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Non tentarmi
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Non tentarmi

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About this ebook

Sai resistere alle tentazioni?

Temptation Series

Logan Mitchell adora il sesso. Da sempre consapevole di essere irresistibile, ha sfruttato la cosa a proprio vantaggio. Nel suo letto sono passati indifferentemente uomini e donne, perché il motto di Logan è: se qualcosa ti interessa, perché non provare? E adesso vuole Tate Morrison. Ma dopo essere uscito da quattro disastrosi anni di matrimonio, l’ultima cosa che Tate ha in mente è una relazione sentimentale. Desidera solo ricominciare da capo e concentrarsi sul suo nuovo lavoro in un bar di Chicago. Si è perfettamente accorto, però, di aver attirato le attenzioni insistenti di Logan Mitchell, un cliente del bar che non sembra abituato a ricevere un “no” come risposta. Notte dopo notte il carisma di Logan si scontra con le incertezze di Tate, finché una passione improvvisa travolge entrambi, rischiando di cambiare per sempre il corso delle loro vite…

Per entrambi è arrivato il momento di provare qualcosa di nuovo

Perché non lasciarsi tentare?

«Mi sono innamorata perdutamente dei due protagonisti, l’attrazione tra loro è fortissima e ogni pagina è bollente.»

«Provare qualcosa di nuovo può essere sorprendente, come questo libro!»
Ella Frank
è un’autrice bestseller di «USA Today», che con la sua serie bollente, Temptation, ha fatto innamorare tantissime lettrici. Non tentarmi è il primo libro della serie.
LanguageItaliano
Release dateNov 6, 2018
ISBN9788822727237
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    Non tentarmi - Ella Frank

    Prologo

    Aerei – Logan non era un patito.

    Tuttavia, la fica calda nella quale era sprofondato fino alle palle costituiva un deciso miglioramento rispetto alla fredda pelle blu del posto D1 in business class, dove prima era seduto da solo. Fortunatamente per lui, poco prima che l’aereo rollasse sulla pista, il posto vuoto, che aveva pensato sarebbe rimasto tale, era stato occupato.

    E anche se c’è stato un cambiamento di piani rispetto al sonnellino…

    «Shh, tesoro. Se hai intenzione di gemere, dovrò farti stare zitta». Logan poggiò la mano destra sulle rosee labbra schiuse.

    All’inizio aveva dato per scontato che quello sarebbe stato il solito, vecchio noioso volo da Los Angeles a Chicago. Si era messo comodo con il consueto gin tonic, si era sbottonato la camicia e aveva incrociato i piedi mentre aspettava impaziente che il viaggio cominciasse. Aveva pensato che, se fosse stato fortunato, avrebbe potuto bere qualche altro bicchiere e dormire per metà del volo.

    E che razza di fortunato bastardo sono.

    Mentre vuotava il piccolo bicchiere di plastica, aveva sentito la voce di una donna avvicinarsi sempre più alla porta della cabina, esclamando: «Aspettate! Aspettate! Ancora una!». Ed era stato allora che aveva visto – Oh, cazzo, sì, ancora – Jessica. Una bionda tutta gambe in minigonna rosa, che aveva varcato la porta e praticamente l’aveva fatto entrare dritto dentro di sé.

    L’assistente di volo le aveva rivolto un veloce sorriso. «È fortunata. Stavamo per chiudere il portellone».

    Jessica si era messa a ridere. Ed era stato quello a riscuotere l’attenzione del suo pene. «Be’, sono contenta di aver fatto una corsa, allora».

    «La accompagno al suo posto? Che numero ha?»

    «A quanto pare, l’1C».

    E, come si suol dire, questo è quanto.

    Attualmente, il sedere nudo di Jessica era sopra al minuscolo lavabo nella toilette in fondo al Virgin America, volo 201, e… be’, non c’era niente di virginale nel modo in cui la sua gonna era tirata fin sulla vita. Anzi, Logan pensava che lei non ricordasse neanche il significato di vergine, soprattutto considerato come le cosce lattee erano divaricate con il suo pene che scivolava dentro e fuori dalla vagina fradicia. E questo a lui stava più che bene.

    Quando prima si era fermata vicino al suo posto, lui aveva lasciato scorrere lo sguardo dai tacchi neri fin sulle lunghe gambe lisce. Non si era scusato né giustificato per averla scopata con gli occhi mentre la soppesava come potenziale – ovvero, immediata – scopamica. Ma a lei sembrava non dare fastidio – ovviamente – perché quando alla fine lui aveva incrociato i civettuoli occhi verdi, la donna aveva ghignato nell’indicare il sedile accanto.

    «A quanto pare, mi hanno appioppata a lei».

    «Già, così pare», replicò lui.

    Dopo aver infilato il bagaglio nello scomparto in alto, si era seduta lentamente al suo posto e si era voltata, porgendogli la mano.

    La stessa piccola mano che al momento mi sta stringendo il bavero della giacca, rifletté Logan mentre spingeva i fianchi in avanti, affondando dentro di lei, per quanto gli consentiva lo spazio angusto e scomodo.

    «Sono Jessica», gli aveva detto con uno sguardo audace e calcolatore, proprio come quello di lui.

    Logan aveva guardato le piccole dita sormontate da curate unghie rosa e, tutt’a un tratto, il volo era diventato molto più interessante. Stringendole la mano, le aveva fatto l’occhiolino. «Io sono Logan».

    «Più forte, Logan!», gemette lei, facendo buon uso del suo nome.

    Be’, non ho intenzione di dire di no a questo, fu l’unico pensiero di lui mentre puntellava i piedi, cosa difficile da fare quando la punta delle scarpe era piegata contro il mobiletto di plastica che occupava gran parte dello spazio in cui si trovava. Ma, come un soldato, Logan si preparò, serrando la natica di Jessica nella mano sinistra e reggendosi al ripiano con la destra, e cominciò a martellare nella donna proprio come lei gli aveva chiesto di fare. Stava avvicinando entrambi a quello sfuggente momento, dirigendoli in quel luogo paradisiaco.

    Non aveva mai immaginato di farlo in aereo fino a quando il velivolo aveva cominciato a rombare sulla pista per mettersi in coda per il decollo. Ma non era riuscito a pensare ad altro dopo che Jessica aveva accavallato platealmente le gambe, mostrando parecchio altro oltre alla parte superiore delle cosce.

    «Be’, Logan, ho la sensazione che questo volo sia appena diventato interessante. Ti ringrazio per questo».

    Lui le aveva rivolto lo sguardo compiaciuto, depravato quanto i pensieri che al momento gli scorrevano nella mente.

    Come l’aereo aveva preso a sfrecciare sulla pista con la potenza di due motori a propulsione, Logan si era allacciato la cintura, preparandosi al viaggio. Mentre il muso si sollevava, proprio come il suo pene pulsante, aveva replicato: «Tiro a indovinare. Stai tornando a casa da marito e figli?».

    Quando Jessica si era leccata le labbra lucide, Logan aveva immediatamente immaginato quella lingua eseguire lo stesso agile movimento tra le sue gambe. «Niente figli e nessun marito».

    Detto ciò, Logan aveva capito che sarebbe entrato a far parte dell’esclusivo club, che non aveva niente a che fare con le vergini.

    «Sì», sibilò mentre i testicoli gli si contraevano e le natiche si serravano.

    Ben avvolta attorno alla sua vita, la gamba di Jessica si tese contro di lui, attirandolo a sé, mentre sgranava gli occhi sopra il palmo che le copriva la bocca. Poi, i dolci muscoli succosi gli serrarono il cazzo come una dannata morsa e tutti e due vennero.

    Con un biglietto di ingresso di 543 dollari e 90, furono ammessi nell’esclusivo Club dell’Alta Quota, e ne valse la pena fino all’ultimo centesimo.

    Parte prima

    Accettazione: riconoscere una verità esistente

    Capitolo uno

    Mercoledì sera, nove e quindici e, come previsto, sono ancora al lavoro .

    Seduto alla scrivania, Logan si tirò su gli occhiali e si sfregò l’attaccatura del naso. Adesso l’ufficio era silenzioso e sapeva di essere l’unico rimasto a quel piano. Questa era la parte migliore della giornata. Questa era la sua parte della giornata. Era il momento in cui poteva rilassarsi, lasciar perdere tutti i titoli, le formalità e le apparenze e limitarsi a essere.

    Alzatosi, stiracchiò il collo da una parte e dall’altra mentre allentava il nodo perfetto della cravatta. Era il momento di fare una capatina al suo locale preferito per un drink veloce prima di andare a casa. Prese la valigetta, si diresse verso la porta, spense la luce e si avviò all’ascensore. Mentre aspettava che arrivasse al suo piano alla Mitchell & Madison, osservò l’ambiente di lavoro.

    Uh, chi l’avrebbe detto?

    Lui e Cole ne avevano fatta di strada. Era un bello choc, considerando gli sfrenati anni universitari, ma, per quanto lo riguardava, era a quello che serviva l’università – provare un po’ di tutto e di tutti – e dopo… be’, lui, Logan si era assicurato di provare ogni cosa.

    Cole gli stava sempre addosso perché si decidesse a sistemarsi con qualcuno. Probabilmente sarebbe stata un’idea dannatamente strepitosa ma lui non era come Cole, ormai già al terzo anno di matrimonio.

    Logan non aveva alcun desiderio di legarsi a qualcuno, uomo o donna, soprattutto quando era molto più eccitante prendere esattamente ciò che veniva offerto. Una città così grande forniva fin troppa scelta e, fino al momento in cui non gli fosse venuto duro per una sola persona, intendeva sfruttare la piena potenzialità del suo cazzo.

    Quando le porte dell’ascensore si aprirono, Logan entrò con in mente un unico obiettivo: farsi un drink. Un gin tonic, e poi la vita sarà grandiosa.

    Aveva un lavoro di successo, un appartamento in centro e un ufficio accanto al suo locale preferito. Se fosse stato un uomo arrogante… Be’, diamine, chi voglio prendere in giro? Sono un fortunato figlio di puttana.

    Varcando la doppia porta dell’After Hours, Logan lasciò la fresca aria della sera ed entrò nell’accogliente atmosfera del suo ritrovo preferito. Mentre il familiare interno in penombra lo invitava ad addentrarsi, si ricordò perché amava venire lì. Era il posto perfetto in cui sedersi, osservare e, se voleva, cacciare, e lui era in grado di riuscire a fare tutto quanto senza le continue molestie dei classici locali di incontri.

    Mi conservo quei posti particolari per i weekend.

    Bramava la tranquillità dopo il lavoro, e forse…

    Oh, sì, pensò quando una voluttuosa mora gli passò accanto, sfiorandogli il braccio con i seni. Magari anche un po’ di questo.

    Gli scuri séparé appartati che bordavano la parete laterale facevano sentire il loro richiamo ma, all’ultimo minuto, cambiò idea e superò diversi uomini in completo mentre si avviava al bancone, dove trovò uno sgabello libero in fondo. Poggiò sul ripiano il telefono che vibrava e ignorò il messaggio di…

    Ah, sì, Los Angeles-Chicago Jessica.

    Dopo aver messo la valigetta sul pavimento, si sedette e la bloccò tra i piedi, al sicuro, mentre aspettava il barista. Guardandosi attorno tra la gente che si mescolava, Logan scorse una donna attraente in piedi al bancone. Calcolò che avesse superato da poco la trentina. Era una rossa minuta, con un’attillata giacca nera e una gonna che le abbracciava il sedere tondo, proprio come avrebbero fatto le sue mani.

    Quando lei inclinò la testa verso di lui, Logan vide cosa stava bevendo e decise che gliene avrebbe fatto avere un altro, sempre che il dannato barista si fosse fatto vedere. Poi, magari l’avrebbe portata su in ufficio e avrebbe presentato la faccia di lei al ripiano della scrivania e quel sedere vivace al suo…

    «Cosa posso portarle da bere stasera?».

    Finalmente.

    Logan si voltò verso il profondo baritono che lo aveva appena apostrofato e, dal modo in cui il suo corpo reagì, fu contento di essere seduto. Il tizio che lo stava guardando, in attesa di una risposta, era dannatamente sexy. Schiarendosi la gola, Logan si impose di mantenere le cose a un livello amichevole. «Un gin tonic. Mi apriresti un conto? Grazie».

    «Come no. Arriva subito», disse a Logan prima di andare a preparare il drink.

    Logan fece una rapida valutazione degli ondulati capelli castani, delle spalle larghe, della vita stretta e… A proposito di sederi…

    Tornato da lui, il sexy barista fece scivolare il bicchiere sul ripiano di legno e gli rivolse un sorriso cordiale. Poi piazzò le grosse mani sul bancone e si protese in avanti, come se stesse per rivelare un segreto. Logan sentì il cazzo reagire alla malizia che sprizzò negli occhi dell’uomo e si scoprì ad avvicinarsi un po’ di più, decidendo che questa opzione era di gran lunga più interessante della prima.

    Cioè fino a quando il barista girò la testa e indicò in fondo al bancone. «E lei?».

    Logan guardò in direzione della rossa, che stava ancora osservando dalla sua parte. Era un peccato perché, fino a due minuti prima, farsi una scopata quella sera era una cosa certa.

    Guardando la faccia piena di buonumore dall’altro lato del bancone, Logan pensò a come riuscire ad avere quel tipo da solo e in ginocchio. Quei pomposi gilet e cravatta, parte della divisa dell’After Hours, avrebbero avuto un aspetto ancora migliore con una visuale dall’alto, con le gambe avvolte in quei calzoni inginocchiate sul pavimento.

    «E lei?», rispose alla fine Logan, prendendo il bicchiere e portandoselo alle labbra.

    Quando il barista ridacchiò, Logan si concentrò sul pomo d’Adamo che ballonzolava nel collo abbronzato. «Fa finta di niente, capisco», scherzò, mettendosi sulla spalla uno strofinaccio bianco.

    «Non credo proprio». In caso contrario, probabilmente te la staresti filando.

    «E prima, allora?»

    «Niente. Immagino di aver cambiato idea».

    «Gesù, amico, perché avrebbe fatto una cosa del genere. È sexy da morire».

    Logan vuotò il bicchiere quando il suo corpo si irrigidì, reagendo alla parola sexy pronunciata da quella voce armoniosa. Era come se il barista gli avesse appena sfiorato l’inguine.

    Di solito i dipendenti dell’After Hours non erano proprio loquaci e, se lo erano, le conversazioni erano sempre formali. Quello era un posto esclusivo, non il pub all’angolo, e il fatto che quel tizio se ne stesse lì a squadrare sfacciatamente la clientela, spinse Logan a osservare meglio la donna. «Sono d’accordo. È sexy».

    «Ne vuole un altro?». Il barista indicò il bicchiere vuoto.

    «Certo. Allora… sei nuovo qui».

    L’altro annuì e i capelli scuri seguirono il movimento della testa. «Lei ovviamente no, visto che lo sa. Ho cominciato ieri».

    «Be’, immagino si possa definirmi un cliente abituale. Lavoro qui accanto».

    Il nuovo drink fu spinto nella sua direzione e Logan lo prese senza staccare gli occhi dall’uomo. Stava ricevendo una specie di segnale da lui ma era certo che non si trattasse di quello che sperava. Probabilmente solo un dipendente nuovo che apprezza un cliente perbene.

    Ma tutti i pensieri che stavano scorrendo nella sua mente in quel momento, soprattutto uno in particolare, erano decisamente non perbene.

    Fu allora che il barista gli rivolse un altro ghigno smagliante mentre indicava con la testa il lato opposto del bancone. «Be’, devo tornare dalle mie fan. Mi faccia sapere se vuole offrire da bere alla rossa sexy. Ha l’aspetto di uno a cui farebbe bene rilassarsi, se capisce cosa intendo».

    Prima che Logan potesse dire una sola parola – più o meno: No, col cazzo che capisco. Cosa intendi? – il tizio si era allontanato e adesso stava flirtando con una bionda. Lei gli stava riservando una visione esclusiva dell’ampio davanzale e Logan non poté trattenersi dall’osservare il nuovissimo dipendente dell’After Hours mentre vuotava il secondo bicchiere.

    Cazzo, le cose si sono un tantino complicate.

    Proprio quando pensava che la vita sarebbe stata facile, consegnandogli una donna da far chinare sulla scrivania, gli aveva lanciato una fottuta palla curva. Diamoci da fare! Ho voglia di giocare con qualche palla.

    Fermo davanti a una prosperosa bionda, Tate si concentrò sulla preparazione del suo cocktail. Questa era solo la sua seconda sera all’After Hours ma faceva il barista da anni. Una delle tante cose che Diana odiava.

    Niente di tutto ciò che aveva fatto durante il loro matrimonio l’aveva mai resa felice. Erano stati inseparabili all’inizio della relazione. Se lei era in una stanza insieme a lui, con ogni probabilità lui finiva dentro di lei. Non riuscivano a tenere le mani a posto, e anche se questo rendeva il letto rovente durante la notte, di certo non era riuscito a impedire alla gelida gelosia di infiltrarsi tra le crepe delle loro difettose fondamenta. La loro vita, o il loro amore o quel diavolo che era, era stata basata sul desiderio carnale e quando quel desiderio si era tramutato nel mostro dagli occhi verdi, il matrimonio era finito nel bidone dei rifiuti tossici. Ora, la sola vista di lei gli faceva venire voglia di prendere a pugni qualcosa.

    Finito di shakerare il cocktail fruttato, versò la bevanda rosso brillante in un bicchiere alto, aggiunse una fetta d’ananas, una cannuccia e un ombrellino. Poi lo fece scivolare sul bancone verso la bionda. «Fanno dodici». Le strizzò l’occhio e le scoccò un ghigno sexy, sapendo che gli sarebbe valso una mancia.

    Era la stessa espressione che aveva rivolto al tizio in fondo al bancone, lo stesso i cui occhi sentiva ancora addosso.

    La donna fece scivolare una banconota da venti sulla superficie liscia e lo squadrò senza farsi alcun problema. Quando il suo sguardo tornò su e incrociò quello di lui, fece guizzare la lingua tra le labbra e giocherellò con la cannuccia come se gli stesse leccando la punta dell’uccello. «Tieni il resto», disse in tono provocante.

    Tate accettò la banconota e prese un tovagliolino nero. Quando la donna si protese, lui fece in modo di ammirarle il notevole seno e poi le mise davanti il piccolo riquadro nero per il suo bicchiere. «Grazie», disse.

    Senza pensarci due volte, la donna poggiò la mano fresca su quella di lui. «È un piacere».

    Tate sapeva che questo faceva parte del suo lavoro. Sii seducente con le signore e amichevole con gli uomini e, ovviamente, non superare troppo il limite. Sapeva anche che gran parte degli uomini e delle donne d’affari della zona di solito frequentavano il locale tornando a casa dopo il lavoro… o forse venivano lì per evitare di andare a casa. Chi lo sa, e a chi importa? A ogni modo, il suo lavoro consisteva nell’essere l’orecchio amico, nel dare loro quello che volevano, nonché un motivo per tornare, ed era quello che Tate faceva. Se ci aggiungeva un po’ di seduzione, era solo perché l’aveva perfezionata a un livello di arte. E poi, così le mance erano più alte. «Anche per me, ma devo tornare dagli altri clienti». Tolse delicatamente la mano e raddrizzò la schiena.

    «A che ora stacchi stasera?».

    Tate si passò una mano sul gilet nero. «Tardi. A che ora comincia a lavorare domani mattina?»

    «Presto», rispose strascicata la bionda. Risucchiò la cannuccia tra le labbra rosse e lucide.

    «Ah, be’, che peccato, vero?», si lagnò Tate e scoprì che stava dicendo sul serio, visto che il suo cazzo mostrava segni di interesse per la prima volta dopo tanto tempo.

    «Mi sa che siamo solo due navi nella notte». Lei lo squadrò di nuovo con aria audace. «Ci sei domani sera?».

    Tate annuì mentre si levava dalla spalla lo strofinaccio bianco. «Sono qui dal martedì al sabato. Non l’ha saputo? Sono la nuova attrazione», dichiarò, avviandosi dal tipo all’altro capo del bancone.

    Appoggiandosi al ripiano, Tate osservò Mr. Gin Tonic e notò che il suo bicchiere era di nuovo vuoto. «Un altro?»

    «No».

    Lo sguardo di Tate passò dal bicchiere agli occhi azzurri che lo scrutavano da dietro un paio di stretti occhiali neri da hipster. Quel tizio urlava mondanità, dai capelli neri, lisciati con la scriminatura a sinistra, alla perfetta lunghezza di barba appena accennata. Si capiva che prendeva sul serio la propria immagine.

    Una volta aveva sentito Diana definire un uomo nerd chic. Questo tizio ne aveva l’aria, a eccezione degli occhi. Tate non riusciva a stabilire esattamente la differenza ma, con il silenzio tra di loro e lo sguardo intenso, cominciò a provare un leggero disagio. Notò anche che l’interesse che la bionda aveva suscitato nelle sue parti basse non dava segno di spegnersi, ma si affrettò ad accantonare quel pensiero.

    «Posso portarle altro?», domandò Tate.

    «Perché non le hai chiesto il numero?».

    Preso alla sprovvista dal repentino cambio di argomento, Tate riuscì solo a replicare: «Eh?»

    «Il suo numero», ripeté Mr. Gin Tonic, lanciando un’occhiata in direzione della bionda. «Perché non gliel’hai chiesto? Si vedeva benissimo che era interessata».

    Ancora con lo strofinaccio in mano, Tate cominciò ad asciugare la superficie del bancone. Era già pulito ma aveva bisogno di quella distrazione. «Non si fraternizza con i clienti». Sollevati gli occhi, Tate fece spallucce, aggiungendo quello che sperava fosse un sorriso disinvolto, e continuò a sfregare il bancone.

    L’uomo che lo guardava non ricambiò. «È un peccato».

    Tate smise di muovere lo straccio e lo tenne con entrambe le mani. Che diavolo significa? Guardandosi attorno, notò che Amelia e Stacy, le sue colleghe, non si vedevano da nessuna parte e quindi non capì a chi si stesse riferendo l’uomo. Quando si voltò, lo sguardo saldo dietro alle lenti era adesso increspato agli angoli da quello che giurava fosse divertimento… a sue spese.

    «È un peccato perché è… com’è che ha descritto la rossa di prima? Sexy da morire?».

    Scioccato, Tate rimase impalato senza parlare. Non gli veniva in mente una sola cosa da dire. Per un breve momento era saltato alla conclusione sbagliata e aveva pensato che l’uomo ritenesse un peccato il fatto che non potesse fraternizzare con lui. Invece di replicare, rimase muto con lo straccio in mano, contemplando l’uomo dall’altro lato del bancone.

    Mr. Gin Tonic si alzò e raccolse la valigetta dal pavimento. Prese dal bancone il telefono che vibrava e diede un’occhiata al display. Decidendo che non era importante, guardò Tate mentre tirava fuori il portafoglio dalla tasca dei pantaloni. Ne sfilò alcune banconote e le fece scivolare sul bancone.

    Per qualche ragione sconosciuta, Tate sentì che era importante non cedere terreno, così evitò di guardare il denaro. Ricorse invece alla sua procedura di sicurezza – il ghigno accomodante che di solito gli consentiva di passarla liscia.

    «Dovresti chiederle il numero. Sembri un po’ rigido, come se avessi bisogno di rilassarti, se capisci cosa intendo».

    Le sue stesse parole venivano usate contro di lui, Tate guardò l’uomo fare una telefonata prima di voltarsi e lasciare il bar. Solo quando Stacy lo chiamò per nome si rese conto di essere rimasto lì impalato negli ultimi minuti, e che la sua erezione non si era del tutto allentata.

    Abbassato lo sguardo sul bancone, vide una banconota da cinquanta e scosse la testa. Dannazione, questa sì che è una dannata mancia. Non mi importa quanto sia stata strana l’interazione. Se è un cliente fisso, lo farò diventare mio.

    Capitolo due

    Già, seconda sera di fila e sono di nuovo al bar .

    Stavolta, però, Logan era arrivato prima. Guardò l’ora, vedendo che erano solo le cinque e un quarto. Non era mai uscito dall’ufficio così presto, a meno che non doveva essere in un posto o non aveva qualcuno da farsi. Decisamente questa non era una di quelle volte. Tuttavia, ciò che aveva provato dopo quel primo incontro lo aveva spinto a ritornare al bar. Indugiava nella sua mente perversa. Quindi, bando agli indugi. Meglio andare a dare un’altra occhiata.

    Facendosi largo tra la calca del post-lavoro, Logan si assicurò di tenere la testa bassa. Non voleva distrazioni né cercava attenzione. Voleva sedersi in fondo al bancone e osservare.

    Stasera, era venuto armato solo di cellulare e portafoglio. Aveva lasciato di proposito la valigetta in ufficio. Non voleva preoccuparsi di ciò che stava in mezzo alle sue gambe. Be’, tra le mie caviglie, a ogni modo.

    Guardò dietro al bancone ma non vide l’uomo della sera prima. Uhm, forse stasera non lavora. Ma era sicuro di avergli sentito dire da martedì a sabato. Sì… ciao, stalker.

    Occupato uno sgabello in fondo al bancone, Logan si sbottonò la giacca nera e si allentò la cravatta. Stacy, una delle bariste, lo raggiunse con un sorriso. «Il solito, stasera? O vuoi movimentare un po’ le cose?».

    Logan stava per rispondere ma, prima che potesse dire una sola parola, udì quel profondo baritono dietro di sé. «Secondo me, vuole un gin tonic. Perché cambiare?».

    Girando la testa, vide il barista della sera prima. Aveva la stessa divisa nera. Non avrebbe dovuto essere una sorpresa per Logan quando, per reazione, avvertì i pantaloni tendersi, soprattutto abbassando lo sguardo e vedendo che il tipo portava un giubbotto di pelle nera in una mano e un casco rosso da moto nell’altra. Il suo pene fremette d’interesse.

    I capelli dell’uomo sembravano essere appena stati liberati dal casco. I riccioli neri erano arruffati. Andò dietro al bancone e si girò verso Logan. Quando gli scoccò lo stesso ghigno rilassato della sera prima, l’erezione di Logan passò da interessata a dura come pietra.

    Cristo, è ufficiale. Ce l’ho duro per un tizio etero. Davvero grandioso.

    «È quello il suo veleno, giusto?»

    «Giusto», confermò.

    Stacy strizzò l’occhio a Logan.

    Devo assolutamente sapere il suo nome.

    «Lo lascio a te, allora», disse al collega, andando a raggiungere un cliente che si era appena seduto più in là.

    Quando il tizio di fronte a lui si girò, prendendo uno strofinaccio e infilandoselo nella cintola, Logan colse l’opportunità di dare una bella occhiata prolungata al modo in cui il tessuto nero gli modellava il sedere. Desiderando di avere già un drink per alleviare gli istinti che lo assalivano, Logan si assicurò di avere un’espressione neutra nel momento in cui il barista tornò da lui.

    «Mi dia solo un minuto. Devo mettere la mia roba sul retro e timbrare».

    Mentre l’altro si allontanava, Logan notò che diversi clienti l’avevano adocchiato e si chiese perché il tizio si fosse preso il disturbo di interrompere Stacy prima ancora di aver attaccato il suo turno. Interessato?Ma no, imbecille. È per via della mancia di ieri sera. È tornato per averne ancora.

    Logan disse al proprio corpo di darsi una calmata. Era un bel panorama, ma non sarebbe mai stato nulla di più. Si capiva che il tipo stava facendo solo il suo lavoro e Logan se ne stava lì a fissarlo come un dannato mattoide. Non era riuscito a levarselo dalla testa per tutta la notte, oltre che al lavoro quell’oggi.

    Ottenuta finalmente la collaborazione del suo corpo, Logan sentì il telefono vibrare e vide che si trattava di un sms di Jessica.

    Allora, sei libero il mese prossimo?

    Sicuro. Perché no? Quella donna aveva una passera calda e stretta e non gli sarebbe dispiaciuto farle un’altra visitina. Ma in quel momento, in quell’istante, il suo interesse era tutto per un corpo dalla fisicità completamente diversa.

    Prese il cellulare, aprì il messaggio e rispose.

    Il mese prossimo mi sembra fantastico. Non vedo l’ora di vederti… tutta quanta.

    Quando lo mise via, fu sorpreso di trovare il barista fermo davanti a lui. Oh, quindi è anche furtivo.

    «Ecco il suo drink». Spinse il bicchiere sul bancone.

    Logan vide quegli occhi marroni quasi sorridergli mentre il loro proprietario aspettava, e si chiese esattamente cosa stesse aspettando. «Ti ringrazierei ma non so come ti chiami».

    Il tizio si sfilò lo strofinaccio dalla cintola e si mise a sfregare il bancone. Logan era curioso di sapere se fosse una sua abitudine o forse solo qualcosa che faceva quando si sentiva nervoso o insicuro. «Non può ringraziare uno sconosciuto? Io ne ho appena servito uno».

    «Questo è vero». Logan si portò il bicchiere alle labbra. Non distolse lo sguardo mentre beveva un sorso e si incuriosì quando il barista fece altrettanto. Rimise giù il bicchiere e vi tenne avvolte le dita mentre lo faceva roteare sul bancone. «Sono Logan».

    Una smorfia compiaciuta apparve sulle labbra dell’uomo, che rimise lo strofinaccio nella cintola, attirando immediatamente lo sguardo di Logan sulla sua vita. «Be’, piacere di conoscerla, Logan. Torno quando avrà bisogno di fare il bis».

    Bella trovata. Logan guardò allontanarsi la schiena del barista ancora senza nome. Bella trovata, cazzo.

    Tate non poté fare a meno di sentirsi alquanto arrogante mentre si allontanava da Mr. Gin… Logan.

    La sera prima, tornato finalmente a casa a rilassarsi, si era scoperto a rivivere l’intera conversazione con Logan, cercando di individuare cosa gli fosse parso tanto insolito. Alla fine, c’era arrivato. Era perché quel tizio se l’era mangiato con gli occhi. Quel tizio, Logan, aveva flirtato con lui.

    Era stata una cosa discreta ma ripensando alle parole dette, Tate aveva riscontrato una sfumatura provocante ed era stato allora che era giunto a quella conclusione. Logan era gay. Doveva esserlo.

    Tate non riusciva a credere di non averlo capito prima. Nel suo mestiere non era una novità essere oggetto di attenzioni da parte di donne e uomini ma, per qualche ragione, non se n’era accorto subito con quel tipo.

    Forse gli era sfuggito perché aveva assistito allo scambio di sguardi tra Logan e la rossa. O forse stava delirando ed era del tutto fuori strada, e il tizio era solo un tantino strano.

    Per quale altro motivo avrebbe detto di no alla rossa? A meno che non sia sposato? Ma il modo in cui mi ha squadrato… è stato come se mi trovasse… sexy?

    Be’, non importava, adesso che Tate aveva la sua teoria, immaginava che non ci fosse niente di male nel flirtare un po’ anche lui. Di solito riservava il fascino per le donne ma se questo poteva rendere Logan un abituale cliente pagante, non ci vedeva niente di male. Era a suo agio con la propria sessualità.

    «Ehi, Tate, a quanto pare hai riscosso l’attenzione di uno dei nostri clienti fissi».

    Tate girò la testa verso Stacy, che stava accanto a lui, intenta a versare alcuni ingredienti in un frullatore pieno di ghiaccio.

    Scegliendo di fare il finto tonto, replicò: «Ah, sì? E chi sarebbe?»

    «Logan. Il tipo in fondo al bancone. Completo, occhiali, stupendi occhi azzurri. Flirta ogni volta che apre la bocca». Emise un sospiro teatrale.

    Quando Tate si voltò a guardare da sopra la spalla, vide che Logan li stava fissando. Non sorrideva e Tate mantenne un’espressione neutra mentre ricambiava lo sguardo. Giratosi, agguantò una bottiglia d’acqua, la aprì e se la portò alle labbra, focalizzandosi di nuovo su Stacy. «Sai niente di lui?»

    «Oltre al fatto che trasuda sesso ed è uscito con metà delle donne che lavorano qui? Anche se non sono sicura che si possa definire uscire».

    Tate si strozzò con l’acqua che stava bevendo. Si riprese quanto più velocemente poteva mentre, ridendo, Stacy metteva il coperchio al frullatore. «Sei scioccato? Sono convinta che riuscirebbe a uscire con il direttore, se glielo chiedesse in modo carino. Pete ha una certa reputazione».

    Okay, cancelliamo la teoria gay. Il tipo deve giocare per entrambe le squadre. Be’, posso ancora farcela.

    Stacy e l’uomo che ha tutta la mia attenzione stanno decisamente parlando di me. Logan si riportò il bicchiere alle labbra. Dopo un sorso, lo poggiò di nuovo sul bancone. Era stato tentato di strizzare l’occhio al barista sexy quando aveva guardato nella sua direzione. Era più nella sua natura, ma non sapeva come sarebbe stato accolto, perciò si era trattenuto.

    Era quasi certo che l’uomo avesse flirtato con lui qualche minuto prima. Forse era solo un pio desiderio, perché, in quel momento, il tizio non stava tradendo alcuna emozione. Si era voltato verso la collega, facendogli credere che, molto probabilmente, si stava solo immaginando le cose.

    Prima che Logan potesse pensare altro, il telefono cominciò a squillare. Lo prese e accettò la chiamata in arrivo. «Jessica. Sei impaziente, vero?».

    Quando una risata rilassata giunse dall’altro capo, Logan immaginò le lunghe gambe lisce schiudersi per lui come avevano fatto un paio di settimane prima. «Be’, dopo il tuo ultimo sms, volevo sentire la tua voce».

    «Allora, che ne dici se comincio a recitare l’alfabeto?», replicò Logan, assumendo un tono intimo.

    «Potresti. Oppure potresti dirmi quanto ti manca stare dentro di me e che muori dalla voglia di tornarci».

    Logan ridacchiò e le sue labbra si incresparono mentre lasciava che le parole di lei andassero a segno. Anche se avrebbe dovuto aspettare un altro mese, non vedeva l’ora di infilarsi di nuovo dentro di lei. «Be’, non sarebbe una bugia», convenne, proprio mentre sentiva qualcuno fermarsi davanti a lui. Alzò lo sguardo e, trovato l’attuale oggetto del suo desiderio, percepì il diavolo sulla spalla mentre si leccava il labbro inferiore. «Non mi dispiacerebbe tirarti fuori dai tuoi vestiti. Quando possiamo organizzare?».

    A chi si stesse rivolgendo, quello era un mistero. Logan vide inarcarsi le sopracciglia del barista mentre ascoltava la risata roca di Jessica. Immaginò l’uomo che aveva davanti

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