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Nessun giorno della settimana
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About this ebook

Un caso editoriale partito dalla Spagna

Sofía ha 42 anni, è una madre single e vive a Madrid con i due figli adottivi. Durante un viaggio a New York, città di cui è innamoratissima, comincia a riflettere su se stessa e sulla propria vita. È felice? No. Deve ricominciare da zero, reinventarsi, eliminare gli aspetti negativi della sua esistenza e, soprattutto, circondarsi di persone positive. Dopo un inizio folgorante, la relazione con Pedro procede a stento tra alti e bassi. Gli sbalzi d’umore sono all’ordine del giorno. I bambini, poi, assorbono gran parte della sua attenzione e del suo tempo. L’unica cosa che la fa sentire davvero realizzata è la scrittura. Ed è per questo che Sofía comincia a tenere un blog tutto al femminile, “Las Claves de Sol”, un posto sicuro dove essere semplicemente se stessa, senza filtri. Comincia così un viaggio nella sua personalità, tra i suoi reali desideri, nel corso del quale, anche grazie a una buona dose di brillante autocritica, Sofía scoprirà che non è mai troppo tardi per la felicità.

La nuova Bridget Jones arriva dalla Spagna
Un esordio travolgente

«Mi chiamo Sofía Miranda e non mi pettino, ho una calligrafia orribile, dico un sacco di parolacce, odio cucinare, guardo film spazzatura e ho le braccia flaccide. Mi capita di dimenticarmi di fare la ceretta e a volte mi mangio le unghie. Ah, accumulo un sacco di piatti sporchi perché detesto svuotare la lavastoviglie.» 

«Sofía sono io, sei tu, è qualunque persona che a un certo punto della vita abbia deciso di provare a essere più felice, mettersi in discussione, reinventarsi. Chiunque, per un qualunque motivo, abbia preso una nuova strada.»
Sol Aguirre
Sol Aguirre
È nata a Barcellona. Dopo essersi laureata in Diritto ha lavorato come responsabile nel settore marketing per quasi vent’anni. È la creatrice di “Las Claves de Sol”, il blog umoristico femminile più letto in Spagna, con oltre 80.000 contatti al mese. Ha scritto opere teatrali e testi di canzoni. Vive a Madrid con i due figli. Quando non scrive, gira per la città in monopattino o vola verso la sua amata New York.
LanguageItaliano
Release dateApr 10, 2018
ISBN9788822719157
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    Nessun giorno della settimana - Sol Aguirre

    1932

    Titolo originale: Algún día no es un día de la semana

    © J La Esfera de los Libros, S.L., 2017

    © 2017 Sol Aguirre Gutiérrez

    All rights reserved

    Traduzione dallo spagnolo di Valentina Cabras

    Prima edizione ebook: maggio 2018

    © 2018 Newton Compton editori s.r.l, Roma

    ISBN 978-88-227-1915-7

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Librofficina

    Sol Aguirre

    Nessun giorno della settimana

    Indice

    Settembre

    Ottobre

    Novembre

    Dicembre

    Gennaio

    Febbraio

    Marzo

    Aprile

    Maggio

    Giugno

    Luglio

    Agosto

    Settembre

    Epilogo

    All’Infanta Imperatrice, a Falkor, Bastian e Atreyu,

    per aver salvato Fantàsia

    Settembre

    Niente mindfulness, né yoga, né un cavolo d’altro. Quello che mi rilassa è sedermi su questa panchina, con Lionel Richie, i Communards o Cyndi Lauper negli auricolari, immergermi nell’oasi di questa urbe effervescente nel più assoluto anonimato, e guardare la gente che passa. In campagna non trovo pace, senza un cinema o un supermercato vicino non sono nessuno.

    Voglio essere come le anatre che mi nuotano davanti, scivolare su questo lago e farmi bella per i visitatori di Central Park. Nient’altro. Sì, lo so, le anatre sono fauna, quindi fanno parte della natura che rinnego. Ma non queste. Queste stanno al centro di Manhattan, sono anatre cosmopolite.

    Non so da dove arriva il mio amore sconfinato per New York; magari è collegato alla mia cinefilia, a Woody Allen, a Superman.

    O magari in una vita precedente ero newyorkese.

    Il numerologo ha visto che la mia ultima morte è stata per annegamento. Vai a sapere se è successo proprio qui, davanti al Bow Bridge. Non mi ha detto quando è stato. C’erano già le torri del San Remo? Pensandoci bene, qui l’acqua non dev’essere molto profonda, è impossibile affogare. Inoltre, ora che mi viene in mente, mi ha detto che ero morta in Andalusia, ed è per questo che mio padre è di Huelva. Volevo illudermi di essere glamour e aver tirato le cuoia nella Grande Mela,

    MA NO

    , ovviamente è successo in una palude qualsiasi.

    Non importa se l’ultima volta non sono schiattata qui ma,

    DIO SANTO

    , spero succeda la prossima. Voglio solo stare a Central Park forever, ancorata a questo paesaggio che non è cambiato di una virgola in questi vent’anni in cui ho continuato a tornare. Non ricordo molto bene la data della mia prima visita a New York. Dopo i trentacinque, le date sono importanti: si è vissuti abbastanza da confondere quello che è successo tre anni fa con le cose capitate sei mesi fa. Oggi è il 25 settembre del 2015. Non dimenticartelo, Sofi. Esattamente due settimane dopo il tuo compleanno. È sempre bene avere un riferimento.

    Respira, non pensare a niente, resetta. È come se mi si stessero rigenerando i neuroni. Devo averne almeno quattro.

    I newyorkesi sono bellissimi e mi piace guardarli mentre corrono: sono così atletici, così alti, così Nike…

    Quand’è che mi farò una bella scopata? Me ne farò di nuovo una? C’è vita sugli altri pianeti?

    Concentrati, mindfulizzati. Guarda le anatre, quanto sono belle.

    La mia New York, le mie passeggiate interminabili, le mie tazze col bordo largo di Fish Eddy. La mia agenda, che compro ogni anno da Strand Books, anche se a Madrid la trovo identica. Questa Moleskine rossa, con la copertina rigida, mi permette, ogni volta che ci scrivo sopra qualcosa da fare, di sentirmi più vicina a questa città. Un luogo in cui, stranamente, ho sempre la sensazione di tornare, non di andare.

    Qui sono più me stessa che in qualunque altro posto. Il numerologo si è sbagliato: ho tirato le cuoia a Manhattan,

    PUNTO

    .

    Io mi rilasso con quello che fa stressare gli altri: le persone che camminano veloci per strada, con passo deciso, come se sapessero sempre dove stanno andando. Mi tranquillizza l’immediatezza, la concretezza. La libertà di andare al supermercato alle tre di notte o all’Apple Store alle cinque. A Madrid è già un casino fare colazione in un bar alle sette e mezza. Mi affascina vedere i manager che corrono sui tapis roulant alle quattro di mattina (tutt’altra questione se a correre fossi io).

    Devo comprare i costumi di Star Wars per i bambini.

    Ti sei distratta di nuovo. Guarda le anatre, che cazzo.

    Mi piace tantissimo Clara

    :

    il suo entusiasmo, la sua intelligenza, i suoi capelli scarmigliati e le unghie che dev’essersi dipinta sulla metro, a giudicare dall’azzurro che ha sulle dita. E sul palmo della mano. E sull’avambraccio.

    Clara è stata la prima persona di cui ho sentito la mancanza in tutta la mia vita. Questa vita fatta di momenti a cui non diamo importanza, ma che poi riconosciamo come punti di svolta. Il mio dopo è iniziato venticinque anni fa, nel bar della facoltà di Economia di Barcellona, nel momento in cui ho alzato la mano quando quella ragazza magra con i capelli neri ha chiesto chi volesse uscire quella sera.

    Ci siamo incontrate, come sempre, all’ingresso della Barnes & Noble di Union Square per poi andare a mangiare polpette al Craftbar. Queste piccole abitudini con Clara trasformano le mie visite in qualcosa che somiglia almeno un po’ a vivere qui. Magra consolazione.

    Il Craftbar è buio e rumoroso, ma qui mi trasformo in una persona tollerante e concorde a qualsiasi programma.

    «Sei stata al tuo ponte?». A Clara diverte questa mia fissazione di andare a Central Park ogni giorno.

    «Certo. E ho preso molte decisioni». Ride. Quante volte ha sentito

    ESATTAMENTE

    la stessa frase, nello stesso ristorante, davanti alle stesse polpette al sugo. «Abbiamo quarant’anni sul groppone… No, scusa, quarantadue. Mi cade la pelle delle braccia. Voglio fare cose nuove, reinventarmi, trovare il mio posto».

    «Ah, ma ce l’abbiamo un posto?». Credo lo stia chiedendo a se stessa. Da qualche mese sta considerando l’idea di tornare in Spagna. Mi vengono i brividi solo a pensarci.

    «Il tuo posto è questo. Vivi nella capitale del mondo, che altro vuoi? Fai un lavoro che ti piace…».

    «Vivo in un appartamento di trenta metri quadri a Brooklyn. Sono in questa città da quindici anni e non ho fatto niente di importante».

    «Hai sette Emmy, fenomeno mio. Sei un genio». Bella questa mania che abbiamo di non vederci, di non valorizzarci.

    «Sì, ma non ho girato un lungometraggio…».

    Un’altra conversazione ricorrente: quel copione dentro un cassetto da una vita per mancanza di tempo, per mancanza di sicurezza, per paura di fallire. Quanto ci piace concentrarci su quello che

    NON

    siamo riuscite a fare.

    «Quest’anno si cambia. Quest’anno cambia tutto», dichiaro, sollevando il bicchiere.

    E brindiamo al suo lungometraggio, al nostro posto nel mondo (dove voglio stare), alla pelle delle braccia cadente, al bar della facoltà, a New York. Un sorso bello lungo.

    «Cacchio, Clarita, questo vino fa schifo». Eravamo prese dalle chiacchiere e non l’abbiamo annusato, prima di berlo.

    «Non so, è della Napa Valley…». Clarita esamina la bottiglia come se si aspettasse di leggere sull’etichetta:

    ATTENZIONE, FA CAGARE

    .

    «Dài, mettimene ancora», le dico alzando il calice.

    Per le grandi decisioni servono litri di alcol, anche se sa di candeggina.

    «Okay, quindi?». Aspetta che le spieghi il mio grande piano, come se avessi la minima idea di quale sia.

    «Per prima cosa, devo cambiare lavoro. Credo».

    «Ma se hai un lavoro stupendo, un capo figo, fai la grana…».

    «Vero, ma faccio la stessa cosa da anni. Ho bisogno di cambiare».

    «La novità è sopravvalutata».

    Clara annuisce e solleva il bicchiere, come se non avesse altro da dire.

    «Ma se tu hai lasciato il catasto per vivere da artista, non dire cazzate».

    Sì, Clara lavorava al catasto finché non ha deciso che il suo destino era raccontare storie. In quattro e quattr’otto ha mandato tutto a fanculo (compreso Nicolás, un marito stupendo ma che non condivideva la sua sete di avventura) ed è venuta nella Grande Mela per il suo master in Cinema.

    «Forse ho sbagliato».

    Non ci crede nemmeno lei.

    «Non ci credi nemmeno tu. E io mi reinventerò. Ah, e smetterò di andare a letto con gli stronzi».

    Come se la cosa facesse parte del mio futuro lavorativo. Mischio lavoro e sesso con una facilità impressionante.

    «Allora di’ addio alla tua vita sessuale».

    Non capisco se lo dice per la mia cattiva capacità di giudizio o per la sua mancanza di fiducia nel genere maschile. In ogni caso, il risultato non cambia.

    «Fa lo stesso, ne ho avuta a sufficienza. Scopo da venticinque anni, basta così».

    Solleviamo i bicchieri, brindiamo al pensionamento della mia vagina e mandiamo giù in un sorso il pessimo vino californiano.

    «E smetterò di essere una madre stressata. Inizierò a fare yoga, sarò equilibrata e molto zen, come le tizie delle riviste».

    Clara riempie i bicchieri fino all’orlo e continuiamo a brindare.

    «Alle madri perfette».

    «Alla loro».

    Bicchieri vuoti. Noi completamente ubriache. Obiettivo raggiunto.

    Da: sofiamiranda73@gmail.com

    A: clarajuanola@gmail.com

    Oggetto: L’attacco delle madri new age

    Eccomi di ritorno, amica. Qui Sofía e il suo jet lag dalla metro di Madrid. Rido, per non piangere, dei miei propositi di madre (ed essere umano) zen. Appena salita sull’aereo, sono andati a farsi fottere. Proprio dietro di me si è seduta una donna con tre bambini di età compresa tra un anno e un anno e mezzo, accidentialoro, e anche se lei li teneva in braccio sembrava che non li sentisse. Quando l’ho vista ho capito che mi avrebbero rovinato il viaggio. Era tutta hippie, con la frangia e i capelli lunghi. La tipica madre new age, della serie: «Li allatterò fino ai sedici anni, non li sgrido perché potrebbero restare traumatizzati, non li vaccino perché fa male…» e cavolate del genere.

    ALLORA COMPRATI UN AEREO E RIEMPILO DI LATTE MATERNO, CHE CAZZO.

    Riassumendo: sette ore di pianti ininterrotti e indiscriminati. Forse sono così intollerante al rumore perché mia madre, che di new age aveva ben poco, gridava più di me e la cosa mi ha segnata a vita. O semplicemente un volo transoceanico in mezzo a mocciosi che fanno i capricci è insopportabile

    E BASTA

    .

    Quando sono arrivata a casa avevo i chakra più aggrovigliati di quando sono partita una settimana fa.

    La mia cara mamma ha voluto farmi il resoconto completo del comportamento della mia prole mentre ero assente. No, mamma, mi serve un po’ di tempo per depressurizzarmi, abbi pietà.

    Doccia e poi ufficio.

    Voglio morire.

    Ora elenco tutti i propositi che ti ho esposto ieri sera (o era la sera prima ancora?) durante la cena. Dicono che se li scrivi, poi li metti in pratica.

    COME NO

    .

    Pettinarmi. Tanto ci vogliono cinque minuti di piastra per sistemare i capelli. Oggi non ho tempo, inizio domani.

    GIURO

    .

    Avere una manicure perfetta. Stasera vado a prendere appuntamento, così mi tolgono tutte le pellicine. Fallo anche tu,

    DÀI

    .

    Ridurre i carboidrati. Ho pranzato con un panino e cenerò con la pizza, ma perché non sono ancora riuscita ad andare al supermercato.

    Mangiare più frutta e verdura. Smoothie e succhi a volontà, basta latte vaccino. Ho appena finito di bere una Cola Cao, ma perché ero stanca per il viaggio e quella è una bevanda energetica. Non ne berrò più,

    DAVVERO

    .

    Bere due litri d’acqua al giorno (e mettermi un sondino).

    Leggere mezz’ora ogni sera. Sono finiti i telefilm.

    Tenermi alla larga da quelli che prima di sapere come mi chiamo fanno allusione ai peli pubici o alle tette. Tenermi alla larga da quelli impegnati. Riuscire a capire come fare a frequentare qualcuno di decente che però non voglia essere il mio fidanzato è un’altra questione.

    Non perdere la pazienza con la mia prole. Devo essere più assertiva, empatica e comprensiva.

    Tanto per cominciare, ho scaricato un po’ di libri sulla mindfulness infantile, sulla mindfulness per adulti e sulla meditazione. Allo scopo di entrare gradualmente in contatto con queste discipline così

    TANTO

    in contrasto con le mie abitudini, ho dato un’occhiata ad alcuni siti di maternità/cool/nonperdiamolacalma e, per il momento, ho trovato solo storie di fantascienza che danno le seguenti istruzioni: pianifica tutto (i pidocchi non avvisano, l’influenza neanche, e la caldaia non ti dice: «Senti, domani mi rompo, segnalo sull’agenda»); quando non ne puoi più, riposati (ma vai a cagare, se potessi farlo non starei leggendo questa roba) e un sacco di altre scemenze.

    Non ho intenzione di continuare a leggere. Se non altro, mi è servito per stabilire che alcune di quelle che sembrano equilibrate, in realtà non capiscono niente.

    CHE SOLLIEVO

    .

    Ti lascio, sono arrivata alla fermata dell’ufficio.

    Crollo sulla sedia mentre guardo i tetti di Madrid. Questa finestra allevia, in parte, la nostalgia che mi prende ogni volta che torno da Clara.

    Non so se mi manca di più la mia amica o la città, probabilmente un sessanta-settanta per cento. Oggi mi fa piacere che in questo Paese la produttività non sia tanto importante.

    Da: clarajuanola@gmail.com

    A: sofiamiranda73@gmail.com

    Oggetto: Re: L’attacco delle madri new age

    Cavolo, tesoro, mi dispiace per i tuoi chakra. Forse i figli della hippie erano malati. Ti prometto che per solidarietà andrò dalla cinese qui sotto a farmi la manicure. Penso che dovresti iniziare con due propositi e, dopo averli messi in pratica, aumentare l’intensità. Manicure e acqua, per esempio. E dopo un paio di settimane aggiungi la verdura. Vedremo se la cura sarà peggiore della malattia e ti farà stressare di più. Io, al momento, a parte farmi fare le unghie, ho come proposito quello di dormire più di cinque ore al giorno. La scorsa notte ho montato fino alle tre e stamattina mi sono alzata alle sette per aiutare un amico con il suo cortometraggio. Sono incasinatissima ma so che, quando ne avrò bisogno, lui farà lo stesso per me.

    Ah, mi sono anche imposta di essere ordinata e ho comprato il libro di Marie Kondo. Dice che, dopo aver riordinato casa, senti un’energia mostruosa. Dacci un’occhiata, magari ti fa bene.

    Stavo pensando al tuo reinventarti e, per cominciare, potresti raccogliere tutte le mail che mi mandi e pubblicarle. Fanno pisciare dalle risate (anche se in fondo sono drammatiche, lo so e mi dispiace per te).

    Vediamo come posso dirle che:

    Deve far sterilizzare le lime alla cinese davanti a casa sua, perché l’altro giorno ho curiosato e non ho visto gli sterilizzatori da nessuna parte;

    Non credo che dopo aver piegato bene le mutande si venga invasi da un’ondata di benessere;

    Deve concentrarsi sui suoi progetti e smettere di aiutare cani e porci;

    Una cosa è scrivere scemenze alla mia amica, e un’altra, molto diversa, è che degli estranei le leggano. Che vergogna.

    Ecco che arriva Antonio, quello del marketing, con il suo abito immacolato e la sua barba così antierotica. Ma non lo vedi che non hai abbastanza peli? Raditi, gioia.

    Mi bruciano gli occhi e il cervello.

    Voglio dormire.

    Fa’ che non venga a parlarmi, fa’ che non venga a parlarmi, fa’ che non venga a parlarmi.

    E VIENE A PARLARMI.

    «Com’è andato il viaggio, splendore?». La sua cavolo di fissa con tutti i bella, splendore e tesoro. Se fossi un uomo mi chiamerebbe splendore? Non credo. Incredibile, va in giro con quella barba e mi chiama splendore. Che brutte cose che mi capitano…

    «Fantastico, Antuàn,

    SPLEN-DO-RE

    . Dimmi tutto».

    Devo liquidarlo velocemente. Mi si incrociano gli occhi e continuo a sentire i pianti del bambino hippie.

    «Ci chiedono il resoconto di…».

    Caaavolo, non ho idea di quello che mi sta dicendo.

    «Chiama gli altri, riunione tra due ore e ne discutiamo».

    Quando si ha un buco nero mentale, la cosa migliore da fare è fingere di aver capito tutto e mostrarsi risoluti, come Olivia Pope.

    Penso che in due ore riuscirò a fare un sonnellino sulla tastiera o a prendermi settantasette tè. Oppure a tornare in aeroporto e svignarmela dai newyorkesi senza ulteriori indugi.

    Cacchio, i miei figli.

    Mi ero dimenticata.

    Mi fermo qui.

    Che cosa strana essere madre: durante il viaggio ero felicissima, era tutto un living la vida loca, mangiavo fuori orario, dormivo come un ghiro e, sinceramente, non ho pensato a niente che avesse a che fare con la maternità (infatti si dice staccare la spina), ma ora sono qui che aspetto il pulmino della scuola con talmente tanta voglia di spupazzare i miei figli che mi viene da piangere.

    Ho gli occhiali da sole (sta per piovere) e gli auricolari senza musica, tutto per evitare il contatto visivo con qualche Mamma Rompipalle e rischiare che venga a parlarmi. Ecco che arrivano i miei mostriciattoli biondi, sporchi dalla testa ai piedi, che carini. Baci, abbracci e «Mammamammamamma» a profusione.

    E ovviamente: «Cosa ci hai portato?».

    Mi viene in mente mio nonno: «Un po’ di merda con la merda», rispondeva in questi casi. Adesso sarebbe un sacrilegio. Oggigiorno non rispondere a un bambino o, peggio ancora, rispondergli con cinismo e parolacce, costituisce delitto colposo e porta a un futuro trattamento psichiatrico per trauma multiplo. E nonostante a me, di queste nuove teorie pedagogico-educative, non me ne importa un tubo, mi trattengo.

    «Appena finite i compiti, vi faccio vedere».

    Sono terribile. E dire che mio nonno era un grande.

    In uno stato di jet lag tremendo come il mio, preparare la cena diventa la cosa più fastidiosa del mondo.

    Mi sento come Bill Murray in Ricomincio da capo. La mia vita dal lunedì al venerdì è pura routine: sveglia, colazione, lavarsi i denti, vestirsi, entrata a scuola, ufficio, uscita da scuola, merenda, doccia, compiti, cena e si ricomincia. So che giorno della settimana è in base alle attività extrascolastiche che ci sono.

    Questo ciclo a volte è insopportabile.

    Oggi il mio istinto di sopravvivenza mi ha portato a mettere in forno una pizza surgelata. Sì, lo so, non è biologica, né cool, né ha bacche di goji, ma ci mettono poco a mangiarla e non sporca il pentolame. Da domani comincerò a essere una Madre Perfetta.

    «Mamma, è da un po’ di giorni che voglio chiederti una cosa». Questo mi fa tornare alla realtà. Quando un bambino di nove anni ti dice questa frase,

    INIZIA A TREMARE

    (soprattutto se è mio figlio). «Qual è stato il momento più figo della tua vita?». Cacchio, questa non me l’aspettavo. Di solito sono domande tipo qual è il supereroe più forte o che animale fa la cacca più puzzolente.

    «Secondo te qual è stato?»

    «Quando ci hai adotati», risponde la mia creatura, senza esitare un secondo. Rimango di sasso e mi emoziono.

    Non mi sento di dirgli, in questo momento così idilliaco, che si dice adottati. Dove cavolo l’avrà sentito senza la doppia?

    «Sì, amore mio, è stato quello il momento più figo. E il tuo?»

    «Tu, mamma».

    Per mio figlio sono un momento.

    OTTIMO

    . Il mio mini Lucifero è stato posseduto dallo spirito di Laura Ingalls. Esorcismo

    SUBITO

    .

    Il più piccolo resta in silenzio (ed è strano).

    «E il tuo momento più bello, Nicolai?»

    «Quando divento grande e mi compro la moto. Mamma, ho freddo al pisello», dice mentre fa finta di avere le convulsioni e si indica le parti basse.

    Nicolai non delude

    MAI

    .

    Faccio finta di non vedere la protuberanza sotto il pigiama. Non so se mi abituerò mai a crescere due maschi. Il resto della cena prosegue tra calcio e dinosauri, senza più stupidaggini inappropriate.

    «Andate a dormire, bambini, ché è tardissimo».

    Sono solo le otto.

    «Ma c’è ancora luce, mamma», mi dice Iván, indicando la finestra da cui il sole splende in modo spettacolare.

    «È perché è cambiata l’ora, ma in realtà è tardissimo, quasi le dieci». Per una volta, il fatto che non sappia leggere l’ora, cosa che di solito mi fa venire il nervoso, è un vantaggio. «A dormire.

    SUBITO

    ».

    A volte penso di essere una cattiva madre, che i bambini capiscano che li voglio mandare a dormire per poter respirare, per stendermi una mezz’ora sul divano a guardare il soffitto e staccare il cervello. La cosa migliore sarebbe dirglielo: «Figli miei, vostra madre, quando si fanno le otto, ne ha i coglioni pieni di tutto. Ma non vuol dire che non vi voglia un mondo bene».

    Tolgo la parte dei coglioni e domani glielo dico.

    Da quando ho Locked out of Heaven di Bruno Mars come suoneria dell’iPhone, la mia vita è notevolmente migliorata; mi godo pienamente i tre secondi prima di dover combattere con chi mi sta chiamando…

    Quando vedo il nome di Luis sullo schermo il mio cuore fa una capriola. Negli ultimi anni ho imparato ad amare FaceTime più di qualsiasi cosa al mondo. Nessuno osi lamentarsi delle nuove tecnologie davanti a me. Se l’azienda di Luis avesse deciso di mandarlo in Messico cinque anni fa, quando non si poteva usare un pulsante e vedere la sua bellissima testa rasata, sono sicura che sarei morta per la disperazione.

    «Per fortuna sei tu».

    «Com’è andato il viaggio?»

    «Fantastico, as usual».

    «E Clara?»

    «Fantastica, as usual».

    «Sei rinata?».

    Che stronzo, mi sta guardando le occhiaie. Non ha pietà.

    «Madre new age con pargoli al seguito sull’aereo, non dico altro. Ma almeno sono tornata con diversi propositi per l’anno nuovo».

    «Siamo a settembre», mi fa notare con un mezzo sorriso, probabilmente ricordandosi di quelli di gennaio, aprile e luglio. «E quali sarebbero questi propositi?»

    «Voglio dare una svolta alla mia vita, fare qualcosa di nuovo. Clara mi ha detto di raccogliere le mie mail e pubblicarle. Dice che sono spiritose».

    «Ci facciamo tutti un sacco di risate, con le tue mail».

    «Vedremo. E tu come stai?»

    «Beh, ho appena scopato…».

    «Ma lì da te sono le tre del pomeriggio».

    «Le due».

    Questo succede approssimativamente un paio di volte a settimana. Al mio «Come stai?», il novantotto per cento delle volte Luis mi risponde con una frase che include la parola scopare. Ha la capacità di fornicare agli orari più impensabili: a metà pomeriggio, a metà mattina, in un momento qualsiasi… Il sesso tra omosessuali è sempre stato facile, però da quando c’è Grindr non ci sono più freni. Ma a me fa piacere, eh.

    «Senti, vado a coricarmi, ché non dormo da quando sono stata all’Empire State».

    «Domani vado a Rio».

    «Bastardo».

    Brasile, Ipanema, i mulatti seminudi… Mi viene da ridere al solo immaginare il mio amico che se ne va in giro da quelle parti.

    «È per lavoro».

    «Sono in crisi».

    «Di nuovo?»

    «È sempre la stessa, ed è lunga. E ora ci ho aggiunto la pensione della mia vagina».

    «Come?»

    «Passo. Non mi interessa il sesso, né gli uomini, né niente».

    «Sei messa male».

    «Te l’ho detto che sono in crisi».

    «Ti voglio bene».

    «Buon viaggio».

    Ho sempre pensato che in realtà Luis fosse bisessuale. Gli piacciono gli uomini, ma si rincretinisce anche per un paio di tette. Sono sicura che la sua omosessualità si è radicalizzata per colpa di Sara, quella della pipì. Sara era la ragazza con cui stava quando aveva vent’anni. Non aveva tutte le rotelle a posto: si era presentata a una cena di Natale conciata come Ugly Betty per assicurarsi che Luis non uscisse con lei solo per il suo aspetto fisico (era tanto bella quanto pazza), e gli faceva scenate durante le quali declamava manifesti femministi. Ma la ciliegina sulla torta è stata la cosiddetta Confessione Urinaria. La cretina era andata da una guaritrice che le aveva assicurato che, se avesse fatto bere a Luis la pipì dei giorni del ciclo, lui si sarebbe innamorato di lei forever and ever. E l’ha fatto davvero: per sei mesi ha mischiato a caso piscio a gin tonic e caffelatte. E per di più il poveretto, quando me l’ha raccontato, non l’ha considerata una cosa

    COSÌ

    mostruosa. «A quanto pare, nella magia bianca e nella santería è normalissimo tutto ciò che ha a che fare con pipì e cose simili». Ma cos’avrà di tanto normale una cavolata del genere? L’ho cercato su Google e, in effetti, esiste tutto un universo di pipì, innamoramenti e sangue di vario tipo.

    Il punto è che, in questo caso, il rito ha portato al risultato opposto a quello desiderato: dopo quella volta, il mio amico non ha mai più visto una vagina da vicino. E, sinceramente, la cosa non mi stupisce.

    Non so se il mio amore per il pene resisterebbe a una schifezza simile.

    CLARA

    : thebloggess.com, mid20somethinglifecrisis.com, loveandlife.com

    IO

    : Cosa sono?

    CLARA

    : Blog umoristici per donne statunitensi. Dai un’occhiata, ti piaceranno. Così ti fai un’idea.

    Certo che quando si mette in testa qualcosa…

    Oggi avevo intenzione di fare colazione con un succo verde, il più verde possibile, solo che mi sveglio sempre pensando alla Cola Cao, la mia adorata cioccolata calda energetica. Non so se sono dipendente dal cioccolato, o dallo zucchero, o se la mia colazione bambinesca sia una conseguenza di questa mia sindrome di Peter Pan.

    Uno dei pochi propositi che sono riuscita a mettere in pratica nella mia vita è quello di alzarmi dieci minuti prima dei miei figli per fare colazione tranquillamente. Probabilmente è più per il desiderio di solitudine che per mancanza di sonno. Ogni giorno, alle sei e mezza, penso la stessa cosa: «Due lauree e due master per questo», seguito da un sentito: «Che vita, la mia». Poi bevo la mia Cola Cao e tutto migliora, o almeno così mi sembra.

    Mentre butto giù la mia dose di zucchero, curioso in internet e trovo un articolo che parla di come le madri

    VIP

    (le Bündchen, le Miranda Kerr, le Elsa Pataky) «pubblicano immagini della loro vita quotidiana, e questo permette che si crei un’affinità con i loro fan». La Bündchen, con i capelli perfetti e l’indice di massa grassa pari a zero, ci diletta con il racconto della sua giornata tipo:

    Mi alzo alle cinque e mezza. Allatto mio figlio, giochiamo un’ora in camera sua e poi faccio colazione. Alle nove torna a dormire e io ne approfitto per fare un po’ di sport. Quando torno a casa giochiamo un altro po’. Mangiamo e all’una inizio a lavorare (ho lo studio a casa). Alle cinque se ne va la baby-sitter e usciamo per una passeggiata al parco. Quando mio marito torna a casa, ceniamo insieme. Leggo qualche favola a mio figlio e gli do da mangiare un’altra volta. Per le nove e mezza-dieci vado a letto.

    Lo leggo con ammirazione per cinque volte e credo a

    TUTTO

    , pensando di essere una schifosissima sfaticata perché non faccio sport ogni giorno, un’abominevole disorganizzata e un essere spregevole in generale. Ma subito ritrovo la ragione: tuo figlio mangia due volte al giorno.

    SORPRENDENTE

    . E si addormenta

    SEMPRE

    alla stessa ora. E le feste a cui ti vedo partecipare ti permettono di metterti sotto le coperte alle nove e mezza. Ma pensa un po’…

    Lavori dall’una alle cinque, non cucini, non lavi, non stiri,

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