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Venticinque anni di buona musica
Venticinque anni di buona musica
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Venticinque anni di buona musica

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About this ebook

Margherita ha cinquantacinque anni, è impiegata in un ente pubblico, dove ha improvvisamente chiesto il trasferimento dopo molti anni di insegnamento. È separata da poco tempo e sta elaborando come può: vede qualche amica, cerca di contenere la corte serrata di un collega, frequenta ancora i locali dove andava col marito, verso cui prova ancora amore e un grande rimpianto.
Qui una sera vede Valentina, una sua ex alunna problematica, che litiga con il suo maturo accompagnatore. Lui malmena la ragazza e se ne va lasciandola sola; Margherita interviene e si fa riconoscere. Margherita e Valentina cominciano a vedersi; la donna capisce che la ragazza è irretita dall’uomo che la sta trascinando in un giro pericoloso. Cerca così di aiutarla.
LanguageItaliano
Release dateMay 12, 2020
ISBN9788835826194
Venticinque anni di buona musica

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    Venticinque anni di buona musica - Roberta Andres

    Epilogo

    PARTE PRIMA

    Questa è un’opera di fantasia dell’autore.

    Ogni riferimento a fatti, episodi avvenuti e persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.

    I

    All’inizio erano solo i regali, poi arrivarono le corna, in maniera direttamente proporzionale. Più corna le metteva, più regali le faceva.

    E a Margherita non era ben chiara la proporzionalità tra valore dei regali e fasi dell’infatuazione del marito per l’amante di turno.

    Li ricordava tutti, i regali. L’orologio d’oro da cerimonia, i bracciali, gli anelli in tutte le declinazioni dell’oro, le vacanze lussuose, il dizionario storico della lingua italiana in 28 volumi che desiderava tanto e la pelliccia che non desiderava affatto.

    Subito dopo la separazione, Margherita se ne era sbarazzata, ne aveva dati alcuni a delle amiche, non sopportava di vederseli intorno. Altri li aveva tenuti come feticci di una storia finita, macabri ricordi, medaglie al valor matrimoniale.

    Avrebbe dovuto fare un’attenta opera di ricostruzione del passato, sarebbe stato interessante definire i confini tra bugie e realtà; collegare tutti i particolari dissonanti della vita quotidiana che non tornavano: orari insoliti, scuse bislacche, donne! Donne apparse e sparite nell’ambiente di lavoro, donne inghiottite dal turbine delle menzogne seriali, nomi fugaci che popolavano a scadenza i racconti (veri a metà) delle giornate di lavoro del marito. Collaboratrici fantasma, povere studentesse bisognose di orientamento, serie dottorande che dopo qualche mese di collaborazione scappavano all’estero disperate e afflitte, forse perché non potevano averlo stabilmente.

    Sarebbe stato interessante sì, ma non ne aveva né il tempo né la voglia.

    Inseguendo i ricordi Margherita si versò del tè e si accomodò al tavolo della cucina, guardando fuori, dalla porta-finestra sul giardino. Era quasi la fine di un inverno mite, dopo un autunno tiepido e una torrida estate. I grandi vasi di ciclamini in fiore pennellavano colori sgargianti sul prato ingiallito: non aveva avuto il tempo di innaffiarlo. Il suo nuovo lavoro era nella fase più impegnativa. William se n’era andato da quasi un anno, lei era dimagrita, erano aumentate le rughe, ai lati della bocca, tra le sopracciglia, sulla fronte; la sua espressione aveva un che di corrucciato, di contratto.

    Margherita non era vecchia, i sessanta erano ancora abbastanza lontani. Certo i ricordi si affollavano e diventavano numerosi e, anno dopo anno, sbiancavano la folta e lucida chioma originariamente castana; un carré corto che le incorniciava il viso smunto e pallido. Aveva grandi occhi scuri, William le aveva sempre detto di amarli più di qualsiasi altra parte del suo corpo.

    Cominciava ad avere quell’età dei Ti ricordi?.

    Una delle sofferenze più frequenti, causate dall’abbandono, era non avere più nessuno a cui poter dire Ti ricordi? delle moltissime cose che le venivano in mente. Era il giorno di San Valentino e quel che le mancava era poter dire a qualcuno: «Ti ricordi l’anno in cui nevicava e passammo la mattinata a giocare a Sudoku?».

    Frequentavano ancora l’Università, lei preparava l’esame di letteratura italiana, mentre William, di qualche anno più grande, era già studente interno e passava le mattine in laboratorio. La notte precedente era caduta talmente tanta neve, cosa rara in quella zona, che lui non riuscì ad arrivare a destinazione per le strade bloccate.

    Ripiegò a casa di lei, portandole in anticipo il regalo previsto per la ricorrenza degli innamorati, un salvadanaio sormontato da due bamboline di ceramica, un regalo da ragazzina, di quelli che fanno sorridere di tenerezza quando si è adulti. Fuori nevicava e loro, seduti in soggiorno con due tazze di cioccolata calda tra le mani, dilatavano il tempo giocando, come già allora capitava raramente di poter fare.

    Era il periodo in cui riuscivano ancora a fermarlo il tempo, senza dover ambire, raggiungere, conquistare, il successo non era ancora diventato ossessivamente l’unico comandamento della loro vita. Erano stati gli anni più belli, non abitavano ancora insieme ma lo desideravano tanto.

    Trascorsero la mattinata così: lui non andò al lavoro, lei non studiò; Margherita ricordava tutto perfettamente di quella giornata a distanza di ventisei o ventisette anni, le sembrava un viatico caldo e doloroso alle lacrime che le suscitava.

    Per un momento pensò di chiamare Andrea, il figlio minore, al quale il giorno prima aveva consigliato di comprare alla fidanzata una confezione di cuori di gelatina, come quella che vendevano nel negozio di alimentari dietro casa, e che lei stessa avrebbe regalato a qualcuno se solo avesse saputo a chi.

    Finito il suo tè rimase a guardare il tramonto: uno spicchio di luce riflessa si spostava sul tavolo di cristallo, mentre il giardino diventava sempre più buio. Si andò a stendere, stanca, sul divano, sotto lo sguardo enigmatico del gatto, che si accoccolò sullo schienale a farle compagnia e si lasciò andare a uno stato di torpore immobile, mentre pensieri e immagini le vorticavano nella mente.

    Nei successivi San Valentino si erano ritrovati delle volte lontani, per studio o per lavoro, ma la loro vicinanza era tale che non c’era mai distanza tra loro, solo il disappunto di non poter festeggiare insieme.

    Con il matrimonio San Valentino divenne una giornata quasi uguale alle altre. La vita era un susseguirsi di giorni e di notti vicini, nella stessa casa, nello stesso letto, ma in un fluire sempre più veloce che rendeva difficoltoso accorgersene, soprattutto da quando erano nati i due figli. A volte William spariva per ore nel corso di giornate in cui avrebbe dovuto essere rintracciabile in studio, ma lei non aveva mai fatto domande, né a lui, né tanto meno a sé stessa.

    Aveva mantenuto l’abitudine di celebrare quella data, lei sola, anche con piccole cose: una candela accesa a tavola la sera, un dolce a forma di cuore, un regalino, qualcosa che voleva magari comprargli da tempo e che gli dava proprio quella sera, con un bigliettino appropriato.

    William invece aveva cominciato a dimenticare, giustificandosi e dicendo che in realtà non sapeva quasi mai che giorno fosse. Sorrideva con un po’ di sufficienza alla consegna del regalo, alla messa in tavola del dolce, all’accensione della candela. Per questo motivo Margherita si era sentita di anno in anno sempre più in imbarazzo, una stupida sentimentale o una ragazzina romanticamente fuori tempo massimo; fino ad arrivare, nel febbraio precedente la separazione, a infilargli sotto la porta del bagno un grande biglietto cartonato pieno di cuoricini e auguri mentre si preparavano per andare a lavoro. Facendolo si era ritrovata a scuotere lei stessa la testa sfiduciata.

    Ci ripensava lì stesa sul suo divano bianco; non era passato molto tempo, in fondo.

    Quel che restava del loro amore era lo schiaffo dei ricordi brutti e lo struggimento di quelli belli.

    II

    «Ehi! Non ti ho visto stamattina in ufficio… che fine hai fatto?» le chiese Olga al telefono con voce squillante.

    Quel tono trapanò la testa di Margherita più del solito.

    «Non ricordi che dovevo prendere un giorno di permesso per andare dal dentista?» farfugliò con la voce bassa di chi tace da ore.

    «Ah sì…è vero, me lo avevi anche detto!» poi proseguì più dolcemente, mettendosi a ridacchiare: «Temevo che fosse per il giorno di San Valentino, come quando da ragazze si marinava la scuola».

    Margherita colse nel tono dell’amica un po’ di preoccupazione e si intenerì; appena conosciute le era sembrata invadente e rompiscatole, poi aveva capito che le sue attenzioni erano affettuose e che di lei si poteva fidare.

    «Ho di che festeggiare?».

    Olga ridacchiò imbarazzata.

    «Volevo proporti di uscire domani sera».

    «Va bene, volentieri… cena o cinema?».

    «Mi informo su cosa c’è nelle sale e ti faccio sapere domattina».

    «Va bene… ci vediamo domani».

    E riattaccò mormorando un velocissimo saluto, per evitare tante smancerie.

    «Ti è piaciuto?» chiese Olga guardinga, mentre uscivano dal cinema. Margherita non rispose, continuando a camminare pensierosa e distratta.

    «Ti è piaciuto o no?» insistette, cercando di guardarla in viso per capire cosa pensasse.

    Olga aveva nei confronti della amica e collega Margherita Trasatti una sorta di rispetto e quasi timore reverenziale per la sua preparazione culturale e il suo senso critico, derivante secondo lei dalla sua precedente professione di insegnante. Olga la riteneva superiore e, nonostante avesse più esperienza di Margherita nel lavoro d’ufficio, faceva sempre un passo indietro e l’ascoltava con attenzione. Margherita dal canto suo pensava che Olga fosse più in gamba di lei in tantissime altre cose.

    Al lavoro indossava tacchi altissimi e si aggirava tra scrivanie e scaffalature senza il minimo imbarazzo; era femminile e leggera ma non stupida, incantava i pochi uomini che lavoravano lì con le sue risate. Margherita, più grande di lei, non era mai stata così, nemmeno a venti anni.

    «Sì mi è piaciuto il film, sì, interessante! Pieno di spunti di riflessione, ma gonfio di cinismo e tristezza».

    «Gonfio?» enfatizzò Olga.

    L’aggettivo le suonò insolito, fuori luogo, giustificandolo poi, pensando che Margherita era una donna originale e creativa anche nel linguaggio.

    «Non c’è nessuna possibilità di un amore vero, sincero fino in fondo. È sempre e comunque una questione di potere, no? Chi inganna e chi viene ingannato!» disse fermandosi di botto e guardando l’amica che la seguiva di qualche passo.

    «Vero, hai ragione, come sempre: mi era sembrato addirittura divertente e adesso capisco quanto fosse tremendo, invece!» e sbottò in una risata fragorosa, una di quelle che facevano voltare i presenti e in ufficio rallegravano anche le riunioni più tese e pesanti, alleggerendo l’atmosfera.

    Quella chiave di lettura era plausibile per entrambe. Imboccarono la galleria dirigendosi verso il ristorante, dove avevano deciso di cenare.

    «Ho spostato il letto, e ordinato delle tende nuove: del resto quelle erano stravecchie, le prime che comprammo appena sposati, pensa un po’!», aveva detto alzando le spalle.

    Olga aveva assentito in silenzio per diversi minuti, prima di interromperla. Sapeva di muoversi su un terreno per lei molto più agevole di quello della critica cinematografica su Perfetti sconosciuti; quello delle emozioni e dei sentimenti, in cui si sentiva forte e capace di sostenere l’amica.

    «Sì, ma tu, come stai? Ha fatto un anno la scorsa settimana, no? E San Valentino certo non aiuta» disse Olga, guardandola in viso attentamente, interrompendola mentre Margherita continuava a raccontare tutto quel che stava facendo in quei giorni per reagire alla tristezza, alla solitudine che la attanagliava quando rincasava dal lavoro e la casa la abbracciava nel silenzio immobile.

    Margherita si bloccò, guardando fisso nel piatto di tagliolini al salmone, il cui arrotolamento alla forchetta le dava la possibilità di fingersi occupata. Dopo un po’ mollò la posata, si appoggiò allo schienale e le vennero le lacrime agli occhi, mentre rispondeva, nel primo impeto di onestà della serata: «Uno schifo, Olga, un vero schifo!».

    Olga la incalzò: «Hai deciso se partire per un fine settimana con Tommaso? Mi sembra una brava persona e ti muore dietro da mesi». Margherita scosse la testa senza parlare.

    «Perché no, scusa? Cos’ha che non va?» continuò Olga.

    «Lui, niente.

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