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Guida curiosa delle Dolomiti
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Guida curiosa delle Dolomiti

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Un viaggio alla scoperta dei luoghi più insoliti delle montagne più famose del mondo

Le Dolomiti sono le montagne più famose e visitate del mondo, e anche tra le più belle. D’inverno sono affollate di sciatori, in estate arrivano escursionisti, alpinisti, amanti della bicicletta. Località come Cortina d’Ampezzo, Madonna di Campiglio, Brunico, Cavalese e Ortisei sono luoghi battuti da sempre, ma basta allontanarsi un po’ dai belvedere, dai sentieri e dalle piste da sci più famosi per scoprire una straordinaria e meno nota ricchezza di natura, di storia, di leggende. Hanno uno spazio importante nel volume i luoghi nei quali si conserva la memoria della Grande Guerra. E quelli legati ai personaggi famosi che sulle Dolomiti sono nati, o che le hanno frequentate per lavoro, durante le vacanze, o quando hanno indossato la divisa. Ampio spazio è inoltre dedicato a tutte le valli e tutti i massicci dolomitici, divisi tra l’Alto Adige, il Trentino, il Veneto e il Friuli: luoghi che si trovano all’interno delle zone protette (come ad esempio il Parco nazionale delle Dolomiti Bellunesi) o delle aree che sono state dichiarate Patrimonio dell’Umanità da parte dell’UNESCO.

I luoghi delle montagne più famose del mondo rivivono attraverso le storie, le leggende e i personaggi che le hanno abitate

Il Lago di Tovel
Il Labirinto del Latemar
La Bullaccia e le Sedie delle Streghe
Dobbiaco, i luoghi di Gustav Mahler
Il Museo Ladino di San Martino in Badia
La chiesa di San Silvestro e il Totoga
Cibiana, il paese dipinto
Cortina, i luoghi delle Olimpiadi del 1956
Dino Buzzati e le Dolomiti
Il castelletto della Tofana e i suoi tunnel
L’Altopiano del Sella e il Piz Boè
Rocce e wilderness in Val Mesath

Stefano Ardito
È una delle firme più note e prestigiose del giornalismo di montagna e viaggio. I suoi reportage compaiono sulle maggiori testate italiane. È autore di numerosi libri e guide sulle montagne d’Italia e del mondo e di una cinquantina di documentari e servizi. Con la Newton Compton ha pubblicato 101 storie di montagna che non ti hanno mai raccontato, 101 luoghi archeologici d’Italia dove andare almeno una volta nella vita, Le grandi scalate che hanno cambiato la storia della montagna, Cammini e sentieri nascosti d’Italia, Le esplorazioni e le avventure che hanno cambiato la storia. Nel 2015 ha vinto il Premio Cortina Montagna.
LanguageItaliano
Release dateJun 3, 2019
ISBN9788822731326
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    Guida curiosa delle Dolomiti - Stefano Ardito

    1. BOLZANO

    E LA BASSA ATESINA

    Bolzano, come Trento e Belluno, è la porta delle Dolomiti per migliaia di viaggiatori ogni anno. Tra loro sono escursionisti e alpinisti, sciatori e praticanti di altri sport della neve, vacanzieri in cerca di enogastronomia e di acque termali.

    Oggi, Bolzano – Bozen in tedesco – è un laboratorio di sviluppo e di convivenza tra popoli. Nel corso dei secoli, però, il capoluogo dell’Alto Adige-Südtirol ha avuto una storia complicata.

    Sorta come campo fortificato romano alla confluenza dell’Isarco nell’Adige, dove la strada per il passo di Resia si stacca da quella che sale dalla Pianura Padana al Brennero, è stata per millenni un luogo d’incontro tra genti di lingua italiana e tedesca.

    Tra il Medioevo e il Rinascimento, Bolzano ha assunto un aspetto prettamente germanico. Nell’Ottocento la ferrovia del Brennero e l’arrivo del turismo ne hanno fatto un gioiello dell’impero d’Austria-Ungheria.

    L’annessione all’Italia dopo la Grande Guerra, il fascismo e l’arrivo di migliaia di immigrati dal Veneto e dal Sud hanno trasformato la città e creato pesanti tensioni.

    La bellezza e le contraddizioni di Bolzano appaiono in piazza Walther, creata agli inizi dell’Ottocento al margine del centro medievale. Al centro si alza la statua di Walther von der Vogelweide, poeta medievale tedesco, forse di origini tirolesi. La statua, esiliata in periferia dalle autorità fasciste, è tornata al suo posto mezzo secolo dopo.

    Il volto germanico di Bolzano prevale quando ci si inoltra nel centro, verso la piazza delle Erbe con le sue case gotiche e il suo mercato, e la via dei Portici (Lauben), che ha preso forma nel Medioevo ma è ancora il cuore commerciale della città.

    Dall’altra parte, oltre il museo archeologico e il fiume Talvera, sono i quartieri della Bolzano italiana e il monumento alla Vittoria, in stile fascista, tutt’altro che amato dai bolzanini di lingua tedesca.

    Due raccolte, create da pochi anni, contribuiscono a fare di Bolzano una grande meta turistica. La prima è il nuovo museo archeologico dell’Alto Adige, creato per accogliere Ötzi, la mummia di cinquemila anni fa che è emersa nel 1991 dai ghiacci del Similaun, e che apre una finestra sulle Alpi di quel passato remoto. Racconta una storia più recente il museo Messner di Castel Firmiano, creato nel 2006 dal più noto alpinista al mondo. Le sue raccolte dedicate all’alpinismo, all’arte legata alla montagna, alla fede e alla cultura dei popoli montanari mostrano che Bolzano è una delle capitali delle Alpi.

    Il trenino del Renon

    Un treno di altri tempi corre ancora oggi sui binari che attraversano i prati e i boschi del Renon, in vista del Catinaccio, dello Sciliar e degli altri massicci delle Dolomiti altoatesine. Lunga quasi sette chilometri, la linea che attraversa l’altopiano collega Soprabolzano (Oberbozen), dove arriva la funivia dal capoluogo, con la stazione in stile liberty di Collalbo (Klobenstein), all’estremità orientale del Renon.

    Da Soprabolzano, il trenino raggiunge Costalovara (Wolfsgruben), che offre il panorama migliore sull’altopiano e le montagne che lo circondano. Più avanti, alla fermata di Stella (Lichtenstern), 1261 metri, la linea tocca la quota più elevata. Un tratto ricco di svolte e un laghetto precedono la fermata di Colle del Renon (Rappersbichl). Poi, costeggiando l’abitato di Collalbo, si arriva in leggera discesa al capolinea.

    Nel 2007 sono stati festeggiati i cent’anni della più nota (e ormai unica) ferrovia di montagna dell’Alto Adige, che è stata costruita nei primi anni del Novecento. Lanciata nel 1890 da un articolo del «Bozner Zeitung», l’idea di un collegamento tra Bolzano e l’altopiano del Renon (Ritten in tedesco) diventò concreta sei anni più tardi con la presentazione del progetto della ditta Stern & Hafferl di Vienna.

    Nel 1905 il comune di Bolzano approvò il progetto. I lavori iniziarono nel marzo 1906 e si conclusero in quattordici mesi. Per i muri e la massicciata furono utilizzate le cave di Santa Maddalena. Sul percorso c’era un unico tunnel. Il primo locomotore elettrico, costruito in Svizzera, arrivò nel 1907. Nei mesi successivi arrivarono gli altri mezzi, costruiti in Boemia. L’inaugurazione avvenne il 14 agosto 1907, il primo treno lasciò il capoluogo alle 7:16 del mattino.

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    Il treno storico alla stazione di Soprabolzano.

    Nella versione originale, la linea ferroviaria del Renon era più lunga e complessa di quella odierna. In quegli anni non c’erano né la funivia né la strada, e la linea, lunga dodici chilometri, collegava i paesi dell’altopiano al capoluogo. Il capolinea era in piazza Walther, cuore di Bolzano. La lunga salita, con un dislivello di quasi mille metri, veniva superata grazie a una cremagliera.

    La ferrovia ebbe successo, e contribuì al decollo turistico del Renon. I biglietti, troppo cari per i contadini, erano alla portata dei visitatori che arrivavano da ogni parte d’Europa. Tra loro, nel 1911, c’era il viennese Sigmund Freud che salì all’altopiano e soggiornò nell’hotel Bemelmans-Post di Collalbo.

    Il successo fece pensare a un prolungamento della linea verso Chiusa, da dove si sarebbe potuto proseguire verso la val Gardena e i suoi monti grazie al trenino che raggiungeva Ortisei. La Grande Guerra e l’annessione all’Italia fecero abbandonare il progetto, ma il trenino del Renon continuò a funzionare.

    La morte della cremagliera fu decisa nel 1964, quando iniziarono i lavori per la funivia da Bolzano all’altopiano. Qualche mese dopo, il deragliamento di un treno causò la morte di quattro persone. Il 15 luglio 1966 l’ultimo treno salì da Bolzano al Renon, l’indomani fu inaugurata la funivia e fu avviato lo smantellamento della cremagliera. Con il nuovo impianto, la salita dal capoluogo a Soprabolzano richiedeva dodici minuti invece di quarantotto.

    Sembrava che anche la linea sull’altopiano dovesse essere smantellata. Invece fu mantenuta in servizio. Tra il 1984 e il 1990 l’impianto venne messo in sicurezza con la sostituzione della linea elettrica e la sistemazione dei passaggi a livello.

    Oggi anche la funivia che sale da Bolzano è andata in pensione, ed è stata sostituita da una cabinovia. Sulla linea che traversa l’altopiano, una elettromotrice confortevole e moderna si alterna a quelle che hanno cent’anni. La prima viene utilizzata tutto l’anno negli orari dei pendolari e degli studenti, e tutto il giorno in bassa stagione.

    Le motrici storiche prendono il posto di quelle moderne negli orari più frequentati dai turisti. Spesso, a entrambi i capolinea, decine di visitatori provenienti da ogni parte del mondo fanno la coda per salire su un mezzo così ricco di storia.

    Se gli appassionati di ferrovie storiche vogliono solo fare avanti e indietro tra Soprabolzano e Collalbo, altri visitatori preferiscono utilizzare il trenino per raggiungere l’inizio di uno dei sentieri che attraversano il Renon toccando prati, coltivi, boschi e frazioni isolate, sempre in vista delle Dolomiti. Uno dei più interessanti, da anni, è stato intitolato a Sigmund Freud.

    Tutto l’anno. Associazione turistica Renon 0471.356100, www.renon.com, www.ritten.com, Ferrovia e cabinovia del Renon 0471.345121, www.sad.it

    La ciclabile dal Brennero a Bolzano

    Il passo del Brennero, crocevia dell’Europa, non è tra i luoghi più accoglienti delle Alpi. Accanto alla stazione, all’autostrada e alla dogana, si allineano brutti edifici moderni e caserme. Un centro commerciale attira clienti dall’Alto Adige e dal Tirolo austriaco. Qualche migrante cerca un modo per traversare il confine.

    Dal Brennero, però, inizia una splendida avventura sui pedali. Un cartello indica la pista ciclabile che scende verso Vipiteno. Basta qualche pedalata, e ci si ritrova nel silenzio. Novantotto chilometri più avanti, attendono le piazze, le chiese e i portici di Bolzano.

    La pista ciclabile della valle dell’Isarco, che collega il Brennero al capoluogo, è l’ultima nata della rete che traversa in tutte le direzioni l’Alto Adige, e che include anche i tracciati della val Venosta, della val Pusteria e della Bassa Atesina. Per realizzarla sono stati utilizzati tunnel e vecchi tracciati ferroviari, stradine di campagna, viottoli a picco sul fiume.

    Cicloturisti allenati possono farcela in un giorno. Ai meno bravi, o a chi vuole dedicare del tempo ai tanti monumenti sul percorso, consigliamo di dividere la fatica su due. La città medievale di Bressanone, a metà della ciclabile, offre una tappa ideale. I treni locali permettono di tornare al punto di partenza trasportando (ci vuole un biglietto supplementare!) la bici.

    Il clima, fresco anche in estate al Brennero, diventa più caldo nelle conche di Vipiteno e Bressanone, e può essere torrido a Bolzano. Nell’ultimo tratto, la vicinanza delle acque dell’Isarco e i lunghi tratti nel fresco dei tunnel creano una situazione più piacevole.

    Dal passo e dall’abitato del Brennero, si inizia con una lunga discesa a mezza costa. La ciclabile utilizza il tracciato ferroviario dismesso, e scende tra le foreste di abeti sulla destra orografica della valle, lontano dall’autostrada che utilizza il versante opposto.

    Alla fine della discesa si raggiunge la valle di Fleres, si va a sinistra fino a Colle Isarco, dove accoglie il ciclista una statua dell’imperatore Francesco Giuseppe. Una faticosa risalita precede la planata verso Vipiteno, dove i bar all’ombra della Torre delle Dodici offrono una piacevole sosta.

    Si riparte uscendo dalla città (attenzione alla segnaletica, a qualche incrocio si può sbagliare!), passando davanti a Castel Pietra e a Castel Tasso, e affrontando un’altra risalita che costringe molti a mettere piede a terra.

    Si riprende a scendere in ambiente tranquillo, accanto ai cumuli di materiale di risulta dello scavo del traforo di base del Brennero. Poco oltre sono le mura di Fortezza (Franzensfeste), costruita dagli Asburgo al bivio tra la valle dell’Isarco e la val Pusteria. Dei saliscendi in vista del lago di Varna, e un viottolo sterrato, precedono la discesa verso l’abbazia di Novacella e Bressanone.

    La seconda metà della ciclabile inizia sull’argine del fiume, gonfiato dalle acque di fusione dei ghiacciai. Una serie di passaggi sotto all’autostrada del Brennero porta al centro medievale di Chiusa, un altro gioiello dell’Alto Adige. Nel centro sono la chiesa quattrocentesca di Sant’Andrea e vari palazzi medievali, la salita al monastero di Sabiona dev’essere fatta a piedi.

    Si riparte accanto al fiume, nella valle che si stringe. Si passa da Ponte Gardena, si ammira da lontano l’imponente Castel Gardena, poi si traversano dei tunnel della vecchia ferrovia del Brennero, che nelle calde giornate d’estate offrono una gradita frescura. Oltre Prato all’Isarco, una serie di sculture moderne all’aperto precede l’arrivo nella conca di Bolzano.

    La ciclabile costeggia ancora l’Isarco, interseca vari percorsi frequentati dai ciclisti locali, poi raggiunge piazza Walther, la stazione e il centro. Qui l’avventura sulla ciclabile finisce. Chi ci ha preso gusto, e ha voglia di proseguire, può scegliere tra la pista che conduce a Merano e in val Venosta e quella che costeggia l’Adige verso i vigneti della Bassa Atesina.

    Da maggio a ottobre, www.suedtirol.info/it/esperienze/ciclabile-brennero-bolzano_activity_11080, associazione turistica di Bressanone 0472.836401, www.brixen.org, Azienda di Soggiorno e Turismo di Bolzano 0471.307000, www.bolzano-bozen.it

    La chiesa dei Domenicani

    La strada che passa per la valle dell’Adige, la valle dell’Isarco e il Brennero, da millenni, è una delle grandi arterie d’Europa. Nelle sue città, da secoli, le opere di artisti arrivati dal mondo germanico si affiancano ad altre di gusto italiano, ispirate a quelle dei migliori pittori e scultori del momento.

    Questa realtà si lascia facilmente capire passeggiando nel centro di Bolzano. Basta poco, dai palazzetti in stile mitteleuropeo di piazza delle Erbe e dai vicini portici, per raggiungere piazza Walther e le architetture gotiche del duomo. Pochi metri più avanti, uno straordinario ciclo di affreschi riporta con prepotenza all’arte italiana e toscana.

    La chiesa dei Domenicani, della fine del Duecento, ha alle spalle una storia lunga e tormentata. Affiancata per cinque secoli da un convento (che è stato soppresso nel 1785) è stata spogliata nei primi anni del secolo xix dai soldati di Napoleone. Trasformata in deposito di sale, e poi in magazzino dell’esercito, ha subìto danni durante la seconda guerra mondiale, a causa delle bombe degli aerei alleati lanciate contro la vicina ferrovia.

    Oggi la chiesa conserva opere d’arte come la pala con l’Apparizione di san Domenico a Soriano, dipinta intorno al 1654 dal Guercino ed esposta nella cappella dei Mercanti. Una parte degli affreschi della navata destra è opera della scuola di Martino da Verona, la Madonna in trono con i santi Barbara e Antonio è stata dipinta nel 1404 dal bolzanino di formazione tedesca Hans Stotzinger.

    La vera stanza delle sorprese, però, si raggiunge attraverso una porta che si apre di fronte all’ingresso della chiesa. Di colpo, ci si trova avvolti dai colori pastello e dalle figure dalle vesti drappeggiate tipiche dell’arte di Giotto. Gli affreschi dipinti tra il 1330 e il 1440 nella cappella di San Giovanni ricordano quelli della basilica superiore di Assisi e della cappella degli Scrovegni di Padova. Nient’altro del genere esiste in Alto Adige o in Trentino.

    È interessante notare che gli affreschi, opera di artisti di scuola giottesca padovana (il maestro nato nel Mugello, e morto nel 1337 a Firenze non sembra essersi mai spinto a nord di Padova) sono stati commissionati da Giovanni de Rossi, un banchiere fiorentino che si era trasferito a Bolzano, e più tardi cambiò il suo cognome in Botsch.

    Anche la dedica della cappella a san Giovanni, patrono del capoluogo toscano, la dice lunga sul rapporto tra queste pitture e la regione d’Italia più amata da tedeschi e inglesi. Le pitture della cappella celebrano i patroni di Firenze, ovvero san Giovanni Evangelista, san Giovanni Battista e san Nicolò.

    Gli affreschi, più volte restaurati, sono in ottime condizioni. Nella parete destra, di fronte all’ingresso, sono dipinte le Storie del Battista, nelle successive sono affreschi dedicati alla Madonna. Nelle volte compaiono i simboli dei quattro evangelisti, i padri della Chiesa e i profeti. Sulla parete di fronte, a sinistra per chi guarda, compaiono invece la Vocazione di san Giovanni, le Nozze di Cana e la Visione dell’Apocalisse, opera del Maestro del Trionfo della Morte, l’artista che più di tutti gli altri, nel gruppo arrivato da Padova, ha assimilato la lezione di Giotto nell’intensità delle espressioni, nella plasticità delle figure e negli sfondi.

    Il chiostro, che si raggiunge anche direttamente dalla strada, è stato costruito poco dopo il Mille e ha preso l’aspetto attuale alla fine del secolo xv. Molti affreschi della seconda fase sono andati perduti. Tra quelli sopravvissuti, spicca il ciclo realizzato intorno al 1496 da Friedrich Pacher, e trasformato dal bolzanino Sylvester Müller.

    Tra le opere di Pacher, nel lato meridionale del chiostro, spiccano un Cristo tra i dottori, il Battesimo del Cristo e i Santi e Beati domenicani. Accanto alla porta della sala capitolare sono dei Busti di Profeti di Pacher, e una Madonna, santa Caterina e un cavaliere della metà del Trecento. Una Crocefissione e altre scene bibliche di Friedrich Pacher spiccano accanto alla porta da cui si accede alla cappella di Santa Caterina.

    Anche quest’ultima conserva importanti frammenti di affreschi del Tre e del Cinquecento. Uno di questi, dipinto sulla parete d’ingresso in modo da essere visto prima di tornare nel mondo esterno, è un Giudizio finale ispirato a quello della cappella degli Scrovegni di Padova. L’influsso del grande artista toscano è evidente anche qui.

    Azienda di Soggiorno e Turismo di Bolzano 0471.307000, www.bolzano-bozen.it

    Ötzi e il suo museo

    Ignoriamo il suo nome, il suo mestiere, il punto di partenza e la destinazione finale del suo viaggio. Sappiamo che aveva con sé un pugnale di selce e un’ascia di rame, un amuleto di pietra, un arco, una faretra con quattordici frecce, uno zaino di corteccia contenente del carbone e un pezzo di carne secca di stambecco.

    Sappiamo che vestiva di pelli, e che le sue scarpe erano imbottite d’erba secca. Che aveva più o meno trent’anni, e che morì circa cinquemila anni fa traversando un valico alpino oltre i 3000 metri di quota. A ucciderlo, oltre al freddo e al maltempo, furono un trauma cranico e una freccia, durante uno scontro che possiamo solo immaginare.

    Con il suo rudimentale zaino, i suoi goffi vestiti, i suoi strumenti, il viandante percorreva una strada che sarebbe rimasta importante per millenni. Quella che collegava la Pianura Padana all’Europa settentrionale attraverso la valle dell’Adige, la val Senales, la Ötztal e la valle dell’Inn.

    Scoperta nel 1991 sul Giogo di Tisa, a poca distanza dal confine tra Italia e Austria dagli alpinisti tedeschi Erika e Helmut Simon, studiata pochi giorni dopo da Reinhold Messner, la mummia è stata scambiata all’inizio per il corpo di un escursionista moderno, e solo più tardi riconosciuta come uno straordinario reperto del passato. Oggi è conservata nel museo archeologico dell’Alto Adige, a Bolzano.

    Austriaci e tedeschi la conoscono come Ötzi, un nome che deriva dalla Ötztal, la valle tirolese da cui quel viaggiatore proveniva, o verso la quale era diretto. In Italia, invece, si parla e si scrive dell’Uomo del Similaun, facendo riferimento alla cima di roccia e ghiaccio che sorveglia la zona del ritrovamento.

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    La ricostruzione di Ötzi nel museo di Bolzano.

    In val Senales, il luogo del ritrovamento, gli itinerari che conducono al Giogo di Tisa sono lunghi e impegnativi. Il più seguito sale dai 1711 metri di Vernago, in val Senales, fino ai 3039 del rifugio Similaun, e prosegue su un crinale dov’è bene avere la piccozza e i ramponi. Il più bello, che inizia dall’arrivo della funivia di Maso Corto, è meno faticoso ma si svolge su terreno alpinistico, con passaggi attrezzati su roccia e un piccolo ghiacciaio.

    L’interesse destato da Ötzi si riversa sul museo archeologico dell’Alto Adige, nel centro storico di Bolzano, che merita senz’altro una visita. La mummia viene conservata in una cella refrigerata e sterile, a una temperatura di -6° e un’umidità relativa che sfiora il 100%, le condizioni ambientali dell’interno di un ghiacciaio. I visitatori possono osservare la mummia attraverso un oblò.

    Ma se la mummia offre uno spettacolo macabro, il corredo dell’uomo venuto dal ghiaccio consente di affacciarsi su un mondo e una cultura straordinari. Osservare gli oggetti che l’uomo aveva con sé – il pugnale, l’ascia, l’arco e le frecce, lo zaino – e gli indumenti, costruiti con materiali che a noi sembrano insignificanti, ci spiega che gli uomini dell’Età del Rame erano in grado di sfruttare in maniera straordinaria le fibre vegetali e gli altri materiali in loro possesso. Al piano superiore del museo, una ricostruzione di Ötzi com’era in vita consente ai visitatori di scattare un selfie con un uomo vissuto cinquanta secoli fa.

    Museo archeologico dell’Alto Adige 0471.320100, www.iceman.it, Azienda di soggiorno e turismo di Bolzano 0471.307000, www.bolzano-bozen.it

    Il museo Messner di Castel Firmiano

    Il castello più visibile dell’Alto Adige è uscito qualche anno fa dall’abbandono. Tra le torri e le mura di Castel Firmiano – Schloss Sigmundskron in tedesco – che dominano Bolzano, l’autostrada del Brennero e la superstrada per Merano, è stato inaugurato nel 2006 il quarto dei musei che Reinhold Messner, uno dei più famosi alpinisti di tutti i tempi, ha dedicato alle montagne e al loro rapporto con l’uomo.

    L’altura rocciosa di Firmiano, affacciata sulla confluenza dell’Isarco nell’Adige, era già abitata nella preistoria. La fortezza è sorta nel Medioevo, quando i conti di Tirolo avevano bisogno di bloccare l’espansione verso nord della Serenissima repubblica di Venezia.

    Il rafforzarsi dell’impero di Austria-Ungheria ha reso il castello inutile. Dall’Ottocento in poi le mura hanno iniziato a cadere in rovina, mentre all’interno è stato realizzato un ristorante. Qui, nel secondo dopoguerra, si sono svolte importanti manifestazioni della Südtiroler Völkspartei e di altri movimenti politici di lingua tedesca. Poi è arrivato Messner.

    Impegnato da tempo a realizzare i suoi musei dedicati alla montagna (prima nel Castel Juval, poi sul monte Rite, infine a Solda), il re degli ottomila ha individuato in Firmiano il centro del sistema del Messner Mountain Museum. Il restauro è stato curato dalla provincia di Bolzano, poi Reinhold ha arredato l’interno con cimeli alpinistici e con opere d’arte in parte provenienti dalla sua collezione, e in parte realizzate per l’occasione.

    Il risultato è un percorso di grande interesse per chi conosce la storia della montagna e dell’alpinismo. Il turista meno esperto resta affascinato dalle mura, dagli oggetti esposti, dal panorama che abbraccia i vigneti, Bolzano e Merano, le guglie dolomitiche dello Sciliar, il granito delle montagne di Tessa e i lontani ghiacciai alpini.

    Non si sale in cima alla collina, dove sorge una piccola chiesa affrescata e ancora pericolante. L’itinerario della visita gira intorno alla vetta in senso orario come la kora, il pellegrinaggio buddhista intorno al monte Kailash, in Tibet. Delle cinque torri del castello, ognuna è dedicata a un tema, illustrato con opere d’arte e cimeli.

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    Il mastio di Castel Firmiano e una statua induista.

    Dall’ingresso, superati lo shop e il caffè-enoteca all’aperto, si raggiunge la residenza nobiliare, che accoglie le esposizioni temporanee. Subito dopo si sale al mastio, dove si scopre una collezione dedicata alla storia dell’Alto Adige e del castello. «La storia recente, qui, è un tema controverso. Nel resto del museo ho fatto quello che ho voluto, in queste sale la provincia ha voluto controllare l’allestimento», spiega Reinhold Messner.

    La torre nord, che si raggiunge con una passerella metallica, è dedicata al rapporto tra la montagna e la fede, evidente in Mosè come nel Buddha, raccontato con dipinti, sculture e dei magnifici thangka, colorati arazzi tibetani che contrastano con le antiche pietre delle mura. All’esterno è un teatro all’aperto, scavato nella roccia.

    Delle scale portano a una terrazza da cui lo sguardo spazia verso Bolzano e le Dolomiti. In una galleria artificiale sono opere dedicate ai cristalli e alla leggenda di re Laurino, ambientata sul Catinaccio. Una passerella porta a un masso apparentemente in bilico, che simboleggia la punizione di Sisifo, costretto a spingere verso l’alto un macigno che rotola regolarmente a valle.

    È una buona introduzione, secondo Messner, per le successive tre torri dedicate alla splendida fatica inutile che è l’andar per montagne. La prima racconta l’invenzione e lo sviluppo dell’alpinismo dalla conquista del monte Bianco nel 1786.

    La seconda è dedicata ai punti chiave delle Alpi, le vette come il Cervino, le Tre Cime di Lavaredo o l’Eiger, dove gli alpinisti hanno scritto le loro grandi avventure. In due salette sono esposte le fotografie in bianco e nero di un centinaio di alpinisti, e reperti (chiodi, capi di abbigliamento, calzature) delle loro salite più importanti.

    La terza torre è dedicata alle grandi montagne del mondo, dagli ottomila dell’Himalaya alle cime più alte dei sette continenti come il McKinley (che nel 2015 ha ripreso il nome originale Denali), il Kilimanjaro, il Vinson e l’Aconcagua. Un bel prato, utilizzato per manifestazioni e conferenze e sorvegliato da un’austera divinità nepalese, precede il passaggio nelle mura che segna la conclusione della kora di Firmiano.

    «Levando lo sguardo verso i monti non è importante ciò che comprendiamo, ma ciò che proviamo», spiega Reinhold Messner. Difficile che la visita del museo e del castello affacciato su Bolzano non susciti delle forti emozioni.

    Tutto l’anno tranne gennaio e febbraio, visita a pagamento. Messner Mountain Museum Castel Firmiano 0471.631264, www.messner-mountain-museum.it, Azienda di soggiorno e turismo di Bolzano 0471.307000, www.bolzano-bozen.it

    Il canyon del Bletterbach

    I visitatori dell’Alto Adige, da sempre, frequentano soprattutto le vette, i centri storici, i castelli e le piste da sci. Anche le zone a quote più basse, però, sono spesso di grande interesse. Nel più profondo canyon del Sudtirolo, che scende per duemila metri di dislivello dal Corno Bianco alla valle dell’Adige, lo spettacolo è offerto dalla roccia, dai boschi e dall’acqua.

    La forra, lunga quasi otto chilometri, profonda fino a quattrocento metri e tutelata dalla provincia di Bolzano, è stata scavata dalle acque che scendono dal Corno Bianco, e da quelle che confluiscono dai versanti di Aldino e Redagno. Il canyon, noto ai montanari locali con i nomi di Bletterbach (Rio delle Foglie) o Butterloch (Buco del Burro), attira visitatori da molto tempo.

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    Le rocce verticali del Bletterbach.

    A Redagno (Radein) si ricordano le visite del fisico tedesco Max Planck, che venne in villeggiatura nel 1926 e nelle estati successive, e che apprezzò la tranquillità della zona. Il Bletterbach, però, si raggiunge dalla vicina Aldino (Aldein), seguendo i cartelli per il Geoparc.

    Dopo aver esplorato il centro visitatori, con le sue animazioni, i suoi plastici e le sue postazioni interattive, si seguono le indicazioni del Sentiero geologico. Un viottolo in discesa e dei gradini portano al fondo del canyon. Qui si segue a ritroso il viaggio dell’acqua, sul sentiero che risale la forra accanto al torrente, evita un salto da cui scroscia una cascatella, e continua tra rocce modellate dall’erosione.

    In alto la valle è sbarrata da un salto roccioso, da cui scende una cascata. Il sentiero supera tre ripide scale metalliche (comode e sicure, ma è importante tenere d’occhio i bambini), poi traversa a mezza costa fino al terrazzo roccioso da cui la cascata precipita nel vuoto. Chi non se la sente di affrontare le scale può tornare per il sentiero dell’andata.

    Una nuova salita porta a una strada sterrata, che si segue verso sinistra in discesa, con magnifici panorami dall’alto sul Bletterbach. Alla fine, dopo aver toccato la Laner Alm, una comoda malga-rifugio, si torna al piazzale del Geoparc. L’intero anello richiede un’ora e mezza di cammino.

    Oltre allo spettacolo dell’acqua, il canyon offre l’incontro con rocce multicolori, bianche intorno alla cima del Corno Bianco e grigie o rosse nella parte inferiore. Alla base di questa piramide naturale è il porfido quarzifero di Bolzano, creato tra i 280 e i 260 milioni di anni fa dalla cenere e dalla lava fuoriuscite dai vulcani della placca continentale nord-africana.

    Sul porfido poggia l’arenaria della val Gardena, creata dall’erosione delle rocce che formavano delle montagne più antiche. In seguito fiumi e torrenti hanno trasportato la sabbia verso le coste, dove si è depositata formando delle spiagge, ed è stata schiacciata dal peso del calcare. Orme di animali e resti di piante si sono conservati nella sabbia e nel fango.

    Il terzo piano delle rocce è la formazione a Bellerophon, che si è formata in acque basse e lagune analoghe a quelle odierne della laguna veneta o delle Bahamas, che si prosciugavano spesso per essere poi di nuovo inondate. Nel fango, sotto al sole tropicale, si sono formati dei coaguli di gesso. Il loro colore che varia dal bianco al rosso testimonia della vita marina.

    Gli strati di Werfen, che formano il quarto livello, si sono creati dopo la grande catastrofe (provocata dalla caduta di meteoriti, da un cambiamento climatico o da quello delle maree) che provocò l’estinzione di molte forme di vita sulla Terra.

    In queste rocce, spesse fino a quattrocento metri, compaiono fossili di animali e di piante diversi da quelli del passato. Corona la piramide la dolomia che forma la cima del Corno Bianco. Questa roccia che si è formata in acque basse riporta il visitatore alle Dolomiti.

    Lungo il Sentiero geologico, delle tavole didattiche informano il visitatore sui punti più interessanti delle formazioni rocciose che si sono formate nel Permiano e nel Triassico e sono stati riportati alla luce dall’erosione dell’acqua. Ci sono informazioni sui fossili (piante, legni, crostacei, cefalopodi) e sulle tracce di diversi tipi di sauri che sono state individuate nella forra.

    Nel centro visitatori è la ricostruzione di un pareiasauro, un rettile del Permiano (260 milioni di anni fa), forse antenato delle tartarughe e più antico dei veri e propri dinosauri che è stato riportato alla luce negli anni Ottanta da un team di ricercatori di Roma.

    Nel museo geologico di Redagno si ammirano invece dei calchi di lastroni di roccia con le impronte di antichissimi sauri. Accanto allo spettacolo offerto dalla roccia e dall’acqua, il canyon del Rio delle Foglie conserva delle tracce straordinarie di vita.

    Da maggio a ottobre, visita a pagamento. Geoparc Bletterbach 0471.886946, www.bletterbach.info, ufficio turistico Aldino 0471.886800, www.aldino-redagno.com, malga Laner 0471.886056, www.laneralm.com

    Sentieri e natura a Caldaro

    In alto sono le rocce chiare del Roèn, la montagna che sorveglia i paesi della Bassa Atesina. Più in basso sono alcuni dei vigneti più famosi della provincia. Il Pinot, il Sauvignon, il Traminer, il Cabernet prodotti lungo la strada del Vino hanno fatto il giro del mondo, e attirano qui, ogni anno, migliaia di amanti del buon bere.

    È in buona parte legata al vino la prosperità dei centri della Bassa Atesina. Ad Appiano, a Termeno e a Caldaro, i palazzi dei proprietari terrieri sorvegliano centri storici curati, dove sorgono chiese di grande interesse artistico. Anche molti dei masi tra i vigneti sono edifici storici, come quello dov’è stato realizzato il museo provinciale del Vino dell’Alto Adige.

    Tra il paese da cui ha preso il nome e Termeno, il lago di Caldaro è il più esteso tra i bacini di origine naturale dell’Alto Adige, e insieme il più temperato tra i laghi alpini. Esteso su 155 ettari, si trova a 216 metri di quota sul mare e ha una profondità media di quattro metri. La conca che lo ospita da millenni era in passato un tratto del letto dell’Adige.

    Non a caso, in estate, il lago di Caldaro viene preso d’assalto da bagnanti, appassionati di vela e surfisti. A San Giuseppe, sulla sponda settentrionale, sono tre stabilimenti balneari. Si possono noleggiare tavole da surf, barche a remi, pedalò e pattini. In estate vengono proposti corsi di windsurf. La navigazione a motore è vietata.

    Da marzo a settembre, intorno alle 13, inizia a soffiare l’Ora, un vento proveniente dal lago di Garda che rende felici i surfisti e i velisti. Nel 2006 il lago di Caldaro è stato classificato tra i dieci laghi più puliti d’Italia in un’indagine di Legambiente.

    Ma se il paesaggio agricolo intorno a Caldaro e al suo lago è stato plasmato nei secoli dall’uomo, il più vasto bacino di origine naturale dell’Alto Adige è anche un grande spazio di natura. Dal 2000 il lago, insieme ai canneti della sponda meridionale, è un biotopo protetto dalla Provincia autonoma di Bolzano. La presenza di oltre duecento specie di uccelli, tra stanziali e migratori, ne fa una meta d’eccezione per gli appassionati del birdwatching.

    Per chi preferisce il binocolo alla tavola da windsurf (ma le due attività si possono piacevolmente alternare) le alte stagioni del lago sono la primavera e l’autunno.

    Percorrendo a piedi la stradina asfaltata (Kuchlweg) o la passerella pedonale che corrono a sud del bacino, tra i canneti da un lato e la campagna coltivata dall’altro, si possono osservare piccoli rallidi come il voltolino e la più rara schiribilla. A sud-est del bacino si estende una pioppeta nei cui tronchi scavano il nido il picchio verde e il picchio cenerino, e si vede spesso il picchio nero.

    Sul bacino principale, che si scopre da alcuni pontili, si possono vedere l’airone cenerino, il cormorano, lo svasso maggiore, la folaga, la gallinella d’acqua, varie specie di anatre di superficie e tuffatrici, e rapaci come il nibbio bruno e il falco di palude. Tra i canneti si lasciano vedere il cannareccione, la cannaiola, il migliarino di palude, il pendolino e il tarabuso.

    A febbraio le acque ritornano interamente libere dal ghiaccio, e le oche selvatiche sostano durante la loro migrazione verso nord. Tra i migratori che si lasciano osservare di rado spiccano il falco pescatore, la gru, il marangone minore, l’oca colombaccio e l’aquila minore.

    La sponda meridionale del lago può essere raggiunta in due modi. La più varia e faticosa consiste nel seguire interamente, a piedi o in bicicletta, la pista di 7,5 chilometri che compie il periplo del bacino. Il percorso inizia dal Lido, si allontana dal lago tra i vigneti, poi incrocia la strada per Termeno e raggiunge i canneti della sponda meridionale, che si traversano su una passerella. Alla fine si sbuca sulla strada che proviene da Ora, la si segue verso nord, poi si piega a sinistra il Lido. In più punti pedoni e ciclisti devono seguire itinerari diversi.

    Chi cerca una passeggiata più breve può raggiungere in auto un posteggio sulla strada che collega Ora a Campi al Lago, e seguire la passerella tra i canneti. Da vedere i resti dei castelli che sorvegliavano il lago da est. La stradina che scavalca il monte di Mezzo toccando Novale (Kreith) tocca le rovine di Castel Varco (Laimburg), belvedere sulla valle dell’Adige. Un viottolo da percorrere a piedi sale ai 575 metri di Castelchiaro (Leuchtenburg), dal quale il panorama abbraccia anche il Roèn, il lago di Caldaro e i vigneti che lo circondano.

    Tutto l’anno. Ufficio turistico Caldaro 0471.963169, www.kaltern.com, sito del lago di Caldaro www.kalterersee.com, Consorzio turistico Bolzano vigneti e Dolomiti 0471.633488, www.stradadelvino.it

    Trodena e il parco del monte Corno

    Le alture che separano la valle dell’Adige dalla bassa valle di Fiemme segnano il confine del mondo dolomitico, e offrono dei paesaggi sorprendenti. Il monte Corno, che culmina a 1817 metri di quota ed è protetto da un parco della provincia di Bolzano, è rivestito tra il passo di San Lugano e la cima da boschi di conifere.

    A sud si affaccia sulla Bassa Atesina il Giardino del Sudtirolo, con pareti calcaree che creano un microclima mediterraneo. Ai suoi piedi, intorno a Egna e Ora, sono rinomati vigneti.

    Non c’è da stupirsi, insomma, se l’interesse del parco naturale di monte Corno è prima di tutto botanico. In alto l’area protetta è rivestita da fitti boschi di abete, che lasciano in basso il posto al pino silvestre, all’abete bianco, al faggio e infine a un bosco ceduo con roverella, carpino nero e orniello. Intorno alla torbiera della Palù Longa crescono piante carnivore come la drosera e la pinguicola.

    L’altitudine, il clima, l’acqua, il suolo e l’esposizione determinano anche la presenza e la distribuzione della fauna. Il ramarro è il gioiello faunistico della zona a vegetazione mediterranea. Nella stessa zona, nelle giornate più calde, si ascolta frinire la cicala. Nei cespugli vive la mantide religiosa.

    Le pinete offrono un ambiente favorevole a mammiferi e uccelli. Il topo selvatico e il tasso trovano nel terreno roccioso e arido condizioni favorevoli per costruire le loro tane. La formica rufa si è evoluta nelle pinete in una forma tipica.

    Le forre umide, dove crescono il faggio, il tasso, il carpino nero e l’acero, sono predilette dal capriolo e dal cervo. Nei boschi costruiscono il nido le cince, i picchi muratori e varie specie di rapaci notturni.

    Sui prati del crinale vivono uccelli e mammiferi che prediligono vecchi alberi con cortecce screpolate, e cumuli di pietra ideali per nidificare e nascondersi. In questo ambiente si possono incontrare il corvo imperiale e la lepre variabile.

    Anche l’uomo ha lasciato tracce importanti nella zona. Per presidiare la valle dell’Adige e la millenaria strada che collega la Pianura Padana al Brennero sono stati costruiti i fortilizi di Salorno (lo Haderburg) e di Castel d’Enna (Schloss Enn) e Castelfeder. Qui, dal Medioevo, l’etnia tedesca e quella italiana sono riuscite a convivere senza problemi.

    Testimoniano della prosperità di queste zone agricole (soprattutto vino e mele) interessate dal commercio e dallo sfruttamento dei boschi anche i centri storici di Ora (Auer), Egna (Neumarkt), Montagna (Montan) e Salorno (Salurn). Il piccolo centro di Anterivo (Altrei), da secoli, è un’enclave di lingua tedesca protesa verso le valli di Fiemme e di Cembra.

    La base migliore per visitare il parco è senz’altro Trodena (Truden), che si raggiunge dalla strada che sale da Ora ed Egna verso il passo di San Lugano e Cavalese. Nella parrocchiale gotica (sorta nel secolo xii, ma rimaneggiata più volte) spicca la statua lignea della Madonna della Misericordia. Nel centro visitatori del parco è stato ricostruito un mulino ad acqua.

    Da Trodena, 1127 metri, si può salire a piedi verso ovest, nel bosco, in direzione del passo Cisa (Ziss Sattel in tedesco) e della Krabesalm (o Malghette), ottima meta per una passeggiata in famiglia. Una breve discesa in direzione di Annerivo porta agli acquitrini della Palù Longa (Langmoos), dov’è facile avvistare i caprioli.

    L’itinerario più vario inizia dal centro visitatori, esce a mezza costa dal paese e continua per una stradina in parte selciata e in parte sterrata, che sale con bella vista su Trodena e il monte Corno, toccando una calcara restaurata.

    Dove la pendenza diminuisce si segue a sinistra un sentiero nel bosco. Dei saliscendi tra querce, faggi e conifere, un tratto esposto protetto da una staccionata, poi una discesa e una risalita portano a un prato che si risale fino a ritrovare la sterrata.

    Seguendola a sinistra si raggiungono i 1250 metri della malga Cislon (Cisloner Alm), circondata da magnifici prati e belvedere verso la valle dell’Adige e le Dolomiti di Brenta. Occorrono tre quarti d’ora di cammino, e chi vuole fermarsi può assaggiare i prodotti della malga.

    Chi cerca una passeggiata più lunga può ripartire sulla strada, affacciata sulla valle dell’Adige. Si lascia a sinistra una diramazione, si sale a mezza costa e si raggiunge un tornante affacciato sulla strada che sale da Ora a San Lugano. Qui si imbocca un sentiero che sale verso destra a tornanti, e si affaccia dall’alto sulla Hohe Wand, la parete con la quale il monte Corno si affaccia sulla Bassa Atesina.

    Il percorso, sempre facile, diventa per un tratto un po’ aereo. Una discesa in cui il sentiero si divide (si può passare da entrambe le parti) porta alla strada forestale di Praglasir, alla strada asfaltata e a Trodena. In questo caso, da malga Cislon, si cammina per poco più di un’ora.

    Da maggio a novembre. Malga Cislon 0471.1889832, centro visitatori parco del monte Corno 0471.862947, ufficio turistico Trodena 0471.869078, www.trudnerhorn.com

    Il castello di Salorno

    Una spettacolare fortezza sorveglia il confine meridionale dell’Alto Adige. Tra il centro di Salorno e la chiusa, il punto più stretto della valle dell’Adige che segna da secoli il confine tra il Trentino di lingua italiana e il Sudtirolo dove si parla soprattutto tedesco, i resti di un castello addossato alla montagna si affacciano sull’autostrada del Brennero, sulla vecchia statale, sulla ferrovia che congiunge Trento a Bolzano.

    Il castello di Salorno (Haderburg in tedesco) è stato costruito dai conti di Salorno all’inizio del secolo xiii. A ricordarlo per la prima volta è un documento del 1222. Più tardi la fortezza passò al conte Mainardo di Tirolo, e venne espugnata nel 1349. Poi appartenne alla casata dei Botsch, e poi ancora nel 1497 ai von Völs, signori di Fiè allo Sciliar.

    Nel 1514 l’imperatore Massimiliano d’Asburgo ordinò che la costruzione fosse adattata alle esigenze imposte dalle artiglierie, con la costruzione di bastioni arrotondati. La mancanza di spazio per costruire nuove strutture in muratura, e il consolidamento dell’impero di Austria-Ungheria che ridusse il suo ruolo strategico, fecero sì che lo Haderburg venisse

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