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Il Mostro a Firenze - Parte I, volume 1
Il Mostro a Firenze - Parte I, volume 1
Il Mostro a Firenze - Parte I, volume 1
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Il Mostro a Firenze - Parte I, volume 1

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“Il Mostro «a» Firenze” è un compendio articolato in tre parti e costituito da una scrupolosa selezione e riproduzione di atti, documenti, articoli di stampa, perizie criminologiche, risultanze investigative e processuali, fino a delineare i contorni chiari e ben riconoscibili del cosiddetto “Mostro” e di eventuali complici, sia nelle azioni omicidiali, sia anche nella sconvolgente sequenza di coperture autorevoli di cui questo soggetto ha goduto e gode ancor oggi, grazie ai pesanti ricatti che pone in essere a tutela della propria incolumità giudiziaria.

Nella Parte prima, “Le Cronache”, l’Autrice, in considerazione del fatto che dal 1968 (data del primo delitto presumibilmente attribuibile al “Mostro”) sono trascorsi ben quarant’anni, ha ritenuto, al fine di consentire la conoscenza dei molteplici fatti di questa sanguinosa pagina della storia italiana anche a coloro che all’epoca dei duplici delitti non erano ancora nati – o erano troppo giovani per interessarsi a tanto orrore –, di rileggere la più significativa cronaca nera scritta in tempo reale; spesso davanti ai corpi ancora caldi delle vittime, tra la ressa della gente, dei fotoreporter, delle forze dell’ordine, dei magistrati, medici legali, criminologi, fino a rendere attuale lo scenario dei delitti, come se per i lettori quei fatti oggi fossero appena accaduti. In questa ricerca giornalistica, l’Autrice non si è fermata alla data dell’ultimo duplice delitto, bensì ha inteso pubblicare quanto la stampa ha reso noto di questa vicenda anche negli anni successivi ai delitti; anni questi che hanno accompagnato indagini difficili e controverse, processi, arresti clamorosi e assoluzioni, o condanne altrettanto clamorose e poste sotto i riflettori di tutto il mondo.

Ed è all’arco di tempo che va dal 1995 – momento in cui per una circostanza del tutto casuale si trovò ad entrare clamorosamente nella vicenda del “Mostro di Firenze”, come già allora era definita.– ad oggi, che l’Autrice ha inteso dedicare la Parte seconda, volendo rappresentarvi proprio l’aspetto istituzionale. E’ questo il percorso che l’Autrice seguirà in prima persona, per capire e poter documentare quanto appare ancor oggi ben nascosto dietro le quinte del teatro giudiziario; e così far anche comprendere che se il Serial Killer può ancora permettersi di girare a piede libero, è solo perché non lo si è voluto o potuto catturare. L’Autrice mette a nudo i volti di un Antistato annidato nello Stato, e di certo in questa lettura a dir poco drammatica non mancano documenti sconvolgenti con firme autorevolissime, non mancano colpi di scena e falsi ideologici siglati senza pudore alcuno, in spregio della memoria stessa delle vittime e delle loro famiglie; non manca quindi nulla di quella parte guasta che ha contagiato e reso malato l’intero sistema giudiziario italiano.

Da qui il passo è breve; è quindi quasi naturale per i lettori più attenti il passaggio alla Parte terza, con l’addentrarsi nella storia di un uomo diventato non un Mostro, ma “Il Mostro”, sino a riconoscerne la vera identità… E quanti esclameranno inorriditi: “Dio mio, eppure l’ho frequentato, stimato, siamo andati a cena chissà quante volte insieme…”!

Il Mostro, si è manifestato “a” Firenze, ma fu generato altrove, anche se il suo habitat naturale volle eleggerlo tra le “dolci colline di sangue” che incorniciano quella che tuttavia per il mondo intero rimane e rimarrà la “città dell’Arte”. Dovremo a questo punto anche onestamente ammettere che in ciascuno di noi può nascondersi una bestia ferita, una Bestia che a sua volta si vendicherà sbranando l’altrui innocenza, rubando agli altri l’amore di cui fu privata prima di trasformarsi e dare sfogo alla bestialità e alla ferocia che poi generano i Mostri del nostro tempo.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateMay 13, 2020
ISBN9788831673228
Il Mostro a Firenze - Parte I, volume 1

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    Il Mostro a Firenze - Parte I, volume 1 - Andrea Carlizzi

    Mond&editori

    Introduzione

    Il Mostro «a» Firenze è un compendio articolato in tre parti e costituito da una scrupolosa selezione e riproduzione di atti, documenti, articoli di stampa, perizie criminologiche, risultanze investigative e processuali, fino a delineare i contorni chiari e ben riconoscibili del cosiddetto Mostro e di eventuali complici, sia nelle azioni omicidiali, sia anche nella sconvolgente sequenza di coperture autorevoli di cui questo soggetto ha goduto e gode ancor oggi, grazie ai pesanti ricatti che pone in essere a tutela della propria incolumità giudiziaria.

    Nella Parte prima, Le Cronache, l’Autrice, in considerazione del fatto che dal 1968 (data del primo delitto presumibilmente attribuibile al Mostro) sono trascorsi ben quarant’anni, ha ritenuto, al fine di consentire la conoscenza dei molteplici fatti di questa sanguinosa pagina della storia italiana anche a coloro che all’epoca dei duplici delitti non erano ancora nati – o erano troppo giovani per interessarsi a tanto orrore –, di rileggere la più significativa cronaca nera scritta in tempo reale; spesso davanti ai corpi ancora caldi delle vittime, tra la ressa della gente, dei fotoreporter, delle forze dell’ordine, dei magistrati, medici legali, criminologi, fino a rendere attuale lo scenario dei delitti, come se per i lettori quei fatti oggi fossero appena accaduti. In questa ricerca giornalistica, l’Autrice non si è fermata alla data dell’ultimo duplice delitto, bensì ha inteso pubblicare quanto la stampa ha reso noto di questa vicenda anche negli anni successivi ai delitti; anni questi che hanno accompagnato indagini difficili e controverse, processi, arresti clamorosi e assoluzioni, o condanne altrettanto clamorose e poste sotto i riflettori di tutto il mondo; e così fino alla complessa e non poco scandalosa situazione attuale allorché, oltre ai presunti mostri e mandanti, sono finiti alla sbarra gli stessi magistrati ed investigatori che hanno dato e continuano a dare la caccia ai responsabili di tanto sangue innocente.

    Ed è all’arco di tempo che va dal 1995 – momento in cui per una circostanza del tutto casuale si trovò ad entrare clamorosamente nella vicenda del Mostro di Firenze, come già allora era definita.– ad oggi, che l’Autrice ha inteso dedicare la Parte seconda, volendo rappresentarvi proprio l’aspetto istituzionale. E’ questo il percorso che l’Autrice seguirà in prima persona, per capire e poter documentare quanto appare ancor oggi ben nascosto dietro le quinte del teatro giudiziario; e così far anche comprendere che se il Serial Killer può ancora permettersi di girare a piede libero, è solo perché non lo si è voluto o potuto catturare. L’Autrice mette a nudo i volti di un Antistato annidato nello Stato, e di certo in questa lettura a dir poco drammatica non mancano documenti sconvolgenti con firme autorevolissime, non mancano colpi di scena e falsi ideologici siglati senza pudore alcuno, in spregio della memoria stessa delle vittime e delle loro famiglie; non manca quindi nulla di quella parte guasta che ha contagiato e reso malato l’intero sistema giudiziario italiano.

    Da qui il passo è breve; è quindi quasi naturale per i lettori più attenti il passaggio alla Parte terza, con l’addentrarsi nella storia di un uomo diventato non un Mostro, ma Il Mostro, sino a riconoscerne la vera identità… E quanti esclameranno inorriditi: Dio mio, eppure l’ho frequentato, stimato, siamo andati a cena chissà quante volte insieme…! Per l’Autrice sarà appunto questa presa di coscienza a costituire il messaggio morale che si spera possa giungere all’intera società, in questi tempi così drammatici ove non vi è giorno in cui le cronache cruente non occupino tanto spazio dell’intera nostra informazione raccontandoci fatti di sangue, i più assurdi, i più crudeli, quelli ai quali non si riesce a dare altro nome oltre quello del cosiddetto raptus di follia.

    Il Mostro, si è manifestato a Firenze, ma fu generato altrove, anche se il suo habitat naturale volle eleggerlo tra le dolci colline di sangue che incorniciano quella che tuttavia per il mondo intero rimane e rimarrà la città dell’Arte. Dovremo a questo punto anche onestamente ammettere che in ciascuno di noi può nascondersi una bestia ferita, una Bestia che a sua volta si vendicherà sbranando l’altrui innocenza, rubando agli altri l’amore di cui fu privata prima di trasformarsi e dare sfogo alla bestialità e alla ferocia che poi generano i Mostri del nostro tempo.

    Roma, 15 ottobre 2008

    L’Editore

    Parte prima - Volume I

    Le Cronache

    1968-1985

    Prefazione

    Come già accennato nella Introduzione a questa trilogia, la Parte prima raccoglie una corposa rassegna di articoli di stampa, che vanno dal 1968 fino ai tempi attuali, anche se vi è da considerare un notevole intervallo, durante alcuni anni delle prime indagini che portarono poi ad individuare nella persona di Pietro Pacciani l’unico e vero autore dei duplici delitti; anni in cui l’interesse della collettività per questa vicenda segnò un notevole calo, e di conseguenza anche la stampa scivolò lentamente verso il silenzio, mentre prendevano il sopravvento una miriade di libri ed anche alcuni film e documentari, tutte opere in cui i vari autori esponevano ciascuno tesi diverse e diversi profili psicologici del presunto Mostro, evidenziando così come da parte degli organi inquirenti, si navigasse al buio. Insomma, seppure la figura e i trascorsi di Pietro Pacciani erano compatibili con le tante mostruosità di cui la vita del contadino di Mercatale era costellata, compreso l’omicidio dell’amante della sua ex fidanzata (delitto per il quale aveva scontato l’intera pena), un Pacciani Mostro di Firenze non convinceva, né la pubblica opinione né, tanto meno, gli esperti del settore, criminologi, psichiatri, psicologi né quanti, compresi i cronisti di nera, erano diventati scrittori. Quasi tutti non trovavano nel Vampa alcuna corrispondenza con la vastissima letteratura specifica nello studio dei serial killer.

    Il primo duplice delitto fu attribuito a vari esponenti del clan dei Sardi e considerato come un delitto passionale; e tale sarebbe rimasto se, dopo altri duplici delitti, un maresciallo dei carabinieri non avesse riconosciuto nei bossoli repertati accanto alle vittime, lo stesso tipo e marca dei bossoli utilizzati per il primo delitto il 21 agosto 1968. Questo particolare, sul quale ancor oggi si discute – nel senso che non è per tutti ritenuto credibile quale ricordo casuale, specie da parte di un addetto ai lavori, tanto da avvalorare addirittura l’ipotesi di una manomissione volontaria e scambio di reperti –, tuttavia determinò l’inizio di indagini che per anni costituirono la cosiddetta pista sarda.

    Ed è questa la parte che rende importantissima la lettura della cronaca di quel tempo, soprattutto per le macroscopiche contraddizioni e forzature, oltre che per le acute osservazioni e commenti di chi, sebbene valido giornalista, sembrava per anni e ad ogni delitto, voler richiamare su di sé l’attenzione degli inquirenti, quasi a voler dire: Ma perché non leggete i miei articoli? Non avete capito che il Mostro sono io?....

    La selezione di questa rassegna stampa, curata personalmente, costituisce quindi un vero e proprio documento che porta a concludere che il Mostro nel suo delirio di onnipotenza ha preteso di presentarsi, anzi di coniare egli stesso il titolo di Mostro, sempre attento a sottolineare che il Mostro non è né un criminale né un assassino. Non ha mai smesso di scrivere di se stesso e contestualmente di accusare gli inquirenti di non aver capito nulla, di perdere anni dietro false piste; ha addirittura elaborato sul quotidiano fiorentino di cui si sentiva padrone assoluto, un’immagine della Primavera del Botticelli sovrapponendo sulle figure cerchi riempiti di bianco, nei punti esatti dei colpi che avevano determinato la morte delle vittime. Naturalmente non tralasciò di firmare questo sua rivisitazione artistica della Primavera, così come la leggerete nella cronaca raccolta in questo primo volume.

    Assai utile è anche la cronologia dei fatti e delle fasi giudiziarie che il lettore avrà modo di conoscere quale collegamento tra la cronaca dei tempi in cui il Mostro uccideva e la cronaca del momento in cui io stessa, autrice di questa trilogia, divenni protagonista delle inchieste sul Mostro, assumendo di volta in volta la veste di indagata, imputata, testimone e supertestimone, e in ultimo finanche di parte offesa.

    La lettura di questa Parte prima è perciò indispensabile al fine di articolare una propria opinione e un libero convincimento sulle modalità investigative, nonché sui paradossali conflitti tra investigatori ed anche tra gli stessi magistrati; e così sino a poter presumere verosimilmente chi è il Mostro che si innamorò di Firenze, divenendone figlio d’adozione.

    Roma, 30 ottobre 2008

    Gabriella Pasquali Carlizzi

    Mercoledì 21 agosto 1968

    LA NAZIONE

    venerdì 23 agosto 1968

    Misterioso delitto su un’auto in campagna

    Trucidati un uomo e una donna con sei rivoltellate a Signa

    I colpi sparati a bruciapelo mentre il figlioletto di lei dormiva sul sedile posteriore della vettura – Drammatico risveglio del bimbo nella notte: ha percorso due chilometri per chiedere aiuto – Sei persone, fra le quali il marito, sottoposte a interrogatorio e alla prova della paraffina

    di Giuseppe Peruzzi

    Un uomo e una donna sono stati uccisi ieri notte con sei rivoltellate sparate a bruciapelo. Erano su un’auto ferma in una strada di campagna a qualche centinaio di metri dal cimitero di Signa. L’assassino ha premuto il grilletto con freddezza agghiacciante: tre volte contro il muratore siciliano Antonio Lo Bianco, di ventinove anni, tre colpi addosso a Barbara Locci nei Mele, di trentadue anni, tutti e due sposati con figli, abitanti a Lastra a Signa.

    Sul sedile posteriore dell’auto dormiva il bambino della donna, Natalino, di sei anni. Perché l’assassino non gli ha sparato? Era molto buio; forse non l’ha nemmeno visto, ma può anche darsi che la mano dell’omicida abbia tremato di fronte a quella creatura innocente. Oppure gli ha risparmiato la vita perché il bambino non si è svegliato e non poteva averlo riconosciuto?

    Per il bambino il risveglio è stato drammatico, allucinante. Cinque, dieci, forse venti minuti, non di più, dopo la tragica sparatoria, si è trovato solo, su quell’auto al buio, con la mamma e con lo zio che non rispondevano alle sue grida disperate.

    Natalino s’è gettato addosso alla mamma: ha pregato, implorato piangendo che si alzasse, si muovesse; aveva tanta paura e la mamma non poteva essere morta; non poteva averlo lasciato solo, di notte – racconta – in quel viottolo tutto pietre e terra lontano dalle case.

    Il piccolo si è arreso soltanto dopo aver cercato con molta fatica di tirare la mamma, per un braccio, per farla uscire dall’auto. Poi è scappato, di corsa, per chiedere aiuto.

    Paura

    Era tanto buio, tutte le piante si muovevano e non c’era nessuno, avevo tanta paura....

    La via crucis di quella creatura è durata più di due chilometri: su un viottolo che scorre il canneto che para il torrente Vingone è caduto, si è rialzato, e caduto ancora, ha perso le scarpe, camminando, correndo verso un lume che scorgeva in lontananza.

    Era una finestra della casa dell’operaio Francesco De Felice sulla via del Vingone (la provinciale che porta a Pistoia) nei pressi di Sant’Angelo a Lecore.

    In casa De Felice erano alzati perché un bimbo si era svegliato. Dalla finestra filtrava la luce della lampada.

    "Per farmi un po’ di coraggio – ricorda ancora Natalino – ho detto tante preghiere e poi ho cominciato anche a cantare La tramontana".

    Finalmente il piccolo è arrivato sotto quella finestra illuminata. Erano le due. A malapena ce l’ha fatta a suonare il primo campanello, proprio quello dei De Felice: Apritemi, ho sonno... La mamma è morta, è morto anche lo ‘zio’.

    L’operaio e la moglie, Maria Sorrentino, sono scesi, hanno portato il bambino in casa. Dov’è la tua mamma, perché è morta?.

    E’ laggiù nella macchina, con lo ‘zio’ vicino al cimitero.

    Vedrai che non sono morti, dormiranno....

    No, sono morti davvero... li ho visti; alla mamma ho preso la mano, è proprio morta....

    Ma dove sono?.

    Laggiù, in mezzo ai campi, nell’auto....

    Moglie e marito sono rimasti perplessi: pensavano a un incidente stradale, ma come era possibile in mezzo ai campi? Hanno chiamato un coinquilino, che ha l’automobile. Si sono provati a raggiungere il posto che indicava il bambino, ma il viottolo era troppo stretto per passarvi con l’auto. Non hanno perso più tempo: Natalino si è disteso sul letto dei De Felice, l’operaio e il coinquilino sono corsi dai carabinieri di San Piero a Ponti.

    Sono tornati tutti in via di Vingone: Natalino è salito sull’auto con i carabinieri e i due uomini. Poi a piedi i militari hanno percorso il tratto di viottolo indicato dal bimbo.

    Sulla Giulietta targata Arezzo di proprietà del Lo Bianco c’erano i due cadaveri: la donna al posto di guida riversa all’indietro uccisa dai tre proiettili conficcati nel torace e nell’addome; lui quasi disteso sul sedile accanto, ribaltato, con tre fori all’altezza della scapola sinistra. Tutti e due erano vestiti.

    L’allarme è rimbalzato dalla caserma dei carabinieri di Signa a quella di Firenze, alla questura. Era ancora buio quando gli investigatori hanno cominciato una battuta nella zona frugando un cespuglio dopo l’altro alla ricerca, inutile, della rivoltella che l’assassino poteva aver gettato dopo il delitto. I tecnici della scientifica accertavano intanto che i tre bossoli e i due proiettili trovati accanto e sull’auto erano stati esplosi con una rivoltella calibro 22. Era la unica traccia lasciata dall’assassino: sul terreno nemmeno un segno di passi o di gomme: un viottolo tutto pietre e ghiaia che dalla strada per Lecore porta nei campi del podere Chieffa della fattoria di Castelletti. Un posto riparato, affermano in paese, preferito dalle coppiette.

    Chi erano le due vittime e perché dopo la mezzanotte si erano fermate in quel viottolo? E chi poteva odiarle fino al punto di opprimerle con tanta decisione?

    Antonio Lo Bianco era nato a Palermo. Una decina d’anni fa arrivò a Signa dove era stato preceduto da altri familiari. Buon muratore aveva trovato subito un lavoro. La moglie la volle paesana: tornò in Sicilia e sposò Rosalba Barranco (la moglie s’è svenuta appena ha saputo che il marito era morto): Il muratore abitava a Lastra a Signa con la moglie e i tre figli (da uno a quattro anni), in corso Manzoni 116. Amici e parenti lo ricordano affezionato alla famiglia.

    Barbara Locci era nata a Villasalto di Cagliari. Nove anni fa sposò Stefano Mele, anche lui sardo, di sedici anni più anziano. Natalino è l’unico figlio. Dapprima abitavano a Casellina di Scandicci, poi si erano trasferiti a Lastra a Signa, in via XXIV Maggio 177. Lei casalinga, lui manovale. Anche lo hanno parenti fratelli e sorelle, sparsi vicino a Scandicci e a San Casciano Val di Pesa.

    Sui rapporti fra i due coniugi le voci sono discordanti: per alcuni erano normali, altri ricordano un po’ la civetteria che in certe occasioni avrebbe mostrato la moglie piuttosto carina (da un po’ di tempo aveva i capelli cortissimi per una affezione alla cute).

    Chiacchere

    Una certa conferma alle chiacchere del paese alcuni ritennero di averla dalla denuncia che una donna presentò mesi fa contro il marito accusato di essere troppo amico della Locci. L’uomo fu arrestato per maltrattamenti e mancata assistenza alla famiglia. Quell’uomo è una delle sei persone, compreso il marito della vittima (Stefano Mele afferma che l’altra sera è andato a letto presto e non si è più mosso di casa) che gli investigatori hanno interrogato per quasi tutta la giornata di ieri, sottoponendoli anche alla prova della paraffina per rilevare eventuali tracce di polvere da sparo sulle mani.

    Sapere se e fino a qual punto le voci sulla civetteria della Locci sono vere è uno dei compiti principali degli investigatori. Per questo sono stati convocati in caserma alcuni uomini che in un passato più o meno recente erano stati visti assieme alla donna.

    Le indagini sono condotte in collaborazione tra i carabinieri (il tenente Dell’Amico e i suoi collaboratori) e la polizia con il vicequestore dottor Gerunda, il dirigente della mobile dottor Scola, il suo vice dottor Delfino, sottufficiali e agenti.

    Gli investigatori cercano di accertare anche quali fossero i rapporti fra le due vittime; il bimbo della Locci afferma di aver conosciuto Antonio Lo Bianco (lo zio) la sera prima. Ieri sera lo aveva rivisto al cinema accanto alla mamma. Poi erano saliti tutti e tre sull’auto dello zio e lui, Natalino, si era risvegliato sulla vettura in mezzo ai campi.

    L’incubo di quel risveglio non sarà facile cancellarlo dai ricordi del bambino: gli stessi carabinieri e gli agenti, pur dovendo farsi raccontare l’accaduto, hanno cercato di farlo in maniera da non provocargli choc. Ma non è stata una cosa facile.

    E l’assassino? Le ipotesi sono diverse, ma sembra scartata quella della rapina perché l’assassino, che ha sparato dal finestrino accanto al posto di guida, ha lasciato sulle vittime il denaro e preziosi che avevano indosso. L’ipotesi più probabile per gli inquirenti è quella di un delitto passionale, di una vendetta. Forse qualcuno ha voluto punire uno sgarbo della donna amata fino al punto di preferirla morta piuttosto che vederla assieme a un altro. Ma chi è questo innamorato respinto?

    Sabato 14 settembre 1974

    LA NAZIONE

    lunedì 16 settembre 1974

    Uccisi con cento colpi di cacciavite due fidanzati in auto presso Firenze

    Forse la ragazza (sulla quale l’assassino ha infierito maggiormente) è stata anche violentata – Un contadino ha scoperto lo spaventoso delitto in un campo vicino a Borgo San Lorenzo – Le ipotesi: assalto di un maniaco sessuale o vendetta di un innamorato respinto

    di Riccardo Berti

    BORGO SAN LORENZO 15 settembre – E’ una storia allucinante, stanotte due ragazzi, due fidanzati – lei diciotto, lui diciannove anni – sono stati uccisi, massacrati a colpi di cacciavite dentro un’automobile in mezzo a un campo a non più di due chilometri dalle ultime case di Borgo San Lorenzo. Il duplice delitto, scoperto stamani per caso da un contadino, ha dell’inumano. L’assassino o gli assassini hanno infierito sulla ragazza, l’hanno colpita novanta volte. Novanta ferite che ne hanno martoriato e reso irriconoscibile il giovane corpo. Forse l’hanno anche violentata; se l’hanno fatto ciò è avvenuto dopo che lei era già morta.

    Il ragazzo, Pasquale Gentilcore, residente a Molin del Piano, via Ciangola 17, è stato trovato al posto di guida trafitto da quindici colpi, con la testa poggiata sugli spezzoni del finestrino frantumato. Addosso aveva soltanto un paio di slip bianchi e i calzini, di lana, di color celeste. Il corpo, completamente nudo, della ragazza – Stefania Pettini abitante a Vicchio in via Pesciola 30 – era fuori della vettura. Le gambe erano divaricate: in mezzo un tralcio di vite. Gli occhi, grandi, di un cupo azzurro, sbarrati nel vuoto, sembravano cercare disperatamente, come le braccia protese, un aiuto che non è mai venuto.

    Sul delitto le ipotesi sono tante. Due le più probabili. La prima è che i due ragazzi siano stati uccisi da un maniaco sessuale il quale avrebbe loro teso un agguato in una zona a lui congeniale: isolata, buia, distante dalla strada maestra. La seconda è che un vecchio amico respinto da Stefania, possa avere messo in atto una spaventosa vendetta. Dalla macchina mancavano soltanto due oggetti: la borsa, di panno verde, di Stefania, con un po’ di soldi, i documenti e le foto che la ritraevano assieme a Pasquale, e un maglione bianco, anche questo di Stefania. Borsa e maglione sono stati trovati stasera in un campo di granturco vicino alla strada che porta a Vicchio, mezzo chilometro dal luogo del delitto. Su questi elementi ha preso l’avvio l’inchiesta. Collaborano con la magistratura i carabinieri: quelli di Borgo e quelli del nucleo investigativo di Firenze. Nessuno nasconde le difficoltà delle indagini. Nessuno si azzarda a ipotesi avventate.

    Terrore

    La scoperta del duplice assassinio si deve al contadino Piero Landi, il quale stamani, verso le otto, uscito di casa per raggiungere il paese di Vicchio (abita in località Rabotta) anziché passare lungo la strada principale ha attraversato i campi. Aveva percorso sì e no cento metri quando si è trovato dinanzi la vettura e i due cadaveri. L’uomo, terrorizzato per quanto aveva visto, è corso sulla strada, ha fermato un’automobile di passaggio e con questa ha raggiunto la caserma dei carabinieri di Borgo, ai quali ha indicato il punto preciso ove erano i due morti.

    Le ferite

    La vettura – una Fiat 127 targata Firenze 598299, di proprietà del padre del giovane Pasquale era ferma in un tratturo che attraversa un campo. Lo sportello di destra era aperto. Quello di sinistra era chiuso dall’interno con la sicura. L’auto, blu, era a pochi metri da un pilone della luce e da un filare di viti. La zona è deserta. Per andarci bisogna essere molto pratici, bisogna conoscerla. Si raggiunge attraverso la statale per Vicchio, girando al bivio per Rabatta. Si percorre un chilometro di strada sterrata, e poi prima di immettersi sulla via che collega Rabatta con Sagginale, si volta ancora a destra, entrando dritti, così, nel tratturo. La casa più vicina, quella dei Landi, dista un centinaio di metri o forse più. Impossibile quindi che qualcuno abbia sentito le grida(ammesso che ci siano state) dei due fidanzati.

    Pasquale Gentilcore giaceva raggomitolato al posto di guida. Le mani, unite insieme, erano sotto la gamba sinistra. Addosso gli hanno contato quindici ferite provocate col cacciavite. Il finestrino era frantumato. Quello posteriore sinistro era aperto. Stefania giaceva fuori dall’auto: c’era stata trascinata evidentemente dai suoi assassini che l’avevano colpita una prima volta dentro la vettura sul sedile ribaltato e poi fuori, davanti lo sportello. Impressionanti le ferite. il medico condotto dottor Luigi Mercatalli ne ha contate novanta. In tutto il corpo, dal volto alle mani; dall’addome al petto. Secondo il medico tre sole di queste ferite sono state inferte quando la ragazza era ancora in vita. Di esse, la più profonda, quella mortale, dovrebbe essere quella vicino al cuore. Significativo il tralcio di vite lasciato in mezzo alle gambe divaricate: esso potrebbe costituire un punto d’inizio per la difficile inchiesta.

    Pasquale al polso aveva un orologio, un Sanyio. Le lancette erano ferme alle tre e un quarto. I carabinieri pensano che il delitto sia avvenuto però molto prima: fra la mezzanotte e la mezzanotte e mezza.

    Entro quest’ora, infatti, Stefania sarebbe dovuta rientrare a casa e Pasquale sarebbe dovuto passare al Teen Club di via 1° Maggio a Borgo per riprendere sua sorella, Cristina, di un anno più giovane di lui, che aveva lasciato verso le ventidue per andare dalla sua ragazza. Fratello e sorella, con la 127 blu del padre, erano usciti come ogni sabato verso le otto e mezza di sera da casa e si erano diretti a Borgo San Lorenzo. Ieri c’era l’inaugurazione della stagione invernale della sala da ballo e Cristina e Pasquale avevano deciso di passare lì il dopocena. Sono arrivati a Borgo verso le dieci: Cristina è scesa davanti al locale; Pasquale ha continuato il viaggio dicendo che andava a prendere la fidanzata. Ci vediamo dopo – ha aggiunto –, se non mi vedi, verso la mezzanotte vengo senz’altro a prenderti. Fatti trovare pronta. Non farmi aspettare come al solito.

    Pasquale con la 127 è andato a Pesciola. Fuori dalla porta di casa ha trovato Stefania. Si erano conosciuti un anno fa, proprio al Teen Club. Lui allora faceva il barista all’assicurazione Fondiariain piazza della Libertà a Firenze (da qualche mese era stato trasferito al centralino telefonico della stessa compagnia); lei lavorava come segretaria d’azienda della ditta Magil in via Stradivari a Firenze. Si erano conosciuti, dunque, nella sala da ballo , ed avevano cominciato a frequentarsi con una certa assiduità. Tutti li consideravano fidanzati, anche se mancava il crisma della ufficialità. Ma i genitori, di lei e di lui, erano contenti di questa amicizia e in alcun modo ostacolavano il rapporto fra i due giovani.

    Stefania è salita sulla 127, che invertita la marcia è tornata da Pesciola verso Borgo. Da quel momento dei due ragazzi non si è saputo più nulla. Certamente, arrivati al bivio per Rabatta, anziché proseguire per raggiungere la sala da ballo, hanno preferito appartarsi.

    L’auto ha percorso il tratto di strada acciottolata e poi si è infilata a marcia indietro nel tratturo; un posto tranquillo lontano da tutti; un posto, come dimostrano certe tracce lasciate sul terreno, molto frequentato dalle coppiette in cerca di solitudine. Qui il contadino Piero Landi li ha trovati stamani. Sbranati dai colpi di cacciavite, seviziati. Nella vettura c’era molto disordine. Sparsi sul piano diversi fazzolettini di carta. Alcuni erano in una scarpa del ragazzo. Le scarpe di lei erano vicine alla pedaliera di guida. Un mangianastri girava a vuoto: il nastro era finito, ma nessuno aveva potuto sostituirlo. Lo specchietto retrovisore è stato trovato sul piano della vettura dalla parte della ragazza; la scatola che conteneva le musicassette era anche questa in mezzo al sangue. Altri fazzolettini e oggetti vari erano sparpagliati vicino alla pedaliera, sul sedile posteriore la maglietta di Pasquale. In tutta questa confusione spiccava l’ordine con il quale i due ragazzi, oppure, dopo, gli assassini, avevano sistemato fuori dall’auto, accanto al filare di viti, i vestiti: un paio di jeans di Pasquale, un paio di pantaloni verdi e una camicetta anch’essa verde di Stefania. C’era un secondo paio di jeans che il giovane aveva comprato proprio ieri mattina a Firenze e che probabilmente aveva portato con sè per far vedere alla sua ragazza.

    Per ora l’arma del duplice delitto non è stata trovata. Da una prima osservazione delle ferite pare che l’omicida abbia adoperato un cacciavite; ma il medico di Borgo che ha esaminato i cadaveri è propenso a credere che sia stato adoperato un punteruolo. Questo particolare, comunque, verrà accertato con esattezza nelle prossime ore appena i cadaveri saranno sottoposti all’esame medico legale disposto dal pretore di Borgo dottor Ferrao e dal sostituto procuratore della Repubblica dottor La Cava.

    Il delitto secondo le prime indagini, abbiamo detto, dovrebbe essere stato compiuto verso la mezzanotte, l’ora in cui Pasquale sarebbe dovuto tornare al Teen Club per riprendere sua sorella Cristina. Quest’ultima non vedendolo arrivare ha atteso fino alle due di notte. Poi da un amico si è fatta accompagnare a casa, al Molin del Piano, dove ha svegliato i genitori e li ha messi al corrente di ciò che era accaduto. In casa Gentilcore si è vegliato per tutta la notte, in attesa del rientro di Pasquale. Stamani, alle nove, è arrivata la tragica notizia. Il ragazzo – hanno mentito pietosamente i carabinieri – aveva avuto un incidente ed era rimasto ferito piuttosto gravemente. Poi ai genitori, giunti trafelati a Borgo, è stata detta la tragica verità.

    Parenti e amici dei due giovani sono stati interrogati a lungo, oggi, nella caserma dei carabinieri. Ogni particolare, ogni frase sono stati analizzati dagli inquirenti che in queste ore cercano disperatamente di dare un volto all’assassino.

    Ma è solo uno l’omicida di Borgo? I carabinieri e i magistrati pensano di sì, sebbene sollevino molte riserve sul fatto che una sola persona possa aver compiuto un così atroce delitto, anche se in presenza di un raptus omicida che ne potrebbe aver moltiplicate la forza. Nel caso di un solo assassino (sia esso un bruto sia un fidanzato respinto) egli ha sicuramente ucciso per primo il giovane Pasquale, per poi ammazzare e seviziare la ragazza, la quale potrebbe essere stata stordita precedentemente.

    Molto più facile la ricostruzione del delitto per opera di più di una persona. Ma l’ipotesi, si è detto, non è molto seguita dagli inquirenti, i quali in questo momento rivolgono maggiore attenzione alla ricerca del movente del duplice assassinio, movente che potrà far luce su questa tremenda storia.

    Sabato 6 giugno 1981

    LA NAZIONE

    lunedì 8 giugno 1981

    Massacrati a revolverate e a coltellate

    due fidanzati nella campagna di Firenze

    Il giovane è stato trovato nell’auto, riverso sul sedile anteriore;

    la ragazza ha tentato di sfuggire all’assassino ed è stata finita in un

    prato poco lontano – L’omicida ha infierito sul corpo di lei –

    Lungo interrogatorio di due giovani

    di Mario Spezi

    Con cinque colpi di pistola e decine di coltellate date con rabbia due fidanzati sono stati uccisi nella notte tra sabato e domenica in un campo di ulivi, dove si erano appartati con la loro auto, ai bordi di una strada di campagna, via dell’Arrigo, nel comune di Scandicci alle porte di Firenze. I corpi dei due giovani, Carmela De Nuccio, 21 anni, abitante in via di Ponte a Greve 20 a Scandicci, e Giovanni Foggi, 30 anni, via Verdi 125 a Pontassieve, sono stati trovati ieri mattina verso le dieci da un brigadiere di pubblica sicurezza, Vittorio Sifone, che, approfittando della giornata libera era andato a fare una passeggiata nei campi assieme al figlio di dieci anni.

    Gli inquirenti sono partiti con un’indagine a largo raggio, non escludendo, salvo quella della rapina, alcuna ipotesi. Le indagini però si presentano difficili fin dall’inizio, perché se l’omicida fosse un maniaco, scarse sarebbero le possibilità di individuarlo. Tuttavia fin dalla tarda mattinata di ieri due giovani, prelevati sulla piazza di Scandicci, sono stati portati in questura per essere interrogati – viene sottolineato – come testimoni. Sono due fratelli, uno dei quali è stato legato sentimentalmente a Carmela De Nuccio. In serata il sostituto procuratore Adolfo Izzo, che conduce l’inchiesta, li stava ancora interrogando.

    Quando ieri mattina il brigadiere Sifone ha scoperto il delitto, ai suoi occhi si è presentata una scena atroce, rimasta poi immobile sotto il sole, per gli accertamenti necessari, fino alle prime ore del pomeriggio. L’auto di Giovanni Foggi, una Ritmo color rame, era ferma su un campo, proprio al limite di una stradina sterrata che parte dalla destra di via dell’Arrigo. Il giovane aveva abbandonato il viottolo a marcia indietro, in modo da poter riprendere la strada senza troppe difficoltà di manovra.

    Giovanni Foggi era ancora seduto sul sedile di guida leggermente reclinato, la testa, incorniciata da una barba non folta, piegata verso destra. Sul collo aveva due buchi neri, segni di coltellate date di punta. Sulla camicia bianca a righe azzurre, all’altezza del cuore, altre due macchie nere, una prodotta da un colpo di pistola, l’altra da un colpo di coltello. I pantaloni erano slacciati e calati. Il vetro del finestrino accanto a lui era completamente polverizzato. L’assassino, ma forse più probabilmente gli assassini (l’ipotesi è suggerita dall’uso di due armi) devono aver fatto fuoco attraverso il finestrino, forse precedentemente rotto con un sasso o con il calcio della pistola. Giovanni Foggi, è morto sul colpo, senza neanche accorgersi di quello che succedeva.

    Più atroce è stato il destino di Carmela, quasi sicuramente il vero obiettivo dell’assassino. La ragazza, ferita solo di striscio ad un polso da uno dei colpi sparati contro il suo fidanzato, ha aperto la portiera destra della macchina e ha cercato una fuga impossibile attraverso i campi. Ha fatto non più di dieci metri, poi, nel buio, è rotolata in un campo sottostante. L’assassino le è piombato addosso e l’ha colpita con furia al collo con il coltello. Tre, quattro, forse più coltellate. Poi lo spregio, il gesto simbolico, il marchio di un maniaco, di uno squilibrato, oppure di una vendetta passionale. L’assassino infatti ha infierito sul corpo della povera ragazza colpendola ripetutamente al basso ventre.

    Tutto deve essere durato pochi minuti. Sul posto sono rimasti gli occhi sbarrati di lei sotto la fronte ancora corrugata per il terrore, l’espressione ignara di lui, una borsetta di paglia con pochi oggetti sparsi sull’erba accanto alla macchina, cinque bossoli di rivoltella.

    I commissari della squadra mobile Maurizio Cimmino e Sandro Federico, il colonnello dei carabinieri Olinto Dell’Amico e il magistrato inquirente Adolfo Izzo, escludono solo l’ipotesi della rapina (il denaro non è stato toccato). Tutte le altre piste vengono, in queste prime ore battute, ma in particolare si cerca di ricostruire il recente passato dei due giovani, specialmente di Carmela, alla ricerca di un movente per un delitto così tremendo.

    Ieri mattina è stato a lungo interrogato il padre della ragazza, Vito, operaio alla Gucci di Scandicci, immigrato da Nardò in provincia di Lecce undici anni fa, padre di sei figli. All’uomo sono state poste molte domande su un precedente flirt della figlia, che lei aveva troncato circa un anno fa. Vito di Nuccio ha raccontato che il giovane (lo stesso interrogato fino a sera) non aveva accettato la decisione di Carmela e l’aveva spesso molestata per strada, lanciandole occhiate di sfida, insulti, pedinandola. Tanto che una volta Carmela sembrava decisa a denunciare il fatto ai carabinieri, ma poi lasciò correre. Le ultime ore dei due fidanzati sono state facilmente ricostruite. Giovanni Foggi impiegato all’Enel, una fama di bravo ragazzo, aveva conosciuto Carmela circa tre mesi prima e sabato era andato per la terza volta a cena da quelli che probabilmente sarebbero stati i suoi suoceri. Alla fine della cena, più o meno verso le 22, i due ragazzi, con la scusa di andare a prendere il gelato hanno chiesto di assentarsi per un po’. Hanno promesso che sarebbero tornati, come al solito, non più tardi delle 23,30. E’ probabile perciò, anche se bisognerà aspettare i risultati delle perizie necroscopiche, che il delitto sia stato commesso tra le 22 e le 23.

    Non si sa se i due giovani siano andati effettivamente a prendere il gelato e quindi possono essere stati visti da qualcuno che li ha seguiti, o se superato il fiume Vingone, percorso un tratto della strada vecchia di Mosciano, siano andati subito in via dell’Arrigo, in quel campo spesso frequentato da altre coppie, non lontano dalla discoteca Anastasia, meglio conosciuta, come la pagodina.

    L’ipotesi del maniaco solitario, come dicevamo, non viene scartata dagli inquirenti, ma riesce difficile credere che un assassino abbia fatto uso quasi contemporaneo di due armi dopo avere aspettato in agguato una coppia qualsiasi. Né sembra, dalla posizione che aveva il corpo di lui, che i due fidanzati si siano accorti che un guardone li stava spiando e che ne abbiano così provocato la pazza reazione.

    LA NAZIONE

    lunedì 8 giugno 1981

    Sgomento e raccapriccio per l’orribile assassinio di due giovani

    fidanzati massacrati in un campo di olivi

    Una notte insonne per due famiglie angosciate ma Carmela

    e Giovanni non sono più ritornati

    Rincasavano sempre presto ha detto il padre della ragazza alla polizia

    I due genitori sono andati all’alba di ieri a denunciare la scomparsa

    dei figli – Storie parallele – Lei era stata importunata da un ex fidanzato

    Due vite normali: lei faceva la pellettiera e lui l’impiegato all’Enel

    Le madri distrutte dal dolore sono svenute più volte

    di Nicola Coccia

    Carmela, la ragazza assassinata l’altra notte mentre in auto con il fidanzato si era appartata in un campo di ulivi, era nata in una fredda vigilia di Natale di vent’anni fa a Nardò, un piccolo paese in provincia di Lecce. Sotto quello stesso tetto nacquero poi altri fratelli e sorelle, sei in tutto: quattro femmine e due maschi. Il più grande, Luigi, 23 anni, è un agente di polizia. Svolge servizio in Romagna. La più piccola è nata a Scandicci e ha otto anni. Dei sei solo una sorella è sposata.

    Undici anni fa i De Nuccio si trasferirono a San Giusto, in via Ponte a Greve 20, in uno stabile costruito intorno agli anni Sessanta. La decisione di emigrare, non per far fortuna, ma per trovare un posto di lavoro dignitoso e assicurare ai figli un avvenire decoroso, la prese Vito, il padre di Carmela, insieme a un fratello che ha trovato casa anche lui a Scandicci. In via Ponte a Greve non c’è verde, ma solo cemento. Sul cortiletto d’ingresso si affacciano, infatti, altri tre stabili dalle cui terrazze, ieri, pendevano lunghe file di panni stesi ad asciugare.

    Vito De Nuccio dipendente della Gucci di Scandicci ha passato l’intera mattinata in questura per fare la sua deposizione. Quando è uscito dagli uffici della mobile è apparso stravolto dal dolore. Magro, basso, cereo in faccia, gli occhi asciutti e disperati. Ancora non si rendeva conto di quanto era successo. Poi ha parlato di Carmela e di Giovanni. "Si conoscevano da appena tre mesi. Erano dei bravi ragazzi. Anche i genitori di Giovanni, che ho conosciuto al momento del fidanzamento, sono persone a posto. Carmela e Giovanni – dice Vito De Nuccio con una lieve inflessione dialettale – uscivano di pomeriggio e talvolta anche di sera, ma non facevano mai tardi. Non volevo che rincasassero di notte. Alle 22-22,30 dovevano rientrare. Una volta sola, un sabato sera sono tornati alle 23,30. Anche sabato sera mi ero raccomandato. Era la terza volta che Giovanni veniva a cena da

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