Il bacio che non ti ho dato
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About this ebook
Marco Leonardi è un professore di Lettere e Filosofia in attesa di una cattedra all’università. Crede nell’amore a prima vista o almeno nell’attrazione a prima vista, ed è quello che gli succede quando incontra Stella a una festa di compleanno. Fra i due sembra nascere un’intesa, ma poi Stella sparisce senza nemmeno salutarlo. Stella Bonallevi è una giovane e promettente stilista con un passato scomodo. A ventinove anni decide di prendere il diploma di maturità per inseguire il suo sogno e, nell’istituto privato dove si è iscritta, si ritrova come professore di lettere proprio Marco. Non solo, Marco ha preso in affitto una stanza nella casa delle sue due zie dove vive anche lei. Al tipo di attrazione che provano entrambi non si sfugge, ma Stella fatica a lasciarsi andare. E se il destino avesse dei piani per loro? Sullo sfondo della campagna toscana, Marco e Stella stanno per imparare che, alla lunga, è impossibile ignorare i desideri del cuore.
Per quanto tempo si può ignorare la voce del cuore?
«Angela Contini fa sempre innamorare pazzamente!»
«Questa autrice ci ha abituato a personaggi sempre più belli.»
«Un romanzo che ho amato dall’inizio alla fine e che ho divorato pagina dopo pagina. Come sempre Angela riesce a scrivere storie e personaggi che ti entrano nel cuore e che te lo riempiono di magia e amore.»
Angela Contini
è nata in Germania ma è italianissima. Vive in un piccolo paesino con il marito e il figlio. Ama guardare serie TV, ascoltare musica e preparare dolci. La Newton Compton ha pubblicato Tutta la pioggia del cielo, Tutte le stelle del cielo, Tutto l'infinito del cielo, Tutte le nuvole del cielo, Tutti i colori del cielo e la Hunted Series.
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Il bacio che non ti ho dato - Angela Contini
1. Qualche mese prima
Stella
La sala è gremita di gente, le luci stroboscopiche accecanti. Siamo a fine giugno e comincia a fare caldo sul serio. Corpi sudati mi si strofinano addosso e l’aria condizionata sembra non funzionare affatto. Mi sono già pentita per aver accettato di accompagnare Giorgia a questa festa.
«Avanti, si tratta di un paio di giorni a Bologna. La mia migliore amica dei tempi dell’università compie trent’anni e non posso assolutamente mancare, ma sai quanto odio viaggiare da sola. Ti prego, accompagnami, Stella», ha insistito qualche giorno fa e non ho potuto fare altro che accontentarla. Sono troppo buona, lo dico sempre.
Non ho avuto il tempo di visitare Bologna. Non appena siamo arrivate abbiamo incontrato subito l’amica di Giorgia, che ci ha coinvolte nella sistemazione della sala che ha affittato per la festa del suo compleanno. Di nuovo ho detto sì.
Pensavo che mi sarei divertita e invece mi sono ritrovata a passare un intero pomeriggio ad appendere festoni e palloncini colorati alle pareti. Troppi palloncini, neanche fosse la festicciola di una dodicenne. Giuro che, a un certo punto, non mi sarei stupita di vedere anche degli scivoli gonfiabili.
Nonostante tutto la festa non è male, mi dico ora che sono qui, se provo a ignorare il caldo, la gente e le luci. E i palloncini. C’è da mangiare, da bere, molto da bere, e io ho indosso il mio vestito più bello: un top grigio chiaro con il bordo ricoperto di perline bianche abbinato a dei pantaloncini corti neri, sostenuti da un cinturino di pelle sintetica bianca.
Ho bisogno di bere. Mi allontano da Giorgia e dal suo gruppo di amici dell’università per dirigermi verso il tavolo delle bevande e versarmi qualcosa di fresco. Schivo un paio di tizi che mi sorridono come due idioti, saluto la sorella della festeggiata, sorrido al ragazzo dietro al tavolo delle bevande, gli chiedo un mojito, prendo il bicchiere e mentre faccio per girarmi e andarmene vado a sbattere contro qualcuno. Il mojito si versa proprio al centro del mio top. «Merda!», mi lascio sfuggire, prima di sollevare lo sguardo sul ragazzo più bello che abbia mai incontrato. Provo a dire qualcosa di sensato, ma non ci riesco. Mentre lui stringe le labbra e si passa una mano fra i capelli penso ancora che dovrei dire qualcosa, qualsiasi cosa, tipo: Dovresti stare più attento
, oppure, Perché non guardi dove metti i piedi?
, o ancora, Hai un fazzoletto?
.
«So cosa stai per dire», comincia lui infilandosi fra i miei pensieri con voce profonda, di quelle che sarebbero perfette per il doppiaggio di un film. «Che devo pagarti la tintoria. Hai ragione, lo farò. Ti restituirò il vestito lavato e stirato, poi ti chiederò di uscire. Tu accetterai perché ti faccio pena e da lì a una relazione seria il passo sarà breve. Così, senza nemmeno rendercene conto, saremo sposati con tre figli e in attesa del quarto». Sorride e ci manca poco che cominci a fissarlo a bocca aperta.
Faccio fatica a restare seria e quando finalmente riesco a parlare, dico: «Pensa che io volevo chiederti solo se avessi un fazzoletto». Mi sento molto spiritosa e un po’ idiota, sì. Anzi, poco spiritosa e molto idiota. Non so perché, ma è l’effetto che mi fa questo tizio.
«No, non servirebbe per quella macchia. Quindi dobbiamo sposarci per forza». Lui mi sorride e io sento decine di farfalle svolazzare nello stomaco. Ha un sorriso che è la fine del mondo. I capelli sono scuri come la notte sotto l’effetto delle luci, ricci e disordinati. Un velo di barba e gli occhi verdi, contornati da lunghe ciglia nere e folte sopracciglia, sorridono come le labbra. Ok, sì, i colpi di fulmine esistono sul serio. Chi sono io per mettere in discussione qualcosa che ho appena sperimentato sulla mia pelle?
«Scusa, devo aver esagerato con la birra. Ce n’è a fiumi qui. È difficile dire di no. Sono Marco». Marco. Che nome magnifico. Da condottiero. Da esploratore. Non potrebbe chiamarsi in altro modo. Allungo una mano verso la sua. La stringe e ne percepisco tutto il calore. È una mano forte e molto curata. Ho sempre apprezzato le belle mani in un uomo. Non solo le mani, è naturale, ma lo ammetto, sono una parte del corpo che mi ha sempre affascinata. Sono una feticista delle mani.
«Io sono Stella, piacere di conoscerti, Marco».
Lui continua a stringermi la mano. «Stella. È un nome bellissimo, ma scommetto che hai dovuto subire stupidi complimenti del tipo: Stella, brilli come il tuo nome».
«Una cosa del genere», annuisco mentre continuo a sorridere come la più invaghita delle ragazzine.
«Devo ammettere, però, che avevano ragione a dirtelo».
«Non scadrai anche tu nell’ovvio, vero? Cominciavo a pensare che fossi diverso dagli altri».
«Io sono diverso. Altrimenti perché avresti deciso di sposarmi?»
«Un buon matrimonio si basa soprattutto sull’originalità dei complimenti, non lo sai?»
«Quindi pensi che per conquistarti io debba osare di più?»
«Molto di più».
In questo momento la band che anima la festa attacca a suonare una versione a due voci, uomo e donna accompagnati da una chitarra, di True Colors. «La musica giusta, arriva al momento propizio». Marco allunga di nuovo la mano verso di me. «Ti va di ballare, Stella?»
«Con piacere», gli rispondo senza pensarci neanche un secondo, mentre le farfalle cominciano a fare capriole ed evoluzioni come fossero acrobati del circo. Un’altra decina di coppie hanno occupato il centro della sala mentre i bagliori psichedelici hanno lasciato spazio a un’illuminazione soffusa. L’atmosfera è magica e tra le braccia di Marco mi sento leggera come se fossi su una nuvola. Non è per niente normale questa cosa. È come se avessi bevuto litri di alcol. Forse l’ho fatto e non lo ricordo. Lui mi stringe senza osare troppo. È delicato, ma forte al tempo stesso. E ha un profumo…
«Il tuo profumo è buonissimo». Quasi non mi accorgo di dirlo, ma lui mi sente perfettamente. Idiozia uno, Stella zero.
«Hugo Boss. Il mio preferito», mi risponde, mentre annusa il profumo dei miei capelli. «È curioso», prosegue Marco.
«Cosa?», gli chiedo.
«Che io mi senta così a mio agio con qualcuno che ho appena conosciuto».
Non sospirare, Stella, non farlo. Dai sospiri a Perché non mi hai chiamata
è un attimo. Ma non posso fare a meno di ammettere che provo esattamente la stessa cosa. Mi sento bene, rilassata e in parte eccitata. No, soprattutto eccitata. Le sensazioni che sto provando sono meravigliose e spaventose allo stesso tempo e me ne stupisco io per prima. Vorrei che questa musica non smettesse mai, che questo ballo non avesse mai fine. Vorrei poter approfondire la conoscenza di questo ragazzo. Portarlo via da qualche parte, rapirlo magari. Chi è? Da dove viene? Cosa fa nella vita? Qual è il suo gusto di gelato preferito? Vorrei sapere tutte queste cose e molto altro.
«Prendimi pure per pazzo». No, perché mai? «Ma devo fare una cosa». La sua stretta si intensifica sulla mia vita, mentre lui abbassa il volto verso il mio. «È tutta la sera che ci penso».
«Tutta la sera?»
«Tutta la sera. Ti sono venuto addosso apposta. Il cocktail sulla maglietta non lo avevo previsto, ma è andata bene lo stesso». È così che deve sentirsi un astrofisico quando scopre una nuova stella.
«Sei…». Non riesco a trovare un termine appropriato, perché tutti quelli che mi vengono in mente non fanno parte della lingua italiana, ma piuttosto di quella dei primati.
«Arrogante? Presuntuoso? Forse, ma ho una voglia di baciarti da quando ti ho messo gli occhi addosso che mi sembra di impazzire. Uscirò fuori di testa se non lo faccio subito e sarà colpa tua, solo tua, se dovrai sposare un pazzo».
«Non sia mai. Desidero un marito nel pieno delle sue facoltà mentali».
«È un sì?»
«Lo è». Non credo possibile averlo detto, né che stia accadendo proprio a me.
Un neurone, uno solo, mi sta dicendo che potrei pentirmi di questo, ma gli altri, tutti gli altri, e so che sono tanti, hanno tirato fuori gli accendini e li stanno sventolando da una parte all’altra della mia testa intonando in coro:
But I see your true colors
Shining through
I see your true colors
And that’s why I love you
So don’t be afraid to let them show
Your true colors
Vogliamo negare l’evidenza? Non vogliamo dare una chance a questo amore? Vogliamo contraddire o smentire Cyndi Lauper?
«E vissero felici e contenti». Marco avvicina le labbra alle mie e il mondo, all’improvviso, sembra girare più veloce. «Hai le labbra più belle che abbia mai visto», mi sussurra quasi sulla bocca. Le mie ginocchia tremano. Non ho mai provato la tremarella alle ginocchia ed è semplicemente fantastico. Non credevo che facesse questo effetto. È come se fossero fatte di burro, due panetti di burro che si sciolgono a una temperatura decisamente alta.
Marco pare accarezzarmi con lo sguardo, sembra voglia chiedermi il permesso di andare avanti e se la musica non avesse cambiato ritmo all’improvviso e il cellulare di lui non avesse cominciato a squillare con insistenza, glielo avrei lasciato fare. Marco si allontana quel tanto che basta per permettermi di guardarlo in faccia. Il mondo non gira più e il cielo sta per cadermi sulla testa.
«Squilla sempre nei momenti meno opportuni». Mi sorride, ma quando guarda il display del cellulare il suo volto si scurisce. «Scusami, devo rispondere».
«Nessun problema. Grazie del ballo». Rispondo al sorriso e faccio per andarmene per lasciargli un po’ di intimità, quando lui mi prende una mano e mi ferma.
«Non sparire, ok?».
Annuisco con la testa e con i palpiti esagerati del cuore. «Mi trovi qui in giro». Mi allontano camminando a un metro da terra e quando raggiungo Giorgia mi sento raggiante.
«Non stavo sognando, allora?». La mia amica mi stringe una mano mentre mi guarda con gli occhi spalancati.
«Tu non so. Io di certo».
«Non credo proprio, sai? Mi pareva che fosse fatto di carne e ossa».
Credo sul serio di aver sognato. Quello che ho appena vissuto ha del surreale, eppure sento le labbra di lui ancora vicine alle mie. Le immagino calde, morbide.
Marco. Ha detto di chiamarsi Marco. E poi? Cosa so di lui? Niente, a parte il nome e il fatto che sia bellissimo, ma forse è stato questo a rendere tutto più eccitante e coinvolgente. E ora non ho altro in mente, nient’altro se non Marco, ma come ogni cosa bella che mi sia mai capitata nella vita – e sono davvero poche – ho paura che anche questa sarà destinata al peggiore degli epiloghi.
Quando decido di uscire fuori dal locale a prendere un po’ d’aria e a ripensare a quanto è accaduto, trovo Marco che mi dà le spalle, mentre passeggia avanti e indietro sul marciapiede, parlando al telefono. Non dovrei ascoltare, ma è più forte di me.
«Perché me lo chiedi? Lo sai molto bene». Con chi sta parlando? La curiosità cresce, ma rimango nascosta dietro la porta d’ingresso. «Vuoi sentirlo, va bene. Ti amo, lo sai che ti amo». Le ultime parole risuonano nella mia testa come campane stonate. Il mondo continua a rimanere fermo, il cielo sta per cadermi sul serio sulla testa e la terra si apre sotto i miei piedi. Che reazione esagerata, Stella! È che odio con tutta me stessa essere presa per il culo, che posso farci?
Provo una profonda delusione e so di non doverla provare affatto. In fondo lo conosco appena. Chissà fin dove si sarebbe spinto se glielo avessi permesso. Si è rivelato l’ennesimo sciupafemmine che spesso sono solita incontrare. Quella telefonata è stata provvidenziale. Chiunque ci sia all’altro capo del telefono, le indirizzo un muto ringraziamento e provo compassione per lei, visto che ha a che fare con un tizio che stava per infilare la lingua in bocca a un’altra.
Rientro all’interno della sala, ma solo per avvertire Giorgia che torno in albergo. Devo aver mangiato qualcosa che mi ha fatto male e ora ho un brutto mal di stomaco. Non è affatto la verità, quella gliela racconterò una volta sole, ma non posso rischiare di incontrare di nuovo Marco e fare finta di niente, così chiamo un taxi e sgattaiolo dall’uscita di servizio lasciandomi l’illusione di un bel sogno alle spalle.
Nel tragitto verso l’albergo quasi mi pento di essermene andata. Forse sarei dovuta restare, affrontarlo, lasciare che recitasse la parte del piacione e sul più bello mollargli un sonoro ceffone dandogli del bastardo. Bello, senza dubbio, ma bastardo. Poi me ne sarei andata tutta impettita, uscendo di scena a testa alta. Ma è andata diversamente.
Diciamola tutta: mi vergognavo come una ladra, perché io, la lingua in bocca a quel bastardo lì, gliel’avrei infilata volentieri.
2. Festa di compleanno
Marco
La prima cosa che faccio dopo aver imprecato in tutte le lingue possibili contro Lucrezia, è quella di cercare Stella, ma non la trovo in nessun angolo di questa maledetta festa. Mi convinco solo dopo una mezz’oretta che probabilmente è già andata via.
Andata. E non so un accidenti di lei, a parte che ha le labbra più belle che abbia mai visto e che, per la prima parte di questa serata impossibile, mi ha permesso di non pensare alla mia ex perché, ormai, di ex si tratta. Una relazione che non avrei mai dovuto iniziare.
Lucrezia mi ha lasciato da più di un mese, ma continua a chiamarmi per assicurarsi che io stia bene. Tante premure ora che non mi servono più. «Non mi butterò sotto un treno per te, se ti può consolare», le ho detto e lei non deve averla presa molto bene, perché guai a non essere disperati se si viene abbandonati da Lucrezia Lancetti.
Così ha cominciato ad accusarmi di non averla amata abbastanza, dicendo che era uno dei motivi per cui mi aveva lasciato. Balle. Lo ha fatto perché è innamorata solo di sé stessa e di nessun altro. Da sciocco romantico non ho potuto fare a meno di soffrire per la rottura. Lucrezia non era perfetta, ma avevo creduto nella nostra storia e accettato ogni difetto di quella ragazza. Vanitosa, supponente e boriosa, ancora non capisco cosa ci trovassi di buono, a parte l’indubbia avvenenza e una notevole maestria nel togliersi le mutande. Nonostante tutto, nessuna è riuscita a conquistarmi come Lucrezia, nessuna fino a questa sera, quando ho visto Stella.
Era appena arrivata alla festa, sorrideva a destra e a manca, si vedeva che era a disagio e si toccava in continuazione i lunghi capelli neri, una massa di onde morbidissime. Non le ho staccato gli occhi di dosso per tutta la sera, concentrandomi per la prima volta da tempo su qualcuno che non fosse Lucrezia. Ho deciso che dovevo conoscere quella ragazza, in un modo o nell’altro, e così ho fatto.
Il bacio che non le ho dato, purtroppo, non era previsto. Poi la telefonata, la litigata con Lucrezia, il ritorno nella sala, il desiderio di parlare di nuovo con Stella e la delusione di non averla più trovata.
Non so niente di lei. Ho chiesto alla padrona di casa, ma sa solo che è amica di un’amica, andata via anche lei da poco. E no, non sa in che albergo alloggino. E sì, ripartiranno l’indomani per tornare a San Gimignano.
San Gimignano. Il nome del posto in cui vive a quanto pare. So solo questo. San Gimignano. Un posto che torna curiosamente nella mia vita.
«Mi stai dicendo che ti sei preso una cotta per una che hai visto per la prima volta stasera alla festa di Sara?», Alessandro sghignazza davanti alla sua birra. All’interno del locale dove ci siamo rintanati dopo la festa fa caldo e sto sudando. Anche qui l’aria condizionata non va, proprio come nel locale della festa. La birra fresca aiuta a farmi sentire meglio, mentre un tizio dalla radio canta Despacito, e tenta in tutti i modi di provocarmi un feroce mal di testa.
Mi gratto il mento e Alessandro ridacchia e beve, e ancora ride e annuisce e a un certo punto fa ridacchiare anche me. Piego la testa all’indietro e gemo passandomi le mani sul volto. «Avresti dovuto vederla, Dio mio. Era l’incarnazione del mio ideale di donna. Quella che ho sempre solo sognato e non ho mai pensato potesse esistere. E invece me la ritrovo davanti all’improvviso. Bella da farmi stramazzare al suolo».
«Sarà piena di difetti… Tanta bellezza in una donna deve essere per forza compensata con qualcosa di negativo. Raramente ne ho conosciuta una bella che non fosse anche stronza. Vedi la tua
Lucrezia».
«Non lo so». Sospiro come uno stupido, come se non fossi un uomo di trentacinque anni dotato di intelletto. «So solo che mi sembrava perfetta».
«Perché sei rimasto accecato dalla sua luce». Alessandro si diverte da morire, lo vedo. «Non c’è una sola volta che tu non ti faccia coinvolgere a tal punto da una donna, sei un caso senza speranza».
«Questa volta è diverso», affermo. Non so perché, ma ne sono convinto.
«Non è sempre diverso?», insiste Alessandro.
«No. Ne ho fatte di cazzate per le donne, ma per questa potrei fare di peggio».
Alessandro scuote la testa e mi dà una pacca sulle spalle. «Non pensi che dovresti assicurarti che ne valga la pena prima?»
«È quello che intendo fare».
«E come intendi farlo?»
«Trovandola. A tutti i costi. San Gimignano non è mica la Siberia».
«Non potevi chiedere