La donna senza nome
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About this ebook
Un grande thriller
«Terrificante.»
In una remota cittadina nel nord del Vermont, Rachel Rath, una studentessa, ha la sensazione di essere seguita. Le sembra di avere addosso gli occhi insistenti di uno sconosciuto. Sono gli occhi di chi, molti anni prima, ha torturato e ucciso la sua famiglia. Grazie a un cavillo legale, Ned Preacher è riuscito a ottenere una riduzione della pena e, adesso che è libero, Rachel pare sia diventata la sua ossessione. Dopo il brutale omicidio della sorella, il detective Frank Rath ha adottato sua nipote. Per anni ha cercato di proteggerla dalla verità sulla morte dei genitori. Ma ora che Preacher è stato scarcerato, Rath sa che userà Rachel per vendicarsi di lui. E Frank non ha alcuna intenzione di perdere l’unica cosa preziosa che gli è rimasta. Quando alcune ragazze vengono assassinate e una scompare, Rath e la detective Sonja Test capiscono che non possono più agire con cautela. Scopriranno presto che la verità può essere molto più perversa di quanto avessero immaginato.
Un assassino assetato di vendetta è di nuovo a piede libero.
Il detective Rath deve difendere dalla sua furia omicida chi ha di più caro al mondo.
«Eric Rickstad ha la dote rara di saper narrare una storia oscura e cruda con una prosa fluida e poetica. Se non avete ancora scoperto questo autore, La donna senza nome è il romanzo giusto con cui iniziare. È un thriller pieno di tensione e una lettura emozionante.»
Alafair Burke, autrice di La ragazza del parco
«Un tour de force nella suspense inarrestabile che spinge i lettori nel profondo mondo oscuro e ammaliante di Rickstad. Impossibile smettere di leggerlo.»
Gregg Olsen, autore bestseller del New York Times
Eric Rickstadt
Vive nel Vermont con la moglie e la figlia. Con il suo romanzo d’esordio, Reap, ha ottenuto negli Stati Uniti un immediato successo, tanto da diventare un autore bestseller del «New York Times». La Newton Compton ha pubblicato Le ragazze silenziose e La donna senza nome.
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Book preview
La donna senza nome - Eric Rickstad
1904
Titolo originale: The Names of Dead Girls
Copyright © 2017 by Eric Rickstad
All rights reserved
Published by arrangement with and Philip G. Spitzer
Literary Agency and The Italian Literary Agency
Traduzione dall’inglese di Andrea Russo
Prima edizione ebook: luglio 2018
© 2018 Newton Compton editori s.r.l., Roma
ISBN 978-88-227-2066-5
www.newtoncompton.com
Realizzazione a cura di Librofficina
Eric Rickstad
La donna senza nome
Indice
PARTE PRIMA
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
PARTE SECONDA
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
PARTE TERZA
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
Capitolo 40
Capitolo 41
Capitolo 42
Capitolo 43
Capitolo 44
Capitolo 45
Capitolo 46
Capitolo 47
Capitolo 48
Capitolo 49
Capitolo 50
Capitolo 51
Capitolo 52
Capitolo 53
Capitolo 54
Capitolo 55
Capitolo 56
Capitolo 57
Capitolo 58
PARTE QUARTA
Capitolo 59
Capitolo 60
Capitolo 61
Capitolo 62
Capitolo 63
Capitolo 64
PARTE QUINTA
Capitolo 65
Capitolo 66
Capitolo 67
Capitolo 68
Capitolo 69
Capitolo 70
Capitolo 71
Capitolo 72
Capitolo 73
Capitolo 74
Capitolo 75
Capitolo 76
Capitolo 77
Capitolo 78
Capitolo 79
Capitolo 80
Capitolo 81
Capitolo 82
Capitolo 83
Capitolo 84
Capitolo 85
Capitolo 86
Capitolo 87
Capitolo 88
Capitolo 89
Capitolo 90
Capitolo 91
Capitolo 92
Ringraziamenti
Nota dell’autore
A Meredith, Samantha e Ethan.
I miei amori. Il mio amore.
Parte prima
L’inverno della reclusione è finito, la libertà è di nuovo sua dopo anni di forzato letargo.
Libertà.
Un sapore intenso e metallico, come una goccia di sangue di vergine sulla punta della lingua.
Libertà.
Una vista irresistibile, come la prima ostentazione di giovane, pallida pelle femminile in primavera.
Libertà.
Un suono musicale, come le moine dei miti che implorano i potenti di essere liberati.
Libertà.
Un odore inebriante, come il sudore che luccica sulla pelle delle persone terrorizzate.
Libertà.
Una sensazione intima, come le unghie dei disperati che affondano nella sua faccia.
Lui guarda, il capo chino e il cappello calato sulla fronte, si scrocchia la schiena e allunga le braccia sopra la testa, cogliendo con lo sguardo l’estensione del suo regno. Imperatore. Signore.
Irradia libertà, è euforico.
La saliva si raccoglie nelle tasche carnose in fondo alla bocca, dove una volta si è estratto i denti del giudizio con un paio di pinze soltanto per la dolce, straziante estasi che avrebbe provato.
Infila una mano nei pantaloni, si tocca sognando quel che verrà.
Libertà scatenata.
Capitolo 1
Giovedì 3 novembre 2011
La pelle di Rachel Rath sapeva ancora prima della sua mente che qualcuno la stava guardando.
Avvampò, la schiena le cominciò a formicolare, scossa dal terrore, come se venisse percorsa dal dito deforme, sudicio di un porco, una vertebra alla volta.
Non era la sensazione orripilante che doveva sopportare insieme alle amiche quando venivano mangiate con gli occhi da uomini di mezza età ma decisamente timidi. Quello era un avvertimento istintivo del corpo volto alla sopravvivenza.
Fa’ attenzione.
Attenta.
Rachel si girò sempre di più, le pareva un incubo, e con quel movimento il braccio le scivolò via da quello del suo ragazzo, Felix.
La sensazione d’essere violata le percorse, rapida, la pelle per poi sprofondare nella bocca dello stomaco, lasciandole l’impressione d’essere esposta.
Anche se non vide nessuno mentre prendeva confidenza con i dintorni, rabbrividì come un coniglio che si nasconde fra la sterpaglia.
Fece per strattonare la manica di Felix, che armeggiava con una busta di mangime per i suoi canarini, ma si fermò.
Sopraffatta dal terrore.
Eccolo.
Eccolo lì: l’uomo il cui sguardo le fece gelare il sangue.
Capitolo 2
Canarini.
Frank Rath fissò la cornetta che aveva in mano.
Ned Preacher gli aveva appena riattaccato il telefono in faccia. L’eco del suo respiro teso e della risata lasciva gli riecheggiava ancora nelle ossa.
Insieme a un altro suono.
Canarini.
Dove li aveva sentiti? Si batté la fronte con il pugno, cercò di ricordare.
Doveva ricordare.
Era fondamentale. Dove…
Il ricordo lo colpì dritto allo stomaco. Aveva sentito i canarini nella nuova casa di sua figlia Rachel, l’appartamento in cui si era trasferita appena qualche giorno prima insieme al suo ragazzo allampanato, Felix.
Felix aveva due canarini.
Preacher doveva aver chiamato da casa di Rachel; doveva essersi nascosto e aver spiato Rachel a casa sua, per poi contattare Rath, che abitava a un’ora di distanza e non avrebbe mai potuto raggiungere la figlia prima che…
Rath si sforzò di non immaginare quello che Preacher avrebbe potuto fare. Non doveva immaginare. L’aveva vista di persona, l’opera di Preacher.
Sedici anni addietro, Rath era stato il primo a raggiungere la scena dell’omicidio di sua sorella Laura; non in qualità del giovane detective della polizia di Stato che era all’epoca, ma in quanto suo fratello minore. Aveva un’ora di ritardo. Invece di arrivare in orario per aiutare Laura per la cena di compleanno che aveva organizzato per lui, era stato con una donna in un motel. Gli era concesso. Era il suo compleanno. Mentre parcheggiava nel vialetto di casa di Laura, si ripeteva nella mente la bugia che avrebbe detto a sua sorella per giustificare il ritardo: stava lavorando al caso del killer della valle del fiume Connecticut, il KVFC.
La porta era aperta e Rath entrò dicendo: «Mi dispiace, stavo…».
Il corpo di Laura giaceva ai piedi delle scale, con le gambe piegate in modo anormale sotto il torso, la faccia sfregiata rivolta di lato quasi per la vergogna. La moquette, un tempo bianca come la neve, adesso era così intrisa di sangue che faceva un rumore appiccicaticcio sotto le scarpe. Grumi e schizzi di sangue sparsi sulle pareti. Il collo era stato spezzato, ed era stata rudemente violentata con una serie di oggetti diversi dal membro maschile, anche se sarebbe stato dimostrato che era stato usato pure quello. Il corpo del marito, Daniel, era stato adagiato sopra di lei, come a far credere che volesse proteggerla anche nella morte. Era stato pugnalato più volte con inaudita violenza.
Era opera di Ned Preacher.
Preacher: l’ex tuttofare di Laura e Daniel che aveva lasciato la città sedici mesi prima. Preacher, in libertà vigilata dopo aver scontato soltanto sedici dei venticinque anni che gli avevano dato per gli omicidi. Preacher, che al telefono aveva appena affermato di essere lui il padre di Rachel, di aver avuto una storia con Laura prima di essere andato via. Preacher, che aveva esultato: «Tua sorella non poteva stare lontano dai ragazzacci, tanto quanto tu non riuscivi a stare lontano dalle cattive ragazze. Bene, pare che alla fine abbia beccato il ragazzaccio sbagliato, che dici? Ha giocato col tuttofare mentre il suo bel maritino non c’era. Poi sono tornato in città per dargliene ancora un po’. E lei mi ha rifiutato, mi ha detto stronzate del tipo tu-non-sei-nessuno
, ha fatto la parte della santarellina. Una maschera. Cazzo, se lo sapevo. Quello che non sapevo era la faccenda del bebè. L’ho scoperto più tardi, dai giornali. Avrebbe dovuto permettermi di scoparla un’ultima volta. Assecondare la sua natura. Sarei sparito senza accorgermi di nulla. Invece ha dovuto recitare la parte della brava ragazza». Agitata. La voce di Preacher era sembrata distorta. Demoniaca. «Li so fare dei semplici conti del cazzo. Rachel. È mia. Come sta, Rath, tua figlia? Pare che stia bene. Da quanto vedo».
Il cervello di Rath fu scosso da pensieri violenti.
Doveva andare a casa di Rachel.
Sullo schermo del telefono era comparsa la scritta PRIVATO. Rath digitò *69. Una voce meccanica recitò: «Questo numero non è raggiungibile da…».
Rath sbatté la cornetta così forte che si ruppe.
Prese il cellulare e compose il numero di Rachel. Avrebbe dovuto chiamare lei per prima. Non era lucido.
Scattò la segreteria.
«Chiamami!», urlò Rath.
Chiamò il 911.
Una donna domandò con voce misurata: «911. Qual è…».
«Voglio denunciare un’effrazione».
«Qual è l’indirizzo, signore?»
«Non lo so di preciso».
«L’effrazione non sta avendo luogo da dove chiama?»
«No».
«E non ha l’indirizzo?».
Il cuore di Rath cominciò a battere più forte.
«Come fa a sapere che qualcuno ha commesso un’effrazione se non sa dove sta avendo luogo, signore?», disse la donna.
«È… è a Johnson. Su una collina accanto a…». Doveva pensare. Il suo cervello era fuori servizio per l’adrenalina. «Lo so dove sta avendo luogo. Nell’appartamento di mia figlia. Ho ricevuto una telefonata».
«Da sua figlia?».
Come faceva a dire di aver ricevuto una chiamata dalla persona che aveva commesso l’effrazione senza sembrare pazzo?
«Signore? Se questa non è una chiamata seria…».
«Mia figlia è in pericolo», ringhiò Rath. Fece un respiro profondo. Che Preacher avesse intenzione di fare del male fisico a Rachel o no, qualunque cosa avesse in mente era volta a procurare dolore. «Sono un detective in pensione, mi chiamo Frank Rath, e mia figlia è in pericolo. Qualcuno è entrato nel suo appartamento. È lì in questo momento. Qualcuno che vuole farle del male. Un uomo che…». Ha stuprato e assassinato sua madre, e che adesso afferma di…
«Ma non sa dove abita sua figlia?». La voce della donna era squillante e sospettosa.
«Si è appena trasferita. Non mi ricordo l’indirizzo esatto. È fuori… Sto cercando di ricordare la strada, è su una collina a Johnson, vicino all’ufficio postale…». La sua mente sbandava. Doveva rallentare i pensieri. L’orologio del microonde mostrava che erano passati cinque minuti. Cosa poteva fare Preacher in cinque minuti… «Lasci perdere».
«Signore, se riattacca dovremo…».
Riattaccò e uscì di corsa dalla cucina. Non c’era tempo per prendere la giacca. Non c’era tempo per niente. Aveva già perso fin troppo tempo.
Una pioggia battente lo investì. Il cielo terso si era ricoperto di nuvole da quando era arrivato a casa. La neve stava cominciando a sciogliersi mentre la nebbia allungava i suoi tentacoli sulla vecchia aia.
Nella sua Scout del ’74, prese il revolver calibro .22 dal vano portaoggetti e controllò che fosse carico, poi girò la chiave nel quadro.
Il motore tossì.
Girò di nuovo la chiave, smanettò con il motorino di avviamento.
Il motore partì.
Tra uno scossone e l’altro, la Scout percorse la discesa sterrata e fangosa. Rath cercò di chiamare Sonja Test, la detective della polizia di Canaan con cui aveva lavorato di recente come consulente su quello che i media avevano soprannominato il caso del Dottore Pazzo, macabri omicidi di ragazze adolescenti. La Test avrebbe potuto chiamare i colleghi di Johnson per lui, solo che era agitato e la Scout vibrava troppo per permettergli di fare il numero.
Alla fine della strada sterrata riuscì a chiamare.
Scattò la segreteria.
«Chiamami», disse Rath.
Compose subito un altro numero, quello di Harland Grout, amico ed ex detective capo della polizia di Canaan. Si era dimesso dopo il caso del Dottore Pazzo.
Il telefono squillò e squillò.
Un camion che trasportava tronchi d’alberi sbucò dalla nebbia, scuotendo le vecchie sospensioni della Scout e cospargendola di ghiaia.
«Rath?», disse Grout. «Se hai sparato a un altro cervo e vuoi implorarmi di aiutarti ad appenderlo…».
«Chiama il dipartimento dello sceriffo di Johnson non appena riattacchiamo. Qualcuno che conosci di persona, digli di andare a… C’è, ehm, una casa rossa. Su una strada sterrata. Penso sia quella tutte curve che arriva all’ufficio postale. Quella che corre lungo il ruscello Gihon».
Rath s’immise nella strada principale e schiacciò sull’acceleratore. La Scout brontolò. «Manda una volante il prima possibile».
«Cos’è successo?», disse Grout.
«Preacher, mi ha chiamato. È a casa di Rachel».
Silenzio assoluto.
«Chiamo subito». Grout riagganciò.
Rath spinse fino in fondo l’acceleratore. La Scout singhiozzava così tanto che sembrava stesse per cadere a pezzi. Eppure aveva raggiunto appena gli ottantacinque chilometri orari.
Non abbastanza veloce.
Neanche lontanamente.
Capitolo 3
Harland Grout, nell’ufficio della sicurezza, non riusciva a concentrarsi sugli schermi della videosorveglianza del centro commerciale White Mountain. Erano anni che conosceva Frank Rath, e non aveva mai sentito la paura o il panico nella sua voce. Ripensando a diciassette anni prima, quando negli anni Novanta l’amico aveva fatto da mentore a Grout come detective della polizia di Stato, Rath era sempre stato stoico e composto davanti a qualsiasi atrocità. Eppure, nella telefonata di qualche minuto prima la sua voce era scossa dalla paura e dal panico. Grout ne rimase così turbato che aveva chiamato il vicesceriffo di Johnson, e gli aveva detto di andare alla casa che Rath aveva descritto, come il giorno precedente.
Ned Preacher voleva dire che la figlia di Rath era in pericolo. Preacher: uno stupratore seriale che aveva aggirato il sistema e scontato un terzo della condanna per stupri e omicidi multipli dichiarandosi colpevole di alcuni crimini minori e comportandosi da santo in prigione per ridurre gli anni per buona condotta. Preacher: un subdolo, malvagio truffatore e assassino della sorella di Rath e di suo marito mentre la loro bambina, Rachel, dormiva al piano di sopra. Rachel era stata cresciuta da Rath, il motivo per cui sedici anni prima si era dimesso come detective della polizia di Stato. Preacher: scarcerato anzitempo con la libertà vigilata. Preacher: nell’appartamento di Rachel da cui aveva appena chiamato Rath, per tormentarlo.
Quando Rath aveva detto quei due nomi insieme – Preacher e Rachel – il timore iniziale di Grout era stato sostituito dal disgusto e dal bisogno di fare qualcosa. Poi, un senso d’impotenza. Perché Grout era bloccato lì, impossibilitato ad agire. Bloccato in un centro commerciale del New Hampshire nord-occidentale a guardare le telecamere di sicurezza finché una pericolosa forma di disturbo ossessivo-compulsivo non avesse spinto una donna a rubare un ninnolo dal negozio Hallmark, così che Grout potesse arrestare quella povera anima come se avesse commesso un infanticidio.
Grout era bloccato lì dentro, con un’uniforme che lo faceva sentire un boy-scout. Niente pistola. Niente manette. Aveva la stessa autorità di un responsabile di dormitorio al college. Non aveva la possibilità di fare ciò che era nella sua natura, ciò in cui era bravo: il detective. Aveva lasciato il posto di detective capo della polizia di Canaan dopo il caso del Dottore Pazzo, aveva accettato quel lavoro in base a ciò che riteneva fosse meglio per sua moglie e i loro due figli, il tutto per settantacinque dollari in più alla settimana. Sapeva di aver commesso un errore fin dal primo giorno di lavoro. Tanto valeva che si fosse tagliato le palle con un paio di forbici da pota.
Come poteva rimanere lì, inchiodato come una pianta in vaso?
Come poteva…
Una voce gli parlò.
Grout sbatté le palpebre.
«Signore». L’ultima, e la più seria, giovane recluta della Granite Private Security si rivolse a Grout dalla sua postazione davanti alle telecamere a circuito chiuso che mostravano il Quadrante C di Spencer Gifts.
«Cosa c’è?», disse Grout.
«Ne abbiamo uno in diretta, signore». Il novellino riusciva a malapena a nascondere un sorriso soddisfatto e subdolo. «Con le mani nel sacco».
Sullo schermo, un adolescente stava infilando un oggetto nella tasca della felpa. Sembrava una Pet Rock.
«È la seconda che si mette in tasca», disse Novellino tutto eccitato. Mancava poco che sbavasse. «Sta uscendo, signore!». Schiacciò un dito sullo schermo, come se Grout non vedesse il taccheggiatore. Novellino non riusciva a stare fermo. «Non appena il ladro esce dall’edificio…». Si agitò ancora di più. «Lo prendiamo con le MNS».
«MNS?»
«Mani nel sacco, signore».
«Vallo a prendere».
«Davvero, signore?». Gli occhi di Novellino luccicarono.
Grout annuì. Novellino corse alla porta e uscì come un fulmine.
Grout guardò le chiavi della sua auto sulla scrivania. Fallo, gli disse una voce. La voce del detective che era stato un tempo, e che era ancora. Fallo. Va’ e basta.
Invece si abbandonò sulla sedia lasciata vuota da Novellino ed emise un gemito per Frank Rath e sua figlia, Rachel, che con ogni probabilità ormai era già morta.
O peggio.
Capitolo 4
Rath guidò il più velocemente possibile senza schiantarsi contro i cipressi lungo il tratto desolato della strada nota come Moose Alley, che si snodava per quarantacinque chilometri di terreno paludoso e foresta boreale. La pioggia non era più intensa come poco prima, e la nebbia stava cominciando a strisciare fuori del canale.
Rath sperava che la polizia fosse a casa di Rachel e avesse impedito qualunque crudeltà Preacher avesse in mente; ma la speranza era utile quanto una pistola scarica.
L’indicatore della temperatura della Scout stava salendo pericolosamente verso il livello rosso. Se il motore si fosse surriscaldato, Rath sarebbe rimasto bloccato in mezzo al nulla, isolato da tutto e da tutti. In quell’area sperduta, avere campo sul cellulare era come il puma orientale: se ne vociferava l’esistenza, ma nessuno l’aveva mai dimostrata.
Alla fine Rath raggiunse il ponte sul fiume Lamoille con cui si entrava nella città di Johnson. Il sollievo di essere vicino a Rachel fu travolto dalla paura di ciò che avrebbe potuto trovare.
Si fermò al semaforo rosso all’incrocio fra la Route 15 e Main Street. Aspettò, bloccato dietro una scuolabus pieno di ragazzini che probabilmente tornavano da una partita.
Doveva aggirare il bus e passare col rosso, ma un Winnebago attraversò l’incrocio.
Scattò il verde.
Rath schiacciò sull’acceleratore. La Scout balzò in avanti e superò il semaforo. Dall’altro lato dell’incrocio, Rath frenò di colpo per evitare di tamponare lo scuolabus che stava rallentando.
Una donna sul marciapiede lanciò un’occhiataccia a Rath mentre poggiava la mano sulla nuca di un ragazzo sceso dal bus. Sistemò il cappello di lana e fulminò di nuovo con lo sguardo Rath, facendo entrare di corsa il ragazzo in un negozio di liquori.
Il bus riprese ad avanzare.
Non arrivavano veicoli dalla corsia opposta.
Rath superò lo scuolabus e tirò dritto ai due successivi semafori rossi.
La pioggia aveva lasciato spazio a una nebbiolina, e il sole basso del pomeriggio sbucò brevemente fra le nuvole a ovest; un luccichio argenteo sull’asfalto bagnato che per poco non accecò Rath.
La via di Rachel era proprio davanti a lui.
Rath la imboccò e cominciò a percorrere la salita a tutta velocità.
Una volante della polizia di Stato e una berlina dello sceriffo erano parcheggiate alla bell’e meglio di fronte a casa di Rachel e Felix.
Aveva paura di scoprire cosa ci fosse nell’appartamento. Temeva quello che Preacher poteva aver fatto a Rachel.
Sedici anni prima, davanti al corpo di sua sorella, Rath aveva sentito un fischio, come quello generato da un dito bagnato sul bordo di un bicchiere di cristallo, perforargli il cervello. Era corso alla camera al piano di sopra, fino alla culla. Era sdraiata lì dentro. Agitava le braccia e le gambe minuscole quasi stesse bruciando viva, piangeva con un suono lacerante che le risaliva dal fondo della gola.
Rachel.
Quando Rath l’aveva presa in braccio, sentì uno sconvolgimento permanente, come se uno strato della litosfera fosse sceso sotto l’altro; il suo passato da egoista scomparì per far posto a un’altruistica vita futura; una nipote trasformata in una figlia da atti di crudeltà violenta.
Per mesi, Rath aveva tenuto la culla di Rachel accanto al letto, rimanendo sveglio tutta la notte ad ascoltare ogni suo fragile respiro. Andava nel panico se non la sentiva, allora la scuoteva delicatamente per essere sicuro che fosse viva, tirando uno sospiro di sollievo quando si dimenava. La prendeva in braccio e la cullava, le prometteva di proteggerla, e pensava: Se superiamo questa fase, non dovrò più preoccuparmi così tanto.
Ma il pericolo non lasciò mai andare la vita della ragazza, e la preoccupazione piantò le radici nel cuore di Rath, aumentando in maniera selvaggia e incontrollata. A mano a mano che Rachel cresceva, cresceva anche la preoccupazione di Rath, e aveva tenuto d’occhio l’uomo che se ne stava con le mani in tasca dietro la recinzione dell’area giochi al parco. In pubblico, Rath aveva sempre stretto la mano a Rachel, con un amore feroce e animale. Se qualcuno avesse mai osato farle del male…
La Scout superò a forza un cumulo di neve spalata, per poi finire su una striscia di prato incolto.
Scese dal veicolo, s’infilò la calibro .22 dietro la schiena, e scattò verso le scale che correvano lungo il lato della vecchia casa fino all’attico.
Sperava che non fosse troppo tardi.
Capitolo 5
Il crepuscolo stava portando via la poca luce rimasta di quel pomeriggio d’inverno. La nebbia si ripiegava su se stessa.
Un agente e un vicesceriffo erano sul pianerottolo dell’appartamento. L’agente si schermava gli occhi con le mani per guardare attraverso il vetro della porta d’ingresso, illuminato da una luce all’interno.
Rath fece le scale a due a due, con il revolver che premeva contro la parte bassa della schiena. I poliziotti si girarono nella sua direzione, mettendo mano alle pistole.
«Sono suo padre!», gridò Rath, senza fiato.
Le mani dei due uomini rimasero sui calci delle armi quando Rath arrivò a trovarsi poco più giù del pianerottolo. «Sono stato io a chiamare. Sono Frank Rath». Gli occhi del vicesceriffo brillarono non appena lo riconobbe, e tolse la mano dalla pistola. I baffi folti erano neri come il lucido per scarpe. L’agente, dell’età di Rath e con un impeccabile pizzetto rosso puntellato di grigio, continuò a tenere la mano sulla pistola.
«È lì dentro con lui», disse Rath con voce rotta.
«È stato lei a chiamare, signore?», disse l’agente. Essendo un gradino sopra a Rath, il poliziotto era più in alto di una trentina di centimetri, un’innegabile posizione di comando. «Nessuno dall’interno ha chiamato il 911?».
Rath salì sul pianerottolo, costringendo l’agente a fare un passo indietro. A quel punto riconobbe Rath. La recente libertà vigilata concessa a Preacher aveva causato indignazione fra le forze dell’ordine della regione, e i casi di Mandy Wilks e del Dottore Pazzo che Rath aveva aiutato a risolvere erano finiti in prima pagina. Le fotografie dell’ex detective erano comparse in diversi articoli.
Il revolver di Rath era conficcato nella parte bassa della schiena. Doveva tenerlo in diagonale, così da non renderlo evidente. Era legale, ma essere armato avrebbe peggiorato la situazione.
«Se è stato lei a chiamare, signore, non possiamo fare irruzione», disse l’agente. «Abbiamo bisogno di un valido motivo».
«Ma ce l’avete. Dovevate entrate un’ora fa». Rath cercò di farsi strada fra i due uomini, ma l’agente gli si parò davanti. «Sono io che pago l’affitto», mentì Rath. «Buttate giù la porta. Lei è dentro con Preacher».
«Preacher?», disse l’agente. «Crede che sia lì dentro? Preacher?»
«So che è lì dentro. Grout non vi ha…».
«Vallo a prendere», disse l’agente al vicesceriffo.
Il vicesceriffo scese di corsa le scale e aprì il bagagliaio della volante, per poi tornare subito dopo con un ariete.
«Rimanga fuori», disse l’agente.
Rath avrebbe voluto entrare, ma capiva di dover rimanere dov’era, per il momento.
«Si faccia da parte». L’agente estrasse l’arma mentre il vicesceriffo colpì la porta sotto la maniglia, la parte più debole della struttura.
La porta si scheggiò. Il vicesceriffo la colpì di nuovo.
La serratura cedette, la porta si aprì.
I canarini strillarono.
L’agente si precipitò all’interno, gridando: «Polizia di Stato!».
Il vicesceriffo seguì l’agente, l’arma spianata.
I canarini sbattevano le ali e si agitavano mentre i due poliziotti coprivano la cucina, poi il corridoio.
Rath mise mano al revolver ed entrò nell’appartamento.
«Polizia!», gridò l’agente dal retro.
Rath si guardò intorno. Il portatile era acceso sopra un baule di pino graffiato, sistemato davanti a un futon economico. Il salvaschermo era composto di immagini a dissolvenza di Rachel e Felix.
L’agente disse dal retro: «Ma che diavolo».
Rath afferrò il revolver e si preparò a sparare.
L’aria era carica di tensione, di violenza imminente.
Rath vide la porticina che dava accesso alla soffitta nel muro dietro il futon. Era socchiusa. Abbastanza perché qualcuno potesse spiare fuori dall’interno.
Rath si leccò le labbra secche.
Fece un passo verso la porta, l’arma puntata su di essa.
I canarini cinguettavano freneticamente.
Una piuma ondeggiò in aria.
Rath allungò la mano verso la maniglia.
Una voce alle sue spalle gli ordinò: «Si fermi».
Rath non si mosse, gli occhi incollati alla porta.
Il vicesceriffo entrò nel raggio visivo di Rath, scosse la testa con forza. Aveva estratto l’arma, ma la bocca della pistola era rivolta al pavimento vicino ai piedi di Rath.
«Si allontani». Il vicesceriffo agitò l’arma verso la porta. «E metta via la pistola. Capito? Non mi costringa ad arrestarla».
Rath abbassò la calibro .22. Non sapeva se fosse stato il suo revolver o qualcosa che aveva visto sul retro a innescare quell’atteggiamento serio.
«Finché non mi dirà cosa c’è là dietro», disse Rath, «non mi muovo di qui». La parte bassa della schiena, lungo il muscolo sacrospinale, fu scosso da un dolore bruciante che aveva creduto di essersi lasciato alle spalle.
Dal retro dell’appartamento ricomparve l’agente. La sua espressione la diceva lunga.
Era esasperato.
Rimise l’arma nella fondina, fissò Rath con occhi di ghiaccio. «È sicuro che sua figlia fosse qui?».
Rath fece un cenno verso la porta, per mostrare che era socchiusa.
«In casa non c’è nessuno», disse l’agente, annuendo per far capire a Rath che aveva compreso. Puntò l’arma verso la porta. Fece un cenno al vicesceriffo, poi contò fino a tre con le dita.
Il vicesceriffo spalancò la porta e puntò l’arma all’interno. Guardò dentro.
«Merda». Si girò verso Rath. «Niente. Scatole».
«Ho sentito gli uccelli», disse Rath. Doveva andarsene da lì. Ma per andare dove? Prese il telefono e chiamò il cellulare di Rachel. Scattò la segreteria. «Chiamami subito. Ti prego», la implorò.
«Uccelli?», disse l’agente.
Rath indicò la gabbia dei canarini. «Quando Preacher ha chiamato, ho sentito quei cavolo di uccellini».
«Di cosa si tratta, signore?», domandò il vicesceriffo.
Rath raccontò la telefonata di Preacher, tralasciando la nauseante bugia su Rachel.
«Ma Grout non vi ha spiegato niente?», disse Rath.
«Non i dettagli. Ha parlato solo di un’effrazione in corso. Ma non c’erano prove di scasso quando siamo arrivati. È sicuro che fossero proprio questi uccelli?», disse l’agente.
Quando Preacher aveva lasciato intendere che stesse osservando Rachel, insinuando che l’avrebbe ferita con la sua orribile menzogna, Rath aveva sentito degli uccelli. Aveva immaginato che fossero i canarini di Felix. Chi non l’avrebbe fatto? Forse aveva ragione: Rachel e Preacher erano stati lì, solo che Rath era arrivato in ritardo.
«Signore?», disse l’agente. «È sicuro di aver sentito questi uccelli?»
«No», disse Rath. «Ma…».
L’agente guardò la porta d’ingresso rovinata, preoccupato di essere redarguito per averla buttata giù senza averne alcun diritto.
Poi il cellulare di Rath squillò. I canarini, spaventati, proruppero in un canto disarmonico.
PRIVATO.
L’identificativo di Preacher.
Rath fissò lo schermo del telefono, incapace di muoversi, certo della voce fredda che lo avrebbe salutato all’altro capo della linea.
«Risponda, signore», disse l’agente.
PRIVATO.
«Risponda».
Sarebbe scattata la segreteria se avesse aspettato un altro squillo.
«Risponda, o lo farò io al posto suo».
Rath rispose.
Capitolo 6
L’uomo apparve di nuovo dietro la gabbia degli uccelli.
Era scomparso tanto in fretta che Rachel cominciò a credere di averlo sognato, di essersi immaginata lo spettro di quell’uomo. Fissò Rachel, abbastanza a lungo da incrociare il suo sguardo per un attimo. Lei poteva vedere solo i suoi occhi, la faccia nascosta dalle sbarre della gabbia.
L’uomo si voltò, come soddisfatto che il suo messaggio fosse stato recepito. Ma quale messaggio? Chi era?
«Che cosa vuoi?», disse Rachel a voce troppo alta. Aveva gridato.
Gli uccelli stridettero, un cane abbaiò.
I clienti del negozio di animali fissarono a bocca aperta Rachel, la ragazza che aveva urlato.
«Cosa c’è?». Felix prese la mano ghiacciata di Rachel nella sua calda.
«Niente». Cercò di deglutire. Non ci riuscì. Aveva la gola secca come la sabbia.
«Niente? Stai gridando e tremando. E hai le mani ghiacciate. Stai male?»
«No». Di certo non avrebbe detto a Felix che un tizio che le aveva lanciato un’occhiata l’aveva traumatizzata. Il suo fidanzato non doveva pensare che avesse perso il controllo. L’aveva già abbastanza turbata la notizia, scoperta alcuni giorni prima, che i suoi genitori erano stati assassinati quando lei era una bambina, e non erano rimasti uccisi in un incidente stradale come le aveva detto il suo padre adottivo anni prima. Era ancora sconvolta? Chi non lo sarebbe stato? Ma Felix non doveva pensare che secondo lei ogni tizio inquietante che la guardava aveva intenzione di ucciderla. Anche se si sentì proprio così in quel momento, riguardo a quell’uomo.
La verità era che da quando aveva scoperto dell’omicidio dei genitori si sentiva cambiata. Diversa. E arrabbiata. Infuriata. Non perché aveva scoperto la verità, ma per come l’aveva scoperta: da un’estranea, da una tipa bizzarra in un centro familiare, durante un incontro per giovani donne che cercavano di decidere cosa fare con le loro gravidanze non programmate. Rachel non era incinta, grazie a Dio. Era andata all’incontro per capire se un predatore stesse usando quelle riunioni per scegliere le vittime. Da