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Il mio meraviglioso imprevisto
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Il mio meraviglioso imprevisto

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About this ebook

«Una storia d’amore di quelle con la A maiuscola.»

Chi è davvero quell’uomo misterioso e perché conosce così tante cose di lei?

Mercy è una ragazza solare, sempre gentile e disponibile. Lavora in un supermercato e le piace riordinare scaffali e stare in mezzo alla gente. La sera del suo compleanno esce insieme alla sua migliore amica, Juls, per andare a festeggiare. Ballano, bevono e si divertono, ma a fine serata, nel parcheggio, vengono aggredite da due ragazzi conosciuti poco prima nel locale. La situazione sta per mettersi male, quando all’improvviso un misterioso uomo arriva a salvarle. Si scaraventa contro i due ragazzi e li mette in fuga. Mercy rimane folgorata dalla sua presenza, soprattutto perché l’uomo conosce il suo nome. Juls invita l’amica a non rimuginare sull’accaduto e a non interrogarsi sull’identità di quella persona: sono salve e questa è l’unica cosa che conta. Dopo l’episodio le giornate trascorrono normali, ma Mercy non riesce a smettere di pensare all’uomo che le ha salvato la vita, fin quando, una sera, non se lo ritrova davanti. Chi è davvero quell’uomo misterioso e perché conosce così tante cose di lei?

Tutto ciò che so  di lui è che mi ha salvato la vita.
Per gli altri è solo una coincidenza.
Per me è destino.

Hanno scritto dei romanzi di Nicole Teso:
«Chi di noi donne non ha mai sognato di essere salvata da qualcuno? Un eroe, un principe azzurro, un cavaliere misterioso. Ed è quello che succede a Mercy quando incontra per la prima volta Adam.»

«Un romanzo intrigante e che ti lascia con il fiato sospeso, assolutamente consigliato.» 

«Questo libro mi ha veramente stregata.»

Nicole Teso
è nata a San Donà di Piave nel 1996. Commessa di giorno e folle autrice di notte, ha esordito a soli diciannove anni,  autopubblicando il primo volume di una trilogia dark. Legge da quando è nata e scrive da quando le è stata messa una penna in mano. Ama qualsiasi genere di storia, purché intensa e popolata da protagonisti dall’animo oscuro. Nel tempo libero le piace fare shopping, viaggiare e nascondersi nei mondi immaginari creati dalla sua mente. Il mio meraviglioso imprevisto, precedentemente autopubblicato, è il suo primo romanzo edito dalla Newton Compton.
LanguageItaliano
Release dateFeb 14, 2019
ISBN9788822728920
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    Il mio meraviglioso imprevisto - Nicole Teso

    2172

    Già pubblicato in versione elettronica

    con il titolo Dimmi chi sei.

    Questo racconto è un’opera di finzione.

    I personaggi, gli avvenimenti e i dialoghi descritti

    sono frutto della fantasia dell’autrice.

    Ogni somiglianza con eventi, luoghi o persone reali,

    vive o defunte, è puramente casuale.

    Copyright © Nicole Teso 2017

    Prima edizione ebook: marzo 2019

    © 2019 Newton Compton editori s.r.l., Roma

    ISBN 978-88-227-2892-0

    www.newtoncompton.com

    Edizione elettronica realizzata da Pachi Guarini per Corpotre, Roma

    Nicole Teso

    Il mio meraviglioso

    imprevisto

    Newton Compton editori

    Ci sono un’infinità di cose che desideriamo.

    Passiamo la vita a sperare che arrivino.

    Ci sono un milione di cose che arrivano

    senza nemmeno avvisare.

    I cosiddetti imprevisti.

    Questo libro è per te.

    L’imprevisto.

    La cosa fantastica che non ti aspetti,

    ma che complica tutto.

    A chi arriva e ti stravolge la vita.

    A chi c’è sempre stato.

    A chi è scappato alla prima difficoltà.

    E a chi è sempre rimasto.

    Questo è per voi:

    i miei meravigliosi imprevisti.

    Indice

    Capitolo 1

    Disintegrare

    Capitolo 2

    Capitolo 3

    Scomporre

    Capitolo 4

    Capitolo 5

    Capitolo 6

    Ricongiungere

    Capitolo 7

    Capitolo 8

    Capitolo 9

    Ricomporre

    Capitolo 10

    Capitolo 11

    Sfaldare

    Capitolo 12

    Capitolo 13

    Capitolo 14

    Capitolo 15

    Crollare

    Capitolo 16

    Sgretolare

    Capitolo 17

    Capitolo 18

    Capitolo 19

    Capitolo 20

    Capitolo 21

    Capitolo 22

    Ricordare

    Capitolo 23

    Capitolo 24

    Capitolo 25

    Riesumare

    Crepacuore

    Capitolo 26

    Capitolo 27

    Epilogo. Cinque mesi dopo

    Ringraziamenti

    Playlist

    Capitolo 1

    juls: Usciamo stasera?

    Quella mattina, la mattina del mio ventiquattresimo compleanno, trovai un messaggio sullo schermo dello smartphone che aveva tutta l’aria di volersi prendere gioco di me.

    mercy: Destinazione?

    Sapevo di non poter fare tardi. L’indomani avrei dovuto affrontare una giornata impegnativa, ma la voglia di uscire era più forte.

    Juliette Ross, la mia migliore amica, aveva sempre avuto un talento innato per indurmi in tentazione con le sue proposte illecite; anche quella volta non si smentì.

    juls: C’è una festa al Grindor.

    Senza che me ne rendessi conto, un sorrisetto increspò le mie labbra. Juls conosceva i migliori locali della zona: potevamo sballarci e divertirci follemente. Le serate cominciavano sempre con una promessa che facevo a me stessa: datti un contegno e non esagerare con gli alcolici! Ma finivo sempre con il farmi trascinare da qualsiasi piano folle avesse in mente Juls.

    mercy: Juls, non posso fare tardi. Domani ho il turno di mattina.

    juls: Piantala di comportarti come una vecchia in pensione. Quanti anni hai? Mi sembri una ottantenne!

    Mi fece ridere così forte, che quasi mi strozzai con un pancake. Mi appuntai mentalmente di non messaggiare più con lei durante i pasti, onde evitare una morte precoce. Era una vera e propria forza della natura; sapeva sempre cosa dire e cosa fare per strapparmi una risata.

    mercy: Sei una stronza.

    Juls: Sono fantastica, altroché.

    mercy: Se avessi anche solo metà della tua convinzione, sarei la nuova Angelina Jolie.

    juls: Lo sei già. Passo a prenderti alle undici. Fatti trovare pronta. A dopo.

    juls: ps: Mi raccomando… Vestiti bene!

    Avevo già un’idea sull’esito della serata; normalmente ballavamo su note così acute da sfondarci i timpani, bevendo un drink dopo l’altro. Le notti erano sempre fenomenali, ma lo stesso non si poteva dire del giorno dopo: passavo la giornata a fissare l’orologio nella speranza che il tempo trascorresse il più velocemente possibile, in preda allo strazio.

    Avrei potuto farlo, nonostante non avessi la giornata libera il giorno seguente?

    Mandai tutto al diavolo. Il compleanno arrivava una volta l’anno, perciò potevo concedermi il lusso di uscire a divertirmi. Carica di euforia, montai in macchina e imboccai la strada per il supermercato.

    Smistai la merce per metà giornata e quando presi tra le mani l’ultima scatoletta di tonno per collocarla al suo posto, sorrisi entusiasta. Amavo il mio lavoro. Certo, non era l’ambizione della mia vita, ma stare in mezzo alla gente e riordinare i vari prodotti mi infondeva una pace innata.

    Avevo ventiquattro anni e tutta la vita davanti, ma lì, in quella quotidianità, sapevo di avere uno scopo. Non importava se tutti i miei amici frequentavano l’università e rincorrevano sogni più ambiziosi dei miei. Non mi era mai piaciuto studiare, perciò trovare un impiego nel supermercato del mio paese era stata una benedizione. Visti i tempi e la scarsità di lavoro ero felice di avere la sicurezza di un posto a tempo indeterminato, dove tra l’altro mi trovavo bene.

    La mia mente prese una rotta diversa e si concentrò sulla serata. Ero indecisa su cosa indossare e su come acconciarmi i capelli, perché sapevo che Juls sarebbe stata impeccabile. Lo era sempre in realtà, lo era stata fin dal primo momento in cui il mio sedere impacciato aveva trovato posto di fianco al suo, in prima elementare.

    Eravamo diverse, ma più simili di quanto dessimo a vedere. A lei non importava nulla del resto del mondo. Era sempre stata quel genere di ragazza che non si curava delle conseguenze, qualsiasi cosa decidesse di fare.

    Aveva una prontezza di spirito capace di conquistare chiunque le stesse intorno e negli anni le cose non erano cambiate. Lei era l’amica spericolata e senza regole; io invece ero quella che analizzava minuziosamente i pro e i contro prima di ogni decisione.

    Ci eravamo sempre bilanciate l’un l’altra. Lei mi spingeva a essere sempre me stessa senza curarmi del giudizio altrui, e io in cambio ero la voce della sua coscienza; un piccolo grillo parlante insediato dentro di lei per frenare la sua impulsività.

    Ricordavo ancora il primo giorno di scuola seduta al suo fianco. Ero timida, ma lei mi aveva sorriso iniziando a parlare dei suoi film preferiti. Così, in men che non si dica, eravamo diventate inseparabili, passando pomeriggi interi a guardare ogni tipo di serie tv, mangiando pop corn.

    «Mercy Stone è richiesta alla cassa quattro».

    La voce metallica del mio capo mi riportò a ciò che stavo facendo. Seguii gli ordini, dirigendomi nel punto in cui mi aveva convocato.

    Chet Parker era un uomo sulla quarantina, dal cuore tenero. Non era un capo da musi lunghi e borbottii, né tantomeno uno di quelli intenzionati a sfruttare i propri dipendenti il più possibile.

    No.

    Lui, al contrario, credeva nella collaborazione e proprio per questo era difficile vederlo di cattivo umore. Mi era bastato un sorriso, durante il mio colloquio, per riuscire a catturare il suo interesse.

    «Hai un bel sorriso, Stone. Penso proprio che con quello farai strada». Erano state le sue ultime parole prima di assumermi e dopo un periodo di prova di due settimane, il mio sorriso non era più la sola cosa a piacergli. Prendevo sempre a cuore ciò che facevo e questo lo aveva letteralmente conquistato.

    «Mercy, sostituiscimi alla cassa. Ho bisogno di una pausa».

    Avevamo quasi quindici anni di differenza, ma lo trovavo un uomo affascinante.

    «Detto fatto, Chet».

    Mi era impossibile usare le formalità; solitamente portava abiti così casual da sembrare quasi un mio coetaneo. Persino la sua mentalità era molto simile alla mia. Gli piacevano le feste e le belle donne, motivo per cui ancora non si era sposato. Dopo due anni passati insieme, ormai eravamo così in confidenza che sapevo tutto della sua vita privata.

    «Torno tra poco».

    Mi passò di fianco. Sfioravamo entrambi il metro e settanta. L’unica differenza tra noi erano i fisici: io ero magra, invece tra le tante fissazioni di Chet c’erano pure i bicipiti scolpiti.

    «Non preoccuparti. Fai con calma».

    «Brava Stone, con quel sorriso conquisterai il mondo».

    Me lo aveva ripetuto talmente tante volte da quando lavoravo per lui, che anch’io avevo finito per apprezzare molto di più il mio sorriso. Non mi ero mai ritenuta brutta, ma non avevo una grandissima considerazione di me. Non si poteva dire che la gente si girasse a guardarmi, ma nemmeno che passassi inosservata. I miei capelli castani erano arricchiti da preziose sfumature dorate. Mi era capitato spesso che i clienti mi chiedessero se fossi appena rientrata da una giornata al mare.

    «Sono trentacinque dollari», dissi alla cliente di fronte a me.

    «Ecco a lei». Mi passò i soldi e ci sorridemmo a vicenda.

    «Buon pomeriggio, signora».

    Per mezz’ora continuai a fare il conto ai clienti e nel frattempo il flusso di persone si dimezzò. Il mio turno era quasi concluso, ciò significava che presto avrei visto Juls.

    «Va’ a casa, tesoro. Qui finisco io».

    «Sei sicuro? Posso restare, se vuoi».

    Chet mi fulminò con lo sguardo, prima di continuare il discorso.

    «È il tuo compleanno e fortunatamente non c’è molta gente. Va’ a festeggiare, su». Mi sorprese il fatto che se lo fosse ricordato. Juls, al posto mio, lo avrebbe sbandierato per settimane, ma io non amavo mettermi al centro dell’attenzione.

    «Grazie, Chet. Sei il migliore».

    «Vedi di non farci l’abitudine», scherzò lui. «Ci vediamo domattina».

    Corsi in magazzino a prendere le mie cose e poi mi diressi alla porta principale.

    «Ehi, Mercy?», mi chiamò nello stesso istante in cui stavo per uscire.

    «Sì?».

    Venne verso di me nascondendo una mano dietro la schiena.

    «Buon compleanno», disse, passandomi una piccola busta colorata.

    «Grazie mille, ma non dovevi disturbarti».

    «Sciocchezze. Non sapevo cosa regalarti, quindi ho pensato a un piccolo aumento. Ora va’».

    Lo trovai un gesto così dolce che non potei far altro che sporgermi verso di lui e stringerlo in un abbraccio. Lo ringraziai un’ultima volta prima di dirigermi alla macchina. Dopo aver chiuso lo sportello, scartai la busta e trovai al suo interno cento dollari, accompagnati da un bigliettino.

    Usali nel peggiore dei modi, come sai fare tu.

    Buon compleanno alla mia dipendente preferita.

    Chet

    Quelle parole riuscirono a commuovermi, così partii cantando a squarciagola. In quel momento, con l’aspettativa della serata imminente e la gioia per il gesto di Chet, ebbi la sensazione che la vita mi stesse sorridendo in tutti i modi in cui può sorridere a una persona. Ero così felice che alzai il volume. La musica per me era un vero e proprio rituale, un porto sicuro dove potermi rifugiare nei momenti migliori e una fedele alleata in quelli peggiori.

    Ci misi dodici minuti a percorrere il tragitto che mi separava da casa. Dalton non si poteva definire una città in cui tutti si conoscono, ma nemmeno un buco sperduto nel nulla.

    Parcheggiai di fronte casa e smontai nello stesso istante in cui l’orologio segnava le otto.

    Juls non sarebbe arrivata prima di tre ore, perciò avevo tutto il tempo per farmi una doccia e prepararmi. Percorsi il vialetto ed entrai in casa. La prima cosa che catturò la mia attenzione fu l’odore di carne stufata. Ammiravo la passione di mia madre nel tentare di viziare me e mio padre. Lasciai le scarpe sulla scarpiera e mi diressi in cucina, salutando i miei genitori intenti a cenare.

    «Già di ritorno, Mercy?». Mio padre mi rivolse un’occhiata interrogativa. Risposi alla sua domanda solo dopo essermi addentrata in cucina e aver afferrato una mela.

    «Chet mi ha spedito a casa un’ora prima per lasciarmi festeggiare».

    «Questi capi moderni, non li comprenderò mai».

    «Avanti, Luke. Ha trovato un po’ di umanità, dovresti esserne contento», replicò mia madre con la bocca piena.

    I miei genitori non erano cattive persone; erano solo convinti che educare i figli significasse impedire loro di divertirsi, insegnando in ogni momento l’arte del vero sacrificio. Per loro lavorare era tutto ciò che contava; lavorare per risparmiare ogni centesimo. Cercavano di essere il più moderni possibile, ma il risultato non era mai stato dei migliori.

    Col tempo avevo imparato a comprendere che non si può stravolgere una mente cresciuta in un’altra generazione, perciò non mi importava se a volte la mia famiglia non mi comprendeva. La cosa era reciproca. Neanch’io in fondo capivo loro. L’importante era che continuassero ad accettarmi per com’ero e che per amor mio approvassero anche Juls. La ritenevano una sbandata, una ragazza che avrebbe potuto influenzarmi solo negativamente; in cuor loro, erano convinti che potessi diventare come lei, irriverente, sfrontata, l’esatto opposto di ciò che avevano sempre cercato di insegnarmi.

    Lei c’era sempre stata per me e anch’io ero sempre stata al suo fianco. Eravamo sorelle separate alla nascita. Avevamo giurato: non ci saremmo mai mentite, né mai scordate l’una dell’altra.

    Il cellulare vibrò nella tasca avvisandomi dell’arrivo di un nuovo messaggio.

    juls: Ti stai preparando? Io stasera sarò svestita, più che altro…

    mercy: Se ti conosco bene, penso di poterti credere sulla parola!

    Scoppiai a ridere lasciando perplessi i miei genitori. La immaginai con un top talmente striminzito da coprirle a malapena i capezzoli. Inviai un nuovo messaggio, traboccante di emoticon, dopodiché salii al piano superiore, pronta per infilarmi sotto la doccia.

    Due ore volarono tra trucco e capelli e finii col ritrovarmi di fronte all’armadio per decidere cosa indossare.

    Provai metà del mio guardaroba, ma solo quando infilai un vestitino di pizzo rosso mi convinsi che era quello giusto. Arrivava a coprire a malapena il sedere, lasciando completamente scoperte le cosce. Juls avrebbe riso perché non avrei potuto abbassarmi senza rischiare di mostrare la mercanzia. Completai l’outfit con un paio di décolleté nere. Scelsi le più basse della mia collezione, perché sapevo che avrei ballato tutta la notte.

    Quando fui finalmente soddisfatta, scesi le scale pronta per uscire, e mi ritrovai faccia a faccia con mio padre.

    «Dove vai conciata in quel modo, Mercy?».

    Sfiorava la sessantina, ma con quel tono rigido e l’espressione perennemente imbronciata tendeva a dimostrarne anche di più.

    «Dai, papà. Lo sai che i tempi sono cambiati».

    Non mi sfuggì il modo in cui sbuffò contrariato, ma feci finta di nulla. Lo salutai, infilando una giacca al volo.

    Quella sera, la brezza estiva mi preannunciò il cambio di stagione. Faceva freschetto, ma era la temperatura che più mi faceva impazzire. Adoravo la primavera e tutto ciò che la riguardava. Superai qualche isolato e mi accesi una sigaretta, inspirando e godendomi il sapore della nicotina.

    Quando sentii un clacson strombazzare proprio dietro di me, accompagnato da una voce che urlava il mio nome, capii che Juls era arrivata. Lo faceva spesso e non riuscivo a non ridere perché io non ero mai stata capace di essere così sfacciata.

    Abbassò il finestrino, cantando a squarciagola.

    «Tanti auguri a te… Tanti auguri a te… Tanti auguri a Mercy… Tanti auguri a teeeeeee!!!!».

    Aprii la portiera della sua Ford Fiesta e salii, mentre lei si lanciava su di me per abbracciarmi.

    «Questo è per te, Mercy», disse consegnandomi un pacchetto rosso con in cima un fiocco dello stesso colore.

    «Grazie, Juls».

    Ero curiosa di scoprire il contenuto, perché conoscevo Juls e non mi sarei stupita di trovare al suo interno qualcosa di assurdo. Un anno mi aveva regalato un vibratore dicendo che mi sarebbe servito per esplorare nuovi territori. Un altro mi aveva comprato una tutina in pelle che lasciava scoperti i capezzoli. Ero quasi soffocata dalle risate quando l’avevo aperta e Juls aveva esclamato che anche i miei capezzoli ogni tanto dovevano prendere aria. Era sempre una sorpresa con lei, quindi scartai il nuovo regalo, preparandomi al peggio. Rimasi spiazzata quando i miei occhi si posarono su un bracciale d’argento con l’incisione Amiche per sempre.

    «È bellissimo, Juls». Era fine, lucente. «Davvero, grazie».

    Alzò il braccio dal volante e lo sventolò nella mia direzione, per mostrarmi lo stesso bracciale attorno al suo polso.

    «Amiche per la vita. È il nostro giuramento».

    Afferrai il braccialetto e mi sporsi verso di lei per farmelo allacciare.

    «Non mi sarei mai aspettata un pensiero simile da te».

    Lei scoppiò a ridere. «Meglio del dildo dell’anno scorso?»

    «Meglio addirittura della tutina per far respirare i capezzoli», replicai ridendo a squarciagola e lasciando che il vento che entrava dai finestrini mi scompigliasse i capelli.

    «Sono tutta da scoprire», urlò, ridendo.

    Era davvero una bella ragazza. Aveva un corpo da urlo, un seno prorompente e delle gambe chilometriche. I capelli biondi le ricadevano sul viso incorniciando dei lineamenti sensuali e provocanti. Lei piaceva a tutti così com’era, senza se e senza ma.

    Ci dirigemmo fuori città, cariche di adrenalina.

    Il Grindor non era un locale raccomandabile. Anzi, era tutto fuorché un locale. Era situato nella zona industriale più sperduta del paese ed era un luogo dimenticato da Dio. Anni prima era stato la sede di una ditta che era fallita. Il magazzino era rimasto sfitto, diventando un luogo di ritrovo per giovani e adulti. Le feste erano illegali, ma né la polizia, né qualsiasi altro intervento da parte delle forze dell’ordine erano riusciti a contenere il giro di gente che partecipava agli eventi. Ci si divertiva; ci si sballava al punto da non ricordarsi più nulla la mattina dopo. Era quasi una regola fissa: una volta entrato, dovevi lasciarti andare alla follia. Spegnere il cervello e dimenticare tutto.

    Lo strattone che Juls tirò sul freno a mano mi avvisò del nostro arrivo. Scendemmo dall’auto e ci incamminammo verso il locale, distante qualche centinaio di metri dalla via laterale dove avevamo parcheggiato.

    L’aria era tiepida e man mano che ci avvicinavamo, sentivo accendersi dentro di me delle emozioni contrastanti: da un lato ero intimorita dalla pericolosità di quel posto, ma dall’altro ne ero totalmente affascinata. Stava venendo fuori una parte di me che conoscevo bene, ma che mi rifiutavo di accettare. Nell’ultimo periodo lo nascondevo con difficoltà, ma ero sempre più consapevole che qualcosa dentro di me non funzionava come doveva.

    Avevo tutto, ma non mi bastava.

    Mi sentivo incompleta, senza identità, e avevo la sensazione costante che mi mancasse qualcosa di vitale importanza, qualcosa che per quanto mi sforzassi, non riuscivo a identificare. I posti come il Grindor non facevano altro che alimentare quel lato della mia personalità che soffocavo sotto un bel sorriso.

    Juls si aggrappò al mio braccio, contagiandomi col suo entusiasmo. L’aria era carica di promesse proibite e noi intendevamo afferrarle tutte.

    Finalmente giungemmo all’entrata e ci mettemmo in fila. L’aspetto esterno era malmesso, a tratti diroccato. Le feste erano quasi sempre abusive, quindi nessuno si preoccupava della manutenzione. A un primo impatto, chiunque avrebbe definito quel posto una topaia, a causa della pittura scrostata e delle finestre rotte. Nonostante non fosse nemmeno mezzanotte, il magazzino era più affollato di quanto mi aspettassi.

    «Juls, promettimi che non faremo tardi. Devo essere al supermercato alle otto…», la avvertii.

    «Non preoccuparti, restiamo solo un paio d’ore».

    Il nostro turno arrivò in fretta e il buttafuori ci chiese i documenti, lanciandoci uno sguardo lascivo. Poi ci lasciò passare.

    Al Grindor entrava chiunque, non era di certo un posto da fighette. Era come oltrepassare le porte dell’inferno: la musica risuonava prepotente e tutti davano libero sfogo ai propri istinti, senza alcun limite.

    Strinsi la mano di Juls, più felice che mai di iniziare la serata. Ci dirigemmo al bar e demmo il via alla tradizione ordinando due Cuba Libre. Non ricordavo con esattezza l’origine di quella storia, sapevo solo che ogni serata con Juls iniziava in quel modo. Era il nostro sigillo. Un Cuba Libre per lei. Uno per me. Poi eravamo libere di procedere come volevamo.

    Lo tracannai in fretta, sentendo la gola bruciare e odiando quella sensazione; ne avevo bevuti così tanti negli ultimi anni, che ormai non sopportavo più il sapore del rum. Juls se lo scolò quasi più in fretta di me, e poi ordinò due nuovi cocktail.

    «Ci andate giù pesante, eh?» azzardò il barista, più per attaccare bottone con Juls che per ammonirci.

    «Che c’è? Non hai mai visto una donna che beve?»

    «Ehm… Due drink in due minuti e mezzo sono quasi un record!».

    Doveva urlare per farsi capire, e io persi metà del discorso. Tainted Love di Marilyn Manson assorbiva le parole. L’unica cosa che non mi sfuggì fu l’occhiolino indirizzato alla mia migliore amica.

    «Niente è impossibile, allora».

    «Vi offro un giro. Siete due ragazze toste».

    Lo osservai mentre riempiva i nostri bicchieri con un liquido color ambra. Era carino. I capelli rasati mettevano in risalto i suoi lineamenti delicati.

    «Io sono Quinland. E voi?»

    «Juls. Lei è la mia amica Mercy».

    Non captai quasi nulla della conversazione, tanto ero carica.

    La serata stava decollando nel migliore dei modi e potevo già avvertire un’euforia familiare crescermi al centro dello stomaco. Qualche altro drink e avrei potuto essere chiunque volessi.

    Mi era capitato spesso nell’ultimo periodo di guardarmi allo specchio e chiedermi chi fossi davvero, quasi certa che ci fosse un buco temporale dentro al mio cervello. Ne avevo parlato più volte con Juls, solo per sentirmi rispondere che avevo bisogno di riempire un altro tipo di buco. Ridevo insieme a lei e mi lasciavo scivolare addosso quella sensazione, consapevole che sarebbe tornata sempre più impertinente.

    Tears don’t fall dei Bullet for My Valentine risuonò nella stanza come se volesse portarsi via tutto, compresi i miei pensieri, perciò mi lasciai andare, iniziando a muovermi a ritmo. Mi sentivo invincibile, nessuno in quel posto poteva puntarmi un dito contro e dirmi cosa dovevo fare. Nessuno era senza peccato e degno di sputare sentenze. Potevo gettare via la maschera da brava ragazza che indossavo di fronte ai miei genitori o davanti al mio capo e abbracciare le tenebre.

    Mi lasciai condurre verso il centro della pista da Juls. Faceva così caldo che piccole goccioline di sudore scesero lungo le mie tempie, ma ero così presa dalla musica e dalla felicità di essere in pace con me stessa, che non me ne curai. Feci fatica a rendermi conto persino dei due ragazzi che si avvicinavano a me e a Juls. Lei non se lo lasciò sfuggire e si incollò al mio corpo muovendosi sinuosa. Tra noi si creò una sintonia perfetta, come fossimo due parti di un unico corpo. Due anime libere, destinate a incontrarsi. Ancheggiammo catturando ancor di più l’attenzione dei due ragazzi. Uno dei due sfoggiava un corpo tonico e dei capelli scuri, lucidi di gel. Si avvicinò a me afferrandomi per i fianchi, mentre l’altro si fiondò su Juls. Potevo sentire il profumo della sua acqua di colonia invadermi le narici; potevo sentire le sue mani premermi sui fianchi, e mi lasciai contagiare dalla libertà che iniziava a scorrere nelle mie vene. Ballai su di lui, sorseggiando il suo drink e lasciando che l’alcol facesse il suo dovere. L’adrenalina mi infuocava le vene e non importava quanto dolore sentissi ai piedi, né tantomeno che il giorno dopo avrei dovuto lavorare con un prevedibile mal di testa. Ridevo, guardando la mia migliore amica e cantando fino a perdere la voce.

    «Quanto sei sexy».

    Il ragazzo mi urlò nelle orecchie e mi eccitò al punto da farmi tracannare tutto il suo drink. Mi strinse con violenza guardandomi come se fossi la ragazza più bella dell’intero locale. Poi mi spostò i capelli, tracciando una scia di baci lungo il mio collo. Non so cosa successe in quel momento; prima ero in quella dannata pista col mondo ai miei piedi, poi mi sentii soffocare. Faceva troppo caldo e un sapore salato, cattivo, come l’acqua di mare, mi investiva le papille gustative. Annaspai, senza alcun risultato.

    Cercai di liberarmi dalla sua presa, ma lui la rafforzò ancor di più, spingendosi verso di me e cercando di farsi strada nella mia bocca. La sua lingua viscida odorava di fumo e alcol scadente. Mi costrinse ad aprire di più le labbra, per accoglierlo. Il respiro minacciava di abbandonarmi, perciò feci l’unica cosa che mi venne in mente in quel momento: chiusi la mandibola e lo morsi più forte che potevo.

    «Che cazzo fai, sgualdrina?».

    Lo stesso ragazzo che fino a poco prima avevo trovato attraente, mi guardava con un’espressione rabbiosa: i suoi occhi divennero due fessure impenetrabili e le labbra si piegarono all’ingiù.

    Nonostante fossi ubriaca, la sensazione di pericolo si impadronì di me. Mi scansai in fretta da lui, adocchiando la mia migliore amica, ignara di tutto, qualche metro più in là.

    «Dove credi di andare?».

    L’avevo quasi raggiunta, quando l’uomo mi prese per i capelli e mi costrinse a tornare tra le sue braccia.

    Dovevo uscire da lì.

    Dovevo prendere aria.

    Dovevo scappare e rintanarmi al sicuro, nel mio letto.

    Mi trascinò per qualche metro in mezzo alla folla e nessuno si curò delle mie urla e delle mie richieste d’aiuto. Erano tutti lì per sballarsi; cosa mi aspettavo? Che a qualcuno importasse di me?

    «Sta’ lontano da lei, maniaco».

    Juls se ne stava in piedi davanti a noi con un tacco in mano. Probabilmente se non mi fossi trovata in una situazione del genere, quella scena mi avrebbe fatto ridere per ore; ma in quel momento la sua tenacia attirò l’attenzione di parecchie persone, perciò il ragazzo si limitò a prendere sottobraccio il suo compagno e a sparire tra la folla. Ringraziai il cielo che Juls fosse arrivata in tempo… non potevo sapere quali fossero le intenzioni di quel bastardo, ma di certo non sarei voluta rimanere con lui un secondo di più.

    «Stai bene?»

    «Tutto ok, tranquilla».

    «Prendiamo qualcos’altro da bere, così ti tranquillizzi un po’».

    La seguii guardandomi le spalle per tutto il tempo. Non avevo voglia di bere ancora, non avevo nemmeno voglia di continuare a ballare. Quello che era accaduto con quel tizio mi aveva turbato e improvvisamente la musica mi sembrò troppo alta. Non le dissi nulla, si stava divertendo e non volevo rovinarle la serata. Feci finta di niente e in men che non si dica mi ritrovai con un altro bicchiere stretto tra le mani, colmo di liquido trasparente.

    «Sicura di sentirti bene? Non hai un bell’aspetto… Se vuoi possiamo andarcene».

    «Non preoccuparti. Mi sono spaventata, ma per fortuna non è successo niente di grave».

    «Probabilmente aveva solo voglia di scopare e si è incazzato quando ha capito che non avrebbe raggiunto il suo obiettivo».

    «Sì, forse hai ragione».

    Lasciammo cadere il discorso, continuando a bere e a ballare. Presto dimenticai ogni cosa e smisi di guardarmi alle spalle. Ero completamente ubriaca e, a giudicare dai visi delle persone a fianco a me, non ero l’unica. Eravamo tutti un unico corpo che si muoveva all’unisono: alcuni ubriachi, altri strafatti di sostanze poco raccomandabili. L’aria puzzava di fumo, di sudore e anche di sesso. Intorno a me succedeva qualunque cosa: coppiette che limonavano incontenibili e gente che si lanciava sui divanetti a bordo pista per scopare sotto agli occhi di tutti. Niente regole. Quella era una delle cose che la gente amava tanto del Grindor.

    «Sono sfinita. Fermiamoci un attimo».

    Afferrai Juls per un braccio e la trascinai a bordo pista, per fumare una sigaretta. Guardai l’ora sullo schermo dello smartphone.

    3:37

    «Juls… è tardissimo. Dobbiamo andarcene».

    Lo fissò a sua volta, annuendo. In fretta e furia prendemmo le nostre giacche e ci dirigemmo verso l’uscita. Il buttafuori ci divorò con lo sguardo prima di decidere di augurarci la buonanotte. Mi reggevo in piedi a fatica, avevo bevuto ben oltre il mio limite e se in pista l’adrenalina mi aveva disorientato, in quel momento, in mezzo al silenzio, pagavo le conseguenze di ogni singola goccia. Juls non era

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