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È facile miscelare se sai come farlo
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È facile miscelare se sai come farlo

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Tutti i trucchi, i consigli e le ricette per ottenere il cocktail perfetto

Un vero e proprio viaggio nel mondo della mixologia, alla scoperta di trucchi, ricette e tecniche che faranno di ogni lettore un perfetto bartender

Grazie a questo manuale, la miscelazione per voi non avrà più segreti. Quali sono le tecniche di base? Qual è il bicchiere adatto a ciascun cocktail? Quali strumenti sono davvero indispensabili per ogni bartender che si rispetti, amatoriale o professionale che sia? E ancora, imparerete tutto quel che c'è da sapere non solo su liquori e distillati, ma anche su ghiaccio, acqua, zucchero e tutti gli altri ingredienti fondamentali per ottenere un buon drink. E ovviamente non possono mancare le ricette: dai grandi classici a formulazioni più all'avanguardia, con tanti piccoli trucchi e curiosità che renderanno ogni cocktail davvero indimenticabile.

A ognuno il suo cocktail! Teoria e tecnica, dagli albori della miscelazione alle tecniche più all'avanguardia Gli strumenti del mestiere Ghiaccio e acqua:due ingredienti fondamentali Le ricette dei grandi classici Le nuove proposte della miscelazione... e tante altre curiosità!
Clara Serretta
è nata a Palermo. Vive e lavora a Roma, occupandosi di libri: li legge, li scrive e li traduce. Con la Newton Compton ha pubblicato, tra gli altri, Centrifughe, estratti e succhi rigeneranti, che ha riscosso grande successo di pubblico; Estratti, centrifughe e succhi per vivere cent’anni; Centrifughe, estratti e succhi verdi; Cocktailmania; Estratti, centrifughe e smoothies con i superfood, Acque aromatizzate e detox e È facile miscelare se sai come farlo.
LanguageItaliano
Release dateNov 12, 2018
ISBN9788822726889
È facile miscelare se sai come farlo

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    È facile miscelare se sai come farlo - Clara Serretta

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    LA STORIA DELLA MISCELAZIONE

    La storia della miscelazione per come la intendiamo oggi comincia in tempi relativamente moderni, ma in realtà basta allargare di poco il concetto per poter fare un balzo all’indietro molto più ampio. Sin da quando abbiamo testimonianza del consumo delle bevande alcoliche, infatti, sappiamo che queste venivano manipolate e corrette. Gli antichi Egizi, per esempio, aromatizzavano la loro birra con miele, datteri, spezie e agrumi, e lo stesso facevano i Greci e i Romani con il vino. Impossibile non menzionare il vino ippocratico: si dice che a inventarlo sia stato proprio Ippocrate, nel v secolo a.C., mescolando il vino rosso ai fiori di artemisia e dittamo, per renderlo più tonificante. I Romani ne importarono la ricetta e vi aggiunsero altri ingredienti (timo, rosmarino, mirto etc.): del potere terapeutico della bevanda parlano sia Cicerone (che la offriva ai propri ospiti) che Plinio il Vecchio (il quale invece celebra le sue proprietà digestive).

    Il vino ippocratico, che quindi agli albori era considerato più che altro un farmaco, nel corso dei secoli si arricchì di nuove spezie e andò via via perdendo la sua connotazione medica.

    Per arrivare alla prima vera e propria definizione di cocktail, però, dobbiamo fare un bel salto in avanti e giungere fino all’inizio del xix secolo. Fu allora, precisamente nel 1806, che un giornalista statunitense associò il termine a una miscela fatta con distillati, zucchero, erbe e acqua, dal potere stimolante. Quanto all’etimologia, la questione si fa abbastanza complicata: la versione più accreditata vuole che gli antichi mix di bevande alcoliche e non vennero definiti code di gallo (cock significa infatti gallo e tail coda) perché i loro accesi colori ricordavano appunto il piumaggio del pennuto. Ma la questione potrebbe anche essere molto più intricata di così: i cocktailed horses erano i cavalli di razza bastarda a cui veniva tagliata la coda (che quindi diventava dritta come quella di un gallo); cocktail sarebbe quindi sinonimo di bastardo, in quanto mistura di tanti diversi ingredienti.

    Quale che sia l’origine della parola per definirlo, comunque, fatto sta che il costume del bere miscelato si diffonde all’inizio in ambiente angloamericano. Una delle prime pubblicazioni in merito risale al 1860 ed è il Bartender Manual di Harry Johnson, in cui vengono raccolte per la maggior parte preparazioni a base di vermut e gin. Di appena due anni successivo è invece il manuale redatto dal padre di tutti i baristi dell’orbe terracqueo, Jerry Thomas.

    Un personaggio, quest’ultimo, che meriterebbe un libro tutto per sé: barista-giocoliere, era bravissimo a intrattenere i clienti esibendosi in manovre di destrezza con tazze, bicchieri e miscelatori, amava vestirsi in maniera eccentrica, indossare gioielli, e persino i suoi attrezzi del mestiere erano impreziositi da gemme, pietre e metalli scintillanti. Si serviva di specchi deformanti per rendere l’esperienza dei suoi ospiti ancor più suggestiva e lo si può senza paura di smentita considerare l’inventore del flair bartending, ovvero dell’arte di preparare cocktail in stile acrobatico. Un’arte che gli valse anche un incredibile successo e un sacco di soldi: pare che all’Occidental Hotel di San Francisco guadagnasse ben cento dollari alla settimana, più del vice presidente degli Stati Uniti, e che il suo set di bicchieri d’argento avesse un valore complessivo di cinquemila dollari. Tanta ricchezza non gli garantì, tuttavia, l’immunità dai colpi di coda della sfortuna: negli ultimi anni della sua vita fece alcuni investimenti sbagliati in Borsa e fu costretto a vendere sia i suoi bar che la sua collezione d’arte.

    Il cocktail di sua invenzione più famoso è spettacolare tanto quanto lui: il Blue Blazer infatti si compone di ingredienti semplicissimi ma la tecnica di preparazione, che prevede il passaggio del liquore infuocato da un bicchiere a un altro, è davvero scenografica. Si dice che lo spunto gliel’abbia fornito un cercatore d’oro che voleva bere qualcosa che ricordasse le fiamme dell’inferno.

    Ma torniamo al suo manuale di miscelazione: la prima edizione del Bartender’s Guide è del 1862, ma Thomas, il Professore, continuò ad aggiornarlo includendovi sempre nuove ricette: l’edizione del 1867 ne contiene ben 236. C’è però chi lo ha supertato: la Cocktail Boothby American Bartender ne comprende addirittura 361.

    I cocktail dell’epoca erano comunque molto semplici: pochi ingredienti con aromatizzanti a base di erbe, vermut, bitter o soda, sostanzialmente per stemperare e diluire il gusto forte dei distillati.

    Tra la fine del xix secolo e l’inizio del xx, d’altronde, si erano verificati degli eventi destinati a cambiare per sempre la fruizione degli alcolici e a dare una svolta decisiva alla storia del bere miscelato. In fondo, si sa, sono gli imprevisti a determinare in realtà il corso delle cose.

    Il primo evento degno di nota fu la comparsa nei vigneti europei della fillossera, un insetto fitofago che attaccò le radici della vite, distruggendo la coltivazione viticola di molti Paesi. Di conseguenza, scomparvero tutti quei cocktail a base di cognac e brandy, che altro non sono che distillati di vino, e vennero sostituiti da distillati di frutta o cereali. Se i drink a base di distillati di vino rimasero retaggio della clientela più ricca, la gente comune si accontentò di bere altro, ovvero miscelati più secchi come il Martini, che divenne di gran moda. Fu, per esempio, in questo periodo che il Calvados, un distillato di mele originario della Normandia, visse il suo momento di massimo splendore.

    È vero che la fillossera costrinse i consumatori a un cambio di gusto, per questioni più che altro economiche, ma non ebbe neanche lontanamente l’impatto sulla miscelazione che ebbe il ghiaccio artificiale. Nel 1850, infatti, John Gorrie ne aveva avviato la produzione, cambiando radicalmente tutte le regole sulla conservazione degli alimenti, che fino ad allora venivano lasciati in una nevaia o comunque in un locale fresco che rallentava il naturale processo di decomposizione del cibo. Già a inizio secolo Frederic Tudor, soprannominato The Ice King, aveva avuto l’idea di tagliare il ghiaccio del New England per trasportarlo in luoghi in cui non ce n’era e venderlo. I suoi blocchi di ghiaccio nel 1833 arrivarono fino in India, stupendo gli abitanti del posto. Qualche anno dopo, Tudor progettò una macchina del ghiaccio, ma fu solo nel 1866, grazie a Thaddeus Lowe, che tale macchinario venne brevettato. In seguito all’invenzione di Lowe, si diffuse la moda dei drink on the rocks e, più tardi, furono creati gli shaker e venne fuori l’idea di miscelare il cocktail direttamente nei bicchieri. L’arrivo del ghiaccio in Europa segnò la nascita in Italia di due drink storici: l’Americano e il Negroni.

    Ultimo evento che ha cambiato il corso della storia della miscelazione fu l’introduzione della soda, un’acqua molto gassata dal sapore leggermente alcalino che, grazie ad alcuni sifoni, venne immessa nei cocktail per conferire loro un gusto frizzantino. L’acqua gassata in sé venne fabbricata per la prima volta da Joseph Priestley, che nel 1767 riuscì ad aggiungere l’anidride carbonica all’acqua, ma a idearne la produzione a livello industriale fu Schweppe, nel 1793, che poi fondò la Schweppes a Ginevra.

    A questo punto gli ingredienti di base ci sono tutti: distillati, zucchero, soda, ghiaccio. Da questo momento in poi le combinazioni possibili sono infinite.

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    LA LOTTA CONTRO L'ALCOLISMO E IL PROIBIZIONISMO

    All’inizio del 1900, l’alcolismo in Europa era una vera e propria piaga sociale, che non solo provocava malattie come la cirrosi, ma anche crimini e delitti. Il primo provvedimento che molti Stati adottarono per risolvere il problema fu la messa al bando dell’assenzio, il distillato per eccellenza della Parigi bohémien degli artisti maledetti, che lo assumevano a ogni ora del giorno e della notte, e con rituali alquanto stravaganti. Questa scelta, ufficialmente dovuta alla pericolosità e alla tossicità del tujone, un chetone contenuto nella bevanda, ma ufficiosamente sostenuta e sponsorizzata dalla lobby dei produttori di vino, meno bevuto del distillato della Fata Verde, fece sì che il gusto di decine di cocktail subisse un netto cambiamento, poiché l’assenzio ne era l’ingrediente caratterizzante, nonché una sorta di firma segreta dei bartender più famosi. La sua scomparsa lasciò spazio a dei cocktail più fruttati, dolci e con una gradazione alcolica più bassa.

    Seguendo l’esempio che arrivava da oltreoceano, anche gli Stati Uniti decisero di affrontare il problema dell’eccessivo consumo di alcol ed ebbe così inizio il periodo del Proibizionismo: nel 1919 venne infatti decretato il divieto di produzione, vendita, importazione e trasporto di alcol. Si trattò di un provvedimento drastico, dovuto alla pressione di alcuni gruppi religiosi dalla moralità molto rigida, che disprezzavano non solo l’alcol, ma anche la sessualità e il gioco d’azzardo. Questi gruppi religiosi, capitanati dalle Società di Temperanza, avevano iniziato già da tempo a fare pressioni su Washington, ma fu solo quando il consumo di alcolici venne associato allo scarso rendimento sul lavoro che personalità del calibro di Rockefeller e Ford aderirono all’Anti-Saloon Society e di fatto costrinsero il governo a inserire il problema dell’alcolismo nell’agenda di politica interna. Fu così che si arrivò all’approvazione del Volstead Act, che mise al bando l’alcol e fece nascere fenomeni quali il contrabbando e il mercato nero. Il prezzo degli alcolici schizzò alle stelle e la qualità ne risentì molto, poiché spesso per necessità si utilizzavano per la distillazione ingredienti nocivi o comunque di infimo livello. Si diffusero, inoltre, in tutti gli Stati Uniti gli speakeasy, dei bar che servivano alcolici, ai quali si accedeva dopo aver pronunciato una parola d’ordine. Tanta segretezza e tanti divieti non potevano che comportare la proliferazione della criminalità organizzata e del gangsterismo, che fece del contrabbando di alcolici un vero e proprio business in espansione. Si diffusero, per esempio, i cocktail a base di rum, poiché esso arrivava facilmente in Florida dalla vicina Cuba, scomparve il whisky e spopolò il gin, prodotto di facile distillazione. Nacque il fenomeno del turismo alcolico; gli hotel più prestigiosi si videro costretti ad aprire un bar al proprio interno, per soddisfare i clienti americani che desideravano bere un drink senza timore della polizia, e molti bartender furono costretti a emigrare, trovando lavoro in Europa, alcuni proprio negli esclusivi bar degli alberghi. Frank Meyer, per citarne uno, partì dagli Stati Uniti nel 1921 e nel 1922 aprì il Petit Bar presso il Ritz di Parigi.

    Il Proibizionismo finì ufficialmente nel 1933: c’era stata la Grande Depressione, e la politica del nuovo corso, il New Deal, faceva del libero mercato un caposaldo. Impedire agli americani di bere era ormai diventato impossibile.

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    LA MISCELAZIONE FUTURISTA

    Il Futurismo è un movimento artistico culturale nato all’inizio del Novecento, nonché la prima avanguardia storica. Profondamente proiettato al futuro e interessato al cambiamento, promosse grandissie innovazioni che coinvolsero non solo la musica, l’arte e la letteratura, ma anche il mondo dei cocktail. Alcuni membri del movimento, infatti, si proposero di creare abbinamenti azzardati e di modificare le combinazioni esistenti partendo da liquori tipicamente italiani come il vermut o la grappa (il nazionalismo era infatti esigenza imprescindibile dei futuristi). È così che nascono le polibibite, di cui qui di seguito proponiamo tre ricette.

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    LE POLIBIBITE

    AVANVERA

    Ingredienti

    3 cl di vermut rosso

    3 cl di brandy

    1 cl di Strega

    Inventato da Cinzio Barosi, ingegnere torinese, pioniere del volo e amante del vermut. Di gradazione alcolica alquanto elevata e con un aroma d’erbe, grazie allo Strega e al vermut, il cocktail ha un gusto piuttosto deciso e va consumato abbinato al cibo – Barosi, infatti, è stato uno dei primi ad abbinare dei piatti al suo cocktail. Attorno al suo bicchiere di Avanvera, infatti, Barosi poneva dei prodotti tipicamente italiani, come pomodori e parmigiano, e prodotti coloniali, come la banana e il caffè, per offrire al fruitore del drink un’esperienza sensoriale completa.

    DECISiONE

    Ingredienti

    2 cl di vino chinato

    2 cl di Barolo bollente

    2 cl di succo di mandarino

    2 cl di rum scuro invecchiato

    Inventato da Marinetti in persona, l’aeropoeta capostipite del movimento. Utilizzato per snebbiare la mente in vista di una decisione importante, è un buon digestivo che può essere bevuto anche con ghiaccio.

    INVENTINA

    Ingredienti

    12 cl di Moscato

    4 cl di liquore casalingo all’ananas

    5 cubetti di succo d’arancia gelato

    L’Inventina è forse il cocktail più famoso di Marinetti che cambia in divenire, poiché, quando l’arancia si scioglie, il liquido a base di Moscato e ananas cambia colore e gusto. Fresco e non molto alcolico, l’Inventina era un drink che favoriva l’insorgere di idee repentine nonché molto dissetante.

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    LE ASSOCIAZIONI DEI BARMAN

    Nel corso del Novecento, mano a mano che cambia il modo di bere della popolazione, che pretende una maggior qualità dei cocktail consumati, nascono delle associazioni fortemente volute dalla clientela aristocratica degli alberghi e dalle più importanti case di produzione di alcolici volte ad aumentare il livello di professionalità della figura del barman. A questo scopo, nasce nel 1949, in Italia, l’aibes, ovvero l’Associazione italiana barman e sostenitori, con delle rigide regole di iscrizione. Nel

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