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Il secolo d'oro dell'antica Grecia
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Il secolo d'oro dell'antica Grecia

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Storie e segreti

Eroi, miti, innovazioni e battaglie che hanno segnato la grandezza di una civiltà

Il secolo d’oro è il preciso momento della storia della Grecia durante il quale le poleis raggiunsero il massimo splendore, per poi prendere la strada del declino. Per meglio comprendere come sia stata possibile l’interruzione così brusca di un periodo tanto fiorente, il lettore sarà guidato attraverso un’esposizione cronologica degli eventi. Il sanguinoso conflitto con i persiani e la famigerata Guerra del Peloponneso, ovviamente, avranno un ruolo centrale nella trattazione, ma per capirne meglio la ricchezza e la profondità, non si può prescindere da alcuni personaggi come Milziade, Pericle, Leonida, Brasida, Socrate e tutti coloro che hanno lasciato una traccia indelebile del loro passaggio, segnando una svolta in quella che è stata la culla di tutta la cultura occidentale.

Uno sguardo sull’incredibile parabola dello splendore delle poleis

In questo volume:

• dal mito alla storia
• dalle origini alle guerre persiane
• la prima guerra persiana
• la seconda guerra persiana
• l’età di Pericle
• la guerra del Peloponneso
• l’egemonia di Sparta
• l’egemonia tebana
• Graecia capta
Sara Prossomariti
è nata nel 1984 e vive e lavora a Mondragone. Laureata in Storia e Archeologia, ha collaborato con la rivista «Civiltà Aurunca». Opera come volontaria presso il Gruppo Archeologico Napoletano da più di dieci anni e ha partecipato a diversi scavi archeologici in Grecia e in Italia. Guida turistica autorizzata della Campania, con la Newton Compton ha pubblicato I personaggi più malvagi dell’antica Roma; I signori di Napoli; Un giorno a Roma con gli imperatori; I grandi personaggi del Rinascimento; Il secolo d’oro dell’antica Grecia; Il secolo d’oro dell’antica Roma; I grandi delitti di Roma antica e, scritto con Andrea Frediani, Le grandi dinastie di Roma antica.
LanguageItaliano
Release dateNov 27, 2017
ISBN9788822715913
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    Book preview

    Il secolo d'oro dell'antica Grecia - Sara Prossomariti

    Introduzione

    Questo libro è dedicato al secolo d’oro dell’antica Grecia, inquadrando il periodo che va dall’inizio delle guerre persiane fino alla fine della guerra del Peloponneso. Siamo nel pieno del v secolo a.C. al cospetto di personalità del calibro di Leonida, Pericle, Milziade e tanti altri di cui parleremo approfonditamente.

    In questi cento anni le poleis greche raggiunsero l’acme in termini di potenza ed espansione, ma allo stesso tempo furono costrette ad assistere all’inizio di quell’inesorabile declino che dopo secoli di sudata autonomia le porterà a far parte dell’impero romano.

    Studiare l’antica Grecia non è cosa semplice. Non perché ci sia carenza di fonti e dati ma perché è ben noto che il territorio che oggi costituisce la nazione greca anticamente non era quello di un regno o un impero unitario. L’antica Grecia non era altro che un insieme di poleis, città, accomunate dalla stessa religione e dalla stessa lingua; nient’altro. Le divergenze di tipo politico impedirono ai greci di unirsi e fondare un impero potente come quello romano ad esempio. Le continue lotte tra filo monarchici, oligarchici e democratici hanno impedito a città come Sparta e Atene di unirsi e completarsi, dando vita a una macchina da guerra praticamente perfetta. Le capacità degli ateniesi in ambito marittimo e quelle spartane in ambito terrestre messe insieme avrebbero potuto dare vita a qualcosa di straordinario. A sostegno di questa tesi ci sono le guerre persiane. All’epoca di questi due conflitti che videro le poleis greche unite contro i persiani, gli elleni riuscirono a ottenere degli ottimi risultati soprattutto perché misero da parte, anche se solo parzialmente e temporaneamente, i loro attriti. Provate solo a immaginare se ateniesi e spartani avessero combattuto insieme, di concerto, con un unico comandante a dettare ordini.

    Ovviamente per poter comprendere a fondo il secolo d’oro dell’antica Grecia non potevamo limitarci a parlare di questi cento anni. Sarebbe stato come aprire un libro a metà e cominciare a leggere senza sapere niente delle pagine precedenti e poi chiuderlo senza conoscere il finale della storia. Decisamente frustrante. Ecco perché sono stati elaborati dei capitoli introduttivi e conclusivi, per permettere a tutti, anche ai non addetti ai lavori, di seguire con chiarezza l’evolversi degli eventi.

    La storia dell’antica Grecia non poteva non cominciare con i micenei. Chi erano questi uomini e che cos’avevano in comune con i greci propriamente detti? Chi era Omero? Come sono nate le poleis? Queste sono solo alcune delle domande alle quali tenteremo di dare una risposta nell’ambito dei primi capitoli per poi passare al tema principale.

    Le protagoniste del nostro racconto saranno Sparta e Atene, non solo perché furono le due poleis più famose, ma soprattutto perché sono le due realtà meglio documentate dalle fonti. Dopo aver dedicato diversi capitoli al tema principale ne abbiamo inseriti altri due conclusivi. Immaginate se vi avessimo lasciati lì, all’anno 404 a.C., per la precisione nel momento in cui gli spartani fecero il loro ingresso ad Atene dopo averla conquistata al termine della guerra del Peloponneso: sarebbe stato alquanto deludente. Ecco perché, se pur rapidamente, siamo andati oltre, tentando di soddisfare una legittima curiosità. Abbiamo dato un rapido sguardo ad altri eventi decisivi della storia dell’antica Grecia come ad esempio l’egemonia tebana, la dominazione macedone a opera di Filippo e Alessandro Magno, e la conquista romana.

    Dovevamo, anche se sommariamente, raccontarvi la fine della storia. Dirvi cosa accadde quando all’orizzonte fecero capolino eserciti diversi da quello persiano. Se i persiani erano numericamente superiori ma tatticamente inferiori ai greci, per i macedoni e i romani il discorso è decisamente diverso.

    Insomma in questo libro ripercorreremo a grandi tappe tutta la storia dell’antica Grecia, soffermandoci su un secolo in particolare che osserveremo attraverso l’analisi della storia dell’arte, dell’archeologia, della filosofia, dell’epica e del teatro. Non tralasceremo nulla nel tentativo di offrire un quadro completo della situazione.

    I. Dal mito alla Storia

    I capolavori di Omero

    Per poter parlare del secolo d’oro dell’antica Grecia in maniera esaustiva è d’obbligo fare una premessa, anche se breve, che ci permetta di comprendere al meglio le dinamiche sociali, economiche e politiche. Insomma dobbiamo capire come si è arrivati a quel periodo che va dalle guerre persiane alla fine della guerra del Peloponneso: un periodo denso di eventi a livello politico, militare, artistico e letterario. Un periodo noto a molti che però non ha avuto inizio dal nulla. Atene non è sempre stata retta da una democrazia; Sparta non è sempre stata la potenza militare che fu nel v secolo a.C. e Tebe non sempre fu in grado di competere con queste due potentissime poleis, come invece avvenne all’epoca di Pelopida ed Epaminonda. Cosa c’era ad Atene prima di Pericle? E a Sparta prima di Leonida? E a Tebe prima di Pelopida ed Epaminonda? Questi primi capitoli hanno il compito di rispondere a queste domande.

    Le condizioni politiche, economiche e sociali della Grecia del secolo d’oro sono frutto di un’evoluzione che ha avuto inizio quando ancora la Storia si perdeva nel mito; quando a regnare erano ancora Agamennone, Menelao e Odisseo; quando la Grecia in senso stretto doveva ancora nascere. La democrazia era ancora un lontano miraggio e questo perché l’idea che un popolo potesse organizzarsi per autogovernarsi non era minimamente concepibile in un mondo dove a dominare non erano i diritti ma la forza.

    I greci non conoscevano la loro storia. Questa affermazione potrebbe apparirvi strana eppure è così. La consapevolezza del proprio passato si fermava alla soglia dell’viii secolo a.C.: per tutto ciò che precedeva questo secolo erano costretti ad affidarsi a miti e leggende, dai quali ricavavano il necessario per raccontare ciò che era avvenuto prima. Un passato fatto di re, grandi ricchezze ed eroi di cui tutti conoscevano le gesta ma che nessuno era in grado di collocare con precisione nella linea temporale. Questi eroi e questi re erano divenuti tanto famosi da meritarsi persino un culto.

    Tecnicamente è improprio parlare di greci in generale, quasi fossimo di fronte a un popolo unito e caratterizzato dagli stessi usi e costumi della Grecia attuale. L’antica Grecia, infatti, comprendeva sì il territorio che oggi viene denominato Grecia ma anche tanto altro, come ad esempio la cosiddetta Asia Minore. Inoltre, quella che oggi è la Grecia anticamente comprendeva una serie di regioni accomunate da una stessa lingua e una stessa religione ma spesso divise da usi, costumi e soprattutto regime politico. È difficile quindi parlarvi dell’antica Grecia facendo un discorso lineare e privo di deviazioni. Tenteremo però di seguire un filo conduttore, che possa permettere di seguire la narrazione nel modo più chiaro e semplice possibile.

    Come prima cosa dobbiamo fare un passo indietro nei secoli e immergerci nel mito per poter comprendere come da questo si sia poi entrati nella Storia. Un passaggio per nulla semplice e ancora irto di difficoltà e di questioni irrisolte.

    Se abbiamo fonti storiche solo per il periodo successivo all’viii secolo a.C. come facciamo a sapere cosa c’era prima? Per nostra fortuna possiamo contare sull’archeologia, capace di offrire una serie di evidenze documentarie che ci permettono di viaggiare ancora più a ritroso nel tempo: per l’esattezza, fino al secondo millennio a.C., per conoscere i diretti antenati dei greci e capire se tra questi ci furono effettivamente il pelide Achille e l’arrogante Agamennone. Certo non è facile come impresa ma molti studiosi si sono adoperati per risolvere questo enigma e, nonostante ci siano ancora molti dubbi, ormai siamo in grado di fornirvi qualche informazione concreta.

    Gli antichi greci, come abbiamo accennato, non sapevano di ignorare completamente il loro passato. Questo perché erano sicuri che personaggi come Achille, Agamennone o Menelao fossero realmente esistiti per il solo fatto che a dirlo erano due testi famosissimi, vale a dire l’Iliade e l’Odissea. Ai nostri occhi queste due opere, così come altre produzioni coeve, appaiono alla stregua di romanzi, il cui valore storico è dunque relativo. Per gli antichi greci non era così. Loro erano convinti che l’Iliade e l’Odissea parlassero, se pure in maniera colorita, del loro passato e dei loro antenati, e così credevano che i personaggi descritti nelle due opere fossero realmente esistiti. Essendo quindi Omero la causa di tanta confusione, per poter conoscere i veri antenati dei greci, vale a dire minoici e micenei, è bene cominciare proprio da lui e dalle sue opere per mettere un po’ di ordine.

    All’università, una delle domande che poteva farvi guadagnare una bella bocciatura all’esame di storia greca era la seguente: di cosa parla l’Iliade? Voi penserete che sia semplice rispondere: basta dire che parla della guerra di Troia. Eppure sbagliereste. L’Iliade non parla dell’intera guerra di Troia, durata dieci anni, né delle cause che l’hanno provocata: questi temi vengono lasciati a opere minori. L’opera di Omero si concentra solo su una parte del conflitto, che non corrisponde né alla fase iniziale né a quella finale ma alla cosiddetta ira di Achille. Nell’Iliade Omero descrive cinquanta giorni durante i quali si verifica tutta una serie di eventi, significativa per la conclusione del conflitto, ma strettamente connessa al personaggio di Achille, uno dei protagonisti della guerra. All’inizio dell’opera troviamo i greci che, assediando Troia da ormai dieci anni, sono alle prese con l’ennesimo saccheggio ai danni di un santuario troiano, che provocherà degli attriti per questioni inerenti la divisione del bottino. Agamennone, privato di Criseide, figlia di un sacerdote di Apollo e parte del suo bottino, si rivale su Achille sottraendogli parte della sua preda di guerra, per la precisione la schiava Briseide. Achille quindi, preso appunto dall’ira, chiede aiuto a sua madre Teti che intercede per lui con Zeus. Teti ottiene che i greci subiscano tutta una serie di sconfitte, fino a quando Agamennone non si decide a fare ammenda e a riparare il torto commesso nei confronti di Achille restituendogli Briseide. Purtroppo però, e qui arriva l’imprevisto, nel tentativo di salvare i greci Patroclo, amico e amante di Achille, decide di indossare le armi del compagno e usarle in battaglia, con la speranza di far credere ai troiani che il possente Achille abbia ripreso a combattere. Patroclo, durante l’impresa, viene però ucciso da Ettore, il primogenito del re di Troia Priamo, che verrà a sua volta ucciso da Achille addolorato per la morte dell’amico e in cerca di vendetta. La narrazione si conclude con i funerali di Ettore mentre la guerra è ancora in corso. Nell’opera viene dunque narrato solo un breve ma intenso periodo della guerra che, per ovvi motivi, nessuno si sarebbe mai sognato di descrivere per intero.

    La società presentata nell’Iliade è una società di guerrieri che lascia ben poco spazio ad altro. Gli eroi si riconoscono in quanto belli e buoni, kaloi kai agathoi; i cattivi sono ovviamente i kakoi, vale a dire i brutti. Appartenere a una o all’altra categoria può fare una differenza abissale. Ad esempio, quando Agamennone sottrae Briseide ad Achille, questi protesta con forza e in virtù del suo essere bello e buono e di nascita nobile; con lui vengono aperte delle trattative per riportarlo alla calma. Quando un altro personaggio di nome Tersite, presentato come deforme, osa rimproverare Agamennone per gli stessi motivi riportati da Achille, vale a dire per la sua arroganza, questi si ritrova preso a bastonate da Odisseo che lo richiama all’ordine, quell’ordine scandito dalla nascita e dalla posizione sociale.

    L’Odissea, invece, parla del ritorno di Odisseo a Itaca. L’eroe, lontano da casa da ormai vent’anni, racconta al re Alcinoo, che gli ha prestato soccorso dopo l’ennesima peripezia vissuta durante il suo lungo viaggio, tutto ciò che gli è accaduto dalla fine della guerra fino al momento del loro incontro. È così che scopriamo come è finita la guerra, con il famoso trucco del cavallo, e perché Odisseo ha tante difficoltà a rientrare in patria. Finito il racconto Odisseo viene aiutato da Alcinoo a terminare il viaggio. Purtroppo una volta arrivato a Itaca i guai non sono ancora finiti per il nostro eroe. Odisseo, infatti, dovrà affrontare ancora una prova prima di potersi riposare. Durante la sua assenza degli uomini, i famosi Proci, si sono presentati alla sua reggia e oltre a pretendere il suo regno hanno anche abusato dell’ospitalità di sua moglie Penelope. Alla fine Odisseo riuscirà a riprendersi ciò che è suo e a tornare con la sua compagna, ma solo dopo aver combattuto per l’ennesima volta e aver ucciso moltissimi nemici. In questo caso la guerra non è più il tema centrale e la vita quotidiana fa capolino più spesso rispetto all’Iliade.

    Il primo problema legato a questi due poemi epici riguarda l’autore. Chi era Omero? Come mai ha scritto queste storie? Aveva assistito agli eventi di cui parlava o ne aveva solo sentito parlare?

    Andiamo per ordine. Di Omero effettivamente non sappiamo molto; le fonti si limitano a dirci che era un aedo, cioè un poeta o cantastorie, e che era cieco. Non sappiamo nulla sulla sua nascita, né tantomeno sulla sua morte, che non derivi da biografie antiche del tutto romanzate. Molte città si vantano di avergli dato i natali, all’incirca sette, tra cui Smirne e Atene, e molte altre invece se ne contendono le spoglie. Una di queste è il capoluogo dell’isola di Ios dove ancora oggi è possibile vedere una lapide sulla quale, in diverse lingue, si ricorda la sepoltura del famoso poeta. Non sappiamo neanche quando visse esattamente. C’è chi parla di xi secolo a.C. e chi di vii.

    I pochi elementi a nostra disposizione lascerebbero supporre che Omero potrebbe non essere mai esistito. Anche la sua presunta cecità potrebbe essere stata inventata per dare al poeta un’aura divina che ricordasse personaggi come il mitico Tiresia, l’indovino cieco. Noi siamo soliti scindere nettamente arte, politica e cultura dalla religione ma per gli antichi non era così, per cui l’associazione poeta-veggente non è poi così assurda o unica nel suo genere, anzi. Ecco perché si sospetta che anche la cecità dell’aedo fosse inventata.

    In generale gli antichi greci credevano che Omero fosse un personaggio realmente esistito, come abbiamo già detto, ma non tutti si univano al gregge. Già alcuni studiosi dell’antichità si erano posti il problema di identificare Omero ed erano giunti alla conclusione che quel nome non fosse da attribuirsi a una persona realmente esistita ma a un poeta mitico come i personaggi da lui creati. Non solo i greci erano titubanti, ma anche alcuni autori latini come ad esempio Cicerone. In sostanza si credeva che l’Iliade e l’Odissea fossero state scritte da diversi autori e non dalla stessa persona. Questo tema fu ripreso nell’800, secolo in cui si discusse molto in merito a questa questione. Ciò che rendeva perplessi gli studiosi erano le differenze rilevate tra un’opera e l’altra ma anche e soprattutto le incongruenze all’interno dell’Iliade. Nello specifico, ad esempio, c’è un personaggio che risulta deceduto in un libro e in quello successivo ricompare invece vivo e vegeto. Come mai ci sono così tante discrepanze tra un capitolo e l’altro della stessa opera e così tante differenze tra le due diverse opere? Alcuni spiegavano queste irregolarità sostenendo che l’autore fosse uno solo ma che avesse scritto l’Iliade in gioventù, scegliendo l’irruente Achille come eroe protagonista proprio per l’età, e l’Odissea in età tarda, preferendo questa volta un protagonista adulto, più saggio e astuto come Odisseo. Questa spiegazione però, se risolve il problema delle incongruenza tra Iliade e Odissea non chiarisce quelle che rileviamo ad esempio tra i diversi libri dell’Iliade. Ecco perché oggi si tende a credere che i due poemi siano stati scritti da più autori e che non siano state elaborati in poco tempo ma nel corso di decenni, se non secoli. In sostanza si pensa, data la presenza nelle due opere di caratteristiche tipiche della tradizione orale, come la continua ripetizione dei nomi dei protagonisti e dei loro attributi, che serve a fissarli nella mente di un ascoltatore e non di un lettore, che l’Iliade e l’Odissea siano dunque frutto di una simile tradizione tramandata nei secoli che col tempo si è deciso di mettere per iscritto, arrivando a un certo punto a realizzare due stesure definitive. È evidente che i libri dell’Iliade sono stati realizzati per essere completi anche singolarmente. Ogni libro tratta di un evento in particolare che ha inizio e fine e può quindi essere letto a prescindere dal resto dell’opera. Lo stesso vale anche per l’Odissea. Immaginiamo una situazione del genere: siamo al termine di una cena e i partecipanti al banchetto si siedono per ascoltare un poeta che racconta loro una storia, magari la vicenda del conflitto di Troia accompagnato dalla sua lira; ovviamente quest’ultimo non può raccontare l’intera guerra, ma si limita a narrarne una parte, quella che potrebbe essere contenuta in un solo libro. Ecco, sia l’Iliade che l’Odissea sono frutto di questa tradizione orale che poi si è evoluta grazie alla scrittura e ha smesso di essere continuamente modificata per assumere caratteri fissi. La prima volta che le due opere furono messe per iscritto fu nel vi secolo a.C. ad Atene quando la città era governata da Pisistrato. Le fonti ricordano gradi festeggiamenti in occasione di questo evento e quindi finalmente abbiamo un dato storico. Una leggenda dice anche che il tiranno greco, di cui riparleremo a breve, si mise a caccia dei libri perduti di Omero. Si credeva, infatti, che i quarantotto libri che componevano le due opere, ventiquattro ognuna, fossero andati dispersi e che solo la tenacia del tiranno ateniese avesse permesso il recupero e il ricongiungimento di tutto il materiale.

    Chi erano i micenei?

    A questo punto bisogna capire se nelle due opere si parla di eventi realmente accaduti e quanto ci sia di vero nella narrazione. E qui cominciano i veri problemi.

    Sappiamo bene che i due poemi sono alla stregua di due romanzi ma sappiamo anche che i romanzi, soprattutto quelli storici, spesso sono realizzati basandosi su dati reali. Il punto è distinguere questi dagli elementi inventati. I romanzi possono essere ambientati in una realtà contemporanea a quella dell’autore o in un’epoca passata; possono presentare personaggi inventati o anche realmente esistiti; possono avere una trama fantasiosa o riconducibile a fatti realmente accaduti. Come si fa quindi a capire quanto c’è di vero nei testi omerici? Non è un lavoro semplice ma si può in qualche modo fare.

    Cominciamo col dire che uno dei modi migliori per ottenere delle informazioni attendibili è quello di confrontare i dati derivanti dalle fonti letterarie con quelli che ci offre l’archeologia. Se troviamo prove in ambito archeologico di quanto riportato dal cosiddetto Omero è ovvio che un qualche fondo di verità ci deve essere. È sulla base di questa teoria che nell’’800 un mercante tedesco di nome Heinrich Schliemann si mise a caccia di prove che dimostrassero l’esistenza dei personaggi descritti da Omero. Fu così che, armato della sua amata copia dell’Iliade, nel 1871 rinvenne quella che fu identificata come l’antica Troia e nel 1876, ai piedi di un monte che aveva le sembianze di un re dormiente con la spada in grembo, rinvenne Micene. A questo punto si potrebbe pensare che una volta trovate queste due città, una scenario della famosa guerra e l’altra capitale del regno del grande Agamennone, sia ovvio dedurre che il racconto omerico si ispiri a fatti realmente accaduti, ma non è così. Sono stati rinvenuti solo due elementi che potrebbero aver ispirato il poeta ma niente di più. Se a tutto questo aggiungiamo che nel ’900 Arthur Evans rinvenne a Creta un’altra grandiosa città, l’antica Cnosso, che sembrava essere sorta in un’epoca molto più antica rispetto a Micene, possiamo capire come i dati archeologici anziché chiarire la situazione l’abbiano invece resa ancora più confusa.

    Evans aveva deciso di scavare proprio a Cnosso, nei pressi dell’attuale Heraklion, perché ad Atene aveva trovato dei sigilli in pietra iscritti e quando si era informato circa la loro provenienza gli fu indicato il luogo dove poi effettivamente fece la sua clamorosa scoperta. A Cnosso furono rinvenute le tracce dell’esistenza di un antico palazzo che, a quanto pare, dopo essere stato costruito fu distrutto e rimesso in sesto più di una volta. Una struttura simile fu rinvenuta anche a Micene da Schliemann, il quale, nei pressi della porta d’ingresso alla cittadella, nota come la Porta dei Leoni, identificò anche un circolo di tombe oggi noto come Circolo A. Si tratta di un’area sepolcrale di forma circolare all’interno della quale furono rinvenute sei sepolture a fossa, in cui furono inumati diversi membri di quella che può essere definita quasi sicuramente come la famiglia reale di Micene. Nel 1952 fu poi scoperto un altro circolo di tombe, noto come Circolo B, poco distante dal precedente ma più antico. Siamo di fronte a ventiquattro tombe a fossa che contengono ognuna i corpi di più persone, appartenenti anch’esse a un’élite di potere. La quantità di oro rinvenuta in queste sepolture sembrò confermare il ruolo dominante assegnato a Micene da Omero. Gli uomini sepolti nei due circoli erano palesemente dei guerrieri e pure molto potenti: vuoi vedere che l’Iliade parla veramente di loro?

    Anche in questo caso però non è tutto così semplice e lineare come appare. Dei minoici, infatti, nei testi omerici non si fa cenno e pure dei micenei non si parla in maniera precisa.

    Durante gli scavi effettuati tra ’800 e ’900, che portarono al rinvenimento di altre città menzionate nell’Iliade quali Pilo, sede del regno del saggio Nestore, furono riesumati anche degli oggetti che corrispondono perfettamente ad altri di cui parlano i due poemi. Ad esempio furono rinvenuti degli elmi fatti con zanne di cinghiale, degli scudi alti a forma di otto e altri a torre. Tutto farebbe pensare che se pure Omero avesse inventato dei nomi di fantasia per i re e gli eroi di cui parla, ha però descritto una società realmente esistita che poi non sarebbe altro che quella dei micenei. Eppure, confrontando bene dati archeologici e fonti letterarie si può notare un dettaglio. Prendiamo proprio come esempi l’elmo di zanne di cinghiale e lo scudo a torre. Nell’Iliade i due oggetti sembrano essere due pezzi pregiati e molto antichi di cui solo Odisseo e Aiace fanno uso. Invece il dato archeologico ci parla di un popolo che usa comunemente queste armi. Altro esempio possibile è il famoso scudo di Achille descritto nell’Iliade, vale a dire l’arma che la madre dell’eroe, Teti, fece realizzare a Efesto per suo figlio rimasto senza armi a causa dell’impresa fallimentare di Patroclo. Lo scudo nelle fattezze sembra un prodotto di tipo miceneo ma la lavorazione descritta nel libro è decisamente posteriore.

    E allora che sta succedendo? Vuoi vedere che Omero è vissuto in un’epoca successiva a quella dei micenei e che quindi ha solo qualche vago ricordo di questi ultimi per cui mischia dati relativi alla loro epoca e alla sua? Effettivamente è probabile che le cose siano andate così. I due poemi potrebbero essere stati inventati nel periodo posteriore all’età micenea, quello che viene comunemente chiamato la Dark Age greca o addirittura dopo, e quindi presentano elementi dell’epoca precedente, ma come semplice ricordo di un tempo che fu. In generale si nota una maggiore tendenza all’inserimento di elementi di tipo miceneo nell’Iliade e di quelli relativi alla Dark Age nell’Odissea. Insomma, nell’Iliade i micenei sono all’apice del loro successo e della loro espansione; nell’Odissea, forse proprio perché stremati da tante guerre, unificate nella fantasia popolare in un’unica guerra di Troia dalla durata lunghissima, sono invece in declino, come dimostra l’invasione dei Proci presso il palazzo di Odisseo.

    La Dark Age greca è un periodo che va dal x all’viii secolo a.C. circa e prende questo particolare nome perché considerato appunto un periodo buio, di cui si conosce poco e che fu caratterizzato da una certa regressione rispetto all’epoca micenea. Si parla comunemente di riduzione della popolazione, di una diffusa condizione di povertà e della perdita di molte conoscenze comuni in epoca micenea, come ad esempio l’uso della scrittura. C’è chi ha pensato che a causare questa drastica battuta d’arresto fosse stata qualche calamità naturale, chi invece un’invasione a opera di popoli stranieri, chi ancora dei fattori interni. Nessuna di queste teorie, che riprenderemo in seguito, è però in grado di spiegare in maniera chiara e completa quanto accaduto al termine del secondo millennio a.C. Col tempo, non solo sono state rimesse in discussione le cause che avrebbero portato la Grecia a sprofondare nella Dark Age ma la Dark Age stessa. Dai dati archeologici si riscontra effettivamente la scomparsa della scrittura, che tornerà a far parte del patrimonio culturale dei greci solo più tardi, e anche il crollo dei palazzi micenei; solo che sono riscontrabili anche segnali positivi. Ad esempio, non tutti i palazzi crollano: a Tirinto continuò a esistere, così come il palazzo di Atene; in altri casi, i palazzi crollarono ma l’abitato che li circondava continuò a esistere e quindi se pure ci fu una riduzione nel numero degli abitanti questi non scomparvero completamente. Appare evidente quindi che ciò che venne meno fu appunto il sistema di gestione basato sul palazzo come centro del potere, non l’intera società micenea. Alcuni palazzi rimasero attivi e in alcune zona non vi fu alcuna riduzione del numero degli abitanti, che in genere viene calcolata sulla base del numero delle sepolture rinvenute. In sostanza ci fu un cambiamento che fu seguito da una certa regressione, ma non per questo dobbiamo pensare a un periodo buio nel quale tutto ciò che c’era prima nel territorio greco scomparve per fare posto al nulla o a qualcosa di completamente nuovo ed estraneo alla vecchia società micenea. La Dark Age è stata rivalutata anche nel momento in cui ci si è resi conto che probabilmente i poemi omerici hanno avuto origine in questa fase e che quindi i greci della Dark Age non sono altro che gli eroi omerici riveduti e corretti.

    Finora non ho fatto altro che riportarvi teorie e problematiche relative agli antenati dei greci: ora però è giunto il momento di parlarvi di loro sulla base delle scoperte scientifiche effettuate negli ultimi decenni e quindi in maniera più chiara e lineare, in modo che possiate conoscerli veramente.

    Ovviamente la Grecia, come molti altri luoghi della Terra, è stata abitata fin da prima dell’arrivo di minoici e micenei, e quindi da prima del secondo millennio a.C., ma se non vogliamo divagare troppo dobbiamo porci un limite temporale per la nostra ricerca, ecco perché cominceremo con i minoici. Questo popolo, che prende il nome da Minosse, il mitico re di Creta, sembra essere presente su quest’isola a partire dal terzo o dal secondo millennio a.C. Svariati studiosi hanno proposto diverse datazioni e per le epoche più antiche ci sono differenze anche di mille anni. In generale si nota nelle evidenze archeologiche un cambiamento intorno all’inizio del terzo millennio a.C., che farebbe pensare all’arrivo di un nuovo popolo che piano piano si stabilì sull’isola e cominciò a prosperare. Questi uomini, che altro non sono che i minoici, erano degli abili navigatori e si guadagnavano da vivere grazie a diverse attività che andavano appunto dalla navigazione al commercio, dall’artigianato all’agricoltura. Erano in contatto con gli egiziani che li chiamavano keftiu e con alcune delle isole più vicine a Creta.

    Sull’isola, intorno al 1900 a.C., comparvero i primi palazzi, vale a dire quelli di Festo, Cnosso e Mallia, tutti caratterizzati da un cortile centrale, detto megaroon, e tutti composti da moltissimi ambienti utili a permettere al palazzo di fungere da centro di potere e di smistamento. Di solito immaginiamo i palazzi semplicemente come delle residenze di lusso usate dai sovrani, ma in ambito minoico e miceneo i palazzi non svolgono esattamente questa funzione, o meglio non solo. Erano sì il luogo in cui il o i governanti vivevano, ma erano anche degli edifici nei quali avveniva la raccolta delle materie prime prodotte sull’isola e sul continente, che poi venivano ridistribuite agli artigiani per la successiva lavorazione o come forma di pagamento. Il palazzo era quindi caratterizzato da depositi nei quali conservare le materie prime e da stanze adibite a uffici nelle quali organizzare i razionamenti. C’erano anche delle stanze destinate al personale e altre destinate al culto degli dèi. Infine c’erano degli ambienti in cui venivano conservati i documenti relativi all’attività di gestione che si svolgeva nell’edificio. Per la precisione nella Creta di epoca minoica si usavano due forme di scrittura note come geroglifica e Lineare A. Non sono state ancora decodificate ma, come vedremo in seguito, erano fondamentali per l’amministrazione del territorio. Pare che ogni palazzo avesse in gestione una parte dell’isola e che durante il periodo dei primi palazzi i minoici vivessero in pace, come dimostra la prosperità del loro regno. Intorno al 1700 a.C. però accadde qualcosa. Non sappiamo se si trattò di una calamità naturale o di conflitti interni, fatto sta che i palazzi esistenti fino a quel momento furono distrutti ed ebbe inizio un periodo di crisi.

    Per fortuna la crisi non durò molto e già dopo un secolo sull’isola sorse una seconda serie di palazzi. A Festo, Mallia e Cnosso furono costruite strutture più grandi ed efficienti e per la prima volta fu costruito un palazzo anche a Zakros. L’isola ricominciò a prosperare, come dimostrano i resti di molte case e ville di lusso che si trovano nei centri abitati e all’esterno di essi. Il problema resta però sempre lo stesso. Se i dati archeologici ci permettono di immaginare una civiltà prospera e molto evoluta da un punto di vista artigianale e artistico, non sappiamo purtroppo quali erano le condizioni politiche dell’isola. Non sappiamo se c’era un re che governava su tutti e risiedeva a Cnosso, il palazzo più grande, o se vi era un sovrano per ogni singolo palazzo. L’isola poteva anche essere retta da un’oligarchia o qualche altra forma di governo che purtroppo ci è ignota. Non sappiamo chi comandava, come lo faceva e su quali basi, ereditarie o elettive ad esempio. Certo, per confronto con le altre civiltà dell’epoca si tende a pensare all’esistenza di un sovrano, ma non ne abbiamo certezza.

    I cosiddetti secondi palazzi sopravvissero per più di un secolo per scomparire definitivamente intorno al 1450 a.C. Tutti tranne quello di Cnosso che sopravvisse fino al 1370 a.C. ma con una nuova gestione.

    Prima di spiegarvi cosa accadde nel 1450 a.C. a Creta è bene capire cosa accadeva nella Grecia continentale mentre i minoici prosperavano.

    Allo stesso periodo dei primi palazzi minoici, quindi alla fase tra il 1900 e il 1600 a.C., sembrano appartenere le tombe del famoso Circolo B di Micene di cui vi avevo parlato. A Micene a quanto pare nel 2000 a.C. comparve un nuovo popolo che piano piano cominciò a insediarsi su tutto il continente greco. Col tempo un’élite di potere cominciò a imporsi e divenne sempre più ricca tanto da permettersi di realizzare delle sepolture diverse da quelle degli altri abitanti della zona, come lo sono appunto le tombe a fossa del Circolo B di Micene, e di riempirle di corredi sempre più lussuosi. Tuttavia è solo nella fase in cui a Creta sorgono i primi palazzi che a Micene cominciano a definirsi quei tratti che ci permettono di identificare i micenei in senso stretto. Questi tratti sono caratteristici degli uomini che hanno elaborato le sepolture del cosiddetto Circolo A di Micene e che evidentemente detengono un potere notevole, come dimostrato dalla ricchezza dei corredi delle loro sepolture. Ma chi sono questi micenei? Come sono arrivati in Grecia?

    Ovviamente le teorie in merito abbondano.

    C’è chi crede che si tratti di guerrieri, come sembrerebbero dimostrare le tante armi rinvenute nelle tombe del Circolo A e la quantità di oro da loro posseduta, o meglio di mercenari che grazie alle razzie operate in altri territori riuscirono a prendere il potere a Micene e nella Grecia continentale. Altri parlano di un’invasione di cui però non restano tracce evidenti. Altri ancora credono a un’evoluzione interna che avrebbe portato un gruppo di persone a emergere e a dare vita a una forma di governo più complessa.

    La teoria più diffusa mette insieme un po’ tutti gli elementi proposti precedentemente, ma in sequenza. Dato che effettivamente si registrano tracce dell’arrivo di un popolo nuovo nella Grecia continentale intorno al secondo millennio a.C., si può supporre che i micenei siano giunti in quel periodo e che fossero originari dell’Anatolia; quest’ultimo dato lo si deduce dalla tipologia di prodotti rinvenuti in ambito archeologico e databili a quel periodo. Alcuni di questi micenei riuscirono piano piano a prendere il potere e a dominare su tutti gli altri fino a potersi permettere palazzi e sepolture sontuose. Questi uomini potrebbero essere riusciti nell’impresa grazie al loro ruolo di intermediari. La quantità di oro rinvenuta nelle tombe del Circolo A è davvero notevole, forse anche esagerata. Tanto per capirci, nel Circolo A furono ritrovate le tre famose maschere funerarie in oro conservate oggi al Museo Archeologico di Atene, una delle quali è nota come la Maschera di Agamennone. Si tratta di un manufatto di altissimo livello che ovviamente fu attribuito al più famoso re di Micene, anche se leggendario. Da alcuni studiosi è anche stata messa in dubbio la sua autenticità. La maschera di Agamennone, infatti, è un po’ diversa rispetto alle altre due rinvenute nel circolo: questo perché non presenta il cosiddetto effetto mappamondo, ed è per questo che potrebbe essere falsa. Il cosiddetto effetto mappamondo è quello che dà alla maschera una forma quasi ellittica ed è dovuto alla lavorazione della stessa direttamente sul viso del defunto. Questa particolare forma, come anticipato, non caratterizza però la cosiddetta maschera di Agamennone che resta però ancora oggi uno dei reperti più belli esistenti al mondo.

    Abbiamo compreso che l’oro abbondava nelle tombe del Circolo A ed ecco perché alcuni studiosi sostengono che a prendere il potere a Micene furono coloro che a quei tempi gestivano il traffico di oro dai paesi danubiani. Un gruppo di mercanti che si era assicurato il monopolio di questo ricco metallo, e che lo rivendeva poi anche a Creta e in Asia assicurandosi profitti enormi, sarebbe dunque riuscito a prendere il potere e a sottomettere tutti gli altri.

    Mentre i micenei, la cui origine di fatto resta incerta, cominciano a prosperare sul continente, a Creta, come abbiamo visto, avviene la distruzione della seconda serie di palazzi. Questa distruzione potrebbe essere attribuita all’eruzione del vulcano di Thera, l’attuale Santorini. Sull’isola, che fa parte delle Cicladi e che un tempo aveva una forma ben diversa da quella attuale, c’è un notevole vulcano che a quanto pare eruttò intorno al 1400 a.C. provocando un maremoto che colpì anche Creta e ne che modificò per sempre la forma. In sostanza l’eruzione provocò una serie di eventi a catena che avrebbero portato, stando ad alcuni studi, al crollo della civiltà minoica. Immaginiamo un’eruzione tanto violenta da distruggere una parte dell’isola di Santorini, seppellire una delle città che si trovavano sull’isola, Akrotiri, divenuta famosa come la Pompei greca, e provocare un’onda anomala di proporzioni devastanti. Quest’onda avrebbe raggiunto la costa nord di Creta e avrebbe distrutto i palazzi di questo versante. Se l’onda colpì solo la costa nord, la cenere fuoriuscita dal vulcano coprì invece tutta l’isola provocando la distruzione dei raccolti e quindi il crollo della società palaziale cretese, che faceva perno soprattutto sull’agricoltura e il commercio. Insomma la civiltà minoica subì una crisi tanto violenta da esporla al rischio di attacchi esterni che non tardarono ad arrivare. Secondo alcuni studiosi fu a causa dell’eruzione che Creta fu conquistata dai micenei che un tempo commerciavano con i signori dell’isola. Questi ultimi furono messi in ginocchio dalle distruzioni operate dal maremoto e dalla perdita dei raccolti e non riuscendo più a riprendersi furono sottomessi. Ciò è quanto sostengono alcuni archeologi. Altri scienziati però non condividono la datazione dell’eruzione del vulcano di Santorini proposta dagli archeologi al 1450 a.C. Dallo studio degli anelli di accrescimento degli alberi e dai risultati ottenuti col metodo del radiocarbonio 14 viene fuori una realtà molto diversa. L’eruzione infatti dovrebbe essere datata tra il 1628 e il 1600 a.C., per cui non sarebbe avvenuta in coincidenza con il crollo dei secondi palazzi di Creta. Purtroppo la situazione resta ancora molto incerta; l’unica cosa evidente è che nel 1450 a.C. i palazzi di Creta erano tutti inattivi, tranne quello di Cnosso che sopravvisse un altro secolo ma sotto l’egemonia micenea. La distruzione definitiva di questo palazzo potrebbe essere avvenuta anche in questo caso per una catastrofe come un terremoto, oppure per conflitti interni. Pare comunque che i micenei fossero ancora attivi sull’isola anche dopo la caduta del palazzo di Cnosso

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