it.in­fla­tion.eu/tas­si-di-in­fla­zio­ne/ita­lia/in­fla­zio­ne-sto­ri­ca/cpi-in­fla­zio­ne-ita­lia.aspx

    http://www.iskrae.eu/ana­li­si-del­la-di­soc­cu­pa­zio­ne-da­gli-an­ni-70-ad-og­gi/

    http://www.hi­sto­ria­lu­dens.it/geo­sto­ria-e-cit­ta­di­nan­za/89-la-cri­si-che-rup­pe-il-no­ve­cen­to-1973-1979-il-rac­con­to-e-i-mo­del­li.html

    https://it.wi­ki­pe­dia.org/wi­ki/Sca­la_­mo­bi­le_(eco­no­mia)

    http://gra­fi­ci.al­ter­vi­sta.org/in­fla­zio­ne-tas­si-di-in­te­res­se-e-di-cam­bio-in-ita­lia/

    http://www.dt.te­so­ro.it/it/de­bi­to_­pub­bli­co/da­ti_­sta­ti­sti­ci/prin­ci­pa­li_­tas­si_­di_in­te­res­se/sto­ri­co_­prin­ci­pa­li_­tas­si_­di_in­te­res­se.html

    https://www.mu­tui-pre­sti­ti-as­si­cu­ra­zio­ni.it/mu­tui-an­ni-80/

    https://www.con­to­de­po­si­to.eu/tas­si-con­to-de­po­si­to/

    https://it.wi­ki­pe­dia.org/wi­ki/So­vra­nit%C3%A0_­mo­ne­ta­ria

    http://www.stu­dio­le­ga­le­mar­co­mo­ri.it/lil­le­git­ti­mi­ta-co­sti­tu­zio­na­le-ces­sio­ne-so­vra­ni­ta-mo­ne­ta­ria-al­le-ban­che-pri­va­te/

    https://trai­ning­fi­nan­zia­rio.com/il-si­gno­rag­gio-ban­ca­rio/

    https://sce­na­rie­co­no­mi­ci.it/tag/avv-mar­co-mo­ri-il-tra­mon­to-del­la-de­mo­cra­zia-ana­li­si-giu­ri­di­ca-del­la-ge­ne­si-di-una-dit­ta­tu­ra-eu­ro­pea/

    https://www.uni­li­bro.it/li­bro/mo­ri-mar­co/mor­te-re­pub­bli­ca-sta­ti-uni­ti-eu­ro­pa/9788832078022

    https://www.ibs.it/eu­ro­pa-quo-va­dis-sfi­da-so­vra­ni­sta-li­bro-pao­lo-bec­chi-giu­sep­pe-pal­ma/e/9788885939103?in­ven­to­ry­Id=125054927

    https://www.ama­zon.it/Ol­tre-leu­ro-ra­gio­ni-so­vra­nit%C3%A0-mo­ne­ta­ria/dp/8865880740

    https://www.mon­da­do­ri­sto­re.it/ri­cer­ca-so­vra­ni­ta-mo­ne­ta­ria-Pao­lo-Sa­vo­na/eai978887644268/

    http://con­tro­pia­no.org/news/news-eco­no­mia/2019/01/13/leu­ro-non-e-un-er­ro­re-di-cal­co­lo-0111382

    ANTEFATTO

    (l’origine dell’idea)

    Sia­mo cer­ti che, già leg­gen­do l’in­tro­du­zio­ne, hai com­pre­so la ne­ces­si­tà dell’edu­ca­zio­ne fi­nan­zia­ria: una ma­te­ria fon­da­men­ta­le. Es­sa, tut­ta­via, co­sti­tui­sce sol­tan­to una par­te del li­bro, il qua­le de­di­ca am­pio spa­zio an­che al­le stra­te­gie di in­ve­sti­men­to sul lun­go pe­rio­do tra­ding, al mo­ney ma­na­ge­ment, al re­gi­me fi­sca­le de­gli in­ve­sti­men­ti e ad al­tro an­co­ra.

    Tut­ta­via l’im­por­tan­za e la ne­ces­si­tà dei sud­det­ti ar­go­men­ti non co­sti­tui­sco­no una mo­ti­va­zio­ne esau­rien­te per scri­ve­re un li­bro: in fon­do quan­ti al­tri li­bri so­no sta­ti già scrit­ti al ri­guar­do? De­ci­ne? Una cin­quan­ti­na?

    Per ta­ce­re poi dei li­bri di ana­li­si tec­ni­ca e tra­ding, dei trat­ta­ti di mo­ney ma­na­ge­ment, dei te­sti com­pa­ra­ti di ana­li­si gra­fi­ca e ana­li­si ci­cli­ca…in­som­ma, quan­do si par­la di eco­no­mia, fi­nan­za ed in­ve­sti­men­ti, la let­te­ra­tu­ra è dav­ve­ro am­pia !

    E al­lo­ra c’era pro­prio bi­so­gno di scri­ve­re un nuo­vo, ul­te­rio­re li­bro, su que­ste ma­te­rie? E per­ché? po­tre­sti (e do­vre­sti) chie­der­ci.

    Pri­ma di ac­cin­ger­ci all’ope­ra, ci sia­mo po­sti la stes­sa do­man­da e ab­bia­mo rin­ve­nu­to la ri­spo­sta nel­la fa­ti­co­sa espe­rien­za che noi, co­me tut­ti co­lo­ro che han­no a cuo­re le sor­ti del­le lo­ro fi­nan­ze, ab­bia­mo vis­su­to per im­pa­ra­re no­zio­ni ed abi­li­tà tan­to di­ver­se – e al tem­po stes­so ugual­men­te in­di­spen­sa­bi­li – per ri­spar­mia­re ed in­ve­sti­re con pro­fit­to il de­na­ro: l’ela­bo­ra­zio­ne e la ge­stio­ne di un bi­lan­cio (o quan­to­me­no di un bud­get fa­mi­lia­re), i prin­ci­pa­li ter­mi­ni del­la fi­nan­za (es. ca­pi­ta­le, red­di­to e pa­tri­mo­nio) e le lo­ro im­pli­ca­zio­ni, la mi­cro e la ma­croe­co­no­mia, l’ana­li­si di sce­na­rio dei mer­ca­ti, lo stu­dio e l’ana­li­si dei nu­me­ro­si pro­dot­ti fi­nan­zia­ri (azio­ni, ob­bli­ga­zio­ni, ti­to­li di Sta­to, War­rant, ETF, CFD ecc.), l’ana­li­si tec­ni­ca, l’ana­li­si gra­fi­ca, il mo­ney man­ge­ment, la di­sci­pli­na nor­ma­ti­va ban­ca­ria e fi­sca­le de­gli in­ve­sti­men­ti ecc.

    Or­be­ne, per stu­dia­re, ap­pren­de­re ed (in­fi­ne) ap­pli­ca­re con­cre­ta­men­te i sud­det­ti con­cet­ti (e mol­ti al­tri an­co­ra) ab­bia­mo do­vu­to, nell’or­di­ne:

    Comprare e leggere più di 20 libri

    Procedere, necessariamente, ad una sintesi degli stessi

    Creare un metodo di lavoro applicabile alla nostra situazione (ossia alle nostre caratteristiche personali e di investitori)

    In pa­ro­le po­ve­re e usan­do un fran­ce­si­smo...ci sia­mo do­vu­ti fa­re un maz­zo tan­to!

    (noi e tut­ti co­lo­ro i qua­li han­no in­tra­pre­so il no­stro me­de­si­mo per­cor­so, aven­do or­mai com­pre­so che og­gi­gior­no è pu­ra fol­lia de­le­ga­re la ge­stio­ne dei sol­di ad un pro­mo­to­re fi­nan­zia­rio, ad un agen­te as­si­cu­ra­ti­vo, al­lo Sta­to, all’Azien­da, al­la Ban­ca, al­le Po­ste ecc. )

    Pur­trop­po, in­fat­ti, NON esi­ste un li­bro che trat­ti, con me­to­do di­dat­ti­co coe­ren­te ed omo­ge­neo ed in mo­do esau­sti­vo, tut­ti gli ar­go­men­ti ne­ces­sa­ri per svi­lup­pa­re l’abi­li­tà di am­mi­ni­stra­re e far pro­spe­ra­re le fi­nan­ze per­so­na­li.

    ALT ! Un mo­men­to !

    Ret­ti­fi­chia­mo ! L’in­for­ma­zio­ne cor­ret­ta (in­ve­ro) è la se­guen­te: pri­ma di Do­ve gat­to met­to i sol­di? NON ESI­STE­VA un li­bro che trat­tas­se, con me­to­do di­dat­ti­co coe­ren­te ed omo­ge­neo ed in mo­do esau­sti­vo, tut­ti gli ar­go­men­ti ne­ces­sa­ri per svi­lup­pa­re l’abi­li­tà di am­mi­ni­stra­re e far pro­spe­ra­re le fi­nan­ze per­so­na­li.

    I li­bri pub­bli­ca­ti fi­no­ra, in­fat­ti, so­no tut­ti mo­no­te­ma­ti­ci, poi­ché trat­ta­no, in ma­nie­ra più o me­no ap­pro­fon­di­ta, sol­tan­to una tes­se­ra di quel gran­de mo­sai­co  che è la ge­stio­ne del de­na­ro (in real­tà, più che un mo­sai­co, è cor­ret­to de­fi­nir­la una pi­ra­mi­de, fra po­co ve­dre­mo per­ché): i li­bri che in­se­gna­no co­me ge­sti­re il bud­get fa­mi­lia­re non si oc­cu­pa­no di in­ve­sti­men­ti, quel­li che si oc­cu­pa­no di in­ve­sti­men­ti non par­la­no di tra­ding, i li­bri che in­se­gna­no a pro­teg­ge­re il pa­tri­mo­nio me­dian­te le as­si­cu­ra­zio­ni igno­ra­no il ruo­lo del mo­ney ma­na­ge­ment nel­la pro­te­zio­ne del ca­pi­ta­le, i li­bri di ana­li­si tec­ni­ca so­no (ge­ne­ral­men­te) pri­vi di una vi­sio­ne de­gli in­ve­sti­men­ti sul lun­go ter­mi­ne e co­sì via..

    Per ta­ce­re, poi, del fat­to che qua­si tut­ti i te­sti in com­mer­cio igno­ra­no le fon­da­men­ta­li cor­re­la­zio­ni fra ri­spar­mio, pa­tri­mo­nio, red­di­to ed in­ve­sti­men­ti e – co­sa an­cor più gra­ve – la dif­fe­ren­za fra in­ve­sti­men­ti a ge­stio­ne pas­si­va ed in­ve­sti­men­ti a ge­stio­ne at­ti­va, non­chè l’im­pat­to de­le­te­rio dei co­sti di que­sti ul­ti­mi sui ren­di­men­ti dei va­ri pro­dot­ti fi­nan­zia­ri (co­me ve­dre­mo mol­to be­ne nel 3° ca­pi­to­lo).

    Se non ci cre­di, ti sfi­dia­mo - sfi­dia­mo chiun­que - a fa­re una ri­cer­ca per di­mo­stra­re il con­tra­rio: sco­pri­rai co­sì quan­to è con­fu­sa, di­so­mo­ge­nea e fram­men­ta­ta la com­ples­sa ma­te­ria de­gli in­ve­sti­men­ti e del­la fi­nan­za.

    Ma so­prat­tut­to, ti ren­de­rai con­to dell’as­so­lu­ta man­can­za di una me­to­do­lo­gia teo­ri­co/pra­ti­ca che in­se­gni a chiun­que – dai la­vo­ra­to­ri (e dal­le la­vo­ra­tri­ci ov­via­men­te) di­pen­den­ti al­le

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