Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

L'angelo del dolore
L'angelo del dolore
L'angelo del dolore
Ebook282 pages3 hours

L'angelo del dolore

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Due anni dopo l’uccisione di un loro congiunto, un’importante famiglia mafiosa cinese decide di mettere in atto una brutale vendetta, scatenando un crudele assassino che avrà il compito di eliminare tutti quelli che collaborarono con chi aveva sparato.
Mentre gli omicidi si susseguono con sempre maggiore ferocia, il maggiore Umberto Gamondo, sempre validamente supportato da Iphigenie Rossignol, dovrà ancora una volta scendere in campo per porvi fine.
La campagna francese e le luci di Parigi, le immense distese del Dakota e la savana dello Zimbabwe faranno da sfondo a una lotta senza quartiere dove la pietà non è mai contemplata. Tutte storie che dipanandosi porteranno al tragico epilogo tra le antiche mura medievali di un monastero spagnolo.
LanguageItaliano
Release dateJun 1, 2020
ISBN9788835830856
L'angelo del dolore

Read more from Ugo Moriano

Related to L'angelo del dolore

Related ebooks

Murder For You

View More

Related articles

Reviews for L'angelo del dolore

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    L'angelo del dolore - Ugo Moriano

    casuale.

    Prologo

    Cina

    Provincia di Qinghai

    Lago Ngoring

    21 giugno 2018

    I

    Ogni volta che Qiang ritornava su quell’altopiano battuto dai venti freddi che provenivano da settentrione provava una sensazione di libertà quasi viscerale, come se in quei posti così lontani dalla frenesia delle grandi metropoli un uomo potesse ancora spogliarsi di tutti gli orpelli della civilizzazione e ritornare a essere solo un atavico cacciatore selvaggio in cerca di prede.

    - Tu sei una perla rara e, se seguirai i consigli miei e di tuo padre, diventerai una delle colonne della nostra famiglia - gli aveva detto oltre quindici anni prima suo nonno Xiong quando aveva portato a termine il suo primo vero incarico. - Ho conosciuto molti assassini, ma mai uno come te.

    A ripensarci adesso, in fondo quella volta non aveva compiuto poi una grande impresa, si era limitato a punire una famiglia di poveri idioti che, pensando di essere al di fuori della portata degli Yangdi, avevano cercato di imporre il loro volere sulla gente di un piccolo villaggio, composto da non più di un centinaio di misere persone e capre, sulle pendici delle montagne di Tangula.

    Credevano che per una simile inezia, messa in atto a quasi cento chilometri da qui, non ci saremmo mossi per rimettere le cose al loro posto.

    Invece Xiong aveva convocato proprio lui e gli aveva chiesto di andare a dare un esempio che in futuro potesse essere ben ricordato.

    - Nonno, che tipo di esempio vuoi? - aveva domandato senza osare alzare lo sguardo dal pavimento.

    - Questo lo dovrai decidere tu. Sei mio nipote e pertanto sono sicuro che non mi deluderai.

    Qiang allora aveva solo diciannove anni, ma la giovane età non gli aveva impedito di agire con una ferocia tale che ne erano rimasti impressionati i suoi stessi uomini, gente dura abituata alla violenza. Quando si erano allontanati nessun componente della famiglia che aveva osato sfidare la potenza degli Yangdi era ancora in vita e per alcuni di loro la morte non era stata facile né veloce.

    L’apprezzamento del nonno gli aveva aperto la strada verso la guida del ramo più operativo dell’organizzazione, ma ogni singolo passaggio di livello se lo era dovuto guadagnare sul campo.

    Xiong era morto tre anni dopo e il suo posto era stato preso dal padre di Qiang che da allora guidava il loro clan familiare contemperando la saggezza con la ferocia.

    Nulla di ciò che abbiamo fatto in questi anni pensò mentre le sue labbra si aprivano in un sorriso quasi delicato, potrà rivaleggiare con quanto metteremo in atto dopo questa sera.

    Dopo aver rallentato, affrontò un breve rettilineo in discesa, seguito da un paio di curve a gomito, poi giunse in vista del piccolo agglomerato di case che da una cinquantina di metri d’altezza si affacciava sulle grigie e pescose acque del lago.

    Il sole presto sarebbe tramontato e le ombre già si allungavano scure sui terreni coltivati che circondavano lo specchio d’acqua, mentre un paio di barche, dopo aver ammainato la vela, si avvicinavano a remi verso un pontile in cemento armato. Qiang scalò ancora le marce e fece procedere lentamente la sua Hover 5, fino a che non arrivò sullo spiazzo sterrato accanto a una delle abitazioni più periferiche.

    Nessuno di coloro che si trovavano in strada al suo passaggio aveva mostrato alcuna curiosità per il transito dell’automezzo, e tutta la poca vita di quel villaggio di contadini e pescatori sperduto in una delle province più povere della Cina continuava come se lui fosse invisibile.

    Dal modesto edificio a un solo piano coperto con un tetto a due falde di tegole rosse uscì un uomo vestito come un contadino. Senza proferir parola, attese che il nuovo arrivato scendesse dall’auto, poi ne prese il posto e guidò l’automezzo verso un parcheggio sotterraneo.

    Qiang, con in mano solo una ventiquattrore, varcò la soglia di casa e venne accolto da un domestico dalla pelle scura che, chinandosi, gli tolse le scarpe e, non senza una certa difficoltà, gli mise ai piedi delle comode pantofole, quindi si fece da parte con deferenza.

    De Chan sta diventando vecchio pensò Qiang mentre lasciava la stanza per raggiungere uno dei locali posteriori. Mio padre dovrebbe iniziare a cercare un valido sostituto. Magari potrei dargli io qualche nome.

    Dopo aver attraversato due stanze arredate in modo spartano, giunse nella terza, al centro della quale si apriva una scala in legno che apparentemente portava in uno spazio sottostante adibito a dispensa.

    Una volta sceso venne accolto da un altro domestico del tutto simile a De Chan, anche se di molti anni più giovane, che aveva già provveduto a fargli trovare aperta la porta di un modernissimo ascensore.

    Sempre in silenzio Qiang varcò la soglia e premette uno dei due pulsanti presenti sulla parete metallica.

    L’ascensore iniziò la discesa e lo portò quaranta metri più in basso dove lo attendeva una piccola vettura elettrica con alla guida l’ennesimo silenzioso inserviente, anche lui appartenente alla stessa etnia degli altri servitori.

    Ci vollero meno di cinque minuti per percorrere la galleria, illuminata da lunghi tubi al neon incastrati nelle pareti, che al tempo di Mao Zedong era stata scavata con picchi e pale da decine di migliaia di condannati ai lavori forzati.

    Allora il Grande Timoniere si preparava a sopravvivere a un attacco nucleare. Non temeva gli americani, ma i russi. Le parole del nonno gli ritornavano alla mente ogni volta che faceva quel percorso. Egli amava ripetere ai noi consiglieri che gli occidentali non capivano ciò che la Cina sarebbe diventata, ma Brežnev sì, e forse sarebbe stato così pazzo da tentare un colpo disperato prima che fosse troppo tardi. Fortunatamente però non accadde nulla e così adesso questa tana sotterranea è diventata il centro nevralgico del potere della mia famiglia.

    Non che prima della costruzione di quel rifugio gli Yangdi fossero privi di poteri, anzi, da oltre tre secoli tutte le terre intorno al lago Qinghai, come anche vasti tratti delle provincie del Gansu e dello Sichuan, erano sotto la loro potente influenza, ma quella fortezza sotterranea era assurta a simbolo della loro forza spietata.

    Una volta sceso dall’auto, si diresse verso l’ultima delle cinque grandi porte d’acciaio che avrebbero dovuto tener fuori le radiazioni e, dopo averla oltrepassata, si ritrovò all’interno di un’immensa caverna illuminata a giorno da grandi fari alogeni. Al centro di quello spazio si levava un edificio che riproduceva fedelmente una delle torri angolari della Città Proibita. Anche questa, come l’originale, era alta ventisette metri e il tetto era formato da tegole di maiolica gialla.

    Da bambino, quando l’aveva vista per la prima volta, aveva chiesto a suo padre perché era stata costruita una torre e non, per esempio, uno dei palazzi della Città Proibita, e lui gli aveva spiegato che in quel posto la sua famiglia preparava e conduceva le proprie guerre e quindi era giusto che fosse una torre e non un comodo palazzo.

    Trentanove metri separavano l’edificio dalla porta corazzata e Qiang li percorse senza fretta ben consapevole che diverse telecamere lo stavano filmando e certamente da qualche parte c’erano dei tiratori scelti impegnati a scrutarlo attraverso mirini di precisione.

    Lungo le pareti di quella grande grotta artificiale si aprivano otto gallerie, la più lunga delle quali sfiorava i cinque chilometri. All’interno, oltre a esservi custodita una parte del tesoro di famiglia, c’erano interi settori informatici dotati dei migliori server al mondo. Non mancavano ricoveri attrezzati per centinaia di persone, armerie, dispense e innumerevoli altri magazzini.

    - Ben arrivato nobile Qiang - disse un uomo dall’età indefinita emergendo dalla costruzione. Egli era la guardia del corpo personale di suo padre, colui che vegliava sulla vita del capo famiglia.

    - Grazie Xia.

    In qualsiasi altro luogo al mondo avrebbe riso se qualcuno lo avesse definito nobile, ma in quelle terre, lui e tutti i suoi consanguinei facevano parte degli Imperatori e come tali erano trattati. Naturalmente nessun legame li univa alle dinastie che nei secoli avevano regnato sulla Cina, ma in quelle province rurali la loro potenza era sicuramente pari a quella a suo tempo detenuta dai Tang, dai Song o dai Ming. Pure Mao ne era stato cosciente e aveva sempre fatto in modo, come in seguito i suoi successori, di non inimicarseli.

    Nonostante il titolo che gli era stato appena riconosciuto, Qiang venne comunque accuratamente perquisito e la sua ventiquattrore in pelle nera firmata Louis Vuitton fu trattenuta. Tutti i documenti che conteneva vennero trasferiti in un’altra spartana valigetta di plastica. Gli venne tolto lo smartphone, la penna che teneva nel taschino della giacca e perfino il portafoglio.

    Farebbero prima a mandarmi da mio padre nudo. Ogni volta non poteva esimersi dal fare quella riflessione, ma neppure per scherzo avrebbe mai osato manifestarla al suo genitore perché probabilmente avrebbe accettato il suggerimento.

    - Chi manca ancora? - domandò quando gli fu concesso di proseguire.

    - Nessuno. Sei l’ultimo arrivato.

    Pur notando una venatura di rimprovero nella voce di Xia, la ignorò, ma, di questo era certo, se la sarebbe ricordata il giorno in cui avrebbe preso il posto di suo padre.

    Quando fu a due passi di distanza la porta della sala più interna si aprì scorrendo silenziosamente di lato e finalmente, dopo oltre tre giorni di viaggio, Qiang poté entrare in quello che era a tutti gli effetti il "sancta sanctorum" del loro potere.

    II

    - Nobile padre, fratelli! - Qiang salutò i presenti con un inchino perché, almeno per il momento, tutti gli erano gerarchicamente superiori.

    Suo padre, dopo averlo scrutato attentamente, gli fece cenno di avvicinarsi e prendere posto intorno al tavolo di legno massiccio in stile europeo, risalente al Settecento francese, che occupava il centro della stanza, uno spazio quasi asettico privo di qualsiasi altro mobilio.

    Erano trascorsi otto mesi dall’ultima volta che aveva incontrato tutta la famiglia quando si era riunita per partecipare ai funerali di suo zio Ning, assassinato da un italiano in una saletta dell’aeroporto di Singapore. Da allora Qiang era sempre rimasto all’estero e solo pochi giorni prima era stato richiamato in patria da suo padre.

    Mentre, con il viso impassibile, raggiungeva la sedia con l’alto schienale che gli era stata assegnata, studiò velocemente tutti gli altri presenti.

    Ognuno, lui compreso, indossava vestiti di foggia occidentale e l’unica concessione alle usanze della loro terra erano le pantofole che portavano ai piedi.

    A capo tavola era seduto suo padre Kang, che aveva preso le redini della famiglia quando era morto nonno Xiong. Da tempo non godeva più di buona salute ed era già stato operato due volte nel tentativo di arrestare il progredire di un aggressivo tumore intestinale. Nonostante stesse fruendo delle migliori cure al mondo, nessuno si aspettava che sopravvivesse ancora a lungo e quindi, seppur in modo molto discreto, erano già iniziate le manovre legate alla successione.

    La sedia alla sua destra era vuota. Lì, prima di essere ammazzato, sedeva Ning e il posto, anche se di regola spettava all’erede designato, non era stato ancora riassegnato.

    Era un incapace pensò Qiang guardando il seggio vacante e lo ha confermato per l’ennesima volta andando a infilarsi in una trappola neppure troppo ricercata.

    Alla sinistra del capotavola sedeva Bao, figlio della prima moglie di Kang, e accanto a lui aveva preso posto suo fratello Yong. Entrambi sovrintendevano il florido settore finanziario: il primo s’interessava della Cina, dell’Asia e della Russia, il secondo si occupava di Europa e America.

    Attualmente oltre il dieci per cento di tutti gli esercizi commerciali cinesi attivi nell’Unione Europea era collegato a organizzazioni del settore finanziario della famiglia Yangdi e presto tale quota sarebbe ulteriormente aumentata.

    Sull’altro lato del tavolo, oltre la sedia vuota, c’erano i due figli della seconda moglie, Wen e Zhen. Il primo era a capo della parte militare dell’organizzazione, perché da secoli la loro famiglia si era posizionata ai vertici delle forze armate, prima quelle imperiali e poi quelle comuniste. Il secondo curava la totalità dei loro interessi in Africa, un continente che stava diventando sempre più rilevante nelle relazioni economiche della Cina.

    L’ultimo spazio disponibile toccava a chi manovrava il lato più oscuro delle loro attività, un ruolo sempre alquanto disprezzato, ma anche molto temuto da tutti gli altri familiari. Qiang l’occupava da diversi anni e non aveva mai fatto nulla per tranquillizzarli, anzi, la sua ferocia e le sue elevate capacità di uccidere le utilizzava anche per non far sentire tranquillo nessuno dei convitati presenti.

    - Presto saremo in grado di punire in modo esemplare tutti coloro che, anche in minima parte, sono stati coinvolti nella storia che ha portato all’uccisione di mio fratello - disse Kang con un filo di voce saltando ogni preambolo. - Bao, spiega tu a che punto siamo con le nostre ricerche.

    Il figlio primogenito, com’era sua abitudine, prima di parlare si pulì meticolosamente gli occhiali e poi, con un gesto istintivo, si sistemò bene il nodo della cravatta. Aveva da poco compiuto cinquantatré anni, pesava oltre cento chili e, nonostante già due leggeri infarti, continuava a indulgere nei piaceri della tavola.

    - Come tutti qui sappiamo, zio Ning è stato assassinato in una saletta riservata dell’aeroporto di Singapore, con lui sono stati uccisi un nostro partner sudamericano e il dottor Huber che li aveva incontrati per riavviare una branca del nostro business in campo farmaceutico.

    Tutti ascoltarono in silenzio quella ripetizione di notizie già conosciute. Bao amava sempre prendere le cose con calma e non arrivava mai al nocciolo se prima non aveva ripetuto con puntigliosità ciò che tutti i suoi interlocutori già sapevano.

    - L’esecutore materiale è stato un italiano, un ex maggiore dei carabinieri che, con l’aiuto dei servizi segreti militari francesi, è riuscito a introdursi nel locale e portare a termine la sua missione.

    - Purtroppo quel cane italiano è morto e pertanto non potremo mai vendicarci pienamente di un tale affronto. - Zhen, impaziente come sempre, non seppe resistere alla tentazione di dire la sua.

    - Questa è la versione ufficiale, ma nostro padre dubita che sia andata proprio così. - Bao, innervosito dall’interruzione, si pulì nuovamente gli occhiali. - Forse Umberto Gamondo potrebbe essere ancora vivo, anche se non ne abbiamo le prove.

    - A noi non servono le prove. Se è vivo dobbiamo trovarlo e farlo morire tra mille tormenti. - Questa volta, per non essere da meno del fratello, fu Wen a parlare.

    - Com’è possibile che per tutti questi mesi siano riusciti a trarci in inganno? - Yong batté il pugno sul tavolo e gocce di saliva gli schizzarono fuori dalla bocca stretta e contornata da un filo sottile di labbra. Gli altri suoi fratelli si unirono al suo sdegno.

    Qiang si accomodò meglio sulla sedia guardandosi bene dal prendere parte a quella discussione che stava diventando fin troppo animata. Il suo sguardo rimase fisso sul viso del padre la cui espressione iniziava a tradire insofferenza mista a una vena di disprezzo.

    - Forse perché mi sono contornato di incapaci? - sussurrò Kang scrutandoli poi uno a uno.

    Nessuno osò ribattere o anche solo timidamente dissentire e tutti si zittirono in attesa che il capofamiglia continuasse a parlare.

    - Bao, vedi di venire al punto perché la mia vescica non è più robusta come un tempo. E non provare a pulirti ancora gli occhiali!

    Il figlio più grande, che stava proprio per afferrarli, appoggiò di scatto le mani sul piano del tavolo e poi, dopo aver deglutito un paio di volte, riprese la propria esposizione.

    - Il cadavere dell’italiano, a differenza di quelli di nostro zio e degli altri due partecipanti, è stato immediatamente portato via. Le telecamere di sorveglianza, spente ad arte, oltre a non filmare il momento dell’agguato, non hanno ripreso neppure questa scena. A Singapore non godiamo di particolari appoggi, però siamo riusciti a sapere che tutto ciò è stato gestito dai servizi segreti francesi e, in questo caso particolare, da un loro colonnello: Iphigenie Rossignol.

    Qiang prese mentalmente nota del nome perché quella donna sarebbe sicuramente finita sulla lista delle persone da eliminare e presagiva che sarebbe stata una bella sfida.

    - Nessun medico legale di Singapore ha potuto vedere il corpo di quell’ex maggiore dei carabinieri. La salma è stata subito chiusa in una cassa e spedita, tramite un volo militare, sull’isola di Réunion dove l’hanno immediatamente trasportata in un piccolo hangar della base navale francese. - Bao portò la mano verso gli occhiali, ma a metà del gesto si bloccò appoggiandola nuovamente sul tavolo. - Da qui l’hanno poi caricata su un Airbus Atlas dell’Armée de l’air diretto a Parigi. Undici giorni dopo l’omicidio di Ning il cadavere di Gamondo è stato cremato privatamente nel cimitero parigino di Père-Lachaise e poi le ceneri sono state consegnate al padre e alla madre che le hanno portate nella cappella di famiglia a Triuggio, un piccolo paese nei dintorni di Milano.

    - Quindi ormai non sarà più possibile stabilire se quelle ceneri siano veramente ciò che resta dell’italiano - disse con tono grave Yong cercando di assumere un’espressione pensierosa e ponderata mentre si lisciava i baffi.

    - Direi che la cosa è evidente - esclamò Wen che da sempre mal sopportava il fratello maggiore.

    Il capo famiglia batté leggermente le nocche sul piano del tavolo e tutti si volsero nuovamente verso di lui.

    - I servizi francesi sono stati molto efficienti e hanno distrutto ogni possibile prova, ma proprio questo per me è l’evidenza di una prova! - La voce di Kang era poco più di un sussurro iroso. - Si sono dati troppo da fare per cancellare ogni traccia, e questo deve pur dirci qualcosa.

    Nessuno dei figli avanzò idee e, d’altronde, Kang non se ne aspettava.

    - Abbiamo subito un duro affronto e dobbiamo riscattarci perché non possiamo perdere la faccia in questo modo agli occhi del mondo. Negli ultimi settant’anni nessuno ha mai osato uccidere un nostro congiunto.

    Padre, forse dovresti specificare che nessuno è mai morto per mani non appartenenti alla nostra famiglia pensò Qiang guardandosi bene però dal dirlo a voce alta. Invece tra noi le cose sono state un po’ diverse.

    Quando era un ragazzino aveva tre zii, uno però era inspiegabilmente morto annegato mentre nuotava nel vicino lago e un altro, dopo aver litigato con Kang, si era suicidato impiccandosi a un albero.

    A ben pensarci, anche nella generazione di mio nonno un paio di cugini un po’ dissenzienti sono morti senza che nessuno ne facesse una tragedia.

    - Chi incaricherai? - domandò Bao prendendo coraggio. - Mandiamo la Bestia o preferisci che me ne interessi io?

    La Bestia! Quel soprannome, anche se non lo aveva mai fatto notare, faceva infuriare Qiang. Gli altri suoi fratellastri erano tutti di puro sangue cinese, mentre lui no. Era il figlio di una modella ungherese che, una volta caduta la cortina di ferro, aveva commesso l’errore di lasciarsi irretire da un potente mandarino cinese carico di soldi. L’aveva corteggiata senza badare a spese e lei alla fine aveva ceduto accettando di sposarlo e seguirlo poi in Cina da dove non era mai più uscita.

    Fin da piccolo i suoi famigliari lo avevano preso in giro dicendogli che, vista la sua diversità, doveva essere figlio di qualche immonda bestia, e così era stato soprannominato. Lui, che aveva perso la madre a soli due anni, da allora aveva sempre sopportato quell’appellativo, attendendo il momento giusto per pareggiare i conti.

    - Toccherà a Qiang - disse il padre senza dar mostra di aver notato l’epiteto. - Dovrà mettersi in caccia e, se quell’italiano è ancora vivo, dovrà scovarlo e portarlo qui da me.

    La riunione sembrò così conclusa e tutti accennarono ad alzarsi, ma vennero bloccati da un cenno del capofamiglia.

    - Una volta chiusa definitivamente questa storia - disse Kang fissandoli uno a uno - potremo tornare a lavorare nel settore farmaceutico dove, ve lo anticipo, si stanno aprendo

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1