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Storia pettegola di Roma
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Storia pettegola di Roma

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Curiosità, indiscrezioni e dicerie nelle vicende della Città Eterna

Il pettegolezzo, si sa, è divertente. Se proviamo a mettere insieme la storia ufficiale e le dicerie, la visione d’insieme è sempre sbalorditiva. La storia di Roma non fa eccezione. Essa è fatta soprattutto di leggende e gossip che, tramandati nei secoli, sono diventati “mitici”. Roma nasce così: leggenda vuole che Romolo e Remo siano stati allattati da una lupa, ma il gossip sostiene che la suddetta “lupa” fosse in realtà una prostituta. E se gli imperatori romani sono stati una fonte inesauribile di pettegolezzi, i papi non sono stati da meno. Basterà, fra tutti, fare il nome dei Borgia, un nome diventato sinonimo di perversione e di sregolatezza, fino all’incesto, fino all’omicidio. E ancora: è avvenuto davvero lo scandalo della papessa Giovanna? Quanto erano fondate le dicerie su Olimpia Maidalchini? Quelli che apparentemente sembrano trascurabili fatti privati, piccole indiscrezioni, voci di corridoio e chiacchiere da salotto costituiscono un quadro alternativo della storia della città eterna, che non è assolutamente meno veritiero. Allora sedetevi comodi e tenetevi pronti ad ascoltare un’altra storia di Roma, quella dei retroscena. Sarà divertente e imparerete molto!

Dietro le quinte si può ascoltare tutta un'altra storia

Gli Scipioni
Storie di una famiglia progressista e alla modaGiulio Cesare, Cleopatra e Marco Antonio
Storia pettegola dell’“altro” triumviratoAugusto il Camaleonte
Luci e ombre del primo imperatoreClaudio, Nerone e le femmes fatales
Storie di una famiglia complicataCostantino il grande, Elena la santa
Favola, leggenda o storia?Gli anni della pornocrazia romana
Storia di due donne al potere nella Roma medievaleI Borgia
Un’orgia di potere, sesso e sangueGenio e pettegolezzo
Quando il gossip racconta gli artistiRinascimento dei sensi
Retroscena piccanti della corte papale

Giulia Fiore Coltellacci
È nata a Roma nel 1982. Laureata in Storia e Critica del Cinema, è giornalista pubblicista e ha collaborato con RAI International e attualmente con Radio2. Ha pubblicato Rome sweet Rome. Roma è come un millefoglie e, per la Newton Compton, 365 giornate indimenticabili da vivere a Roma, I libri che ci aiutano a vivere felici, I segreti tecnologici degli antichi romani e I luoghi e le storie più strane di Roma.
LanguageItaliano
Release dateOct 21, 2019
ISBN9788822738851
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    Storia pettegola di Roma - Giulia Fiore Coltellacci

    GLI SCIPIONI

    Storie di una famiglia progressista e alla moda

    La pietra tombale dello scandalo

    Nella cultura romana, il sepolcro era una sorta di status symbol: testimoniava ai posteri la grandezza del trapassato nonché legittimo proprietario, ricordandone le grandi imprese. Una sorta di pubblicità post mortem che tornava a tutto vantaggio dei parenti in vita. Le famiglie potenti costruivano il proprio sepolcro in modo che spiccasse sulle altre tombe e fosse impossibile non notarlo. Non era possibile ignorarlo anche perché, in antichità, le necropoli si trovavano ai bordi delle vie d’accesso alla città, pertanto le tombe sfilavano silenziose sotto gli occhi di chi entrava e usciva dall’Urbe. In genere, i sepolcri erano ornati da iscrizioni e decorazioni che raccontavano le imprese della dinastia. Tutto questo preambolo per arrivare a parlare, anzi, a spettegolare degli Scipioni, una delle più potenti e influenti famiglie della tarda Repubblica, artefice di quella rivoluzione che cambiò per sempre la storia.

    Se vi state domandando perché partire dalla tomba, è presto detto. Non solo perché è ancora lì dove l’hanno costruita secoli fa, non solo perché una ricca serie di iscrizioni racconta la lunga storia degli ospiti più illustri, ma perché la sua stessa costruzione e la scelta della sua collocazione costituiscono una vera e propria dichiarazione politica e pertanto sono il modo più immediato per capire la portata rivoluzionaria di questa chiacchierata dinastia. Il sepolcro degli Scipioni si trova lungo il tratto dell’Appia Antica che precede Porta San Sebastiano. A costruirlo, nel lontano iii secolo a.C., fu il capostipite dell’illustre gens Cornelia, Lucio Cornelio Scipione Barbato (mettetevi subito l’anima in pace, si chiamano tutti allo stesso modo, cambia solo il soprannome) e la scelta di edificarlo lungo la via Appia, costruita poco prima, rappresentava una chiara presa di posizione politica: la strada consolare era stata creata per agevolare l’espansione di Roma verso l’Italia meridionale, verso il Mediterraneo, verso la Grecia. Il suo costruttore, Appio Claudio Cieco, era stato uno dei primi politici a manifestare simpatie ellenizzanti e la decisione di costruire il sepolcro in prossimità dell’Appia fu, per gli Scipioni, un modo per dichiarare il proprio appoggio a quella politica di espansione territoriale verso la Grecia, con conseguente espansione culturale, che definì il nuovo ruolo di Roma e un nuovo modo di essere romani.

    Di tutte queste novità gli Scipioni furono i principali interpreti. Le famiglie potenti e influenti, soprattutto se portatrici di idee progressiste e moderne, sono sempre bersaglio di feroci critiche, malcelate invidie, attacchi mediatici e pettegolezzi da cortile. Il clan degli Scipioni non fa eccezione e il sepolcro sull’Appia è la pietra (dello scandalo) da cui partire per intraprendere un viaggio alla scoperta dei segreti e dei retroscena di una famiglia trasgressiva e anticonformista, i cui membri – uomini e donne – determinarono, prima con le conquiste militari e poi con quelle culturali e sociali, una trasformazione dei costumi in seguito alla quale Roma non sarebbe più stata la stessa.

    Scipione l’Africano: le gloriose imprese e gli infamanti processi

    La famiglia degli Scipioni era di origini antichissime e annoverava tra i suoi membri nomi illustri della storia di Roma, ma alcuni di essi quella storia contribuirono a scriverla. Un posto di primo piano spetta a Publio Cornelio Scipione, uno dei più grandi condottieri di tutti i tempi, meglio noto come l’Africano, un soprannome – o meglio un nome di battaglia – che ne rievoca l’impresa più grande. Era nobile, bello e valoroso, sapeva parlare bene e aveva fama di essere baciato dagli dèi che consultava sempre prima di prendere qualsiasi decisione, pubblica o privata. Circolava voce che la madre lo avesse concepito in seguito alla visita notturna di un serpente magico, quando il marito era già in là con gli anni e lei aveva quasi rinunciato all’idea di un figlio. Insomma, per dirla come Aulo Gellio, Scipione era considerato un «uomo divino».

    Un episodio avvenuto durante la conquista della Spagna, quando il giovanissimo Scipione si fece notare per le straordinarie doti strategiche e militari, rafforzò la convinzione generale di una sua posizione di favore presso gli altissimi. Per espugnare la città di Cartagena era necessario attraversare una laguna a nuoto. L’acqua era piuttosto alta e i soldati non sarebbero mai riusciti a stare a galla per il peso delle corazze, degli elmi e delle armi. Ma figuriamoci se un valente condottiero come Publio Cornelio, nobile membro della gens Cornelia, poteva farsi fermare da una pozza d’acqua. Convocò i soldati e li informò che Nettuno in persona lo aveva contattato in sogno e gli aveva promesso di aiutarlo facendo abbassare il livello dell’acqua. I soldati erano perplessi, ma quando videro Scipione attraversare lo stagno correndo, urlarono al miracolo. In realtà, più che assistito dagli dèi, Publio Cornelio era stato assistito dalla sua intelligenza oltre che dalla meteorologia: per tutto l’inverno aveva studiato l’alternarsi dell’alta e della bassa marea per sfruttarla a suo vantaggio. Oltre a conquistare la fiducia dei soldati, in quell’occasione Scipione conquistò Cartagena con tutte le sue ricchezze e di conseguenza anche la Spagna.

    13.tiff

    Busto in bronzo raffigurante Scipione l’Africano (Napoli, Museo Archeologico Nazionale).

    Il suo comportamento dopo il trionfo fece scalpore per l’assoluta novità. Invece di approfittare del successo e dare libero sfogo alla vendetta uccidendo i prigionieri, abusando delle donne e razziando quanto più poteva, si dimostrò straordinariamente magnanimo. Scipione era dotato di una ferrea razionalità e aveva capito quanto fosse più conveniente trasformare i vinti in alleati. Così, spartito il bottino con i soldati (perché era anche un valido comandante e motivatore), convocò i trecento ostaggi e, dopo aver accarezzato e tranquillizzato i bambini, li invitò a scrivere ai propri familiari per rassicurarli che, se avessero accettato di allearsi con Roma, sarebbero tornati a casa sani e salvi. Non contento, scelse personalmente dal bottino di guerra alcuni doni per gli ostaggi. Una mossa mediatica di sorprendente scaltrezza.

    E le sorprese non finirono qui. Come era abitudine, i soldati scelsero tra gli ostaggi una ragazza bella da mozzare il fiato per offrirla al comandante. Scipione amava le donne, lo sapevano tutti, ma era un abile stratega e così, lasciando tutti di stucco, fece chiamare il padre della ragazza e gliela riconsegnò illibata. Tale gesto di magnanimità, al tempo pressoché inconcepibile, fece centro: i cartaginesi rimasero ammirati dalla sua generosità e i soldati affascinati dal suo autocontrollo. Scipione non era un uomo ordinario e non ragionava secondo la logica comune. Di lì a poco avrebbe cambiato il modo di pensare dei romani, proprio come aveva già cambiato l’esercito trasformandolo in un corpo di professionisti la cui arma vincente era la perfetta organizzazione. E questo fu un punto di svolta cruciale nella storia militare di Roma, il viatico per il successo.

    Con i trionfi spagnoli Scipione aveva dimostrato il suo straordinario valore e pertanto gli venne affidata una missione ancora più importante, quasi impossibile: sconfiggere definitivamente il nemico numero uno di Roma, Annibale. Era il 204 a.C., la seconda guerra punica era in atto e Scipione non deluse le aspettative. Invase il territorio cartaginese in Nord Africa e nella battaglia di Zama riuscì a sbaragliare l’esercito avversario con la complicità non tanto degli dèi, quanto dei famosi elefanti di Annibale che, spaventati, calpestarono metà dell’esercito punico. Fu così che Scipione divenne il grande vendicatore di tutte le umiliazioni di Roma, fu così che divenne l’Africano. Fu così che cambiarono le sorti del Mediterraneo: con la conquista della Spagna e del Nord Africa, Roma si aggiudicò il dominio sul mare, il controllo sul mare nostrum e l’infinita ricchezza che ne conseguiva. Era l’inizio dell’imperialismo.

    Come già in Spagna, anche in questa occasione Scipione si dimostrò saggio e moderato durante i trattati di pace, un atteggiamento inconsueto che non incontrò il favore di quanti a Roma erano assetati di vendetta. Il suo ritorno fu trionfale, il condottiero era all’apice del successo, ma come sempre accade in questi casi il numero degli ammiratori era direttamente proporzionale a quello dei nemici. Erano molti i politici ostili a Scipione, alla sua politica e alla sua famiglia. Parlando di famiglia va detto che suo fratello Lucio, passato alla storia come conquistatore dell’Asia Minore, colui che «sconfisse il re Antioco», non gli fu certo d’aiuto. Non è una maldicenza ma un fatto assodato: senza l’aiuto del grande fratello Publio Cornelio, Lucio forse non sarebbe passato alla storia. Secondo alcune indiscrezioni riportate anche da Cicerone, sappiamo che Lucio non brillava per acume e il Senato non ne aveva alcuna stima, tuttavia accettò di affidargli la missione in Asia Minore solo perché suo fratello l’Africano aveva assicurato che lo avrebbe accompagnato in qualità di legato (come tutore, in pratica un baby-sitter, se volete essere maligni). La presenza di Scipione si rivelò determinante per gli esiti della guerra grazie alla quale Roma conquistò l’Asia Minore, Grecia inclusa. Tornato trionfante, Lucio pretese l’appellativo di Asiatico, per non essere da meno del fratello dicevano i pettegoli, fratello senza la cui intercessione non si sarebbe mosso dall’Urbe e senza il cui aiuto strategico non avrebbe mai trionfato contro Antioco.

    Oltre ai successi, la vittoria recò ai fratelli anche parecchie rogne. Dalla guerra avevano riportato un bottino enorme, più o meno proporzionale al loro potere che cominciava a spaventare gli avversari politici. Venne quindi messa in piedi una campagna denigratoria per screditarli: l’accusa era di corruzione e appropriazione indebita. Ad alzare il polverone fu Catone, il grande conservatore, l’integerrimo moralizzatore, nemico giurato degli Scipioni, il quale fece leva sull’onnipresente sospetto dei cittadini di ogni epoca che i propri politici siano tutti ladroni. La richiesta di Catone, in realtà, era legittima: al ritorno dalla guerra, portare i rendiconti all’Erario della Repubblica e informare il Senato delle somme incassate con i trattati e i bottini era la prassi. Solo che chiederle a Scipione, il trionfatore di Zama, era mettere in dubbio la correttezza dell’eroe di Roma. Anche perché la sua integrità era nota a tutti, come universalmente nota era però anche la sua disinvoltura nel maneggiare i soldi. Catone nutriva verso la potente famiglia una dichiarata antipatia: da intransigente moralista quale era, osteggiava il clan Scipioni per le idee riformiste e per l’eccessiva ostentazione del lusso.

    L’Africano era filoellenico e un filo snob, il classico aristocratico progressista che esibisce con elegante nonchalance il proprio status. Sua moglie Emilia, lo vedremo, non era da meno. Anzi, lei più del marito attirava il biasimo dei conservatori per l’alto tenore del suo eccentrico stile di vita, quello che di lì a poco sarebbe diventato lo standard al di sotto del quale si era considerati umili pezzenti. Di fronte alla richiesta di Catone, che suonava come un affronto, furono molti a indignarsi ma più di tutti Scipione, il quale rifiutò categoricamente di fornire i documenti richiesti: si riteneva infatti al di sopra di ogni sospetto. Anche durante il processo, Scipione fu costretto ad andare in soccorso del fratello Lucio: questi era accusato di essersi intascato, per assicurare la gratifica ai suoi soldati, i 500 talenti versati da Antioco come acconto dell’enorme riscatto dovuto a Roma, ma soprattutto gli si rimproverava di non averne reso conto al Senato con una relazione dettagliata. Convocato a giudizio, proprio quando stava per leggere la distinta delle spese, Lucio fu interrotto da Scipione che con un gesto eclatante gli strappò i documenti dalle mani (riconfermando che il fratello contava come il due di picche) e li ridusse in mille pezzi, invitando gli accusatori a rimetterli insieme, se proprio ci tenevano. L’Africano non aveva alcuna intenzione di difendersi perché non aveva nulla di cui giustificarsi: non c’era stata alcuna violazione, gli Scipioni non erano ladri e lui non doveva rendere conto a nessuno del denaro usato per salvare Roma. Catone però era testardo almeno quanto Scipione e non si diede per vinto, riuscendo a far condannare Lucio per frode.

    17.tiff

    Le conquiste di Scipione l’Africano.

    A salvarlo dall’arresto – che avrebbe rappresentato un’onta sul curriculum degli Scipioni – fu l’intervento a sorpresa del tribuno della plebe Tiberio Sempronio Gracco, di cui parleremo a breve – o meglio, parleremo di sua moglie e dei suoi famosi gioielli. In segno di riconoscenza, infatti, Scipione gli diede in sposa la figlia Cornelia. Catone non si arrese e proseguì la sua battaglia: assoldò un calunniatore prezzolato, il tribuno della plebe Marco Nevio, il quale accusò pubblicamente Scipione di aver imposto condizioni di pace più clementi ad Antioco perché il re gli aveva allungato una bella mazzetta al fine di ottenere un trattamento di favore. Scipione, ignorando il proprio accusatore e rivolgendosi direttamente al popolo riunito al Foro, si difese affermando che era indegno dare credito alle accuse montate contro chi aveva combattuto e trionfato per Roma. Allo sdegno verbale, l’Africano fece seguire la decisione di lasciare per sempre l’Urbe ingrata ritirandosi a vivere nei suoi possedimenti di Literno, in Campania. Malato da tempo, morì qualche mese dopo, a 53 anni. Neanche morto sarebbe tornato a Roma: Scipione preferì essere sepolto a Literno, rinunciando al suo posto nella tomba di famiglia sull’Appia (secondo Livio nel sepolcro era comunque presente il suo monumento commemorativo, oltre a quello del fratello Lucio).

    Lo storico Valerio Massimo racconta che l’Africano volle testimoniare ai posteri il suo risentito disgusto facendo incidere sulla propria tomba queste amare parole: «Ingrata patria, non avrai le mie ossa». Fu così che il grande condottiero «negò le sue ceneri alla città che aveva evitato fosse ridotta in cenere». Ma sbagliava Catone a credere di poter frenare il cambiamento avviato da Scipione semplicemente allontanandolo da Roma.

    Emilia l’attivista

    Scipione l’Africano non era l’unico avversario di Catone. Il Censore, infatti, si vide costretto a fronteggiare anche sua moglie Emilia, il cui contributo alle conquiste sociali di Roma e al conseguente allargamento dei confini culturali verso la Grecia fu determinante quanto le vittorie militari del consorte. Con il suo comportamento anticonformista Emilia rappresentò un modello di emancipazione femminile nella Roma dell’epoca, ritrovandosi inevitabilmente al centro di innumerevoli critiche. Fu un’instancabile attivista, concretamente impegnata a combattere le stesse guerre del marito ma su altri campi di battaglia. Scipione e sua moglie erano una vera power couple, come dicono gli americani, e insieme furono i principali artefici di quella rivoluzione di costume progressista e filoellenica in seguito alla quale Roma non fu più la stessa.

    Oltre che per la politica, Scipione si ritrovò spesso attaccato anche per la condotta trasgressiva e liberale di sua moglie, accusata di eccessiva indipendenza, biasimata per lo sfarzo in cui viveva, considerata pericolosa proprio perché non si godeva il lusso tra le pareti della sua ricca domus, zitta e buona come ogni matrona romana che si rispetti, ma amava la mondanità e godersi la vita. L’Africano non badava troppo all’opinione degli altri, soprattutto se erano suoi avversari, e lasciò sempre la moglie libera di vivere come più le piaceva. Gli Scipioni erano ricchi, amavano le cose belle, se le potevano permettere e non si vergognavano di esibirle. Amavano soprattutto la Grecia e la sua cultura, una simpatia giudicata dai più tradizionalisti come Catone una pericolosa stravaganza. Emilia fu una brava moglie ma non in senso tradizionale; fu piuttosto la compagna perfetta di un leader politico come Scipione. Si impegnò a supportarne la carriera con le public relations, ne sostenne con i fatti la politica filoellenica e quando si insinuò il dubbio di un tradimento del marito con una schiava, chiuse un occhio per evitare uno scandalo che avrebbe fornito agli avversari un’arma per screditarli. Sicuramente le importava poco di una scappatella del consorte con una serva e preferiva di gran lunga mantenere i propri privilegi di signora Scipioni. E di una cosa siamo certi: Emilia teneva molto ai suoi privilegi, considerati diritti imprescindibili, difesi con le unghie e con i denti. Se ne dovette fare una ragione Catone quando la vide sfilare alla testa di un manipolo di agguerrite matrone scese in piazza per contestare la lex Oppia.

    Per capire la faccenda facciamo un passo indietro quando in piena guerra punica, per racimolare finanziamenti a sostegno della campagna contro Annibale, il Senato aveva avuto l’infelice idea di promulgare una legge suntuaria che mirava a limitare gli sprechi e gli eccessi di lusso, la lex Oppia appunto. Il problema era che a essere penalizzate erano solo le donne, alle quali veniva proibito di indossare abiti sgargianti, di portare ornamenti d’oro che pesassero più di mezza oncia e di spostarsi su carri, se non in determinate occasioni. Nonostante le matrone romane amassero mettersi in mostra con abiti colorati e farsi scarrozzare per l’Urbe tutte ingioiellate, si dimostrarono ragionevoli e sopportarono la dura lex sed lex per circa vent’anni, ovvero fin quando lo richiese l’emergenza. Finita la guerra, però, pretesero anche la fine del regime di austerity. Così, durante l’acceso dibattito tra i progressisti favorevoli all’abrogazione della legge e i conservatori fermamente contrari, le donne scesero in piazza ovvero invasero in massa il Foro unite e risolute nel perorare la propria causa. A Roma non si era mai visto niente di simile: per la prima volta nella storia dell’Urbe, le donne erano protagoniste di un’iniziativa politica di aperta contestazione ed era la prima volta che rivendicavano a gran voce i propri diritti. Tra queste donne c’era anche Emilia, la moglie del trionfatore della seconda guerra punica. L’istanza fu così accesa e la pressione politica così forte che la lex Oppia venne abrogata.

    Tra i più feroci oppositori all’abrogazione c’era – ma guarda un po’ – Marco Porcio Catone, che fedele al ruolo di censore preposto alla sorveglianza dei costumi si era opposto alla sola idea. L’intervento delle donne poi lo aveva scioccato. Livio ci ha riportato il feroce commento di Catone alla faccenda, una sorta di anatema scagliato contro i romani per metterli in guardia dalle loro donne:

    Se ciascuno di noi, signori, avesse mantenuto l’autorità e i diritti del marito nell’interno della propria casa, non saremmo arrivati a questo punto. […] Ricordatevi quanto abbiamo penato a tenere in pugno le nostre donne e a frenarne la licenza, quando le leggi ci permettevano di farlo. E immaginatevi cosa succederà d’ora in poi, quando le leggi saranno revocate, e le donne saranno poste, anche legalmente, su un piede di parità con noi. Voi le conoscete le donne: non appena saranno vostre pari, vorranno essere superiori. Vedremo questo alla fine: gli uomini di tutto il mondo, che in tutto il mondo governano le donne, governati dagli unici uomini che dalle donne si facciano governare: i romani.

    Di fronte a questo discorso – non si sa se più maschilista o più misogino, ma sicuramente retrogrado – sembra che le dimostranti abbiano reagito con una sonora risata, probabilmente anche qualche pernacchia (non Emilia, perché lei era una signora di una certa classe).

    Catone incassò il colpo ma aumentò le tasse sugli articoli di lusso. Neanche questa ripicca, però, riuscì a frenare la marcia di emancipazione delle romane, un percorso lungo messo in moto proprio dalle guerre di conquista che avevano portato gli uomini lontano per anni. I romani avevano voluto la guerra per conquistare il potere? Bene, ora dovevano affrontare le conseguenze delle conquiste femminili. Emilia fu un simbolo di emancipazione non solo per la partecipazione alla protesta contro la lex Oppia, ma perché con il suo stile di vita libero, gli atteggiamenti stravaganti e la passione per il lusso – comportamenti incoraggiati dal marito nonostante il biasimo dei benpensanti – rappresentava la nuova donna romana che, in seguito al boom economico garantito dalle guerre di espansione, poteva contare su un nuovo benessere e una nuova indipendenza economica, un cambiamento che sconvolse la società trasformandola radicalmente. Il vecchio mos maiorum cominciava a puzzare di muffa, l’aria che tirava dalla Grecia era molto più stuzzicante. E di quella fragranza ellenica gli Scipioni furono i maggiori consumatori e diffusori.

    Nonostante l’episodio del tradimento, il matrimonio tra Scipione ed Emilia fu un’unione felice, tanto che l’Africano, con un gesto che destò non poche perplessità tra i soliti tradizionalisti, lasciò nel testamento disposizioni generosissime a favore della vedova in modo da garantirle la possibilità di mantenere lo stesso stile di vita, dispendioso e capriccioso. Per tutta risposta, Emilia non si risposò mai nonostante sopravvisse ancora a lungo al consorte. D’altra parte, che se ne faceva di un altro marito visto che era ricca, indipendente e poteva disporre come voleva del suo patrimonio? Senza contare che non era facile trovarne uno che fosse all’altezza dell’Africano. Era una donna libera e liberamente visse fino alla fine.

    Cornelia la madre esemplare

    Emilia amava il lusso e i gioielli. La figlia Cornelia per i suoi gioielli è passata alla storia. Tale madre tale figlia? Sì, ma solo in parte. Ultimogenita della coppia Africano-Emilia, come la madre Cornelia fu una grande protagonista della scena pubblica e politica romana. Al contrario della madre però, bersaglio di critiche violente per i comportamenti eccentrici, Cornelia destò sempre l’ammirazione generale e la sua fama di donna dalla vita esemplare fu tale da renderla una figura mitica nell’immaginario collettivo non solo romano. Niente chiacchiere su di lei, gossip o pettegolezzi, solo stima e lodi. Le possibilità economiche non le mancavano certo, ma scelse di condurre una vita sobria senza ostentazione di lusso e ricchezza, in netta controtendenza rispetto al nuovo stile di vita consumistico diffuso tra i membri dell’aristocrazia frutto del boom economico derivato dalle guerre di espansione.

    Bella e intelligente, Cornelia era considerata una delle matrone più colte di Roma. D’altra parte era nata e cresciuta in un ambiente stimolante, aveva ricevuto un’educazione di altissimo livello ed era abituata a frequentare intellettuali e letterati con cui conversava alla pari. Senza suscitare biasimo né destare scandalo, arrivò a ricoprire un ruolo che nessuna donna aveva mai avuto a Roma: quello dell’intellettuale colta e raffinata, animatrice di un circolo in cui si riunivano le più illustri personalità della letteratura, della politica, delle arti e della filosofia. Nel salotto radical chic di Cornelia si dibattevano quelle idee progressiste e filoelleniche anticipate dal padre Scipione e che ormai erano penetrate nella mentalità dei romani, e quasi nessuno si scandalizzava che fosse una donna l’animatrice di tali dibattiti, perché Cornelia era universalmente riconosciuta come una donna dalle qualità straordinarie. Si racconta che perfino Carneade accettasse di filosofeggiare con lei nonostante fosse donna, in quanto le sue competenze in materia erano sorprendenti. E se perfino quel misogino di Giovenale non riuscì a parlare male di Cornelia senza risultare poco credibile, doveva essere davvero speciale.

    22

    Cornelia mostra le sue gioie a una matrona della campagna: non brillanti o monili, ma i figli Tiberio e Gaio (incisione di F. Bertocchi da B. Pinelli).

    Cornelia era un’icona. A renderla una donna leggendaria, degna di stima e ammirazione, non fu solo la sua straordinaria vivacità intellettuale, ma anche l’impegno esemplare con cui svolse il ruolo di moglie, di vedova e soprattutto di madre. Cornelia è diventata il prototipo della madre romana, anzi è diventata la madre per antonomasia. Aveva sposato Tiberio Sempronio Gracco, tribuno di specchiata onestà, l’uomo che aveva salvato suo zio l’Asiatico durante il famoso processo. Una piccola indiscrezione a proposito: secondo il racconto di Livio, l’Africano aveva promesso in sposa sua figlia a Tiberio Gracco il giorno stesso del processo destando le ire della moglie Emilia che, senza neanche sapere il nome del futuro genero, si era dichiarata risentita per non essere stata consultata. Il marito avrebbe dovuto interpellarla a prescindere dal fatto che il promesso sposo fosse un buon partito come Tiberio Sempronio Gracco. Scipione poté tirare un sospiro di sollievo e salvarsi dal broncio di Emilia solo perché era proprio lui il prescelto. Questo per ribadire il caratterino della signora Scipione l’Africano.

    Nonostante il matrimonio fosse combinato come da consuetudine e avesse destato scalpore in chi ci vedeva una ricompensa da parte dell’Africano per aver salvato il fratello dal processo, sugellando allo stesso tempo la pace tra le famiglie degli Scipioni e dei Semproni fino a quel momento rivali, l’unione tra Tiberio e Cornelia sembra sia stata felice. Felice ma breve, a causa della prematura scomparsa di lui. Nonostante fosse ancora giovane e bella, Cornelia rimase sempre fedele al ricordo del marito scegliendo di non risposarsi; d’altra parte, anche lei come la madre non ne aveva bisogno. Plutarco sostiene che avesse perfino rifiutato la proposta di matrimonio del faraone Tolomeo vii, un candidato niente male ma il cui soprannome, Fiscone, ovvero il grassone, lascia presupporre che, a parte un buon partito, per il resto non fosse un granché. E poi, scusate, ma poteva la figlia dell’Africano sposarsi con un Fiscone? Sembra che Cornelia abbia declinato la proposta dicendo che preferiva restare la figlia di uno Scipione, la suocera di un altro (Scipione Emiliano, il marito della figlia, li incontreremo tra poco) e la madre dei Gracchi. Da quel momento, Cornelia decise di dedicarsi completamente all’educazione dei due adorati figli maschi. Nonostante il poco tempo trascorso insieme, Tiberio e Cornelia si erano dati molto da fare mettendo al mondo dodici figli di cui però solo tre erano sopravvissuti: Tiberio, Caio e Sempronia.

    Cornelia si occupò personalmente dell’istruzione dei figli, preparandoli alla vita pubblica e impartendo loro quei princìpi progressisti che ne sostennero le battaglie politiche a favore delle classi popolari. Cicerone li definì «figli non tanto del grembo della madre, quanto della sua cultura» ed elogiò Cornelia per aver fatto in modo che parlassero fluentemente il greco. Plutarco, lodandone le doti di educatrice, scriveva: «Sembra che in essi l’educazione potesse più dell’inclinazione naturale alla virtù, che comunque, per comune riconoscimento, essi possedevano più di tutti i loro concittadini». L’educazione e la virtù appresi dalla madre resero Tiberio e Caio due politici dalle idee rivoluzionarie, e in qualità di tribuni della plebe riuscirono nell’impresa di ottenere leggi più giuste per il popolo. Ma come quasi tutti i rivoluzionari, proprio a causa di quelle idee fecero una brutta fine.

    Cornelia è passata alla storia come personificazione dell’orgoglio materno anche grazie al famoso aneddoto riportato da Valerio Massimo. Un giorno aveva ricevuto la visita di una ricca matrona campana che per tutto il tempo non aveva fatto altro che vantarsi delle sue proprietà, delle sue ricchezze e soprattutto dei suoi gioielli, ostentati con una buona dose di cafona arroganza. Cornelia (che evidentemente nel salotto di casa non riceveva solo la crème de la crème degli intellettuali) aspettò il momento giusto per replicare a modo suo, ovvero con una buona dose di intelligente sense of humor: attese che i figli rientrassero e nel vederli, facendo la ruota per l’orgoglio, esclamò: «Ecco i miei gioielli!», battuta divenuta proverbiale. I figli erano tutto per lei, tanto che sulla base della statua eretta in suo onore era inciso solo «Cornelia, africanii gracchorum»: Cornelia, figlia dell’Africano, madre dei Gracchi. Non c’era bisogno di specificare altro, tutti la conoscevano, tutti l’ammiravano e pochi sparlarono di lei – cosa rarissima nell’Urbe. Quella di Cornelia fu la prima statua a Roma dedicata a una donna. A una madre. Ne è rimasto solo il piedistallo, forse la parte più importante, quella che ne sintetizzava le origini e il ruolo.

    Emiliano, il circolo degli Scipioni si chiude

    Dei dodici figli di Tiberio e Cornelia era sopravvissuta anche Sempronia. Se i gioielli diedero alla madre tante soddisfazioni – oltre al dolore immenso per la morte prematura e violenta, una sofferenza vissuta con compostezza esemplare – la figlia le procurò invece qualche grattacapo. Al contrario dell’irreprensibile madre, Sempronia non fu immune dai pettegolezzi. Uno solo in realtà, ma piuttosto pesante: il sospetto di aver fatto fuori il marito. Chi era il marito di Sempronia? Un suo parente acquisito: Publio Cornelio Scipione Emiliano, figlio naturale di Lucio Emilio Paolo (da qui il patronimico) ma adottato da Publio Cornelio Scipione, figlio dell’Africano. Come tutti in famiglia, anche Emiliano fece una brillante carriera e seguendo le orme dei parenti, si affermò come uno dei rappresentanti più significativi della classe politica che assicurò a Roma il dominio sul Mediterraneo. La sua vittoria durante la terza e ultima guerra punica, quella che rase definitivamente al suolo Cartagine nel 146 a.C., gli fece guadagnare l’appellativo di Scipione l’Africano Minore, per distinguerlo dal nonno. Ma Emiliano non si distinse solo sul campo di battaglia. Come si è detto più volte, infatti, gli Scipioni oltre che valorosi condottieri furono anche grandi intellettuali. Le origini della letteratura latina sono legate all’espansione oltremare di Roma, all’annessione della Grecia in particolare, e i principali patrocinatori della prima generazione di autori furono proprio gli Scipioni.

    Secondo quanto riportato da Livio, sul sepolcro di famiglia lungo l’Appia Antica, accanto alle statue tradizionalmente identificate come quelle dell’Africano e dell’Asiatico, c’era anche quella del poeta Ennio che, con la sua monumentale opera epica sulla storia di Roma, aveva celebrato le glorie della famiglia con tale partecipazione da diventarne quasi un membro acquisito. Scipione Africano, infatti, era stato il suo principale sponsor. Se Cornelia si era distinta come brillante animatrice di un raffinato salotto culturale, il genero Emiliano non fu da meno proseguendo sulla stessa strada. La cultura era nel dna di famiglia, ma non facciamo torto a nessuno affermando che Emiliano aveva interessi particolarmente profondi. Era colto, intelligente, ricco, onesto e pure bello. Abile oratore, conosceva a memoria i classici greci. Un testimone oculare affermò di averlo visto piangere davanti alle rovine di Cartagine in fiamme recitando un verso dell’Iliade sulla caduta di Troia, preoccupato che un giorno la stessa sorte sarebbe potuta toccare a Roma. Inevitabilmente viene in mente Nerone che canta l’Iliade di fronte allo spettacolo di Roma in fiamme durante il celebre incendio del 68 d.C., un gossip notissimo quanto falso e a questo punto neanche originale.

    Ma torniamo a Emiliano: quel testimone oculare era nientemeno che uno degli osservatori più acuti della storia e della politica romana, Polibio. Lo storico greco si era occupato dell’educazione di Emiliano seguendolo perfino in guerra e quando il suo pupillo si fece promotore del Circolo degli Scipioni, come già Cicerone chiamava il salotto culturale più in di Roma, ne divenne un assiduo frequentatore. L’influenza del Circolo a livello politico, sociale e artistico fu enorme. Vi si dibattevano idee nuove, progressiste, filoelleniche – ovviamente – e ne facevano parte filosofi, intellettuali e politici di spicco della nuova élite romana, oltre a poeti e letterati come Lucilio e Terenzio. Qualcuno arrivò addirittura a sospettare che fosse Emiliano stesso l’autore di alcune commedie di Terenzio, tanto erano stretti i rapporti tra i due. Cicerone vide nell’animatore del Circolo degli Scipioni la sintesi perfetta tra il mos maiorum, l’onestà degli antichi valori, e la nuova cultura ellenistica, e per le spiccate doti intellettuali oltre che politiche lo considerò un modello da seguire nell’arte del governo.

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    I funerali di Scipione Emiliano (da Storia di Roma di F. Bartolini).

    Proprio un impiccio politico fu causa della violenta fine di Scipione Emiliano. Ed ecco tornare in scena Sempronia. Anzi, prima torna in scena suo fratello Tiberio che nel 133 a.C. era riuscito a far passare una legge agraria a tutto vantaggio della plebe, che però gli costò la vita. Eliminato Tiberio, rimaneva il problema della legge e per bloccarne l’entrata in vigore fu chiamato in causa Emiliano. Restano oscure le ragioni per le quali abbia accettato l’incarico che, oltre a renderlo impopolare, andava contro le sue idee e quelle della famiglia. Senza considerare che Tiberio Gracco era il fratello di sua moglie Sempronia. Per questo Cicerone non fu il solo a insinuare che ci fosse proprio lei dietro la morte misteriosa del marito, e furono in molti a dare credito alla chiacchiera. Quando Scipione Emiliano venne trovato morto nel suo letto non furono svolte indagini e la causa del decesso rimase ignota. Numerose però furono le ipotesi, o se preferite i pettegolezzi: qualcuno parlò di morte naturale, qualcun altro di suicidio motivato dall’impossibilità di soddisfare i propri doveri politici, ma i più si schierarono a favore dell’ipotesi dell’omicidio, anche per la presenza di alcuni segni di strangolamento sul collo del morto.

    I principali sospettati furono i sostenitori dei Gracchi, ma i membri più pettegoli dell’élite romana non ebbero dubbi: era stata una vendetta della moglie Sempronia, i cui rapporti con il marito pareva si fossero guastati in seguito alla morte del fratello di lei. L’ombra del dubbio arrivò a offuscare perfino l’immacolata reputazione di Cornelia, la suocera del defunto, trasformando la madre perfetta nella suocera per antonomasia che tradizionalmente odia il marito della figlia. Il coinvolgimento di Cornelia nella morte di Emiliano probabilmente fu solo una malignità, ma certo se fosse vero ci sarebbe da riscrivere la storia.

    Catone il Censore

    Li ha osteggiati, calunniati, criticati, accusati e forse

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