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Professor Feelgood
Professor Feelgood
Professor Feelgood
Ebook412 pages4 hours

Professor Feelgood

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About this ebook

Asha ha puntato tutto su di lui.
Ma non sa quello che la aspetta.

L’ambiziosa editor Asha Tate è un’inguaribile romantica: nonostante una certa difficoltà con gli uomini, non ha smesso di credere nella possibilità d’incontrare l’anima gemella, e di appassionarsi alle storie a lieto fine dei romanzi rosa che divora. Eppure non si è mai lasciata guidare dai suoi istinti. Finché su Instagram, Asha si imbatte nel profilo dell’enigmatico Professor Feelgood e ne rimane folgorata: le parole e i versi che legge nei suoi post sembrano rivolte direttamente alla sua anima, e le foto che le accompagnano, pur non mostrando il volto dell’uomo che senza pudori si dispera per l’amore perduto, emanano una sensualità irresistibile. Incalzata dalla febbrile ricerca di un bestseller che le assicuri una promozione e risollevi le sorti della casa editrice, Asha decide di puntare proprio sulla storia del Professore (e sui suoi milioni di follower). E di certo non immagina chi si celi dietro l’intrigante sconosciuto… Lavorare con lui, che firma il contratto solo a condizione di averla come editor, non sarà facile: l’uomo – un arrogante, indisciplinato, irruento bohémien – sembrerebbe l’esatto contrario di ciò che Asha crede di volere in un uomo. E come se non bastasse, l’attrazione che provano entrambi si fa ogni giorno più difficile da ignorare...

Leisa Rayven
è un’autrice bestseller internazionale. Se non scrive, probabilmente sta mangiando guacamole. Vive in Australia. La Newton Compton ha pubblicato Mister Romance e Professor Feelgood.
LanguageItaliano
Release dateFeb 17, 2020
ISBN9788822743473
Professor Feelgood
Author

Leisa Rayven

Leisa Rayven is a freelance actor and producer in Brisbane, Australia, who makes frequent trips to L.A. and New York City. Bad Romeo is her first novel.

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    Professor Feelgood - Leisa Rayven

    1

    Feelgood, il piacere è tutto mio

    Be’, è una cosa davvero umiliante.

    Eccomi qui, alle 7.30 di un lunedì mattina, più eccitata di quanto non lo sia mai stata nei miei ventitré anni e tre quarti di vita. Qui con me c’è forse l’uomo dei miei sogni? Con una bella cena, del vino e romanticherie strappamutande? Sono forse in un Paese esotico, tra spiagge, oceano e camerieri mezzi nudi che mi servono cocktail con piccoli ombrellini di carta?

    No.

    Sono seduta alla mia scrivania alle Edizioni Whiplash, nell’ufficio deserto, in compagnia del solo rumore del distributore dell’acqua, assalita da pensieri perversi su un uomo che non ho mai incontrato.

    Non va affatto bene.

    Sento il rumore di un colpo in corridoio. L’unico altro mattiniero è il nostro contabile scozzese, Fergus, che ha un rapporto molto conflittuale con la fotocopiatrice e non si preoccupa di nasconderlo.

    «Tu, spregevole creatura», ruggisce con il suo accento marcato, mentre si sentono altri colpi. «Sei una stronza schifosa». Ogni parola è accompagnata da un fruscio di carta stracciata. «Devi… solo… spillarla, schifosissima vacca succhiacazzi!».

    Un forte bip della fotocopiatrice, seguito da un grido frustrato da parte di Fergus. Potrei andare ad aiutarlo, ma non voglio allontanarmi dalla mia fonte di piacere porno-letterario. E poi Fergus è sempre di cattivo umore quando deve compilare le proiezioni finanziarie di fine quadrimestre, perciò preferisco girare alla larga da lui in questo momento.

    Mentre Fergus continua a maltrattare la fotocopiatrice, accavallo le gambe sotto la scrivania e lancio una rapida occhiata intorno, per essere sicura di essere ancora sola in ufficio. Se qualcuno mi vedesse adesso, riuscirebbe a capire quanto sono eccitata? Capirebbe che il flusso di sangue che mi fa arrossare le guance è niente in confronto a quello che sta scorrendo verso le mie parti basse?

    Sospiro a fondo e mi alzo per andare in bagno. Tra pochi minuti l’ufficio si riempirà di gente e io devo davvero riprendere il controllo di me stessa.

    Nel bagno delle donne passo la mano sotto l’acqua fredda per tamponarmi il viso. Ma guardandomi allo specchio capisco che neanche una caraffa d’acqua gelida potrebbe cancellare quel rossore.

    «Ma che stai facendo, Asha? Andiamo. Muori dalla voglia di leccare un uomo che neppure conosci. Che non hai mai visto in faccia. Devi darti una calmata».

    Non è da me.

    Io sono romantica. Voglio fiori e cene a lume di candela e lunghi baci al chiaro di luna. Scappatelle e scopate casuali non mi interessano. Non ho mai capito che gusto ci trovasse mia sorella nelle sue storie da una notte e via. Le ho provate anch’io, ma sono sempre piene di disagio e imbarazzo. A me piace conoscere gli uomini a cui permetto di avvicinarsi al mio corpo. Per me, non c’è niente di più sexy di un uomo che vuole avere una relazione stabile.

    Per questo motivo, devo aver sviluppato questa specie di arrapamento per un perfetto sconosciuto. Il mio uomo misterioso ha perduto l’amore della sua vita e ne sta raccontando la storia al mondo intero in modo spassionato. Leggo le sue parole e la sua passione mi contagia e, stupidamente, a quanto pare mi eccita.

    Un altro respiro profondo e torno verso la mia scrivania. Afferro il mouse, fermamente intenzionata a tuffarmi nella montagna di lavoro in agenda per oggi, ma finisco con il dare un’ultima occhiata al profilo Instagram dell’uomo che si definisce Professor Feelgood. Un nome davvero perfetto, guardarlo mi fa stare bene, eccome. Caro Professor Feelgood, il piacere è tutto mio. Nella sua foto profilo si vede Harrison Ford nei panni di Han Solo e sotto la breve bio che dice: Uno stronzo in fase di riabilitazione, in cerca di brutale introspezione, giorno dopo giorno. Sono una lunga serie errori, sotto le spoglie di un uomo normale soltanto a metà. Be’, un sacco di persone devono aver fatto gli stessi errori, perché il suo profilo conta tre milioni di follower.

    Mi sono imbattuta nella sua pagina un paio di settimane fa, perché un mio contatto aveva condiviso una delle sue poesie, e da allora sono stata risucchiata dal suo mondo come Alice nella tana del Bianconiglio. Ci sono foto sgranate e artistiche di lui, tutte scattate con un’angolatura che non permette di vederlo in faccia. Alcune lo ritraggono davanti a monumenti famosi in giro per il mondo, altre sono dettagli del suo corpo virile e muscoloso, così ravvicinati che mi sembra di poterlo accarezzare con gli occhi.

    Ma più delle immagini provocanti, sono le sue parole a farmi morire. Le sue parole, talvolta dolci, talvolta tristi, ma sempre sensuali, parlano di un amore perduto e arrivano dritte alla mia anima senza passare dal cervello.

    Vorrei essere dentro di te, circondato dal tuo calore,

    i miei muscoli che fremono mentre affondo, ancora e ancora.

    Vorrei essere dentro di te, avvolto dal tuo corpo.

    Pelle calda e i tuoi gemiti, che risuonano nella stanza.

    Vorrei essere dentro di te, per far danzare e volare e bruciare il tuo corpo,

    ma più di ogni altra cosa, vorrei essere dentro di te,

    perché tu sei dentro di me dal primo momento che ti ho vista

    e ora,

    è il mio turno.

    Devo averla riletta una decina di volte e questa poesia è solo la punta dell’iceberg del suo talento letterario. Più leggo, più sono ossessionata da lui.

    Scorro di nuovo dall’inizio della pagina, cercando di capire esattamente perché mi sento così attratta da lui. Certo, le foto sono eccitanti, soprattutto quelle in cui lo si vede mezzo nudo, con quel corpo incredibile. Ma c’è dell’altro. Tutti i suoi post contengono confessioni estremamente personali e parte della sua popolarità è dovuta proprio al fatto che mette a nudo problemi, errori e rimpianti davanti al mondo intero. E il suo coraggio e la sua onestà bucano lo schermo e infondono passione liquida direttamente nel mio cuore e mandano il mio battito cardiaco sulle montagne russe.

    Un rumore più forte proveniente dal corridoio mi fa fare un salto sulla sedia. Vedo Fergus uscire con un pezzo della fotocopiatrice spaccato in due sottobraccio.

    Fergus mi saluta con un cenno della testa mentre passa davanti alla mia scrivania. «Buongiorno Asha». Con il suo accento, ne esce un buongiooorno un po’ strascicato.

    «Ciao Fergus. Tutto bene?»

    «Certo. Benissimo. Vado a fare due passi».

    Di sicuro non sta andando a fare una pausa in bagno perché sta uscendo dall’ufficio, verso la scala che porta sul tetto del palazzo. Per un istante mi chiedo se abbia intenzione di lanciare il pezzo di fotocopiatrice nel fiume da lassù.

    Mi alzo per seguirlo, per accertarmi che non faccia niente di stupido, ma lo schermo del mio telefono si illumina, visualizzando una foto di mia sorella che mi mostra il dito medio.

    È davvero un fiore delicato. «Ciao Eden».

    «Ciao! Già in ufficio? Max voleva preparare la colazione, ma eri già uscita quando ci siamo svegliati».

    «Non credo. Dai rumori che venivano dalla tua camera, direi che Max era già sveglio una ventina di minuti prima che io uscissi».

    Una risatina da parte di Eden. Sorrido. Mia sorella si merita quella felicità. Finalmente ha interrotto la sua lunga serie di incontri mordi e fuggi con tipi mediocri e ha trovato un vero uomo. E adesso ha una relazione seria, per la prima volta nella vita. Per quanto mi riguarda, vorrei solo non dover ascoltare la colonna sonora delle loro evoluzioni erotiche.

    «Potrei chiederti scusa per l’incapacità del mio uomo di trattenersi», ribatte Eden molto compiaciuta. «Ma mi piace troppo quando geme in quel modo».

    «Sì, l’avevo intuito dai tuoi, di gemiti. Come minimo, avete svegliato anche la vecchia signora Eidleman al quarto piano e lo sai anche tu che non si mette mai l’apparecchio acustico prima delle nove».

    Eden scoppia di nuovo a ridere. Per quanto possa essere una sofferenza dover ascoltare gli altri fare sesso mentre tu non ne fai, sono davvero felice che mia sorella abbia finalmente un fidanzato serio. Fino a qualche mese fa, pensavo che alla fine l’avrebbero seppellita con una mano che sbucava dal terreno, per darle modo di mostrare un bel dito medio all’amore e alle relazioni per l’eternità. Ma poi si è innamorata di Max Riley e tutto è cambiato. Adesso è così presa da lui che è come se fosse sempre circondata da una nuvoletta di cuoricini rosa.

    «Ancora non riesco a credere che tu ti sia trovata un tipo così da sogno», le dico, girandomi sulla sedia a vedere l’ufficio. «E a pensarci bene, lo devi solo a me».

    «Sì, certo, ancora con questa storia».

    «Insomma, se non te lo avessi presentato io non avresti mai incontrato Max, non è vero? E poi vi ho combinato il primo appuntamento. Mi siete entrambi debitori, alla grande. Ma non ti preoccupare, non te lo farò pesare per sempre. Magari solo per dieci o vent’anni».

    Eden sbuffa. Lo so che cerca sempre di nascondere la cotta sdolcinata che ha per Max, ma è più che palese. E non posso biasimarla, Max è davvero speciale. Fino a qualche tempo fa, lui era uno dei segreti meglio custoditi dell’alta società di New York. Era un escort professionista che forniva un servizio assai migliore del semplice sesso: appuntamenti da sogno che regalavano alle clienti una sana iniezione di autostima. Per un paio d’anni è riuscito a mantenere segreta la sua doppia identità, ma da quando la sua storia con Eden è un fenomeno virale, Max è diventato una vera celebrità. Trovo ancora piuttosto strano vederlo nei talk-show in televisione quando magari il giorno prima stava stasando il lavello della nostra cucina.

    Su quel pensiero sposto lo sguardo verso la finestra, appena in tempo per vedere il familiare pezzo della fotocopiatrice precipitare verso terra.

    Oh, Fergus. Perché l’hai fatto?

    Mi segno un appunto sul calendario, devo chiamare il tecnico della fotocopiatrice il prima possibile. Qualche secondo più tardi vedo Fergus che riemerge dal vano scale con un gran sorriso stampato in faccia. Certi giorni, bisogna prendersi le proprie vittorie dove si può.

    «Se per oggi hai finito con i tuoi te l’avevo detto», dice Eden riportandomi alla nostra conversazione, «possiamo parlare di cose più importanti? Sono giorni che non abbiamo una conversazione seria. Tu come stai? Come vanno le cose con il tuo ragazzo francese?».

    Mi lascio sfuggire un sospiro di felicità. «Oh, Edie, va alla grande. Lui è meraviglioso, potrebbe essere quello giusto».

    «Uuh», risponde, come se avesse appena visto il video di qualcuno che cade dallo skateboard andando a sbattere le palle su una ringhiera. «Quindi male, eh?».

    Mi appoggio allo schienale della sedia e accavallo le gambe. «Che stai dicendo? Ti ho appena detto che stiamo benissimo insieme. Nella mia lista, lui spunta più caselle di qualsiasi altro uomo con cui sia mai uscita».

    «Come no. Lo sai che non è molto realistico avere una lista da spuntare per gli uomini, vero?»

    «Non è proprio una lista». Cerco di ignorare la sua risata di scherno. «Cioè, è una lista di linee guida. Caratteristiche generiche che mi aiutano a raffinare la ricerca del vero amore».

    «No, sorellina, sono caratteristiche molto specifiche che cerchi in ogni uomo con cui esci. Quelli che non corrispondono ai requisiti, li scarichi».

    «Non è vero».

    «Ah, sì? Vediamo un po’». Eden si schiarisce la voce. «L’uomo dei tuoi sogni deve essere laureato, deve avere un lavoro in cui gode di una posizione abbastanza buona, gli devono piacere i bambini, deve voler guardare gli stessi telefilm che piacciono a te…».

    «Su questo punto sono flessibile».

    «…deve essere romantico, avere buon gusto, deve saper dire le parole maieutica, lapalissiano e filologico senza impappinarsi…».

    «Per me una buona dizione è importante».

    «…non deve mai usare il verbo scendere in forma transitiva…».

    Alzo le mani al cielo. «Non si dice scendi il cane! Mi sembra ovvio».

    «…e ogni volta che le tue storie durano abbastanza a lungo e la nuvola di cuoricini si dissolve, tu ti chiudi in te stessa e ti rifiuti di accettare la realtà perché sei troppo orgogliosa per ammettere che stai per silurare l’ennesimo ragazzo. E con Philippe sei esattamente a questo punto, o sbaglio?».

    Per qualche secondo ostento una risatina falsa, che si spegne miseramente da sola. «Oh, Eden. Povera sorellina illusa. Ti sbagli di grosso».

    Ovviamente ha ragione. Accidenti a lei, mi conosce troppo bene.

    Ho incontrato Philippe a Parigi, non molto tempo fa. E siamo stati presi subito dal turbinio di romanticismo che ho sempre sognato. Ma anche se lo adoro e stiamo benissimo insieme, si stanno ripresentando i soliti problemi che incontro in ogni relazione e ancora non ho capito come risolverli. Ma davanti alla mia saccente sorella, lo ammetterò il giorno in cui gli asini voleranno.

    «Parliamo d’altro», dico andando verso la sala del personale per fare del caffè. «Di qualsiasi altra cosa». Dai rumori all’altro capo capisco che anche Eden sta preparando il caffè. Siamo telepatiche.

    «No, davvero», continua Eden. «Devi rompere questo ciclo, Ash. È ridicolo. Raccontami di nuovo perché hai rotto con l’ultimo prima di lui. Quel tizio, Gary».

    «Lo sai perché». Metto un filtro nuovo nella macchina e lo riempio di polvere di caffè.

    «Dicevi che era troppo appiccicoso».

    «Esatto», confermo mentre verso l’acqua. «Diceva che la nostra era una relazione a distanza perché lui abita nel Jersey e io a Brooklyn. E poi mi chiamava dieci volte al giorno solo per sentire la mia voce. No, grazie».

    «Ok, e quello prima ancora? John? Lui invece non era abbastanza appiccicoso, vero?»

    «Sì. E quindi?». La macchina gorgoglia mentre il caffè fumante scende nella caraffa.

    «Se guardiamo ancora più indietro troviamo Pablo, che era troppo basso. Poi Damien, troppo alto. Bartholomew, troppo biondo».

    «Lo sai perché non mi piacciono i biondi».

    «E poi c’era il povero, perfetto Peter, che hai scaricato perché si faceva la ceretta».

    Prendo una tazza pulita e ci metto quattro cucchiaini di zucchero. «Senti un po’, non eri tu a dover guardare le sue sopracciglia per tutto il tempo. Quelle ali di gabbiano perfette erano raccapriccianti. E poi non c’era traccia di pelo dalla vita in giù, ma per favore. Va bene voler tenere in ordine là sotto, ma lui era completamente liscio. Ho provato a non farci caso, ma mi sembrava di stare insieme al fidanzato di Barbie».

    È come se riuscissi a sentire Eden che alza gli occhi al cielo attraverso il telefono. «Hai mai pensato che forse non riesci a far funzionare una relazione perché in realtà non vuoi avere relazioni?».

    Anch’io alzo gli occhi al cielo in risposta. «Sì, hai ragione tu, sorellina. Ecco perché passo tutto questo tempo con tutti questi uomini. Perché segretamente desidero morire zitella». Non ammetterò mai il vero motivo per cui ho lasciato tutti i miei ex. È troppo imbarazzante, perfino per parlarne con mia sorella.

    «Ma allora perché trovi sempre delle scuse così patetiche? Non ti passa per la mente che forse sei troppo schizzinosa?»

    «Non sono schizzinosa. So quello che voglio da un compagno e non ho intenzione di scendere a compromessi e accontentarmi di uno qualunque».

    Eden inizia a protestare, poi si interrompe in modo sospetto.

    «Be’?». Verso del latte nel caffè e inizio a girarlo con la palettina di plastica. «Hai deciso di risparmiarmi una delle tue solite battute sarcastiche?».

    Eden si schiarisce la voce. «Stavo per dire che non esiste uomo vivente che soddisfi tutte le tue esigenze, poi mi sono resa conto che uno esiste, e ci sto uscendo io».

    «Esatto», rispondo trionfante. «Tu hai trovato l’uomo perfetto e chiedi a me di rinunciare alla mia ricerca? Vergognati, Eden Marigold Tate».

    Butto la palettina nel cestino e torno verso la mia scrivania.

    «Ok, hai ragione», ammette Eden. «Comunque, ti avevo chiamata solo per sentire come stavi. Sto passando un sacco di tempo con Max ultimamente e… insomma, mi manchi. Non c’è niente di cui vuoi parlarmi? Altri uomini in vista? Una cotta per qualche personaggio famoso?».

    Mentre mi accomodo sulla sedia, clicco di nuovo sulla pagina del Professor Feelgood e inizio a sventolarmi con il blocco per gli appunti. «No, niente e nessuno di cui parlare. Sto bene. Sono solo… piena di lavoro». E potrei essere in grado di risolvere la crisi petrolifera mondiale, se solo riuscissi a capire come installare un generatore termoelettrico nelle mie mutandine.

    Eden rimane in silenzio per un istante. So che non si è bevuta la mia risposta disinvolta, ma ha deciso di non incalzarmi. Per il momento, conoscendo mia sorella.

    «Va bene», dice alla fine. «Ci vediamo stasera, un bacio».

    «Un bacio a te».

    Chiudo la chiamata, con un sospiro. Mia sorella ha fiutato il mio crescente malessere nei confronti del mio compagno, ma non è l’unica cosa a preoccuparmi.

    Da un po’ di tempo mi sento… giù e non capisco perché. Esiste una crisi dei vent’anni? Tra qualche settimana ne compirò ventiquattro e l’età potrebbe essere parte del problema. Ma c’è uno strano senso di disagio che mi attanaglia, come se stessi camminando lungo un sentiero sbagliato con le scarpe di qualcun altro. Le scarpe sono mezzo numero più piccole, ma se non ci penso troppo posso ignorare il fastidio e continuare a camminare.

    I post del Professore mi fanno venire voglia di esaminare da vicino il mio disagio. Sento il bisogno improvviso di trovare il coraggio di scegliere un sentiero per me stessa, insieme a un paio di scarpe del mio numero.

    Se solo avessi la minima idea di come fare.

    2

    Competizione e competitori

    Alle otto e mezza l’ufficio, prima deserto e silenzioso, si riempie di uno sciame di chiacchiere e attività.

    Nascondo la pagina del Professore sullo schermo e mi dedico alla lista giornaliera delle cose da fare. È lunghissima, e perciò già mi vedo stasera qui a sgobbare dopo che tutti se ne saranno andati.

    Verso le nove alzo gli occhi dal computer e cerco di trattenere un lamento.

    È il mio cinquecentoventitreesimo giorno di lavoro in questo ufficio ed ecco che arriva Devin Shields a provarci con me per la cinquecentoventitreesima volta. I suoi capelli biondo cenere sono perfetti come al solito, come la sua camicia dai colori vivaci sotto il completo blu dal taglio slim fit. Non so se il suo è un tentativo cosciente di imitare Draco Malfoy, in ogni caso me lo ritrovo davanti. Se solo sapessi scagliargli contro un Patronus, come Harry Potter.

    «Tate».

    «Shields».

    Continuo a fissare lo schermo del computer, ma con la coda dell’occhio lo vedo appoggiato alla parete del mio cubicolo. Non smetto di lavorare, sperando che capisca che preferisco compilare un resoconto di vendita pur di non dover parlare con lui. Inoltre, so che se lo guardassi in questo preciso istante lo beccherei a fissare la mia scollatura come un depravato e, dato il mio umore, non credo che riuscirei a trattenermi dall’appiccicargli un post-it in fronte, con su scritto i miei occhi sono quassù, stronzo.

    Devin crede di essere lo stallone della redazione, nella nostra piccola ma coraggiosa casa editrice, solo perché quasi tutto il resto del personale è femminile. Le altre ragazze fanno gonfiare il suo ego sgomitando per ricevere le sue attenzioni e immagino che in effetti possieda un certo fascino da metrosexual, tutto rileccato in quel modo. Ma assomiglia troppo allo stronzo che mi ha tradito al liceo perché io possa mai considerarlo attraente. La triste verità è che anche dopo tanti anni e dozzine di storie finite male, i biondi mi danno ancora l’orticaria.

    «Ti vesti così per torturarmi, vero?», chiede Devin. «La gonna a tubino, la camicetta attillata. È tutto studiato per farmi impazzire».

    Annuisco in modo solenne, sempre senza guardarlo. «Sì, Devin. Quando mi vesto ogni mattina, la prima cosa a cui penso è l’effetto che il mio abbigliamento farà su di te. Non a scegliere vestiti puliti o a cosa mi sta meglio. Mi hai scoperto, accidenti».

    «Lo sapevo. E poi oggi sei più bella del solito. Sono occhiali nuovi, quelli?»

    «No. Sono i soliti che porto da due anni, ma complimenti per lo spirito di osservazione, stai migliorando». Forse gli occhiali gli sembrano nuovi perché di solito guarda la mia scollatura più della mia faccia. A volte penso che dovrei indossare una bandana con due tette finte, per aiutare gli uomini a mantenere lo sguardo all’altezza giusta. Potrei vendere l’idea a un imprenditore e diventare milionaria, dato che milioni di donne devono essere stanche del fatto che i nostri capezzoli ricevono più attenzione dei nostri occhi.

    «Be’, mi piacciono i tuoi occhiali», dice Devin accomodandosi sulla sedia accanto alla mia, senza essere invitato. «Sono molto… sensuali».

    Ignoro il commento e continuo a scrivere. In realtà non ho bisogno degli occhiali, ma mi sono sempre sentita più a mio agio a indossarli negli ambienti colti. Un fisico formoso e femminile spesso induce gli altri a fare supposizioni sulla tua intelligenza, come se la taglia di reggiseno fosse inversamente proporzionale alla misura del cervello. Perciò ho iniziato a portare degli occhiali di corno all’università per distrarre dal mio fisico e aumentare il mio punteggio da bibliotecaria, per così dire. Mi sembra che la gente mi prenda più sul serio, quando li indosso.

    A quanto pare, Devin è l’eccezione alla regola. Potrei indossare un pigiamone di felpa e lui riuscirebbe comunque a trovare qualche parte di me da guardare come un oggetto. «Wow, Tate, che bei malleoli. Sei davvero sexy».

    «Dimmi, Asha», continua Devin, ignorando la mia completa mancanza di interesse nei suoi confronti. «Hai finalmente deciso di cedere all’intensa attrazione che c’è tra di noi e uscire con me, questa settimana?».

    Mi decido a girarmi verso di lui, con un sorriso paziente che non merita affatto. «Devin, te l’ho già detto, non sei il mio tipo. E anche se lo fossi, lo sai che sono impegnata».

    «Sì, ma lui è in Francia, no? Le relazioni a distanza non funzionano mai».

    «Forse no, ma per il momento la nostra passione smentisce la regola».

    Il mio ragazzo non è in Francia, ma è quello che racconto a tutti. Ingenuamente, pensavo che mettere in chiaro che sono impegnata mi avrebbe garantito una tregua dalle visite di Devin. Ma mi sbagliavo. È l’ennesimo spasmo dell’intestino irritato che è la mia vita in questo momento.

    «Be’», dice Devin avvicinandosi a me e abbassando la voce fino a un sussurro, che forse lui considera sexy, «se un giorno le cose tra te e il francese non dovessero andare, fammelo sapere. Forse non parlo la lingua, ma sono un esperto nel loro stile di bacio».

    E completa il tutto facendo l’occhiolino.

    Che schifo.

    Stringo i denti in una specie di sorriso. Non sono brava come mia sorella a incenerire gli uomini con lo sguardo o a colpirli con frecciatine argute, ma sono due cose su cui devo lavorare, così come la mia dipendenza dai carboidrati e la mia ossessione per i vestiti di alta moda di seconda mano.

    «Me ne ricorderò».

    Devin si guarda intorno per essere sicuro che nessuno lo senta e dice: «Serena ti ha detto che vogliono promuovere uno di noi assistenti a editor?».

    Serena è la caporedattrice ed è la mia superiore diretta, quindi potrei scommettere di averlo saputo prima di lui. «Certo».

    «E anche tu ti sei candidata?».

    Come se non sapesse già la risposta. «Tu che ne pensi?».

    Il mio desiderio di diventare la più giovane editor della Whiplash non è certo un segreto. Anzi, credo che sia stata proprio la sfacciata ambizione che ho mostrato durante il colloquio ad avermi fatto ottenere il posto di assistente, nonostante fossi appena uscita dall’università e assolutamente in erba in questo ambiente. Negli ultimi due anni, ho fatto tutto il possibile per dimostrare di averne la stoffa, dall’aiutare Serena nella correzione di manoscritti importanti, al riscrivere di mio pugno interi capitoli di altri. Dopo le nottate e tutti i miei sforzi per diventare indispensabile, la promozione spetta a me di diritto. O almeno dovrebbe.

    Chiaramente, anche Devin è molto sicuro di sé, soprattutto perché è il nipote del nostro amministratore delegato, Robert Whip, e questo in pratica garantisce l’avanzamento della sua carriera. Devin non è male come assistente editor, ma non è neanche il massimo. La caratteristica che lo rende diverso da tutti gli altri è la sua infinita autostima. Come diceva la mia saggia nonna: «Dio, ti prego, dammi la sicurezza di un uomo mediocre».

    Nonostante questo legame familiare, dubito che il signor Whip cederebbe al nepotismo per dare a Devin una promozione che non merita. Però, la sua espressione compiaciuta fa suonare in me un campanello d’allarme.

    Devin accavalla le gambe. «Quello che Serena non ti ha detto è che zio Robert ha deciso di trasformare i colloqui in una competizione. Ogni candidato deve presentare un’idea e vincerà chi porta il manoscritto con più possibilità di diventare un bestseller».

    Smetto di scrivere e mi giro a guardarlo. Non ne sapevo niente. «Cosa?».

    Non va bene. In altre circostanze, sarei stata certa di ottenere la promozione senza problemi, ma trovare un bestseller è come cercare di tirare fuori una fatina dei boschi dalla mia ascella. Alcuni dei nostri editor più affermati non sono ancora riusciti a far pubblicare un bestseller, nonostante siano qui da anni.

    Perché ho la sensazione che Devin abbia aiutato il signor Whip a concepire l’idea di questo piano fuori di testa?

    «Già», dice Devin mentre si allunga a prendere il mio pupazzetto di Shakespeare. «Serena dovrebbe mandare una comunicazione a breve». Dà un colpetto alla testa a molla del pupazzetto e la guarda rimbalzare avanti e indietro. Stringo i denti. Non mi piace quando toccano il mio William. E poi una volta ho citato Macbeth e Devin pensava che fosse un dialogo dal Trono di Spade, perciò non merita davvero di giocare con Mastro William.

    Devin si alza e rimette a posto Shakespeare appena in tempo per non dover subire la mia ira. «Comunque, ho pensato di dirtelo. Credo che saremo noi due a vedercela, per questa promozione. Per fortuna il tuo gusto schifoso in fatto di libri rende molto probabile una mia vittoria».

    Gli lancio un’occhiataccia. «Il mio gusto schifoso per cosa?»

    «Dai, ammettilo. Hai un debole per quei romanzi rosa di merda. Ne leggi a tonnellate, a pranzo e nelle pause caffè. Per quanto mi riguarda, io non riuscirei a leggere di continuo quella robaccia che parla di storie irrealizzabili, ma se la pornografia da casalinghe è il tuo genere preferito, chi sono io per giudicare?».

    Vengo invasa da un’ondata di rabbia e mi alzo a fronteggiarlo. «Se tu avessi mai letto un romanzo rosa, Devin, sapresti bene che non c’è solo pornografia dentro. Sono libri che ispirano e danno alle donne il coraggio di emanciparsi. Ci consolano e, sì, a volte sono molto eccitanti. Non riesco a credere che tu sia così ignorante e prevenuto in materia, soprattutto perché quei romanzi rosa di merda sono ciò che tengono a galla la nostra casa editrice. Anno dopo anno, le vendite sono la prova che il potere d’acquisto delle donne è…».

    Devin alza le mani. «Ok, ok, calmati dolcezza. Non pensavo che insultare i tuoi preziosi romanzi rosa avrebbe risvegliato la bestia. Non credo di averti mai visto infiammarti così, prima d’ora». Si sporge in avanti. «Sei davvero sexy».

    Per la prima volta, metto le mani addosso a Devin Shields, per la precisione sulle sue spalle, per allontanarlo dalla mia scrivania. «Vattene, Devin. Non ho pazienza per te, oggi».

    Mi guarda con espressione ferita. «Sei arrabbiata? Allora forse dovremmo incontrarci nel magazzino dei materiali, lì potresti darmi una bella punizione».

    Espiro e mi raddrizzo gli occhiali sul naso. «La tua punizione sarà vedermi promossa al tuo posto. Adesso faresti meglio ad andartene, prima che chiami le risorse umane per chiedere della politica aziendale in materia di molestie sessuali».

    Devin risponde con una smorfia. «Santo cielo, Tate, impara a stare agli scherzi. Sei solo nervosa perché sai che sarò io a ottenere il posto. Non ti preoccupare, sarò un buon capo, quando starò sopra di te ai piani alti». Sorride di nuovo, ma è meno amichevole. Devin sa bene che sono io la sua diretta rivale e che farò tutto il possibile per batterlo. Anche se ha un vantaggio notevole, con i suoi parenti che lavorano in tre delle più grandi case editrici di New York. Sono certa che telefona tutti i giorni a ciascuno di loro, in cerca del manoscritto dalle uova d’oro.

    Mi sento come se dovessi entrare nel Colosseo armata di una banana, mentre lui brandisce uno spadone a due mani.

    «Ci vediamo, Tate. Ah, buona fortuna».

    Devin lancia un’ultima occhiata alle mie tette, prima di tornare alla sua scrivania all’altro capo dell’ufficio.

    Ho ancora lo sguardo puntato nel vuoto in direzione di Devin, quando arriva l’e-mail con le informazioni sulla competizione. La leggo e sento una nauseabonda sensazione di orrore crescere nel mio stomaco. I candidati hanno due settimane di tempo per trovare il manoscritto da presentare, dopodiché Serena e il signor Whip prenderanno in esame le varie proposte secondo criteri di originalità e prospettive di vendita.

    Afferro la mia lista di possibili romanzi da pubblicare dallo schedario e vado verso l’ufficio di Serena. Il suo ambiente lavorativo rispecchia esattamente la sua persona: lineare, moderno, pallido. Serena alza lo sguardo, per niente sorpresa di vedermi.

    «Hai letto l’e-mail».

    «Sì».

    Mi fa cenno di sedermi. «Qualche idea?»

    «Direi di no. Questi sono i manoscritti più interessanti che mi sono arrivati negli ultimi tempi, ma non c’è niente di particolarmente entusiasmante».

    Le passo il mio misero foglietto e mi siedo.

    Serena stringe le labbra color ciliegia mentre scorre la lista. Con il caschetto biondo platino che risplende nella luce del mattino e il vestito nei suoi classici toni del bianco, beige e crema, ha tutto l’aspetto di un’angelica fashionista dagli occhiali color blu elettrico. Non ho mai incontrato nessuno impeccabile come lei. Si muove soave tra gli eventi della vita, mai un capello fuori posto o una sbavatura sui suoi vestiti pallidi, immacolati. È fonte di ispirazione e irritante allo stesso tempo.

    Io preferisco gli abiti usati, in stile vintage-chic, e finisco con il mangiarmi il rossetto color porpora nel giro di due minuti dopo averlo messo. Ho imparato a non vestirmi mai di bianco perché, quando lo faccio, riesco a sporcarmi con la stessa abilità di un bebè con problemi di coordinazione.

    Serena scorre tutta la lista e poi appoggia il foglio sulla scrivania. «Non sono titoli molto interessanti».

    Dimmi qualcosa che non so già.

    «Continuerò a cercare. Ma, Serena, non trovi che questa competizione sia assurda? È come dire che se hai la fortuna di comprare un biglietto vincente della lotteria, allora hai le capacità

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