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Lilien e Szyk: La Renaissance sionista tra estetica cristiana ed ebraica
Lilien e Szyk: La Renaissance sionista tra estetica cristiana ed ebraica
Lilien e Szyk: La Renaissance sionista tra estetica cristiana ed ebraica
Ebook136 pages37 minutes

Lilien e Szyk: La Renaissance sionista tra estetica cristiana ed ebraica

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L’arte sionista è un’arte cristianizzante perché rappresenta l’ebreo come uomo redento nella carne. Questa tesi rivoluzionaria viene dimostrata attraverso un minuzioso esame iconologico di tre personaggi ebrei: Martin Buber, Ephraim Moses Lilien e Arthur Szyk. Ebrei aschenaziti vissuti a cavallo fra il XIX e il XX secolo, i tre uomini hanno pensato all’arte come a un percorso salvifico ebraico nell’età contemporanea. Il primo è un pensatore cristianizzante, il secondo un illustratore estetizzante, il terzo un poeta cattolicheggiante. Buber ripensa alla natura del tempo ebraico e cerca nel tempo circolare pagano e nietzscheano un’àncora di salvataggio dell’ego disancorato dalla terra. Lilien tratteggia una genesi ebraica che ricostituisca il legame perduto fra l’uomo e Dio. Szyk umanizza la condizione ebraica, facendola pienamente partecipe dei tempi moderni e delle tragedie novecentesche. L’arte sionista ripercorre il cammino triadico prospettato dalla stella della redenzione di Franz Rosenzweig, che porta a compimento l’abbraccio mitteleuropeo fra le due religioni del libro.
LanguageItaliano
Release dateDec 17, 2017
ISBN9788827536315
Lilien e Szyk: La Renaissance sionista tra estetica cristiana ed ebraica

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    Lilien e Szyk - Vincenzo Pinto

    (1933)

    Introduzione. Immaginare il verbo, verbalizzare l’immagine

    Le tavole del Sinai hanno perso la loro validità. La coscienza è un’invenzione ebraica.

    Come la circoncisione, è una mutilazione dell’essenza umana.

    La provvidenza mi ha predestinato quale il più grande liberatore dell’umanità. Io libero l’essere umano dall’obbligo dello spirito divenuto fine in sé, dall’auto-tortura sporca e umiliante di una chimera chiamata coscienza e morale e dalle pretese di una libertà e di un’autonomia personale, per le quali solo pochi possono essere cresciuti.

    Alla dottrina cristiana del significato infinito dell’anima singola umana e della responsabilità personale io oppongo con gelida chiarezza la dottrina redentrice della nullità e dell’insignificanza del singolo essere umano e della sua sopravvivenza nella visibile immortalità della nazione. Al posto del dogma del dolore e della morte sostitutivi di un redentore divino subentra la vita e l’affare sostitutivi della nuova guida-legislatore, che dispensa la massa dal fardello della libera scelta.

    Das Gewissen ist eine jüdische Erfindung: queste sono le espressioni attribuite da Hermann Rauschning alla guida del nazismo nel suo libro Gespräche mit Hitler (Colloqui con Hitler, 1940)¹. Il messaggio di Adolf Hitler è alquanto chiaro: l’ebraismo è la nevrosi della modernità, perché ha inventato le tavole del Sinai. Il rispetto letterale della legge conduce alla «malattia mortale» (come scrisse il pastore danese mancato Søren Kierkegaard)². Il sì alla vita (l’amor fati perorato dal figlio di un pastore luterano sassone) dispensa la massa dal fardello della libera scelta, ponendolo nelle mani di un essere onnipotente. Se l’«abisso» del cristiano è il peccato, quello del cavaliere il disonore, quello del borghese l’illegalità, quello del decadente la contingenza, quello del nazismo è la legge. Al mito illuministico del Sollen kantiano subentra il mito vitalistico del Sein hitleriano, trasposto nel caso d’eccezione schmittiano. L’eccezione, da mera categoria spazio-temporale liminare, diventa la regola³.

    Un discorso iconologico sul sionismo non può prescindere tanto dalla visione dei moniti hitleriani riguardanti il fardello della coscienza morale cristiana, quanto dal citato duetto tratto dal Moses und Aron di Arnold Schönberg. Alla base della composizione liederistica di Schönberg vi è lo stretto nesso tra l’idea inesprimibile e irrafigurabile di Dio (la Wille schopenhaueriana) e la serie «circolare» (le sue Vorstellungen). Ci troviamo evidentemente di fronte a una discontinuità con la simmetria delle composizioni dodecafoniche, strutturate secondo quattro forme (diritto, regressione, rovescio e regressione del rovescio) e, generalmente, sui dodici gradi della scala cromatica. «La serie – osserva Luigi Rognoni – viene perciò occultata e si presenta in forma di struttura circolare dello spazio pancromatico, come all’interno di una sfera, nella quale tutti i punti si equivalgono, pur potendo dare origine a infinite relazioni simmetriche. La serie così strutturata appare come il risultato voluto dal musicista di conferire a essa un significato dell’idea del Dio irrapresentabile, unico, eterno, onnipresente; essa è infinita e come tale è principio e fine di ogni cosa»⁴. Ecco trasposto l’irrisolvibile dualismo gnostico (trascendentalismo aut immanentismo), mutuato da Schopenhauer e da Nietzsche, ripreso nel secolo XX dai suoi eredi ermeneuti (Heidegger, Gadamer e tutti i decostruzionisti)⁵. La posta in gioco non è unicamente formale, se con forma non si intende la riduzione della struttura a

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